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Egitto: un faraone in fuga?

postato il 1 Febbraio 2011

Dopo la Tunisia, l’Egitto. E dopo l’Egitto? Questa sembra essere una delle domande più ricorrenti nei dibattiti che coinvolgono gli scienziati politici ma anche sul web. Occorre subito sgomberare il campo da possibili malintesi: l’Egitto non è la Tunisia.

Nonostante la “rivolta dei gelsomini” e il “movimento 6 aprile” abbiano per certi versi delle radici comuni (disoccupazione, carovita, corruzione ….), ben diverse saranno le conseguenze nonché lo scenario politico e strategico che potrebbe delinearsi con un cambio di regime. Il peso specifico dell’Egitto nello scacchiere mediorientale appare sicuramente più determinante nelle relazioni internazionali e il ruolo geopolitico del paese più popoloso del mondo arabo è molto importante per la “stabilità della zona”.

Il rimpasto di governo voluto da Mubarak il 28 gennaio potrebbe rappresentare l’ultimo atto politico del presidente in carica dal 1981. Sulla scia di quanto già accaduto in Tunisia, Mubarak ha nominato un nuovo primo ministro: A. Shafix, un ex militare già a capo dell’aviazione, e un vicepresidente, O. Suleiman, ex-capo dei servizi segreti egiziani. Questa seconda nomina rappresenta una novità nella storia recente dell’Egitto poiché per la prima volta un presidente nomina un suo vice. In ogni caso, questa mossa potrebbe rappresentare un auto-golpe per l’ottantaduenne presidente egiziano: l’esercito infatti comincia a solidarizzare con il popolo e, stando alle ultime dichiarazioni ufficiali, si rifiuterà di sparare sulla folla durante lo sciopero generale indetto per oggi.

Il ruolo dei militari, oltre che della polizia sarà dunque fondamentale per un’eventuale fuga del “faraone” proprio come lo era stato nel caso di Ben Ali in Tunisia. Il bilancio provvisorio parla di 150 morti in tutto il paese a distanza di una settimana dall’inizio delle proteste, ma il popolo egiziano non sembra intenzionato a indietreggiare davanti alle timide aperture e chiede a gran voce la fine del regime di Mubarak del suo partito, il Partito nazionale democratico che domina la scena politica da trent’anni.

Ancora una volta internet è stato il mezzo della rivolta: Twitter, Facebook e i social network fungono da ripetitori della rabbia e alla piazza. Su Facebook è stata creata la Rete Rasd che da voce alla rivolta e serve ad organizzare la protesta: una sorta di “osservatorio della rivoluzione” (rasd in arabo significa, infatti, “monitoraggio”) che trasmetteva notizie fresche e in diretta dalla piazza, minuto dopo minuto, grazie all’uso della rete e dei cellulari.

L’Europa e gli Stati Uniti guardano con interesse e preoccupazione le rivolte in Egitto e dopo le prime dichiarazioni di circostanza e appoggio al presidente Mubarak (Mubarak “amico dell’Occidente”, “garanzia contro il fondamentalismo islamico” e “elemento di stabilità regionale”) mostrano i primi segnali di apertura e chiedono un dialogo con l’opposizione in modo da portare il paese ad elezioni pacifiche attraverso un periodo di transizione. L’Egitto di Mubarak è infatti, da trent’anni, uno stretto alleato degli Stati Uniti (così come lo era stata la presidenza di Sadat dopo la guerra del Kippur). Gli USA hanno sempre spalleggiato l’alleato mediorientale in grado di assicurare la stabilità nella regione e di tenere lontano eventuali rigurgiti fondamentalisti. Perché gli Stati Uniti non sono mai intervenuti, o perché non hanno mai condannato pubblicamente il regime di Mubarak? E perché condannano con così tanta insistenza il regime iraniano mentre hanno taciuto per trent’anni nel caso dell’Egitto? (è interessante a tal proposito l’articolo apparso su Nouvelle d’Orient dal titolo “Egitto-Iran”, due pesi due misure). C’è da considerare il ruolo nevralgico per l’economia globale che l’Egitto ha rivestito, con il passaggio del Canale di Suez, sempre garantito da Mubarak.

La giornalista di Al Jazeera, R. Jordan, riferisce che la Clinton avrebbe esortato Mubarak a considerare l’opportunità di elezioni libere e democratiche ma allo stesso tempo l’avrebbe messo in guardia davanti alla possibilità che si possa creare una situazione simile a quella iraniana.

Il peggiore scenario possibile per gli Stati Uniti sarebbe infatti un governo islamico alleato dell’Iran, ma realmente esiste la possibilità che il fanatismo islamico arrivi al potere in Egitto? Le piazze da una settimana sono gremite di persone di ogni estrazione sociale e religiosa, ricchi e poveri, laici e religiosi, ma soprattutto si tratta di donne e uomini liberi che vogliono riappropriarsi del loro paese. All’interno della società civile emergono poi diversi movimenti che, dal basso, chiedono una rottura con il regime e un cambiamento forte e radicale. I Fratelli Musulmani, il maggiore gruppo di opposizione, e considerati alla stregua dei terroristi, sono rimasti dietro le quinte della protesta.

