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Ospedale Pediatrico Gaslini:”La Salute, prima di tutto!”

postato il 13 Luglio 2010

di Edoardo Marangoni

Lodo Alfano, d.d.l.  Intercettazioni o cosiddetta “Legge Bavaglio”, Porcellum e via dicendo… Ultimamente si è tanto parlato – a ragione, sia ben chiaro! – di provvedimenti incostituzionali, poiché in violazione dei diritti che la nostra Costituzione dichiara essere fondamentali e irrinunciabili. Tra i tanti valori costituenti la nostra Repubblica, il nostro vivere civile, vi è anche il diritto alla salute, sancito nell’ Art. 32  della Costituzione.
E se ci pensiamo, la salute è proprio una delle corde più sensibili dell’animo di ciascuno di noi. Spesso si dice, con un pizzico di saggezza popolare, “la salute prima di tutto” o “al primo posto c’è la salute”. Ed è vero, senza dubbio. Al primo posto la salute nostra e quella dei nostri cari.

Talvolta, però, ci si dimentica che la Salute, quella vera, quella di qualità, offerta da personale competente, attrezzato e aggiornato, è anche un grande, un notevole costo. E spesso, purtroppo, gli Enti Locali non riescono a sostenere tutti questi costi. O meglio, possono anche riuscire a sostenere i costi, senza però essere più in grado di ottimizzare il servizio e di essere, quantomeno, al passo coi tempi nei trattamenti terapeutici. E ciò, forse, è ancora più deprimente quando a rischiare di subire tagli lineari poco obiettivi sono i centri che rappresentano i fiori all’occhiello della Sanità, quella con la “S” maiuscola.

Uno di questi centri, di questi poli all’avanguardia, è senz’ombra di dubbio l’ Istituto Pediatrico Giannina Gaslini, situato a Genova.
Non vorrei tediare nessuno, me stesso per primo, snocciolando troppi numeri dell’attività clinica, peraltro ottimi, perché credo possano bastarne anche solo alcuni.

Scorrendo i dati, appunto, sono rimasto colpito dal notevole numero di pazienti provenienti da altre Regioni dell’Italia. Anch’io, più volte paziente dell’Ospedale Gaslini, ho fatto parte della sua “Babele di pazienti”: certo i “vicini” piemontesi e lombardi, ma, a sorpresa, anche i più “distanti” siciliani, pugliesi e campani.

Maturano quindi alcune considerazioni. Per prima cosa, perché i “vicini” scelgono il Gaslini, pur avendo ottime strutture più “sotto casa”? Banale poi il luogo comune della “Mala-Sanità” del Mezzogiorno, poiché, se la geografia non è un’opinione, tra Genova e Palermo ci sono poli pediatrici di alto livello, basti  pensare al “Bambin Gesù” di Roma e al “Meyer”di Firenze.
E pare sia il caso di dire che il Gaslini “non conosce confini”! Molti sono anche i pazienti stranieri, e non solo i “vicini” francesi.
Il fatto appunto che sia così frequentato da giovani pazienti provenienti da altre e lontane Regioni credo possa essere sintomatico, oltre che dell’efficienza e dell’efficacia, anche della qualità del servizio

Insomma, per esperienza personale e per breve ma intenso sguardo ai dati, credo di poter dire con certezza che l’Ospedale Pediatrico Giannina Gaslini di Genova sia uno dei Poli Pediatrici più importanti del nostro Paese, uno dei fiori all’occhiello del Sistema Sanitario Nazionale.

Sono quindi convinto che il Governo, ma anzi, la classe dirigente tutta nel suo complesso, fuori dai colori di parte, perché “incolore” deve essere la Sanità, debba farsi carico dei notevoli costi dell’Ospedale Gaslini, poiché i dati dimostrano che i soldi spesi sono, non solo un ottimo investimento per il singolo paziente e le sue cure, anche e soprattutto il segno tangibile e concreto della tutela di un “interesse della collettività”, proprio come dice l’Art. 32 della nostra Costituzione.

Buttiamoci, quindi, nel centro dell’attualità!

La manovra finanziaria “all’inglese”, ossia “lacrime e sangue”, di quest’anno si è completamente dimenticata dell’Istituto Gaslini. Invece di procedere a tagli lineari, che poi vuol dire indiscriminati, a prescindere, che non guardano i dati in profondità, ma si limitano ad una rapida e drastica diminuzione delle risorse, forse si sarebbe dovuto provare a trovare un criterio, qualche parametro per, ancora una volta, stabilire quali fossero i poli ospedalieri da continuare ad incentivare. Con una formula semplice e immediata: “premiare l’Eccellenza!”

Ma i nostri Parlamentari sono quasi 1000… fortunatamente! Sì, ho detto “fortunatamente”, e questa volta è proprio il caso di dirlo!! Avere molti (magari anche troppi) rappresentanti vuol però anche dire poter disporre di migliaia di occhi che leggono gli atti che passano loro sotto gli occhi durante l’iter legislativo. E questa volta è andata bene! 

E’ capitato, infatti, che il Gruppo dell’UDC-Svp e Autonomie al Senato si sia accorto di questa “lacuna” o “dimenticanza”, e abbia quindi saggiamente deciso di presentare un emendamento!
Credo non si possa dire in questo caso che il colore politico conti qualcosa. Va quindi registrata l’ottima “vigilanza”, chiamiamola così, del Gruppo UDC-Svp e Autonomie a tutela del diritto alla Salute, di ogni cittadino e dell’intera comunità.
Sono quindi convinto che l’ emendamento presentato dal Presidente del Gruppo UDC-Svp e Autonomie al Senato, Sen. Gianpiero D’Alia, sia un ottimo segno della vigilanza dei nostri rappresentanti sulla tutela di un diritto così importanti e così sentito, quale è quello alla Salute.

