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Un salvagente alle famiglie: la moratoria verso Equitalia

postato il 25 Maggio 2011

L’Udc si appresta a lanciare un salvagente alle famiglie per tenerle a galla: ieri è stata ufficializzata la proposta per una moratoria di un anno verso le procedure di esazione crediti poste in essere da Equitalia.

Che significa nel concreto? Significa aiutare circa 6 milioni di famiglie e piccoli imprenditori, che hanno problemi a pagare i crediti vantati da aziende ed Enti (ad esempio INPS) e riscossi da Equitalia.

Questo aiuto avviene sottoforma di moratoria, ovvero bloccando per un anno le procedure di riscossione verso i soggetti che realmente versano in stato di bisogno.

Bisogna però precisare che Equitalia è  solo il braccio di chi vanta il credito e che non può rifiutarsi di agire, ma è anche vero che evidentemente c’è qualcosa che non va nella legge.

La nascita di Equitalia doveva servire a sbloccare molte situazioni pendenti e permettere agli enti pubblici di potere esigere con facilità e velocemente i propri crediti, e questa è una buona cosa, purtroppo però le buone intenzioni sono state tradite da una legge che oggettivamente è molto poco flessibile, soprattutto poi se andiamo considerare come lo Stato tratta i i suoi fornitori: i pagamenti avvengono sempre con grandi ritardi mettendo in crisi i fornitori (ricordiamo che in media solo nel settore sanitario, i privati vantano circa 60 miliardi di euro di crediti verso lo Stato).

L’Udc, tenendo conto di queste situazioni e in una ottica costruttiva e di massima collaborazione verso le istituzioni, ha deciso di iniziare una battaglia che cambi totalmente lo status quo.

La mozione dell’Udc invita il governo, inoltre, ‘a considerare la possibilita’ di ridurre gli interessi delle sanzioni annesse, di prevedere un aumento del numero massimo di rate concesse nelle rateizzazioni da Equitalia (fino a 120 rispetto alle attuali 72) nonché di concedere la possibilità di compensare i debiti nei confronti di Equitalia con i crediti verso enti pubblici’.

Altro punto molto interessante è quello rivolto ad ‘iniziative normative volte a utilizzare sui territori regionali i profitti che Equitalia matura dalla riscossione dei tributi insoluti’ e ‘l’istituzione di un fondo di garanzia a sostegno delle imprese in difficolta’ per le pendenze e che si troverebbero costrette a licenziare i dipendenti e fallire’.

Questi punti sono molto interessanti perchè legano direttamente la riscossione delle somme al loro utilizzo: è chiaro che se le somme riscosse vengono utilizzate sul territorio abbiamo due vantaggi, il primo è quello di attenuare l’effetto vessatorio migliorando o fornendo servizi alla comunità; il secondo è che in questo modo il cittadino si sente “incoraggiato” a mettersi in regola.

E’ ovvio però che la mozione Udc è solo un primo passo (anticipato da tante azioni da parte del Consigliere Regionale UDC Alberto Goffi) e nessuno deve pensare che esaurisca il discorso: il problema potrebbe ripresentarsi nella stessa drammatica emergenza, anche tra un anno, quando scadrà la moratoria. Allora sarà necessario rivedere tutti i meccanismi di legge che stanno alla base delle poltiche di riscossione crediti.

In questo senso sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione con i cittadini che in prima persona vivono questa situazione e che forse più di tanti altri, possono indicare dove il sistema è migliorabile.

 

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Cara Sardegna… la Regione, lasciata sola, trova la soluzione con Saremar

postato il 25 Maggio 2011

Ogni estate le famiglie italiane si ritrovano a scegliere la meta delle proprie vacanze. Per molte di queste, la Sardegna è da tanti anni la meta prediletta, nonostante non sia fra le mete più economiche, tuttavia gli incantevoli paesaggi e la buona cucina valgono, per tanti vacanzieri italiani, qualche sacrificio in più. Quest’anno, però, le famiglie che vorrebbero recarsi nell’isola hanno avuto un’amara sorpresa: i prezzi dei traghetti hanno subito un aumento considerevole, addirittura si parla del 90-100%.

Facciamo un esempio. Una famiglia romana, composta da una coppia con un bambino di 7 anni,  vorrebbe trascorrere una settimana a San Teodoro (OT), una delle più gettonate località turistiche, dal 9 al 16 Luglio.  Facciamo un preventivo per il trasporto in cabina singola e con utilitaria (condizioni indispensabili per una famiglia con bambino) per i traghetti che coprono le rotte da Civitavecchia a Olbia (la tratta che interessa la nostra famiglia).