El Baradei, autorevole personaggio di livello internazionale ed ex presidente dell’AIEA, tornato in patria durante la rivolta, invoca l’intifada fino alla cacciata di Mubarak. Si è unito inoltre alla protesta anche Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba, e considerato come un altro possibile traghettatore verso elezioni democratiche.

Le possibilità che gli integralisti islamici prendano il controllo del paese sono molto scarse (preoccupazioni intensificate dopo gli intensificati attacchi ai cristiani, il 15% della popolazione) ma in Israele prendono piede preoccupazioni legate anche a questo eventuale ipotetico scenario. La stabilità nella zona sarebbe infatti a forte rischio così come l’alleanza strategica tra i due paesi dopo la pax degli accordi di Camp David. Israele, nonostante possieda l’esercito meglio preparato del Medio oriente, non vorrebbe arrivare ad uno scontro frontale con l’Egitto ma potrebbe sentirsi minacciato e accerchiato. E se simili rivolte e la stessa ventata di democratizzazione dovesse ripetersi in tutto il Medio Oriente e in Maghreb?

Gideon Levy, sulle colonne di Ha’Aretz, dice che poi verrà il tempo non solamente di Damasco, di Amman, di Tripoli e di Rabat, ma anche di Ramallah e di Gaza. Sono scenari ipotetici che non possono non preoccupare Israele.

Anche l’Europa dovrebbe imparare la lezione, cambiando le sue strategie verso il regime egiziano e il mondo arabo in generale, prima che sia troppo tardi.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Shardana

Altri link:

Independent – Robert Fisk: A people defies its dictator, and a nation’s future is in the balance

Liberation – L’armée juge «légitimes» les revendications du peuple égyptien

Della Tunisia avevamo parlato qui ed anche qui.
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Net neutrality a rischio: Facebook, Youtube, mail e Skype a pagamento?

postato il 31 Gennaio 2011

Oramai è chiaro anche agli osservatori meno esperti e più disattenti: la cosiddetta “new economy” è un giungla di soggetti più o meno monopolisti che, una volta raggiunta la propria posizione dominante, invocando un distorto principio di “libero mercato”, fanno di tutto per mantenerla in vita.
In questo, tra le grandi lobby del XIX e del XX secolo ed i vari Steve Jobs, Bill Gates, Larry Page Sergey Brin, la differenza che passa è sul serio minima.
Tale atteggiamento “imperialista”, che vede quindi tra i protagonisti anche e forse soprattuto quelli che da sempre sono i simboli del “free-share” ed al contempo dell’innovazione tecnologica come Google ed Apple, colpisce naturalmente le sempre più vuote tasche del consumatore.
Oltre ai colossi americani, però, ci sono anche i giganti nostrani ed europei pronti a dar libero sfogo alla propria avidità e a tartassare gli utenti di internet costringendoli a pagare servizi ed accessi ai portali che fino ad oggi sono stati (giustamente) gratuiti.
Per fare un esempio concreto e riferendosi al nuovo regime di mercato che i grandi ISP americani come Comcast, Verizon e AT&T vorrebbero introdurre, nei prossimi anni l’accesso a facebook, youtube, skype, e-mail, netfix ecc potrebbe essere a pagamento. In altri termini, oltre a richiedere l’attuale canone mensile per concedere la connessione e l’accesso al web, i fornitori di telefonia mobile e fissa, intendono applicare tariffe aggiuntive per fornire ai propri utenti “pacchetti specifici”. Es: canone di 19,99 euro al mese per un abbonamento internet flat da 4mb e, in aggiunta, altri 30 euro al mese per poter navigare illimitatamente su Facebook, Youtube, le caselle e-mail e per accedere a Skype.
In pratica una vera e propria inversione della filosofia internettiana; con tanti piccoli “oboli” da far pagare ai net-surfer a seconda dei servizi da loro utilizzati. Il pericolo di impennata dei prezzi e di social network, mail e chat a pagamento esiste anche per il nostro paese ed è confermato dall’ultimo discorso tenuto da Nicola D’Angelo; membro dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom).
Alla presentazione del libro bianco sui contenuti, D’Angelo ha difatti annunciato:”Lanceremo a breve un’indagine conoscitiva sulla neutralita’ tecnologica della rete fissa”. La cosiddetta “Net neutrality”, sta ad indicare il trattamento non discriminatorio da parte dei fornitori di linee telefoniche (Isp) e servizi web. In pratica, quando si parla di “neutralità della rete”, ci si riferisce al fatto che Telecom, Libero, Vodafone ecc non chiedano tariffe aggiuntive per accedere a servizi come e-mail, chat, social network, portali video ecc..
Secondo l’Agcom, la volontà di far crollare la net neutrality “nasce dai conflitti sempre piu’ frequenti tra l’accesso libero e senza limiti ai contenuti e l’esigenza manifestata dagli operatori di rete di gestire il traffico internet sulla propria infrastruttura per evitarne la congestione”. In particolare, nella relazione presentata nel libro bianco si legge:”Il problema della ‘network neutrality’ evidenzia un profilo tecnico, la cui soluzione e’ connessa all’individuazione del giusto equilibrio tra la parte di banda e di rete da dedicare a servizi che necessitano di una gestione e la parte di banda che deve continuare a garantire l’accesso a internet sulla base del principio del ‘best effort’. Tale equilibrio – si legge ancora – riveste particolare rilevanza sotto due aspetti: la tutela del consumatore nella sua liberta’ di accedere ai contenuti leciti su internet senza restrizioni; e la tutela degli operatori ad ottenere una remunerazione per i servizi offerti in rete ai quali si contrappongono due interessi: quelli degli Isp (Internet service provider) o dei fornitori di contenuti di garantire la massima veicolazione dei propri contenuti per raggiungere il maggior numero di utenti, e quello degli operatori di rete di restringere la parte di rete destinata a ‘best effort’ perche’ e’ sulla rete ‘managed’ che si offrono i servizi remunerativi”.
In conclusione, la nota poi precisa che: “Alla base del principio di neutralita’ tecnologica  risiede la necessita’ di favorire il benessere dei consumatori, cioe’ la possibilita’ da parte degli stessi di avere accesso ai contenuti senza discriminazione tra le reti di trasmissione. E questo principio puo’ essere pertanto riferito alla rete quanto al servizio”.
Il discorso sulla net neutrality è aperto da diversi anni ed è molto accesso soprattutto nell’America del Nord. Senza tale “regime” imposto alle compagnie telefoniche ed ai fornitori di servizi, questi soggetti potranno ridurre o aumentare la banda concessa ai propri utenti a seconda della tariffa pagata da questi ultimi. La filosofia sarà dunque semplice: più si paga, più velocemente si naviga e a maggiori portali/servizi si può accedere. In tal modo, il web garantirà un accesso totale e rapido solo a chi potrà permettersi costi medio-alti per gli abbonamenti. Non solo: data la posizione monopolista di alcuni colossi internazionali e delle compagnie telefoniche (abiutate da sempre a fare cartello per ridurre al minimo la concorrenza), i prezzi delle connessioni potranno salire proprio come accade, ad esempio, per la benzina.
Al momento, fortunatamente, quest’ultima ipotesi appare abbastanza lontana e difficile da realizzarsi concretamente nel breve periodo ma, al contempo, il rischio di rinunciare a spicchi sempre maggiori di neutralità della rete è da tenere in seria considerazione. Qui potrete visualizzare un video (in inglese) nel quale si spiega il concetto di net neutrality in maniera rapida ed elementare. Per avere un’idea ancora più chiara, potete inoltre visitare questa pagina che partito-pirata.it ha dedicato al delicato ed importante argomento.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Germano Milite