Ciò che possiamo ora augurarci è che la Maggioranza (o “una” Maggioranza, non conta qui il colore!) corra ai ripari al più presto, si accorga della svista e ponga rimedio, approvando questo importante emendamento, che oso definire “di buon senso”.
Non si può procedere come un carro armato di fronte ai diritti fondamentali ed irrinunciabili dei cittadini.
Speriamo che la Maggioranza abbia sempre ben presente questo concetto.
Speriamo che la Maggioranza non continui a governare con quel metodo per il quale un grande pensatore ha coniato la limpida ed illuminata definizione di “tirannide della Maggioranza” (Alexis De Tocqueville).

Per chi poi volesse approfondire, ecco il link ad un interessante resoconto tecnico-giuridico-sanitario della “storia” dell’Art.32 della Costituzione: http://www.dirittosanitario.net/quadernidett.php?quadid=20

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Progetto Citylife: vedrà mai la luce?

postato il 13 Luglio 2010

di Gaspare Compagno

Con le ultime vicende legate all’Expo 2015 che hanno evidenziato i problemi che sta incontrando, ci si chiede se anche l’altro grande progetto milanese, il Progetto Citylife, vedrà mai la luce.

Ma cosa è esattamente questo Progetto Citylife?

Sostanzialmente si tratta di un progetto di riqualificazione di parte del quartiere storico della Fiera di Milano, ed è nato nel settembre 2005, quando l’Amministrazione Comunale di Milano ha adottato il Piano Integrato di Intervento che, oltre all’area di trasformazione di circa 255.000 mq, prevede la risistemazione di aree comunali esterne al perimetro del polo fieristico urbano, tra cui piazza Giulio Cesare e gli spazi circostanti il Vigorelli, per una superficie complessiva di circa 366.000 mq, per intenderci una estensione tripla rispetto a Potsdamer Platz a Berlino e di poco superiore a quella di Canary Wharf a Londra.

Stando al progetto originario sono previsti parchi, un grande centro culturale per bambini (Palazzo delle Scintille), un nuovo Museo e la ristrutturazione e trasformazione, a cura dell’Amministrazione Comunale, dello storico velodromo Vigorelli, ma quel che caratterizza maggirmente il progetto è l’edificazione di tre grattacieli firmati dagli architetti Hadid, Libeskind e Isozaki.
In seguito all’aggiudicazione della gara per un controvalore di 523 milioni di euro, è stata costituita la società CityLife, partecipata da Generali Properties, Gruppo Allianz, ed Immobiliare Milano Assicurazioni (Gruppo Fondiaria-SAI) sotto la presidenza del prof. Maurizio Dallocchio.

Il progetto sembrerebbe quindi non avere impedimenti, eppure i problemi non mancano, tanto che c’è chi mormora che si potrebbe avere una clamorosa riduzione di tutto il progetto.

Che tipo di problemi? Il primo riguarda la prenotazione e la vendita degli spazi che si verranno a creare: al momento la vendita dei futuri uffici è talmente bassa (a causa della crisi economica è la motivazione ufficiale), che la società ha chiesto al Comune il permesso di cambio di uso per i grattacieli. Uno dei tre grattacieli, la contestatissima torre «gobba» di 35 piani e 170 metri d’altezza progettata da Daniel Libeskind, potrebbe essere destinato esclusivamente ad appartamenti e hotel. La decisione è subordinata anche alle decisioni di Palazzo Marino, che esaminerà nei prossimi giorni la richiesta di cambio di destinazione d’uso avanzata dalla società. Inizialmente si pensava di destinare un 55% della metratura complessiva di CityLife al residenziale e un 45% circa a uffici e terziario; ora, in seguito alla crisi, la proporzione è cambiata e si è su un 70% per gli appartamenti e un 30% circa per uffici e attività commerciali.

Un altro problema è il finanziamento dell’operazione che, a causa della crisi internazionale, ha avuto alcuni problemi che pare siano stati risolti con gli accordi con le banche per il finanziamento dell’opera (per un totale di 1,4 miliardi di euro, mostrando quindi che il valore si è quasi triplicato dalla gara iniziale) e che ha visto nell’accordo la partecipazione di: EuroHypo come banca agente, e Banca IMI, Banca Popolare di Milano, Crèdit Agricole, Mediobanca e Unicredit (casualmente banche fortemente coinvolte negli affari di Generali e Ligresti) come erogatrici del finanziamento. Contemporaneamente hanno dato anche una risistemata all’azionariato: esce Toti (20% circa) e la sua quota verrà acquisita per due terzi da Generali e per un terzo da Allianz, mentre la Fonsai di Ligresti, pur garantendo pro quota il piano di finanziamento e l’ equity necessario, resterà ferma al 27% e avrà un’ opzione per vendere a Generali entro settembre 2011, assicurandosi quindi una via di uscita qualora il progetto riuscisse a mantenere le sue prospettive di guadagno.