Ecco i risultati (andata e ritorno):

TIRRENIA: 708,40 €

MOBY: 759,80 €

GNV: 798,00 €

SARDINIA FERRIES: 804,48 €

Cifre simili, per una famiglia media e soprattutto di questi tempi, è decisamente eccessiva. Soprattutto se pensiamo che riguarda solo il trasporto marittimo, non rimane nulla ai sardi!!! E infatti la Sardegna ha registrato un considerevole calo di prenotazioni quest’estate rispetto agli anni precedenti.  Le compagnie marittime, dal loro canto, hanno giustificato il rincaro con l’aumento del prezzo della benzina e del caro-vita in generale, e sempre per tali ragioni negato ogni possibilità di sconti.

La Regione Sardegna, davanti alla prospettiva di un calo così importante delle affluenze in estate, non è rimasta a guardare. La Saremar, flotta navale di proprietà della Regione che gestisce dal 1988 il servizio pubblico di linea tra S. Teresa di Gallura e Bonifacio, tra La Maddalena e Palau, tra Carloforte e Calasetta e tra Carloforte e Portovesme, da quest’anno garantirà anche i collegamenti stagionali con la penisola tra Golfo Aranci e Civitavecchia e tra Porto Torres e Vado Ligure. Applicando l’esempio della famiglia romana di cui sopra, il trasporto marittimo con i traghetti Saremar (sempre andata e ritorno) viene a costare 394,62 €: circa la metà!

Viene da chiederci se la Saremar per caso non utilizzi lo stesso carburante utilizzato dalle navi delle altre compagnie, o se la Regione Sardegna per caso si possa permettere di pagare di tasca propria la differenza. Oppure, com’è più probabile, quei rincari non avevano una giustificazione plausibile. Questo, per lo meno, è quello che pensa l’Antitrust, che ha avviato un’indagine per verificare che non ci sia stato un accordo, cartello, fra le compagnie di navigazione per aumentare i prezzi e trarre in maniera sproporzionata profitto dai rincari che effettivamente ci sono stati.

Come previsto, le prenotazioni con Saremar sono già numerose (1500 solo il primo weekend), dando respiro alle numerose aziende sarde che devono la loro esistenza al turismo. La Regione, tuttavia, ha pensato anche a quei turisti che, prima della messa a punto delle nuove rotte Saremar, hanno pagato cifre esorbitanti per non rinunciare alle vacanze in Sardegna. Per loro la Regione ha deciso di destinare 2 milioni di euro al progetto ‘Bonus Sardo Vacanza’,  che si sostanzia nel riconoscimento di una sorta di rimborso delle spese di viaggio ai cittadini dell’Unione Europea che usufruiranno del trasporto navale per visitare la Sardegna. Il rimborso andrà da un minimo di 60 a un massimo di 90 euro, e potrà essere fruito da passeggeri, minimo due persone e massimo tre, che soggiornino almeno tre notti nell’Isola nel periodo compreso fra il 2 Maggio e il 3 Luglio prossimi.

Il tutto, pare, nel silenzio del Governo, al quale evidentemente non importava molto che un’intera regione, che vede nel turismo ormai quasi l’unica fonte di occupazione, rischiasse una stagione estiva disastrosa per via del comportamento francamente disonesto delle compagnie marittime.  Oppure il Ministro del Turismo è ancora convinta, come affermò anni fa, che il problema rilevante della Sardegna sia il randagismo. Scusate lo sfogo finale, ma credo che il sostegno di un governo (nel quale è presente un Ministero del Turismo, che quindi sarebbe incaricato per primo a occuparsi di tali problematiche) all’occupazione debba obbligatoriamente passare anche attraverso il prendersi seriamente carico di una vicenda che, senza l’intervento della Regione Sardegna, avrebbe rischiato di colpire profondamente l’economia di un’isola già profondamente in difficoltà.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

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La mediazione

postato il 22 Maggio 2011

Il decreto legislativo n°28 del 2010, entrato in vigore lo scorso 20 marzo, ha introdotto nel nostro ordinamento il procedimento di mediazione finalizzato alla conciliazione delle controversie civili e commerciali relative a diritti disponibili. L’introduzione di tale istituto, formalmente attuazione della direttiva 2008/52/Ce, in realtà non è altro che l’ennesimo espediente del legislatore per tentare di deflazionare il contenzioso civile, e dunque di ridurre il carico di lavoro dei giudici cercando, con la prospettiva di un procedimento più celere e soprattutto caratterizzato da notevoli esenzioni fiscali, di attirare i cittadini verso questa forma di risoluzione stragiudiziale delle controversie. Sappiamo tutti che uno fra i principali problemi che affliggono il nostro paese è da sempre la lentezza dei processi, specie quelli civili, con buona pace del principio, sancito al secondo comma dell’art.111 Cost., della ragionevole durata!