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Onorevoli rispettate la legge: la strana storia delle quote latte

postato il 30 Gennaio 2011

“Ancora una volta, purtroppo, avevamo ragione noi: il disegno della Lega era chiaro e ora si sta confermando come una colossale truffa ai danni di tutti gli italiani”. Mauro Libè, deputato e responsabile Enti locali dell’Udc, commenta così all’agenzia ANSA  il tentativo della Lega Nord di inserire nel cosiddetto “decreto milleproroghe” una nuova sospensione al pagamento delle multe per le quote latte.

La questione era già stata abbondantemente dibattuta in passato ed allora come adesso si era levata forte la voce del fronte contrario a tale iniziativa: fronte che comprendeva sia le organizzazioni del mondo agricolo che lo stesso Ministro dell’Agricoltura Galan oltre ovviamente allo schieramento di opposizione. Nessuna particolare obiezione era ed è  invece pervenuta dal solitamente rigido custode della finanza pubblica e cioè il Ministro Tremonti.

Ed è davvero curioso e paradossale chiedersi il perché di questo accanimento leghista nel volere a tutti i costi difendere uno sparuto gruppetto di qualche decina di allevatori padani che consapevolmente hanno infranto le regole, danneggiando la maggioranza dei loro colleghi che infatti sono unanimemente schierati contro ogni proroga dei pagamenti.

Per chiarirci le idee, o forse complicarcele ulteriormente, può allora essere utile rileggere un articolo pubblicato nel luglio scorso sul blog “Finanza e Potere” del giornalista de “Il Sole 24 Ore” Giuseppe Oddo in cui si pone in esplicito riferimento la questione delle”quote latte” con quella ben più spinosa della fallita banca padana CrediEuroNord, che doveva essere la testa di ponte leghista nella conquista del sistema bancario italiano.

Singolare poi risulta l’appello del Ministro Galan che dice: “Mi rivolgo ai parlamentari di maggioranza ed opposizione perché venga bocciato l’emendamento leghista al decreto legge Milleproroghe che prevede lo slittamento a giugno del pagamento delle quote latte.  Accoglierlo non sarebbe né legale né etico: le leggi vanno rispettate”; singolare dicevo perché dovrebbe essere superfluo e finanche offensivo il richiamo ai parlamentari affinché rispettino le leggi, visto che ne dovrebbero essere gli estensori!