Un terzo problema è rappresentato invece dai cittadini milanesi, che in sempre maggior numero (circa due cittadini su tre), protestano contro il Progetto Citylife e contro il Piano di Governo del Territorio (PGT) del comune di Milano che prevede un drastico aumento dei grattacieli e delle costruzioni edili, ed una riduzione dei parchi milanesi. Problema questo molto sentito, se la società Citylife ha deciso di rivedere il disegno originale del Palazzo delle Scintille per una nuova versione più rispettosa della costruzione originaria, mentre la società aspetta il risultato dei sondaggi presso i Milanesi, per capire se l’architettura dei tre grattacieli sia gradita o meno. In questo momento parrebbe di no, se finora sono stati venduti solo 80 appartamenti su 1100-1200 appartamenti in totale.

Dai numeri, pare di capire, che fosche nubi si addensano sull’intero progetto, che rischia di essere il secondo flop dopo la pessima gestione, evidenziata finora, del progetto EXPO 2015.

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It’s a Kind of Magic (Italy)

postato il 12 Luglio 2010

di Germano Milite

E’ diventato fin da subito un vero e proprio tormentone lo spot per la promozione del turismo in Italia al quale ha prestato suadente voce il Presidente del Consiglio. Sul web, poco dopo l’uscita del breve video promozionale, sono fioccate numerose rivisitazioni parodistiche all’interno delle quali, invece di monumenti e splendidi paesaggi naturali,  ad affiancare la voce del Premier c’erano le foto delle stragi di mafia, della spazzatura per le vie di Napoli e Palermo, delle case diroccate dai terremoti e di condannati come Marcello dell’Utri.

La campagna “Magic Italy”, dunque, è stata ridicolizzata e sbeffeggiata fin dai suoi primi vagiti. Ma perchè? Sul serio agli italiani piace così tanto essere collegati in via esclusiva a mafia, “monnezza”, corruzione e cialtroneria spocchiosa? Noi abitanti del cosiddetto “Bel Paese” siamo sul serio così desiderosi di presentare al mondo il nostro marciume? Ancora una volta, infatti, è esplosa la battaglia dialettica tra chi nello stivale vuol vedere solo mare, cielo e sole e chi, invece, tacciato di sentimento anti-italiano, intende presentare della propria nazione esclusivamente ciò che di vergognoso insanguina e sporca coste e paesaggi altrimenti bellissimi. Probabilmente, anzi sicuramente, lo spot non avrebbe generato tutto questo clamore “anti-patriottico” se, l’egocentrismo e la megalomania di Silvio Berlusconi, non avessero preso il sopravvento ancora una volta; procurando comprensibile sdegno in chi detesta il Cavaliere e vede come poco credibile ed intollerabile la sviolinata un po’ paracula della voce arcoriana.

Sarebbe infatti bastato far leggere il testo a qualsiasi altro doppiatore “anonimo” o comunque non collocabile politicamente, per non fare detonare in maniera così potente quella lotta autodistruttiva tra ottimisti in malafede e disfattisti per partito preso (in tutti i sensi). Perchè il consulente d’immagine di Silvio non gli ricorda quanto è importante sapersi far desiderare? Evidando di comparire a mo di prezzemolo in ogni spazio televisivo e mediatico disponibile? Da un effetto propaganda voluto, infatti, si rischia così di passare ad un autolesionistico  e non calcolato effetto assuefazione. Datemi Berlusconi per un paio di mesi e tento di farvelo risultare simpatico; magari facendolo sparire per un po’ da tutte le tv italiane e facendolo riapparire, tavestito da Freddy Mercury, nella trasmissione di Barbara D’Urso con una nuova canzone promozionale:”It’s a Kind of Magic (Italy)”.

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Giorno della memoria delle vittime del massacro di Srebrenica

postato il 11 Luglio 2010

di Jakob Panzeri

Srebenica, 11 luglio 1995: le truppe del generale Ratko Mladic massacrarono 8.372 musulmani bosniaci in una zona allora sotto la protezione dell’Onu, dopo aver messo in fuga i caschi blu olandesi.

Gli animi erano esacerbati sin dagli anni ’80: con la morte di Josif Brozs, Tito, il generale di ferro che aveva guidato la Jugoslavia con un duro centralismo e comunismo, i nazionalismi delle etnie che non erano mai stati unificati, amalgamati, conciliati ma componevano il grande patchwork della regione balcanica erano esplosi.

Mentre Slovenia e Croazia ottenevano l’indipendenza, prendevano corpo da un lato la leadership della Lega dei comunisti serbi affidata al reazionario Milosevic, dall’altro il pacifico movimento di liberazione e indipendenza kosovara guidato dal premier Rugova, pur osteggiato internamente dall’UKR, organizzazione paramilitare al limite del terrorismo favorevole a una lotta di liberazione armata. Nel 1991, il rifiuto della compagine serba del trattato di Rambouillet  che garantiva una risoluzione pacifica con la concessione di maggior autonomia alla provincia di Kosovo indussero l’Alleanza Atlantica a dichiarare guerra alla Serbia.

Nel 1995 una delle pagine più tristi della storia europea nel secondo dopoguerra: le armate di Mladic dopo 4 giorni di offensiva contro le truppe bosniache di Oric, espugnarono Srebenica. Gli uomini, dai 14 ai 65 anni furono separati dalle donne, dai bambini e dagli anziani, apparentemente per procedere allo sfollamento; secondo le istituzioni ufficiali i morti furono oltre 8372, mentre non si hanno ancora stime precise del numero di dispersi. Fino ad oggi 6414 salme riesumate dalle fosse comuni sono state identificate mediante oggetti personali rinvenuti oppure in base al loro Dna che è stato confrontato con quello dei consanguinei superstiti.