Cos’è la mediazione? Secondo l’art.1 del decreto la mediazione è <<l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa>>. La norma distingue la mediazione dalla conciliazione, a sua volta definita come <<la composizione della controversia a seguito dello svolgimento della mediazione>>. La conciliazione sarà dunque l’esito finale positivo della mediazione. Il mediatore non è un giudice o un arbitro, ma un soggetto terzo e imparziale che deve accompagnare le parti nella ricerca di una composizione amichevole della vicenda; l’accordo raggiunto non sarà un atto del mediatore, ma un vero e proprio atto negoziale delle parti.

A ben vedere, il nostro ordinamento non era del tutto estraneo a procedimenti del genere, infatti tentativi obbligatori di conciliazione sono già previsti in alcuni casi particolari quali, per fare alcuni esempi, le controversie di lavoro (per le quali la l.183/2010 ha trasformato il tentativo di conciliazione da obbligatorio in facoltativo… forse il nostro legislatore è un po’ contraddittorio?), le controversie commerciali tra imprese e tra imprese e consumatori nonché quelle che riguardano il settore delle telecomunicazioni o la materia di diritto d’autore, né bisogna dimenticare che nei procedimenti davanti al giudice di pace costui è tenuto in primis a valutare la possibilità di una soluzione condivisa della causa.

Ma adesso ci si è spinti ben oltre. La nuova normativa ha infatti introdotto la mediazione obbligatoria per tutte le controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. In tutti questi casi la procedura di mediazione costituisce una condizione di procedibilità della domanda. Ciò significa che un qualsiasi cittadino che voglia far valere in giudizio un proprio diritto o una propria pretesa attinente tali materie dovrà preventivamente rivolgersi a un organismo abilitato per la mediazione, e solo in un secondo momento potrà agire in giudizio. Per tutte le altre materie è riconosciuta alle parti la facoltà di proporre domanda di mediazione prima di adire gli organi giurisdizionali, purché la controversia riguardi diritti disponibili. Per tale ragione è previsto a carico dell’avvocato l’onere di informare chiaramente e per iscritto il cliente della obbligatorietà o della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione (e dei relativi vantaggi fiscali), e la violazione di tale obbligo di informativa da parte dell’avvocato comporta l’annullabilità del contratto tra quest’ultimo e il suo assistito. Il documento contenente l’informativa dovrà essere sottoscritto dal cliente e allegato agli atti introduttivi del giudizio.

Pertanto nelle materie sopra elencate l’esercizio della giurisdizione è condizionato dal previo esperimento di un procedimento di natura non ben identificata (non ha né natura giurisdizionale, né amministrativa) per il quale non è prevista a favore delle parti l’assistenza dell’avvocato. Anche se sembra che proprio in questi giorni il Ministro Alfano, dopo numerose pressione da parte degli avvocati, si sia accordato con i rappresentanti del Consiglio Nazionale Forense nel senso di disporre l’assistenza obbligatoria dell’avvocato durante la mediazione per controversie che abbiano un valore superiore a una soglia di 7/10 mila euro. È innegabile che l’avvocato potrebbe avere un ruolo importantissimo nel procedimento di mediazione, preparando le parti all’incontro e affiancandole durante la stesura dell’accordo finale.

Organismi di mediazione possono essere tutti gli enti pubblici o privati che ottengono l’iscrizione nell’apposito registro istituito presso il Ministero della Giustizia, che diano garanzia di professionalità e indipendenza e siano stabilmente destinati a tale attività. Ogni organismo di mediazione deve essere composto da almeno cinque mediatori. Il mediatore è un soggetto terzo e imparziale, il cui compito è affiancare le parti nella composizione della controversia, ovvero proporre egli stesso una soluzione che le parti potranno accettare o meno. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, data la delicatezza del compito che è chiamato a svolgere, per rivestire la funzione di mediatore non sono previsti particolari requisiti di qualificazione, essendo sufficiente un diploma di laurea (anche triennale) o l’iscrizione a un collegio od ordine professionale, accompagnati da un percorso formativo, della durata minima di sole 50 ore, oggetto del quale saranno non soltanto le normative ma anche le tecniche e le procedure di mediazione. Desta non poche perplessità dunque che non sia richiesta una preparazione strictu sensu giuridica, sebbene i soggetti in questione dovranno affrontare problemi giuridici di una certa rilevanza!

Il mediatore ha l’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento di mediazione; egli inoltre deve essere imparziale, perciò dovrà sottoscrivere una dichiarazione di imparzialità (a seconda di quanto previsto dal regolamento di procedura applicabile) e dare immediata comunicazione all’organismo e alle parti delle ragioni di un eventuale pregiudizio all’imparzialità nel corso del singolo procedimento di mediazione.