Rimane l’ultima amara considerazione e cioè che il tutto si svolge lucrando sulle spalle dei moltissimi agricoltori onesti che, tra grandi sacrifici, continuano a portare avanti la loro opera in questo settore fondamentale per l’economia nazionale e nei fatti spesso dimenticato o quanto meno sottovalutato.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

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Bravo Galletti, insisti: ragioniamo d’economia

postato il 29 Gennaio 2011

E’ sconcertante, e per altri versi, esilarante, osservare ogni giorno in televisione, tanti politici arrampicarsi sugli specchi. Ultimamente però, il tutto è stato acuito dalle indagini che hanno interessato il Presidente del Consiglio dei Ministri. Ore e ore di programmazione televisiva a frignare su queste stupidaggini, parole e parole spese in attacchi e difese, scontri e battaglie, scaramucce e applausi.

L’altra sera, a “Porta a Porta” su Rai Uno, ho notato qualcuno, ormai stufo di blaterare su questi temi: era l’on. Gianluca Galletti, dell’Unione di Centro, che, invitato da Bruno Vespa a esporre la linea politica del suo partito in merito alle vicende personali di Berlusconi, cercava di portare la conversazione fuori tema, parlando di federalismo, di riforma economiche, di indebitamento dei Comuni, di attività delle aule parlamentari. Galletti, anche se per pochi minuti, riusciva a far parlare i suoi interlocutori, tra cui l’on. Fabrizio Cicchitto e l’on. Anna Maria Bernini, entrambi del Popolo della Libertà, di temi concreti e soprattutto economici, con un risvolto reale sulla vita degli italiani.

Ma Vespa, riusciva a riportarli sul tema per cui erano stati invitati, con l’aiuto degli infaticabili falchi Antonio Padellaro, direttore de “Il Fatto Quotidiano” e di Maurizio Belpietro, direttore di “Libero”, che di economia e riforme non ne volevano sapere affatto, intenti come erano a rinfacciarsi le cavolate che giravano sui giornali negli ultimi giorni e che facevano vendere migliaia di copie ai loro quotidiani.

Ma perché Galletti era l’unico che voleva parlare d’altro? Perché gli altri interlocutori trovavano difficoltà a seguirlo? Perché chiunque, in questo Paese, voglia parlare di cose serie, è sommerso dalle cavolate? Perché non si parla seriamente di federalismo, dei suoi pro e contro? Perché non si parla dei reali effetti di questa riforma, soprattutto sulla libertà dei Comuni e sulle penalizzazioni delle aree svantaggiate d’Italia? Perché Vespa preferisce parlare tanto delle sue amate escort e delle sue oscene inchieste sugli omicidi, invece di parlare della crisi economica in Italia, tasso di disoccupazione alle stelle, ecc. ecc.?

È palese che Berlusconi fa l’agenda politica italiana, decide lui di cosa parlare e cosa nascondere. Ecco perché bisogna riportare al centro del discorso politico italiano i temi economici, imitando quel “kamikaze” mediatico di Galletti, che cercava in tutti i modi di farsi ascoltare. I politici responsabili devono riunirsi per programmare un futuro all’Italia e fare in modo che si parli d’altro. Solo così si spiazzeranno i millantatori di destra e di sinistra, capaci solo di ripetere a pappagallo i comunicati stampa diramati da Palazzo Chigi.

Parliamo di energia, di competitività, di made in Italy, di lavoro, di giovani, di turismo, di dissesto idrogeologico, di investimenti, di patrimonio artistico da valorizzare, di esportazioni, di imprese, di sburocratizzazione, di quote latte, di ambiente ed agricoltura, e dopo aver parlato, tema per tema, si dà una propria possibile soluzione al problema. In questo dovremmo imitare i tedeschi, che con pragmatismo hanno già recuperato le perdite dovute alla crisi finanziaria e ora continuano a crescere, sfruttando il volano delle riforme, della ricerca e delle esportazioni.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonio Di Matteo

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Quell’Italia diversa che spero per i miei figli

postato il 29 Gennaio 2011

Pubblichiamo un commento-appello di una madre che auspica un’Italia diversa per i propri figli.

Gentile Presidente Casini,

condivido la paura di tanti, non si era mai visto che un governo scendesse in piazza contro la magistratura, la politica nella prima Repubblica tanto disprezzata non è mai stata così: l’attentato a Togliatti invece di dividere il paese l’unì, grazie a un governo responsabile e democratico. Così è sempre è stato per l’italia, forti contrapposizioni tra partiti ma sempre tanto rispetto, la dignità di noi italiani non era mai stata calpestata. Ora mi sento offesa, violata come cittadina, come donna e come madre. Come non mai sto seguendo tutte le vicende del nostro premier, ma non per curiosità, per morbosità o per giudicare, ma solo perchè non riesco a comprendere tali comportamenti perversi. Pur non avendo mai condiviso la sua politica, ho cercato fino all’ultimo in questi giorni di credere nella sua innocenza, quello di cui viene accusato è troppo grave, mi vergogno di vivere in Italia, mi vergogno di fare vedere questo squallido spettacolo ai miei figli. Io che dai miei genitori, e ancora di più dai miei nonni, ho ricevuto una educazione di rispetto verso le istituzioni, verso quella democrazia e unità che è costata sangue e sacrifici ai nostri nonni. Credo fermamente in questo Nuovo Polo, ma vi prego fate qualcosa, anche voi avete dei figli.