A distanza di anni dal genocidio, il Kosovo ha ottenuto la sua indipendenza e la Serbia ha iniziato un graduale cammino di giustizia e di modernizzazione, superato anche il dramma dell’assassinio nel 2002 del presidente Djindjic ha ufficialmente richiesto di entrare nell’Unione Europea. Ma la questione è lungi dall’essere chiusa:  i caschi blu dell’Onu ancora operano nell’area balcanica per il mantenimento dell’ordine e la ricostruzione non solo materiale ma anche morale del dramma balcano.

Ad Aprile, dopo 15 anni dal massacro, è stata scoperta quella che si pensa essere l’ultima fosse comune. Quest’oggi a Srebrenica, nella prima “Giornata della Memoria”, istituita dal Parlamento Europeo (che si è scusato per il ritardo), si terrà un funerale collettivo a seguito del quale verrà data singola sepoltura alle ultime salme scoperte nelle fosse comuni.

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Ddl intercettazioni: il pensiero di un giovane blogger

postato il 9 Luglio 2010

di Daniele Urciuolo

Oggi, venerdì 9 luglio 2010 è una giornata storica. Per lo sciopero dei mezzi di trasporto pubblico? E che sarà mai? Vorrà dire che andrò alla posta e al supermercato a piedi o, come faceva mio nonno, con la bicicletta. Tanto fa caldo, siamo entrati a pieno regine nella stagione estiva e non dovrebbe piovere. Ma no, oggi c’è un altro sciopero, non so se più importante, ma certamente rilevante: quello dell’informazione. Uno sciopero in cui i giornali non sono stati stampati, i telegiornali non sono andati in onda, o al massimo sono andati in onda ma senza servizi, e i giornali on-line non sono stati aggiornati. Ed è proprio on-line il luogo dove ha inizio la vera battaglia virtuale. Finalmente i blogger come me, anche se non giornalisti, possono diventare protagonisti. Una categoria lavorativa non riconosciuta e non ancora annoverata tra quelle professionali, senza alcuna disciplina, che attraverso un canale di comunicazione non convenzionale, alternativo, fatto di blog, web tv, social network come Facebook e Twitter, si confronta a viso aperto con le Istituzioni del nostro Bel Paese. E senza gridare, senza scendere in piazza a manifestare con bandiere e striscioni, bensì col silenzio intendiamo esprimere il nostro dissenso per un disegno di legge che limita la libertà di informazione. Con le manette alle mani, non saremo in grado, per 24 ore, di digitare sulle tastiere QWERTY dei nostri personal computer nessuna parola, nessun pensiero compiuto, né di caricare immagini o video. Questo è l’unico post anti-post di questa giornata sul mio blog, che è necessario per spiegare agli amici, agli utenti del web, ai naviganti dell’internet-spazio, che il ddl del Governo che vieta la pubblicazione di atti giudiziari e intercettazioni, anche se per qualcuno è considerato “sacrosanto” perché protegge la privacy, non apporta nessuna tutela sul diritto altrettanto sacrosanto dei cittadini a conoscere le cose, e limita l’attività di diffusione delle notizie di giornali, radio, televisioni e blog.

Dal comunicato FNSI (Federazione nazionale della stampa italiana) si legge: “Una giornata di silenzio per protestare contro il disegno di legge Alfano che limita pesantemente la libertà di stampa e prevede pesanti sanzioni contro editori e giornalisti che danno conto di fatti di cronaca giudiziaria ed indagini investigative”.

Dal sito del Corriere.it si legge: “Una giornata di silenzio che in realtà serve a parlare. Una giornata senza radio, televisioni, giornali e siti Internet per far sì che siano i cittadini a rivendicare il proprio diritto a essere informati. Perché la protesta indetta dalla Federazione nazionale della stampa non è la difesa corporativa dei giornalisti, ma il grido di allarme di chi si preoccupa per gli effetti che avrà la nuova legge sulle intercettazioni: limiti forti alla possibilità di diffondere notizie; di fare informazione”.

E ancora: “Si parla di intercettazioni, ma quello che riguarda le conversazioni telefoniche e ambientali è soltanto uno dei tanti divieti di pubblicazione. Nessun colloquio registrato potrà mai più essere reso noto fino alla celebrazione del processo, così come gli atti di indagine anche non più segreti, perché ormai conosciuti dalle parti. «Bisogna salvaguardare la privacy dei cittadini», ripetono i sostenitori della legge. Principio sacrosanto, è vero, ma che va salvaguardato senza intaccare il diritto-dovere dell’informazione. La scelta di imporre ai giornalisti di poter soltanto riassumere le carte processuali in realtà aumenta il pericolo che il contenuto di ogni documento possa essere riportato in termini lacunosi o strumentali. E priva persino gli indagati o gli arrestati della possibilità di utilizzare, per far valere le proprie ragioni, quanto affermato dal giudice o dalla pubblica accusa. Almeno fino al dibattimento. In quella sede la privacy evidentemente non si deve più tutelare, visto che anche le intercettazioni potranno comunque diventare pubbliche”.