In linea teorica il procedimento di mediazione dovrebbe concludersi entro quattro mesi dalla presentazione della domanda di mediazione o dalla data fissata dal giudice per il deposito della stessa (ciò avviene quando il giudice rinvia l’udienza a seguito di dichiarazione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento della mediazione nelle materie in cui è obbligatoria, ovvero nell’ipotesi di mediazione delegata, cioè quando egli stesso invita le parti a procedere alla mediazione). La legge non precisa quali siano le conseguenze dell’infruttuoso decorso di tale termine, che non è qualificato come perentorio e al quale non è collegata alcuna decadenza. In teoria dovrebbe potersi proporre domanda giudiziale senza correre il rischio che questa venga dichiarata improcedibile.

L’unica escamotage che resta alle parti per evitare la procedura di mediazione ed esercitare l’azione giudiziale è quella di non presentarsi all’incontro fissato per la mediazione; in tal caso infatti il procedimento si concluderà per mancata adesione della parte invitata.

La mediazione ha pur sempre dei costi, infatti la legge dispone che gli organismi ad essa deputati abbiano diritto ad un’indennità, e il “costo” della singola mediazione è legato al valore della controversia. Le spese sono dovute in solido dalle parti, e comprendono anche la parcella del mediatore. La mediazione tuttavia è gratuita per i soggetti ai quali nel processo sarebbe riconosciuto il gratuito patrocinio.

Se, in seguito all’esito negativo della mediazione, la sentenza sulla medesima questione rispecchia la conciliazione proposta dal mediatore, ma rifiutata dalla parte, essa sarà condannata al pagamento delle spese processuali alla controparte successive alla formulazione della proposta e al versamento di una somma a favore dello Stato. È dubbia dunque anche la proclamata economicità del procedimento in questione, dato che la parte che intende rifiutare la proposta di conciliazione e proporre domanda giudiziale, e quindi esercitare un diritto che le è garantito dalla Costituzione (art.24), corre il rischio di doversi sobbarcare le spese processuali!

È doveroso chiedersi se l’obbligatorietà della mediazione contrasti con l’art.24 della Costituzione, in forza del quale <<tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi>>. La Corte Costituzionale si è in passato espressa più volte sull’ammissibilità di forme di giurisdizione condizionata, distinguendo tra condizioni di proponibilità e condizioni di procedibilità della domanda, e considerando le prime incostituzionali poiché, comminando la sanzione della decadenza, impediscono l’esercizio del diritto di azione. Ha invece considerato costituzionalmente legittime le condizioni di procedibilità, le quali hanno il solo effetto di ritardare il momento in cui sarà esercitata l’azione giudiziale, senza però impedirla. Ora poiché la normativa in esame prescrive la mediazione quale condizione di procedibilità (e non di proponibilità) della domanda giudiziale sembrerebbe doversi considerare non contrastante con l’art.24 della Costituzione. Il problema sarà affrontato prossimamente dalla Corte Costituzionale, infatti il Tar del Lazio ha recentemente sollevato questione di legittimità costituzionale su alcune parti del regolamento emanato dal Ministero della Giustizia per introdurre la mediazione. Tra le questioni di legittimità che il giudice amministrativo ha considerato rilevanti e non manifestamente infondate ve ne è una che riguarda la parte del regolamento che obbliga il soggetto a rivolgersi previamente agli organismi di mediazione, e solo in caso di esito negativo di tale procedura alla magistratura. Attendiamo con ansia la pronuncia della Corte!

È troppo presto per fare un bilancio su questo istituto, solo il tempo potrà dirci se effettivamente funziona. Certamente è riduttivo giustificarne l’utilizzo per il solo fine di diminuire il carico di lavoro dei giudici. La mediazione dovrebbe al contrario essere uno strumento che consenta alle parti di ottenere una tutela qualitativamente migliore dei propri diritti.

Stupisce, e non poco, che il legislatore dopo aver introdotto la mediazione obbligatoria per le controversie civili e commerciali, qualche mese dopo abbia trasformato in facoltativo il tentativo di conciliazione previsto per le controversie di lavoro. I più maliziosi pensano che in realtà la riforma avesse un obiettivo celato, vale a dire la creazione di una nuova figura professionale, quella del mediatore, visto il particolare periodo di crisi occupazionale che il nostro paese sta attraversando. È pacifico che gli organi di mediazione sono proliferati negli ultimi mesi, organizzando corsi di formazione che fanno pagare fiorfior di quattrini! Insomma attorno a questo istituto si è creato un vero e proprio business, il che ci porta a pensare che, se anche gli esiti delle prime applicazioni di esso non saranno positivi, non si potrà tornare indietro e cancellare tutto con un colpo di spugna.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Chiara D’Angelo


