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Mezzo secolo di politica e un solo rimpianto «Vorrei che mio padre mi avesse visto volare»

postato il 14 Agosto 2020

Il decano del Parlamento si confessa: gli esordi con i giovani Dc, la fine dello Scudocrociato e la presidenza della Camera «Al liceo Galvani di Bologna ero una voce fuori dal coro, Fanfani e Forlani i miei maestri. Il Quirinale? Ho già avuto più di ciò che ho dato»

L’intervista a Pier Ferdinando Casini su Il Resto del Carlino a cura di Massimo Cutò

Nello scatto in bianco e nero del 1974 sono in tre sul palco. Aldo Moro parla al microfono. Accanto a lui Giorgio La Pira, ex sindaco di Firenze. In mezzo un giovanotto di belle speranze in giacca e cravatta: Pier Ferdinando Casini.
«Ricordo quella foto. Era la campagna per le amministrative, Fanfani segretario del partito aveva convinto La Pira a presentarsi capolista. Io? A 19 anni facevo i primi passi nel movimento giovanile Dc».
È ancora lì, 46 anni dopo. Non è mai sceso dal palco, il suo ring e osservatorio privilegiato. Parlamentare dal 1983 a oggi senza interruzioni.

Presidente Casini, lei è il più longevo fra i banchi di Camera e Senato. Ha attraversato indenne Prima e Seconda Repubblica. Un record. Come ha cominciato?
«Mio padre Tommaso è stato segretario provinciale bolognese della Democrazia cristiana. Ho davanti un’immagine: lui e De Gasperi in un comizio del ‘53».
Era un ragazzo con il mito della Dc?
«Studiavo al liceo Galvani, anni turbolenti. Da una parte lo squadrismo, dall’altra i collettivi di sinistra. Non c’erano altri spazi. Ero una voce fuori dal coro, convinto che la minoranza silenziosa dei moderati doveva farsi sentire. Lo scudocrociato era il mio amplificatore».
Com’era allora la politica?
«Spiegarlo ai giovani di oggi è quasi impossibile. Chi scendeva in piazza era animato dal sacro fuoco, qualunque fosse la sua parte della barricata. L’orgoglio delle scelte si coniugava con il rispetto dell’avversario».
Stesso clima in Parlamento?
«Battaglie aspre, però niente odio. Si arrivava lì per merito, certo anche per conquistare un pezzettino di potere ma mai per una rendita di posizione. La politica era la politica. Tutti riconoscevamo a quella classe dirigente immense capacità. C’erano mostri sacri in Transatlantico. Il comunista Natta, per esempio, persona coltissima: si rivolgeva in latino a me che avevo fatto il classico. E quanto ho ascoltato Almirante».
Un episodio che l’ha colpita profondamente?
«È un rammarico. Era l’85, si eleggeva il capo dello Stato e lo speaker chiamò al voto l’ex presidente Saragat. Era molto anziano. Nell’emiciclo ci fu un applauso gigantesco e unanime. Lui si voltò commosso a ringraziare. Corsi giù per salutarlo, davanti a quel monumento mi mancò il coraggio di presentarmi. Non lo vidi più».
Chi fu eletto presidente quella volta?
«Cossiga al primo scrutinio, il più giovane di sempre».
Uno degli uomini chiave della Dc?
«Un caratteraccio. Ma capì le ragioni della disgregazione del partito con largo anticipo, al di là di Tangentopoli. E dimostrò alto senso del dovere dimettendosi da ministro dell’Interno per il caso Moro. Subì un trauma mai esorcizzato, lo stesso che devastò Zaccagnini».
Moro, appunto. Chi era realmente?
«Un martire assassinato dalle Brigate rosse. Un uomo di potere che sapeva capire i bisogni della società».
La stretta di mano con Berlinguer nel ‘77 è rimasta incompiuta. Perché la destra dc l’avversò?
«Moro voleva che il Partito comunista fosse coinvolto nelle scelte: il suo compromesso storico era questo. E del resto identiche difficoltà le ha avute Berlinguer con la sinistra Pci. La solidarietà nazionale ha avuto il merito di battere il terrorismo».
Dove colloca Fanfani nella scacchiera?
«Lui e Moro sono stati i due cavalli di razza. Era un professore che correggeva i miei fogli con la matita rossa e blu, attento alle cose minori. Gira gira, c’era sempre. Il signor Rieccolo è stata una perfetta definizione».
Un aggettivo per Andreotti?
«Imperturbabile. Gestiva il potere grazie alla profonda conoscenza degli uomini. Neppure il calvario giudiziario ha potuto piegarlo».
E il suo vecchio maestro Forlani?
«Dovere, dignità, coerenza: con Mani pulite ha pagato colpe non sue. Coniglio mannaro è un soprannome che gli sta a pennello, per una sua certa ritrosia».
Perché è morta la Balena bianca?
«Per l’esaurimento di una stagione politica. Però, nella bilancia della storia, i pregi prevalgono sugli errori».
’Non voglio morire democristiano’ è una delle voci di popolo proverbiali…
«Sì, se non fosse che oggi molti rimpiangono la Dc».
C’è un’altra frase famosa: ’Voto Democrazia cristiana turandomi il naso e mi vergogno di dirlo’.
«La Dc era un partito interclassista: né operaio né pienamente borghese. Ha rappresentato i moderati, snobbati dai circoli culturali egemoni».
Lei ha fondato il centrodestra con Berlusconi e Fini. Poi tutto è finito.
«Ho cercato di imprimere una linea istituzionale finché è stato possibile. Quando ho capito che non dovevo intrupparmi nel Partito delle libertà ho salutato la compagnia, rischiando di rimanere fuori dal Parlamento».
Scelta che rifarebbe?
«Sì. Se sono sopravvissuto correndo da battitore libero, vuol dire che di centristi c’è bisogno. Essere di centro è nell’indole italiana».
D’accordo la Dc, ma lo spezzettamento Ccd, Cdu e Udc? Durante un incontro pubblico lei confessò di non ricordarsi la sigla del momento…
«Troppi personalismi. Gli elettori non ce l’hanno perdonato».
Perché la chiamano Pierfurby?
«È un regalino di Cossiga, una di quelle polpette avvelenate che solo i Dc sapevano cucinare».
Parliamo dei politici di oggi. L’impressione è che la maggioranza sia totalmente impreparata.
«A volte è così. Se insisto con le preferenze è perché sono un modo per selezionare una classe dirigente non cooptata dai vertici dei partiti. Uno non vale uno».
La parola d’ordine del grillismo è un’illusione?
«I fatti sono fatti. Prendiamo Di Maio: adesso ha studiato alla scuola della Farnesina e si vede. Non è mai troppo tardi».
Come giudica l’irruzione di Grillo nella politica?
«Bene o male ha incanalato la protesta popolare nei canali istituzionali».
E il percorso della Lega?
«Ha subito un’involuzione dal federalismo di Bossi al nazionalismo spinto. Non credo al sovranismo di destra. La sconfitta di Salvini è maturata proprio sul terreno europeo, mi spiace che non l’abbia capito».
Sull’Europa continuano a scommettere Berlusconi e Prodi. Su questo i due grandi nemici di un tempo sono d’accordo: è un paradosso?
«Niente affatto. Su versanti opposti cercano di tenere assieme un mondo in bilico e non è semplice. Quarant’anni fa c’erano i gulag e le dittature in America latina, i regimi comunisti e la Nato: le differenze fra bene e male erano chiare».
A proposito di Berlusconi: com’è, visto da vicino?
«Simpaticissimo. Il più bugiardo che esista, mente perfino con se stesso. Ma è un uomo buono».
Il veterano Casini potrebbe scrivere il vademecum del perfetto politico. Sa che in questo senso a Bologna dicono tre cose di lei?
«No, quali?».
Innanzitutto che la domenica va ai Giardini Margherita perché ci passa tutta la città. È vero?
«Ci vado perché a 65 anni fa bene camminare».
E poi che non manca mai a funerali e matrimoni. È vero?
«Certi eventi privati non vanno trascurati. Quando si presenta al seggio, la gente si ricorda di chi gli è stato accanto nei momenti importanti».
L’ultima: porta la sciarpa della squadra di calcio anche a Ferragosto perché i tifosi che votano sono tanti. È vero?
«Ho quattro figli, il più piccolo ha 12 anni e vive a Roma. Mi ha detto: papà, il mio sangue è rossoblù. Ne sono orgoglioso».
Più complicato fare il padre o il politico?
«I miei figli sono molti uniti tra loro, anche se nati da due madri diverse. Sono la mia benedizione: allungano la vita».
La sua è lunghissima. Nel 1983 fu eletto in Parlamento con 34.000 voti, nel 2018 ne ha avuti 69.991. Si considera un Highlander?
«Ringrazio chi mi sopporta. Durare è molto più difficile che arrivare».
Inutile nascondersi: molti guardano a lei come a una riserva della Repubblica. Il finale della parabola è il Quirinale?
«Dopo 40 anni di vita repubblicana senza macchia, non chiedo altro: ho avuto più di quel che ho dato. Vorrei solo che mio padre mi avesse visto in tutto questo tempo» .