Il timore è quello di perdere la libertà di raccontare l’attualità politica, economica e sociale dell’Italia, il rischio è quello di non trovare più articoli, inchieste, commenti, critiche, pareri su determinati argomenti, e si finirà a parlare solo di cani abbandonati, torte di mele e calcio-mercato, dimenticandosi dei veri problemi. Sotto l’ombrellone, mentre alla Camera e al Senato passeranno provvedimenti legislativi, gli italiani dovranno trovarsi un altro svago alternativo alla lettura del giornale, come ad esempio una bella partita a burraco o a bocce.

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Sciopero dei giornalisti, se il silenzio vale più di cento parole

postato il 9 Luglio 2010

di Giuseppe Portonera

Confesso che oggi mi sarebbe piaciuto vedere la protesta dei giornalisti con ben altre modalità. Avrei preferito assistere a una giornata di super informazione, con edizioni straordinarie e vere e proprie valanghe di notizie, visto che sono sempre stato convinto che la migliore risposta a chi ti vuole zittire sia urlare più forte. Perché scioperare quando in Italia c’è il rischio bavaglio, è una scelta sicuramente strana. Perché scioperare contro un presidente del Consiglio (di questo si tratta) che a sua volta aveva chiesto ai lettori di non comprare i giornali, è una scelta sicuramente strana. A prima vista potrebbe apparire un controsenso. Ma tutto questo è necessario. Oggi più che mai. Me ne sono accorto quando stamattina sono passato dal mio edicolante di fiducia: c’erano soltanto i giornali di centro-destra (con l’unica eccezione del Riformista di Polito). C’erano, insomma, un’unica voce, un unico modo di pensare, un’unica visione del mondo. Non che io la condanni a priori, per carità. Solo che, come si dice, il mondo è bello perché vario: e a me dover leggere solo una versione dei fatti, non mi piace proprio. Avete avuto modo di leggere altri miei post su questo argomento, dal senso di vuoto di qualche settimana fa, al vergogno Ammazza Blog, passando per l’alienazione di orwelliana memoria. In questi lunghi e difficili giorni, ho tentato, insomma, di seguire passo passo l’evolversi di questa incresciosa situazione, sperando ogni giorno in un ripensamento e in sussulto di dignità da parte della maggioranza di governo. E invece niente, il 29 luglio si avvicina e pare che si vada verso una scontata approvazione. O forse no, chissà. Magari le timide aperture governative qualcosa significano, ma ciò che però mi preoccupa maggiormente è che la gente comune, il popolo, non comprenda il vero significato di questo sciopero e, presa da problemi e preoccupazioni personali, finisca per ridurre una giornata per la difesa della libertà, a una mera presa di posizione dei giornalisti. Perché non è assolutamente così. Lo sciopero di oggi non è quello di una sola corporazione, lo sciopero di oggi appartiene a tutti coloro che hanno sete e fame di verità. Appartiene a tutti coloro che sono convinti che, come diceva Piero Calamandrei, se non esiste la libertà, come potrà mai esistere la legalità? Ecco perché questo DDL è incompatibile con uno stato liberale come il nostro. Se dovesse essere approvato, ognuno di noi sarebbe meno sicuro, perché meno informato. Sarà pure difficile da credere, ma è così. Perché se è vero che qui si parla principalmente di intercettazioni, è pure vero che quello riguarda le conversazioni telefoniche e ambientali è soltanto uno dei tanti divieti imposto dalla legge bavaglio: nessun colloquio registrato potrà mai più essere reso noto fino alla celebrazione del processo, così come gli atti di indagine anche non più segreti. Con buona pace del diritto di ciascun cittadino ad informarsi liberamente e del dovere di ogni buon giornalista ad informare correttamente. Anche perché la scelta di imporre ai giornalisti di poter soltanto riassumere le carte processuali, potrebbe aumentare il pericolo che il contenuto di ogni documento possa essere riportato in termini lacunosi o strumentali.

Restare in silenzio, in questo Paese, è quindi rimasto l’unico modo per far rumore. E per difendere una libertà che è di tutti, che dir se ne voglia.

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Cedolare secca sugli affitti per sostenere le famiglie