 

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Se il problema carceri non è particolarmente rilevante…

postato il 19 Maggio 2011

Dopo la batosta elettorale è arrivata la batosta parlamentare. Nel primo giorno di votazioni alla Camera  l’esecutivo è andato sotto cinque volte: sui documenti presentati da Fli, dal Pd e da Idv su cui aveva espresso parere negativo e che invece sono stati approvati dall’assemblea di Montecitorio, e sulla premessa del documento di maggioranza, su cui c’era parere favorevole. La stampa ha dato la colpa di questa debacle parlamentare al gruppo dei responsabili che, intimoriti dal mancato arrivo della seconda infornata di incarichi governativi, hanno “ricordato” al governo che ci sono e che le sorti dell’esecutivo sono legate ai loro mal di pancia. Che i responsabili fossero più disponibili che responsabili si sapeva, stupisce però, in questa vicenda, il commento del ministro degli esteri Franco Frattini, che in una intervista al Corriere della Sera ha dichiarato: «non darei peso a questi voti su provvedimenti non particolarmente rilevanti». Peccato che quattro dei cinque documenti sui quali è stata battuta la maggioranza riguardino i provvedimenti necessari a rendere più umana la vita nelle carceri italiane. A questo punto si possono fare due ipotesi: o il ministro Frattini, che probabilmente ha pure votato, ignorava il contenuto dei documenti che votava oppure ritiene che il problema carceri sia qualcosa di “non particolarmente rilevante”. Nel primo caso il ministro degli esteri potrebbe fare buona compagnia alla collega Gelmini che qualche tempo fa è andata in Tv senza sapere di cosa parlava (ed aveva anche ragione!), viene però qualche preoccupazione per la sorte della nostra politica estera; se invece Frattini ritiene i provvedimenti per umanizzare le carceri “non particolarmente rilevanti” allora ci sarebbe la conferma che questo governo e questa maggioranza non hanno nessun intenzione riformatrice, in particolare nel campo della giustizia dove, come ha giustamente notato l’on. Roberto Rao, «quando non sono in ballo gli interessi del premier, la maggioranza svanisce». Al ministro Frattini, ai responsabili e al resto della maggioranza però bisognerebbe ricordare che solo nell’ultimo fine settimana sono stati tre i decessi nelle carceri italiane: un detenuto a Torino si è tolto la vita impiccandosi nella cella dove era recluso, mentre all’Isola d’Elba un altro detenuto 53enne sarebbe stato stroncato da un malore; significativa anche l’estrema ratio di un Assistente capo della Polizia penitenziaria nel carcere di Viterbo, suicidatosi con l’arma d’ordinanza. Ma forse sono cose poco rilevanti. Per loro.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Moderati per caso

postato il 12 Maggio 2011

Ciò che più sorprende del calunnioso attacco di Letizia Moratti a Giuliano Pisapia è che la candidata di Pdl e Lega a Palazzo Marino abbia fatto precedere il suo squallido colpo basso da un “predicozzo” sulla sua cultura moderata. Come si concilia l’essere moderati col dare del ladro d’auto e del terrorista al proprio avversario, oltretutto sapendo di mentire? E’ come se Gandhi dopo un appello alla non violenza avesse picchiato un inglese. La cosa è evidentemente paradossale ma, purtroppo, facilmente spiegabile con la strategia dello scontro frontale avviata dal Presidente del Consiglio che vuole trasformare le elezioni amministrative nell’ennesimo referendum sulla sua persona. Così la compassata Letizia Moratti si è resa protagonista di una performance da far impallidire Daniela Santanchè, che qualche giorno fa aveva definito “metastasi” Ilda Boccassini, e Ignazio La Russa che aveva accusato le donne di sinistra di essere brutte.

Ma a dettare la linea è chiaramente il Cavaliere, il capo dei moderati, che nei suoi comizi elettorali non ha risparmiato nessuno. Così in perfetto stile moderato Berlusconi ha definito lamagistratura cancro d’Italia, facendo sembrare Lassini un dilettante, ma non contento li ha anche accusati di riempire Napoli di rifiuti. Non potevano mancare le solite accuse a Fini e Casini che non gli hanno mai fatto fare niente, ma indubbiamente la rivelazione più grossa riguarda gli oppositori di sinistra che, a detta del Cavaliere, hanno scarsa confidenza con la pulizia personale. Fortunatamente le elezioni sono Domenica e nelle urne gli elettori potranno dire chi sono veramente i moderati, resta però ancora qualche giorno per clamorose rivelazioni da parte dei sedicenti moderati sui loro avversari brutti, sporchi e cattivi. Attendiamo fiduciosi.