Patrizia

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A Todi per dare forza alla nostra proposta politica

postato il 26 Gennaio 2011

A Todi, Venerdì e Sabato prossimi, si celebrerà la prima assemblea dei parlamentari (italiani ed europei) che hanno scelto di aderire al nuovo Polo. Sarà l’occasione per l’Unione di Centro, Futuro e Libertà, Alleanza per l’Italia, Movimento per l’Autonomia e Liberaldemocratici di mettere in campo una proposta e un progetto, all’insegna – ci auguriamo – di un rinnovato riformismo liberale. Purtroppo il momento non è dei migliori: non passa giorno che i principali istituti di ricerca nazionali non evidenzino lo stato delle cose nel nostro Paese. In Italia il 28,9 per cento dei giovani resta a casa senza lavoro; uno su cinque non studia e non lavora; la soglia di astensionismo tra i laureati aumenta sempre di più. Poche speranze e un probabile futuro grigio e triste: un ventenne, infatti, si ritroverà presto a fare i conti con una società vecchia e in ritardo rispetto al resto del mondo, con un debito pubblico sempre più grande, con delle offerte e opportunità di lavoro risibili, con un Welfare state senza più risorse. Tutto questo sta accadendo nell’indifferenza, o meglio, nell’ignoranza, generale. I nostri giornali e i vari mezzi di informazione sono monopolizzati dalla storia di un vecchio Premier ormai fuori di sé e di un giro di ragazze senza dignità e rispetto: vicende che nel resto del mondo si sarebbero chiuse, cinque minuti dopo essere state aperte, con delle “onorevoli” dimissioni, e che da noi, invece, si ripropongono – ancora una volta – come armi di “distrazione” di massa. Al di là della ferità inferta alla moralità pubblica e alla stessa Ragion di Stato, il Premier Berlusconi sarebbe da condannare, più che per le feste di Arcore, per la sua incapacità di governare. Per il fatto di essere in balia di sedicenti Responsabili (incapaci di mettersi d’accordo tra di loro). Per non essere in grado, nei 150 anni dell’Unità d’Italia, di esprimere gli interessi della nazione tutta. Per aver tradito l’unica cosa che di buono avrebbe potuto fare, una vera e sincera “rivoluzione liberale”.

E proprio da il nuovo Polo deve ripartire. Per ridare voce alla maggioranza degli Italiani, moderata, popolare, liberale, laboriosa e intraprendente, fatta di famiglie; che fa impresa più che negli altri paesi d’Europa; che ha la propria forza nel legame con il territorio, con le associazioni su piccola scala. Un’Italia che chiede, a gran voce, governabilità e non paralisi; riforme e non colpi di mano; impresa e non assistenzialismo; possibilità di inventarsi e reinventarsi, se necessario, non di accontentarsi solo del reddito minimo garantito; un futuro da organizzarsi in modo indipendente, grazie al lavoro e non su precariato e sovvenzioni. È quella parte d’Italia che nel 1994 ha votato con convinzione per Silvio Berlusconi e il Centrodestra e che ha scoperto, con delusione, che le promesse del Cav. non erano tanto diverse da quelle dei politici di professione della Prima Repubblica. e che non ce la fa proprio più a dover assistere inerte alla degenerazione libertina del Pdl, a vedere il proprio il Presidente del Consiglio ostaggio di veline e festini. Ad oggi, questa parte d’Italia è in movimento e la sua insoddisfazione può presto tradursi in qualcosa di più grande (in quest’ottica va letto il messaggio della Marcegaglia): per DNA e formazione non potrà mai votare a sinistra e se non sarà coltivata, migrerà rapidamente verso l’area del non-voto.

L’Udc lavora in questo senso già da un po’: già dalla scorsa assemblea di Milano, abbiamo lanciato un appello proprio a questa grande maggioranza silenziosa del Nord, per uscire – insieme – dal guado in cui siamo cacciati. A Todi rinnoveremo questo appello e lo estenderemo a tutti gli Italiani liberi e forti. Il primo obiettivo della vasta e composita area moderata che stiamo costruendo è proprio questo: l’Italia ha bisogno di una proposta nuova e forte, per ripartire. E quella proposta siamo proprio noi. Ci vediamo a Todi!

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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Il Federalismo municipale azzera l’autonomia impositiva dei Comuni

postato il 26 Gennaio 2011

Battute finali per il federalismo fiscale, il cavallo di battaglia della Lega Nord. Eppure le critiche non mancano. Certo, si può sostenere che sono critiche strumentali e di parte, e lo sarebbero se a queste critiche non si accompagnassero delle proposte alternative che, da tecnico che mastica numeri ed economia, trovo condivisibili.