postato il 8 Luglio 2010

di Gaspare Compagno

Tra i vari emendamenti presentati dall’UDC a questa finanziaria, trovo molto interessante quello dedicato agli affitti che prevede una imposta secca del 20% sui canoni d’affitto.
Tale emendamento va a riguardare una voce molto importante per le famiglie, senza favorire le speculazioni: vengono infatti esclusi i grossi patrimoni immobiliari, le società immobiliari e di costruzioni, favorendo invece le famiglie e i soggetti più deboli. Ovviamente questa norma dovrebbe essere valida per tutti gli affitti posti in essere dai piccoli proprietari di case e non solo per i canoni concordati, altrimenti sarebbe una operazione solo di facciata.
La volontà dell’UDC è quella di realizzare un intervento molto più ampio e organico applicabile a tutti i piccoli proprietari, perché se così non fosse, i risultati sarebbero molto blandi: non inciderebbe significativamente sulla nostra economia e sul PIL, come provvedimento anticiclico di una qualche rilevanza, non produrrebbe effetto di rilievo a livello di calmieramento degli affitti, non produrrebbe un sostanziale recupero di evasione nel settore delle locazioni, favorirebbe le sacche di privilegio che si annidano in quel comparto.
L’UDC, invece, volendo combattere gli affitti in nero e l’elusione fiscale legata ai contratti registrati regolarmente, ma che prevedono un canone di affitto più basso di quello reale e volendo stimolare l’economia, propone un emendamento applicabile anche ai canoni non agevolati.
Perché viene proposto ciò? Attualmente, se una persona ha una casa di proprietà e la concede in affitto, il canone viene iscritto nell’IRPEF, e spesso questo comporta il passaggio a scaglioni irpef più alti. Da qui discende quindi il comportamento illegale di cui sopra, e una spinta al rialzo degli affitti, che ormai incidono eccessivamente sul reddito familiare.
La soluzione quale sarebbe? Se fossimo in un paese con una capacità di spesa elevata, potremmo chiedere e pianificare degli interventi di edilizia pubblica, magari ristrutturando gli immobili di proprietà dello Stato e non utilizzati, per poi concederli a canone bloccato alle famiglie bisognose.
Siccome, l’Italia, anche per colpa di manovre economiche votate solo a tagliare le spese e non alla crescita, non può finanziare simili programmi, ecco che l’UDC propone di togliere dall’IRPEF il canone di affitto, e sostituirlo con una cedolare secca del 20%, si verrebbe così incontro alle esigenze dei piccoli proprietari (stiamo parlando di famiglie che magari hanno una seconda casa e l’affittano per avere una piccola entrata extra), sia da parte degli affittuari.
Spieghiamo più approfonditamente il meccanismo: la norma dovrebbe prevedere che il pagamento del corrispettivo derivante dal contratto di locazione o dal contratto di affitto, stipulati tra soggetti privati, sia eseguito per tramite di un Istituto di credito o di Poste Italiane spa che effettuano, sull’ ammontare complessivo del corrispettivo incassato, una ritenuta a titolo di imposta, pari ad una certa percentuale dello stesso.
Grande potrebbe rivelarsi la portata anticiclica della norma: perché anzitutto l’ intermediazione del soggetto sostituto d’ imposta comporterebbe l’ emersione del sommerso. Inoltre, l’ aliquota bassa e la tassazione separata del reddito immobiliare promuoverebbero il rilancio della locazione e degli investimenti nel settore. Va aggiunto che il sistema della ritenuta a titolo di imposta avrebbe come conseguenza una razionalizzazione ed un notevole risparmio per l’ erario in termini di gestione degli uffici, perché si stima che potrebbero eliminarsi centinaia di migliaia di denunce dei redditi. Sul piano sociale, poi, al superamento del regime del cumulo con i redditi da lavoro conseguirebbe una maggiore equità del sistema.
Il tema degli affitti è così rilevante? Sembra secondario rispetto ad altri problemi come il lavoro, ma non è così: la spesa per gli affitti è una voce importante per le famiglie, infatti all’abitazione viene ormai destinato oltre un terzo della spesa totale (il 33,5% del 2009 contro il 32,1% del 2008); vive in affitto il 17,1 per cento delle famiglie mentre il 15,9% paga un mutuo e spende in media 530 euro al mese. Diretta conseguenza di un mancato piano casa efficiente da parte del governo.
Con la cedolare secca, le famiglie avrebbero un notevole risparmio: un proprietario di una casa data in affitto, potrebbe risparmiare da 750 euro a 2000 euro di tasse, mentre il governo compenserebbe il mancato introito con l’emersione degli affitti in nero.

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Salviamo i posti letto in Terapia Intensiva Neonatale

postato il 7 Luglio 2010

di Alessio Fabio D’Avino

Non son degni di sopravvivere!

La manovra finanziaria attualmente in discussione prevederebbe forti tagli che riguardano anche i posti letto in Terapia Intensiva Neonatale.

Purtroppo devo ancora mettere alla vostra attenzione il cinismo con cui si approccia al tema della sussistenza a persone socialmente indifese e deboli.
Credevo di aver assistito al peggio della natura umana quando parlai della possibilità di escludere le persone affette dalla sindrome di Down dai benefici economici.
Purtroppo ogni giorno ne leggo qualcuna che mi fa accapponare la pelle più del giorno precedente.

E’ proprio di questi giorni una lettera aperta del CIMO-ASMD in cui si evidenzia, come ampiamente previsto, che la manovra economica, che vorrebbero far passare dal voto di fiducia, sopprimendo tutte le possibili migliorie, taglierà i trasferimenti economici dallo Stato alle Regioni e ai Comuni e di conseguenza ridurrà le prestazioni nei settori della disabilità, della salute mentale e degli anziani fragili; condizionerà negativamente anche i servizi sanitari ospedalieri e territoriali, di fatto, facendo sparire le politiche della prevenzione.

La manovra porterà al licenziamento di migliaia di medici precari impegnati nei settori dell’Emergenza e al pensionamento di 30.000 medici e dirigenti sanitari con l’impossibilità di assicurare la continuità assistenziale e l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza a causa della riduzione dei posti letto e delle sedute operatorie e comporterà l’allungamento delle liste di attesa anche per le prestazioni radiologiche di alta tecnologia.

Per un settore delicato quale quello della Terapia Intensiva Neonatale, dove già oggi scarseggiano i posti letto, ulteriori tagli rappresenterebbero una sciagura di proporzioni inimmaginabili.