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Aldo Moro, per non dimenticare

postato il 9 Maggio 2011

In un Paese in cui è sempre più difficile applicarsi seriamente alle prospettive future – definendo nuovi obiettivi da perseguire, e nuove direzioni da percorrere – la tentazione è che prevalga la nostalgia dei tempi passati, anche per coloro che quel passato non l’hanno vissuto, se non raccontato da altri. Non è così strano, infatti, che un giovane, impegnato in politica, possa guardare con nostalgia alla statura e all’intelligenza politica di Aldo Moro, di fronte al degrado valoriale e comportamentale che sta caratterizzando una larga parte dell’attuale classe dirigente politica.

Non c’è rassegnazione, semmai speranza di uscirne perché – per dirla con le parole del presidente Moro – “tempi nuovi si annunciano ed avanzano in fretta come non mai”.

In una giornata di memoria, non è puro esercizio retorico ricordare la figura di “questo uomo buono, mite, saggio ed innocente”, così come lo definì Papa Paolo VI nella sua straziante preghiera a 10 giorni dal ritrovamento del Presidente Moro.

Fare memoria di Aldo Moro è ragionare su un pensiero ancora di straordinaria attualità, con un monito pesante: cambiare davvero l’Italia richiede un’assunzione di responsabilità straordinaria, che può portare all’isolamento politico e addirittura a pagare con la propria vita.

Della sfida profetica di Moro si dovrebbe recuperare, in particolare, quell’attenzione (e capacità di lettura) nei confronti della società, contestando la “disarmonia fra società civile, ricca di molteplici espressioni ed articolazioni ed una vita politica stanca, ridotta a sintesi inadeguate e talvolta persino impotente”. Occorre, insomma, completare quella terza fase, apertasi nel 1975, che prevedeva lo sviluppo di nuove relazioni tanto tra sistema politico e società quanto tra attori; una sfida da giocare, oggi, sempre di più agganciandola al sogno politico di un’autentica Unione Europea. Una terza fase che potrà contribuire a rigenerare la politica e il Paese, non solo in termini generazionali, con nuove idee, progettualità e motivazioni.

Ma non può esserci futuro senza saper trarre memoria ed insegnamento dal passato, per questo ricordare oggi Aldo Moro è molto più che una mera commemorazione: come giovani UDC terremo sempre a mente l’insegnamento morale del Presidente Moro, nella speranza di poter con le nostre azioni, non solo rendere memoria e continuare a far vivere il grande “sogno moroteo”, ma realizzarlo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Coviello, Ufficio Politico Nazionale Giovani UDC

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Fine vita e dignità dei bambini

postato il 7 Maggio 2011

Si è ripreso a discutere in Parlamento di testamento biologico e di regolamentazione del fine vita. La discussione non può prescindere dal dovere da parte delle istituzioni di rendere dignitoso ogni istante di vita di coloro che si ritrovano a convivere con una malattia incurabile. Recentemente, in occasione di un meeting di lavoro, ho avuto modo di sentire un intervento che riguardava un aspetto molto delicato di tale questione: la malattia incurabile pediatrica.

Se la parola “inguaribile”, riferita alla malattia di un adulto, è difficile da accettare, quando riguarda un bambino è straziante. Eppure in Italia sono oltre 11000 bambini a dover affrontare il calvario di una malattia incurabile (1/3 delle quali di natura neoplastica, le altre di natura degenerativa o dismetabolica), e sentire le difficoltà dei genitori durante quella terribile esperienza fa capire quanto le istituzioni facciano davvero poco per sostenerli. Esistono genitori che imparano procedure mediche avanzate perché non c’è nessuno che lo possa fare a domicilio; esistono genitori perennemente angosciati perché se il loro bambino ha una crisi cardiaca durante la notte non c’è un medico di riferimento ma solo il pediatra di famiglia che ti lascia il suo cellulare pur non essendo obbligato a farlo; esistono genitori che fanno sforzi immani per far si che il loro bimbo abbia una vita normale nonostante tutto. Tutto questo, anche se straordinario, è inaccettabile.

Per un bimbo malato esiste il qui e ora, non ha la percezione che fra un anno non ci sarà più. Il bambino percepisce il dolore fisico, ma forse gli fa più male il non poter andare più a scuola o non poter più giocare con altri bambini. Un bambino in queste condizioni non vuole solamente non sentire più dolore, ma vuole non sentirsi emarginato dagli altri bambini per via della sua malattia, vuole poter continuare a studiare e giocare. Accanto a questi bisogni esistono le esigenze dei genitori: sostegno psicologico, assistenza medico-infermieristica a domicilio, strutture socio-assistenziali adatte a un bambino(spesso vengono mandati in una RSA per adulti perchè non ne esistono di pediatriche, assistenza qualificata a domicilio durante l’orario di lavoro. Sono evidenti a tutti i doveri delle istituzioni, doveri che non possono più procrastinare: assistenza medica, psicologica e sociale del fine vita pediatrico, sia in ospedale che nel territorio.  In questo l’Università di Padova, con il suo Hospice pediatrico nel Dipartimento di Pediatria, sta facendo da apripista. Ma non basta.