Ad esempio, la “Tassa di soggiorno”: sostanzialmente i comuni potrebbero mettere una tassa giornaliera di massimo 5 euro che pagherebbe il turista. Chiaramente questo non è un provvedimento a favore del turismo e, francamente, trovo la scelta contraddittoria visto che proprio il Governo ha ritenuto il turismo un valore aggiunto per l’economia italiana. Se si vuole incrementare un settore, bisogna che i costi di questo settore siano più convenienti, oltre ad attuare investimenti; ebbene, di investimenti non se ne parla, e neanche di abbassare i costi, se si mette una nuova tassa giornaliera e a persona. Invito tutti a fare due conti: se un turista, italiano o straniero, volesse visitare Firenze per 7 giorni, oltre al costo preventivato, dovrebbe aggiungere questa tassa la quale peserebbe per 35 euro. Sembra poco, ma non lo è se poi andiamo a considerare un nucleo familiare di 4 persone (passiamo a 140 euro complessivi), o se consideriamo le limitate disponibilità economiche di molti turisti (soprattutto giovani). E, signori, guardate che stiamo parlando di un settore che, fino a 3 mesi fa, il governo affermava di volere rilanciare e che incide per il 10% nel PIL italiano e che impiega due milioni e mezzo di addett. Soprattutto questa tassa dimostra ancora di più l’incoerenza di questo governo abituato a governare con gli spot: prima promette fondi per incoraggiare il turismo dei meno abbienti (finanziata però con l’8 per mille e quindi sempre a carico dei cittadini italiani), salvo poi aumentare i costi proprio per i turisti. Ma questa stessa tassa, per altro, è profondamente osteggiata anche dagli operatori del settore come Federalberghi, Assoturismo Confesercenti e Federturismo, come anche le associazioni dei consumatori.

Ovviamente mi rendo conto che il Governo, a furia di tagliare i trasferimenti ai Comuni, ha portato questi ultimi sull’orlo del baratro economico, come afferma l’on.le Occhiuto, ma non possiamo neanche pensare di scaricare il problema sulle spalle dei cittadini, o, se proprio si deve fare, lo si deve fare in maniera ragionata e senza colpire le fasce più deboli della popolazione. A tal proposito è significativa la proposta alternativa dell’UDC e del nuovo Polo: parametrare questa tassa, non sulla persona, ma sulla capacità di spesa della persona, andando ad incidere maggiormente sugli alberghi e le strutture più costose e quindi rivolte ad una clientela agiata e che può permettersi questa ulteriore tassazione, mantenendola sempre nei limiti di pochi euro.

Altro punto controverso è la cedolare secca sulle rendite da immobili, di cui abbiamo già parlato evidenziando i difetti di una proposta che non è abbastanza incisiva per incoraggiare il settore dell’edilizia e combattere l’evasione fiscale, e non aiuta a sufficienza le famiglie, perchè destinare 400 milioni per gli affitti delle famiglie non abbienti o numerose, è assolutamente insufficiente.

Inoltre il Governo, per sopire le proteste dei Comuni ha attuato una mossa assolutamente ridicola: si è fatto carico di coprire le eventuali differenze di entrate, qualora dalla cedolare secca non si riuscissero ad avere sufficienti introiti. Ma il federalismo non doveva portare meno spese per il governo e per il cittadino? Allora, volendo muoverci in tal senso, ovvero favorire i cittadini senza aumentare l’imposizione fiscale, si può scegliere la proposta alternativa presentata sabato scorso dal nuovo Polo: due cedolari secche per le rendite immobiliari, una pari al 20% sui canoni “liberi”, e una al 15% sui canoni concordati (dando quindi un sollievo pari a 2000-2500 euro per i cittadini); per coprire i maggiori costi basterebbe anticipare al 2011 (invece che 2013) i tagli sui consumi intermedi previsti dalla manovra estiva, questo anticipo permetterebbe di reperire risorse pari a 2,8 miliardi di euro. Va da sé quindi che con la proposta dell’UDC e del nuovo Polo, il cittadino ottiene da un lato un risparmio tangibile, l’economia ottiene il rilancio del settore immobiliare, e senza aggravare i conti dello Stato.

Questi 2,8 miliardi, infatti, potrebbero essere così distribuiti: un miliardo per coprire il minore gettito della cedolare secca, mentre 1,8 miliardi di euro andrebbe al fondo per le deduzioni fiscali sugli affitti per le famiglie numerose.

Tutto questo regge anche se non andiamo a considerare la lotta all’evasione fiscale. Se poi andiamo a considerare il possibile recupero delle somme che sfuggono tramite evasione ed elusione fiscale, si potrebbe addirittura prevedere un ulteriore sollievo fiscale per le tasche dei cittadini.