In un intervento pubblico, la deputata Binetti, componente della Commissione Affari Sociali della Camera, ribadisce e amplifica gli allarmi che da molte parti si levano.
Riprendendo l’appello lanciato dal direttore dell’unità di Terapia intensiva neonatale del Policlinico Umberto I di Roma si possono facilmente comprendere concetti semplici ed elementari.
Si comprende benissimo che i reparti di TIN vanno oltre una logica puramente economica in quanto non sono possibili falsificazioni, come nel caso delle persone affette dalla sindrome di Down, i bambini sono lì sotto gli occhi di tutti, non hanno nemmeno la possibilità di chiederti aiuto.
Se un neonato è a rischio, se non è ben trattato fin dal primo momento, corre seri rischi di morire o di diventare un invalido vero con costi molto più alti per la nostra sanità, senza dimenticare il costo umano e personale altissimo di chi sarà sempre un disabile.

In alcuni ospedali questi tagli sono già proposte operative che verranno messe in atto se non si riuscirà a far ragionare con cognizione di causa chi vede le persone indifese come numeri da mettere su un foglio Excel.

Concludo augurandomi che sia solo un colpo di sole estivo e se non lo fosse vi chiedo di vigilare e di amplificare la debole voce di chi ci chiede solo una mano per sopravvivere.

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Le famiglie diminuiscono i consumi: ora si taglia anche sul cibo

postato il 7 Luglio 2010

La notizia è di quelle che dovrebbero fare riflettere, soprattutto se avviene in un paese che è considerato “ricco e opulento”: le famiglie italiane sono sempre più povere e ora si risparmia sul cibo, stando all’ISTAT.

Se andiamo più in profondità, osserviamo che nel 2009 2009 vi è stata una significativa contrazione dei consumi: la spesa media mensile per famiglia lo scorso anno è stata pari a 2.442 euro, cifra che segna una flessione dell’1,7% rispetto all’anno prima.
Ma in realtà, afferma l’ISTAT, la contrazione dei consumi reali è ben maggiore: la cifra riportata sopra, incorpora anche l’aumento dei prezzi che l’anno scorso è stato pari in media allo 0,8%, quindi la contrazione nella realtà supera abbondantemente il 2%. A questo punto aggiungiamo un altro dato: se consideriamo il valore mediano della spesa mensile (quello al di sotto del quale si colloca circa il 50% delle famiglie italiane), si osserva una diminuzione più marcata, pari al 2,9%, con una spesa che scende a 2.020 euro.

Contemporaneamente, assistiamo anche ad una riduzione del reddito disponibile familiare da parte della maggioranza degli italiani, che dopo le imposte e i contributi, vedono diminuire il loro reddito del 2,7%. Questo dato è molto interessante perché aiuta a spiegare come mai la contrazione della spesa per consumi è stata particolarmente evidente fra le famiglie con livelli di spesa medio-alti, segno che le incertezze e i timori per il futuro economico vanno a colpire tutti i ceti sociali.

Questa contrazione dei consumi, per la prima volta da anni, ha colpito la spesa per l’alimentazione: se consideriamo il 2008 osserviamo che la spesa media per generi alimentari e bevande è scesa del 3%, portandosi a 461 euro al mese (nel 2008 era invece salita fino a 475 euro per effetto dell’aumento dei prezzi degli alimentari). L’Istat spiega, inoltre, che la quota di famiglie che asserisce di aver ridotto quantità e/o qualità dei prodotti alimentari acquistati rispetto all’anno precedente è pari al 35,6%.

Geograficamente osserviamo che la diminuzione maggiore riguarda il Mezzogiorno dove dai 482 euro del 2008 si scende ai 463 del 2009 e la spesa mensile per generi alimentari e bevande rappresenta in media il 18,9% della spesa totale (il 16,4% tra le famiglie del Nord, il 24,4% nel Mezzogiorno). La Lombardia è la regione con la spesa media mensile più elevata (2.918 euro), seguita da Veneto (2.857) ed Emilia Romagna (2.799). Fanalino di coda, ancora una volta, la Sicilia, con una spesa media mensile (1.721) di oltre mille euro inferiore a quella delle regioni con la spesa più elevata.
Le altre voci di spesa risultano abbastanza stabili: diminuisce la spesa per servizi sanitari, tabacchi e comunicazioni, ma risulta in aumento la spesa per combustibili ed energia, probabilmente per via dell’inverno lungo e rigido; cala al 3,6%, la quota della spesa per sanità (in particolare medicinali, dentista e visite mediche). Si spende un po’ meno per fumare (0,8% contro il precedente 0,9%), ma anche per il tempo libero e per la cultura (al 4,2% dal 4,3%).

Come si vede, le famiglie, non potendo tagliare su altre spese, che già negli anni passati erano drasticamente calate, iniziano a tagliare su due voci di spesa fondamentali: l’alimentazione e la salute. Altro dato interessante è la spesa per gli affitti. All’abitazione viene ormai destinato oltre un terzo della spesa totale (il 33,5% del 2009 contro il 32,1% del 2008); vive in affitto il 17,1% delle famiglie mentre il 15,9% paga un mutuo e spende in media 530 euro al mese. Diretta conseguenza di un mancato piano casa efficiente da parte del governo.

Un approfondimento, il calo dei generi alimentari, riguarda, ed è questa la cosa grave, gli alimenti che i dietologi e i nutrizionisti reputano base: il pane ( secondo la Cia, confederazione Italiana Agricoltori, il 50% delle famiglie ha diminuito sensibilmente il consumo di pane), pasta, carne.

Il Codacons definisce grave questo calo dei consumi e vede come unica soluzione non una manovra improntata ai tagli, ma alla crescita. Dello stesso Tenore la Marcegaglia, presidente di Confindustria, che afferma: «La crisi colpisce sempre i più deboli. Ritornare a crescere, ricreare nuova occupazione, evitare che si perdano nuovi posti di lavoro è il tema fondamentale, sul quale imprese e lavoratori sono dalla stessa parte».