La politica forse continuerà ad accapigliarsi sui principi e sui dogmi,  ma di sicuro c’è che uno stato civile deve rendere dignitoso ogni istante di vita, anche l’ultimo, di un individuo. E ciò vale a maggior ragione per i più piccoli.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

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Sky e il principio del terzo escluso

postato il 6 Maggio 2011

A Sky sembra aver trionfato l’aristotelismo. Dopo anni di battaglie contro il duopolio Rai-Mediaset  e per l’affermazione del terzo polo televisivo, nella televisione di Rupert Murdoch sembrano aver cambiato opinione ed essersi convertiti ad una rigida interpretazione del IV libro della Metafisica di Aristotele che sancisce il cosiddetto principio del terzo escluso. Peccato che in questo caso il terzo escluso non sia Sky ma i candidati del Terzo Polo alle amministrative. A pochi giorni dal voto, infatti,  SkyTG24 ha deciso di dare il via ai faccia a faccia televisivi tra i candidati alla poltrona di sindaco delle quattro maggiori città interessate dal voto amministrativo (Milano, Torino, Napoli e Bologna), limitando però il dibattito a quelli che la direzione di Sky ritiene i “candidati principali” e cioè i candidati di Pdl e Pd. Nulla da fare per i candidati del Terzo Polo, Alberto Musy (Torino), Raimondo Pasquino (Napoli) e Stefano Aldovrandi (Bologna) che come il candidato milanese Manfredi Palmeri dovranno accontentarsi di inseguire con una sedia vuota i loro contendenti per dare la possibilità ai cittadini di un confronto pubblico tra i candidati.

Vana la protesta di Roberto Rao (Udc) che ha visto in questa scelta di Sky una palese violazione del regolamento dell’Agcom e della par condicio. Questa vicenda ha però prodotto un documento notevole che spiega l’applicazione del principio del terzo escluso: si tratta della lettera con cui il neoaristotelico direttore di SkyTG24 Emilio Carelli ha risposto alle critiche mosse dall’onorevole Rao. In questa lettera Carelli spiega che  il criterio giornalistico seguito da Sky “è stato quello di invitare nel programma a rispondere alle proprie domande coloro che, nella valutazione autonoma della testata, hanno una maggiore probabilità di vincere la competizione elettorale. Circostanza che potrebbe rivelarsi non confermata dall’esito del risultato elettorale, ma sempre nel convincimento che una discussione così strutturata sia di maggiore utilità ed interesse per lo stesso telespettatore”.  Da queste parole si evince una singolare sostituzione dell’elettore con il telespettatore per cui è assolutamente comprensibile che l’interesse non sia più quello di conoscere le proposte per il governo della città da parte dei candidati sindaco: il telespettatore, secondo il direttore di SkyTG24, è interessato ad una “discussione” che è più simile ad un incontro di pugilato dove due pesi massimi se le danno di santa ragione. Indubbiamente un match di boxe è più esaltante di una tribuna politica, ma non è certo un servizio all’elettore-telespettatore. Sempre nella sua lettera a Rao, Carelli spiega che la scelta della sua testata è mossa dalla volontà di “consentire lo svolgimento di programmi televisivi chiari ed efficaci”. Secondo il direttore di SkyTG24 la chiarezza in televisione è data dalla riduzione del numero di candidati che possono paralare, la stessa logica del bipartitismo inseguito dal duo Veltroni-Berlusconi nel 2008 che per “semplificare” il sistema politico prevedeva la morte del pluralismo politico.

Sono però noti a tutti  i risultati di quella “semplificazione”. Ma essendo sicuri della buona fede del direttore Carelli e della sua volontà di rendere chiara ed efficace l’informazione, si potrebbe suggerire una modesta proposta: in nome della chiarezza e dell’efficacia SkyTG24 potrebbe dare la parola esclusivamente a quel candidato che, ad insindacabile giudizio della testata, sarà il vincitore delle elezioni. In questo modo la tv di Murdoch non solo potrebbe fare sfoggio di notevoli capacità divinatorie, magari si potrebbe invitare il mago Otelma, ma darebbe un contributo significativo alla chiarezza: i telespettatori non perderebbero una sillaba dei programmi di Letizia Moratti o di Piero Fassino che non sarebbero interrotti dai loro insulsi rivali. Qualcuno però segnala che la rivoluzione neoaristotelica di SkyTG24 è incompleta perché, a quanto pare, nel confronto dedicato alla città di Napoli il confronto sarà a tre. Tranquilli il terzo incomodo non sarà il candidato del Terzo polo, per cui  il principio è salvo: tertium non datur.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Ridere per non piangere. La Biancofiore tra Wojtyla e Bin Laden.