Come si vede, quindi, i punti oscuri e problematici sono numerosi, ma esistono anche delle soluzioni. Sarebbe sufficiente che il governo evitasse di volere a tutti i costi varare un federalismo fiscale imperfetto e decidesse di prolungare per altri 12 mesi lo studio e le discussioni  per trovare delle soluzioni ottimali e condivisibili. In caso contrario è comprensibile che, come ha affermato oggi Casini, l’UDC si schieri contro una riforma che avrà come unico risultato, quello di strozzare i Comuni e le loro autonomie, contraddicendo lo spirito che anima questa riforma.

A ciò si aggiunga il fatto che i Comuni sono praticamente “alla canna del gas”. A tal proposito proprio oggi l’UDC  ha presentato, in una conferenza stampa la proposta di congelare per due anni la restituzione dei mutui accesi con la Cassa depositi e prestiti, che permette ai sindaci di sbloccare investimenti e di potenziare lo stato sociale

In conclusione il problema non è “Federalismo si” o “Federalismo no”, ma se si vuole fare bene o male questa riforma.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Non esistono strade “facili”, facciamo spirare il vento del cambiamento

postato il 25 Gennaio 2011

Leggendo le vicende degli ultimi giorni, sembra di essere arrivati a toccare il fondo e,una volta arrivati lì, di aver iniziato a scavare. Ogni giorno una notizia nuova, altri particolari scabrosi di vicende che, francamente, al Paese non servono. Un particolare, però, mi ha colpito più di tutti: leggere che c’è un padre che incita la propria figlia ad intraprendere una strada più “facile”, per arrivare al successo. Fa rabbrividire.

Sono cresciuta in una famiglia in cui mi è stato insegnato a coltivare valori come il rispetto, la legalità, la dignità della persona. Queste, per me, non sono parole vuote, ma sono il fondamento della mia formazione.

Ed oggi, che ho 18 anni, e mi accorgo di avere la stessa età di Ruby, soffro nel vedere certe cose. Rimango indignata, allibita, sconvolta.

Soffro nel vedere un Paese in cui tutto è lecito, dove non c’è più alcun limite e alcun freno. E’ un Paese in cui l’ambizione e la brama del successo hanno calpestato l’etica e la morale, dove la legalità è una parola inflazionata, da scrivere su qualche muro, su qualche volantino o su qualche programma elettorale. Mi preoccupa che non ci sia più indignazione.

Ma davvero l’unica soluzione per raggiungere i propri obiettivi è tentare scorciatoie eticamente discutibili?

Non è certo mia intenzione parlare di etica, del suo rapporto (spesso ignorato, per comodità) con la politica. Il mio è, più che altro, una sconsolata presa di coscienza ma, allo stesso tempo, una sorta di appello. Sono convinta che tutti, donne e giovani in particolar modo, si sentano ancora offesi come me da queste notizie e credo ancora che ci sia qualcuno ancora in grado di indignarsi, di vergognarsi per ciò che accade.

C’è bisogno di uno scatto d’orgoglio e spero che questa triste storia possa servire almeno ad innescare il cambiamento che attendiamo da così tanto tempo.

C’è ancora chi, come me, fiero dell’educazione ricevuta, vuole dimostrare che non tutto in questo Paese è da buttare. Forse, dai giovani e dalle donne, nascerà il vento del cambiamento.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

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Nec plus ultra Berlusconi?

postato il 24 Gennaio 2011

L’accentuazione della dimensione “leaderistica” nella politica italiana e in particolare nelle singole formazioni politiche è fenomeno  ampiamente documentato e discusso da esperti politologi e attenti osservatori. Si potrebbe rimanere nel campo della teoria e della discussione speculativa se questa tendenza, che si concretizza radicalmente nelle esperienze politiche di cui Silvio Berlusconi è stato capo indiscusso, non avessero delle conseguenze gravi per la vita politica, sociale, ed economica di questo Paese.

Nello specifico l’essenza “berlusconicentrica” di un partito come il Pdl, o della stessa coalizione, produce non solo un danno alla vita democratica del partito in questione ma un danno all’Italia intera nella misura in cui l’azione di un governo, la dialettica di un partito, e l’intero dibattito politico ruotano sistematicamente intorno alla persona, alle scelte e alle vicende del Presidente del Consiglio. E’ del tutto normale che una figura del calibro di Berlusconi abbia una certa centralità e una capacità notevole di calamitare attenzione politica e mediatica, tuttavia è meno comprensibile il fatto che si rapporti a Berlusconi come l’alfa e l’omega di un partito, della politica e di una intera nazione.

A tal proposito sono fortemente indicative le reazioni di alcuni esponenti del Pdl rispetto alla recente proposta politica di Pier Ferdinando Casini e alla “provocazione” della giovane Sara Giudice. Al leader dell’Udc è bastato suggerire a Berlusconi un atto di buon senso, per certi versi “sollecitato” anche dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, come il cedere il passo ad una personalità forte del centrodestra per far ripartire governo e Paese, per essere sommerso da una pioggia di critiche da parte di autorevoli esponenti del Pdl: sostanzialmente dopo Berlusconi c’è solo il diluvio.