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Meridionali, arrabbiamoci! Riflessione sui limiti e sulle promesse di riscatto del nostro Sud

postato il 6 Luglio 2010

di Giuseppe Portonera

Tremonti è uno di quei politici che parla poco, ma che quando parla sa sempre il fatto suo. Lo abbiamo conosciuto negli anni sempre intento a far di conto, a gestire questo o quel problema finanziario, molto preciso e puntiglioso. Ultimamente, sarà la febbre da successione nel Pdl, è diventato molto più loquace ed ha sempre una parolina per tutto: ormai, le sue pubbliche uscite a conferenze o incontri con le parti sociali sono davvero imperdibili. Anche perché, di solito, sono sempre vespaio di polemiche. Il nostro ministro non s’è smentito nemmeno qualche giorno fa, quando, intervenendo all’assemblea della Coldiretti, non ha risparmiato critiche alla gestione delle risorse economiche al Sud. “Più il Sud declinava, più i fondi salivano: questa cosa è di una gravità inaccettabile”, ha evidenziato Tremonti, secondo cui la colpa di questo “scandaloso percorso” non è dell’Unione Europea né dei governi nazionali, di destra o sinistra che siano. “È colpa della cialtroneria di chi prende i soldi e non li spende: e siccome i soldi per il Sud saranno di più e non di meno nei prossimi anni, allora non si può continuare con questa gente che sa solo protestare ma non sa fare gli interessi dei cittadini”. Sono parole durissime che, come prevedibile, hanno mandato in bestia i governatori del meridione, che hanno corrisposto pan per focaccia alle critiche ministeriali.

Ma se Tremonti avesse ragione? Insomma, questi fondi esistono (anche quando qualcuno tenta di scipparli) e sono pure belli cospicui. Eppure qui al Sud le cose non vanno per nulla bene: ci sono grandi opere pubbliche che restano incompiute, una sanità che non funziona, scuole o ospedali messi male. Nell’ambito del programma 2007-2013, infatti, il Ministro ha assicurato che c’è stato per il Sud uno stanziamento di fondi europei pari a 44 miliardi, ma – dice – ne sono stati spesi solo 3,6: come mai la maggior parte di questi soldi finisce inutilizzata? Scorrendo velocemente le statistiche ci si rende conto che la Calabria, per esempio, ha utilizzato solo il 12% dei 1.868 milioni di euro assegnati, “perdendone” 1.643,84; seguono la Puglia (16,22%, spreco 2.740,44 milioni), la Sicilia (18,99%, 3.493,96), la Campania (20,8%, 3.251.16). Perché, maledizione? Perché non si usano fino all’ultimo centesimo questi benedetti fondi? Certo, se il nostro ministro è davvero convinto che la colpa sia dei governatori, questi non la pensano proprio come lui e fanno notare che grazie alle Tabelle del Rapporto Strategico 2009 redatto dal Dipartimento Politiche di Sviluppo, si può verificare che sul totale dei Fondi comunitari gestiti dai ministeri (PON), che ammonta a circa 11 miliardi, i ministeri interessati (Sviluppo Economico, Ricerca, Ambiente, Interni, Infrastrutture) hanno speso poco più di 732 milioni di euro, pari al 6,7 % della dotazione disponibile. È ovvio, insomma, che parlando di spreco di soldi, si giocherà a puntare il dito l’uno contro l’altro. Ma io, amici miei, non ci sto. Non voglio cadere nella retorica provata dello scarica-barile, ne fare polemiche autonomiste contro Roma (anche perché sapete bene come la penso su questo punto). Vorrei solo poter vivere in una terra finalmente capace di poter riscoprire l’orgoglio che l’ha sempre contraddistinta e che possa diventare treno motore, anziché vagone al rimorchio. A me piacerebbe che il tutto partisse dal basso, dalla gente comune che non ne può proprio più dei dinosauri della politica che l’hanno solo soffocata per tutto questo tempo; dai nostri laureati e dai nostri geni, che invece di dover emigrare (o meglio, fuggire) potrebbero diventare la leva con cui risollevare la nostra situazione; dai nostri lavoratori, che non possono sempre pagare per primi, vedendosi chiudere la fabbrica in cui hanno lavorato per una vita; da tutti noi, insomma, da chi il Sud lo vive per com’è davvero e non come certi tizi lo vorrebbero fare apparire. Meridionali, arrabbiamoci: ormai ce n’è proprio di bisogno! Per fare capire a chi ci comanda, che non si può spuntare a tempo di elezione e poi sparire nel nulla. Il Sud è attualmente più arretrato del Nord e la questione meridionale tiene banco da 150 anni, ok. Ma chi l’ha detto che le cose non possono cambiare? Chi l’ha detto che le nostre potenziali sono minori di quelle della Padania? Il cammino è lungo e faticoso, ma sono convito che non si possa più permettere che a decidere la strada siano sempre i soliti spreconi che ci hanno governato: favoriamo il ricambio generazionale, lanciamo la rivoluzione della buona politica proprio da qui, dal “malfamato, mafioso e sprecone” Sud. Le potenzialità non mancano, ma servono molta, molta buona volontà e tanta caparbietà. Perché il nostro futuro sia migliore del nostro passato.

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