postato il 6 Maggio 2011

Voglio essere breve, diretto e coinciso. Quando ho letto della dichiarazione dell’On. Micheala Biancofiore, “biondona” (il copyright è del maestro Biagi) trentina, deputata berlusconiana (accanita come nessun altro), ho riso, riso, riso. Tanto e di gusto. Non so perché, non mi capita mai: eppure stavolta non ne ho potuto fare a meno. Io, che di solito prendo sempre tutto con la massima serietà, che mi faccio grigio grigio nel commentare qualsiasi dichiarazione politica di qualsiasi politico – specie poi se berlusconiano – stavolta ho deciso di fare uno strappo alla regola e di dare alle dichiarazioni di questa “onorevole” il giusto peso che meritavano: quello che si può dare a una barzelletta tra amici, un po’ fuori luogo, va bene, ma pur sempre innocente e ingenua.

E così ho riso. Poi, però, ho pensato al fatto che questa Biancofiore di mestiere fa il deputato e che è, tra l’altro, consigliere del nostro Ministro degli Affari Esteri e segretaria della stessa commissione Esteri della Camera; che questa non era solo una battuta o una boutade, ma una dichiarazione ufficiale all’Ansa; che mettere nello stesso periodo un santo, un terrorista e la parola miracolo è segno del degrado intellettuale e culturale in cui versiamo. E ho smesso di ridere.

E sapete che ho fatto? Mi sono rivolto proprio a Giovanni Paolo II, al nostro beato indebitamente chiamato in causa, e gli ho chiesto un vero miracolo: che se proprio non si può donare un po’ di senno a Micheala Biancofiore, almeno si veda di farla stare zitta. Specie in certi casi.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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I giovani cristiani ripartono dal lavoro

postato il 1 Maggio 2011

In una società che ha sostituito alla centralità del lavoratore la centralità del consumatore, il lavoro corre il rischio di perdere la propria importanza in sé per assumere la funzione di mero strumento di procacciamento di reddito. Quest’anno, però, la giornata dei lavoratori sembra ri-acquistare nuova centralità alla luce della concomitante cerimonia di beatificazione di Giovanni Paolo II, il cui Magistero ha sempre reso omaggio al lavoro dell’uomo, “qualunque esso sia e ovunque si compia”, sottolineandone il “legame estremamente profondo” del problema del lavoro con quello del senso della vita umana; il lavoro, dunque, come problema di natura spirituale. Davanti alle ingiustizie che gridano vendetta – ingiustizie da ricercarsi ai giorni nostri, in primo luogo, nella frammentazione (e la precarizzazione) del lavoro nei lavori, i nuovi lavori e le innovazioni che ne mutano la natura stessa – rimane ancora valida l’indicazione della Laborem exercens, ovvero la necessità di “sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà cogli uomini del lavoro”. Questa esigenza di solidarietà e di partecipazione, così come la possibilità stessa di governare questi radicali cambiamenti, trovò in Giovanni Paolo II la sua formula più alta, quasi profetica, nella proposta di costituire  nel mondo “una globale coalizione a favore del lavoro dignitoso”; a favore di quel “lavoro decente” riaffermato anche da Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate.

Proprio su quest’ultimo concetto, come giovani  cristiani – ricordando la missione affidataci da Giovanni Paolo II: dare testimonianza a Cristo davanti agli altri, chiamati ad essere anzitutto “sentinelle del mattino” – vogliamo dar vita, con le altre associazioni giovanili di ispirazione cristiana, ad una piattaforma generazionale intorno a cui possa svilupparsi un dibattito e confronto pubblico sui problemi che ci premono, innanzitutto quelli del precariato e della disoccupazione giovanile.  La prima occasione utile per concretizzare questa nostra volontà di reagire “contro la degradazione dell’uomo come soggetto del lavoro” è rappresentata dalle veglie di preghiera per i giovani e il lavoro – organizzate, nelle diocesi italiane, da Acli, Cisl e Mcl – a cui parteciperemo senza simboli di partito ma con l’ambizione di poter essere parte di quella generazione di laici cristiani impegnati – auspicata da Benedetto XVI – “capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia e della politica”.

Francesco Coviello – Uff. Politico Nazionale UdC Giovani

Francesco Nicotri – vice Coordinatore Nazionale UdC Giovani

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