Neanche avesse chiesto le dimissioni del Papa! Se si fa muro contro chi “minaccia” la leadership del Cavaliere dall’esterno, figuratevi cosa può accadere a chi dall’interno si fa venire qualche dubbio sulle scelte del leader maximo. E’ il caso di Sara Giudice, consigliere zonale del Pdl milanese, che a seguito dell’apertura delle indagini sul cosiddetto “Rubygate” e delle ombre che getta su Nicole Minetti, ha chiesto le dimissioni (con tanto di raccolta firme) dal Consiglio regionale lombardo dell’ex igienista dentale del Premier che alle scorse elezioni era stata imposta direttamente dal Cavaliere nel listino del Presidente Formigoni. Il fatto stesso che la giovane consigliera zonale abbia osato mettere in dubbio la bontà di questa scelta di Berlusconi le ha attirato addosso le ire del governatore Roberto Formigoni e della dirigenza del Pdl che, a quanto pare, sta meditando di espellerla dal partito.

E’ chiaro che le due vicende, la proposta di Casini e la provocazione della Giudice, sono estremamente lontane e diverse, ma le reazioni a queste due sollecitazioni sono ampiamente rivelative del vissuto politico della maggioranza che vive e si muove esclusivamente in funzione delle necessità del Presidente del Consiglio. Peccato che i membri della maggioranza non si accorgano che così facendo favoriscono l’immobilismo politico e costringono l’Italia in quel pantano che sono le vicende personali di Silvio Berlusconi.

“Nec plus ultra”, così secondo la mitologia stava scritto sulle Colonne d’Ercole che rappresentavano il limite estremo del mondo conosciuto e così sembra che Berlusconi venga percepito dai suoi: non c’è nulla oltre lui. Ma la storia insegna che quel confine tracciato da Eracle è un confine che bisogna prima o poi superare per trovare il “Nuovo mondo”, che per noi è la possibilità di una stagione politica nuova che faccia uscire il Paese dal vicolo cieco in cui è stato irresponsabilmente cacciato.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Telespettatori sull’orlo di una crisi di nervi

postato il 23 Gennaio 2011

Da un po’ di tempo se cerco una notizia o una informazione o se cerco di farmi un’idea su un determinato argomento o su una certa vicenda non accendo più la tv, ma inizio immediatamente a navigare in rete. Non è solo il segno dei tempi e del dominio di internet, ma anche l’orrore per tutto quello che ci propina la nostra televisione. Non basterebbe probabilmente un libro per narrare del museo degli orrori del piccolo schermo, tuttavia è sufficiente considerare questi due aspetti, le notizie e gli approfondimenti, per capire che la tv è il luogo meno adatto per cercarle.

Se cercate una notizia e vi sintonizzate sul telegiornale sbagliato potrebbe accadervi di non sapere assolutamente nulla di fatti e misfatti riguardanti il Cavaliere dimezzato, ma in compenso vi potrete fare un’ampia cultura generale che spazierà dalle meduse-cubo a Charlie lo scimpanzé tabagista, potrete anche scegliere i vasetti per la pupù più alla moda per i vostri pargoli e infine potreste salvare anche la vostra vita seguendo l’intervista a qualche luminare della medicina che rivelerà che per difendervi dal freddo dovete coprirvi e non uscire di notte. Preciso che quelle che precedono non sono banali battute ma servizi realmente mandati in onda dal Tg1 rintracciabili tutti nella mitica rubrica Minzoparade.

Se con le notizie siete stati sfortunati, non pensate di approfondire con qualche talk show, perché sperimentereste la stessa frustrazione di Aldo Grasso nell’assistere a delle vere e proprie messe cantate dove non si approfondisce nulla e si accavallano le voci dei pretoriani del Premier e dei suoi oppositori. Non riesco neanche a capire perché nei vari “Annozero”, “Ballarò”, “Porta a Porta” e “l’ultima parola” bivacchi sempre la stessa combriccola di politici e giornalisti che si muovono come gladiatori ben addestrati a combattere per compiacere i loro padroni. E in questi giorni di fine impero l’arena diventa anche più divertente (o triste a seconda delle prospettive) se la gladiatrice Daniela Santanchè, evidentemente sotto pressione, si esibisce in una vera e propria crisi di nervi che le fa scambiare Zucconi con Zincone, Washington con New York, la fa imbestialire appena Concita De Gregorio o Marco Travaglio aprono bocca e infine abbandonare lo studio a tacchi levati. Un po’ la signora Garnero in Santanchè mi intenerisce: ce la fareste ad andare ogni giorno in Tv a sostenere cose impossibili tipo che la terra è piatta e che oltre lo stretto di Gibilterra si precipita nel vuoto?

Dall’altra non mi inteneriscono i signori conduttori, i sommi sacerdoti di queste messe cantate, per il servizio (?) che continuano ad offrire ai telespettatori: che cosa dovrebbero approfondire, che coscienza critica dovrebbero formarsi mentre va in scena l’ultimo battibecco da pollaio? E mentre notizie e approfondimenti in tv sono merce rara sale la preoccupazione per i telespettatori sull’orlo di una crisi di nervi. Chi li salverà? Una notizia, of course. Con tutto il rispetto per Charlie lo scimpanzé fumatore.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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