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«Il premier si è battuto ma eviti trionfalismi. Per decidere le priorità apra all’opposizione»

postato il 22 Luglio 2020

Unità nazionale? Un passo alla volta

L’intervista di Giuseppe Alberto Falci pubblicata sul Corriere della Sera

«Partiamo dal fatto che l’Italia a Bruxelles si è battuta bene, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato costante, ha tenuto. In sintesi, prova superata».

Presidente Pier Ferdinando Casini, se questa è la premessa sull’accordo della scorsa notte, Recovery Fund, cosa non la convince?
«Ora arriva la prova più difficile. Dobbiamo presentare piani credibili, seri, concreti, che siano finalizzati all’innovazione e alla produttività del Paese. Occorre dunque non disperdere questo fiume di denari che arriveranno dall’Europa. Potremmo a quel punto dire che da un dramma come il Covid può nascere un elemento di speranza».

Ma l’esecutivo è in grado di superare questa prova?
«E’ legittimo coltivare qualche dubbio, ma Conte e i suoi ministri devono giocarsi questa partita».

Non a caso in molti evocano la nascita di un governo di unità nazionale.
«Sono storicamente un fautore di una formula mai così giustificata dai fatti come oggi. Ma sono il primo a dire: facciamo un passo alla volta, mettiamo in comune la definizione di progetti strategici che andranno presentati a ottobre».

Tradotto, il premier deve coinvolgere l’opposizione?
«Sì, io dico: accontentiamoci di fare un passo più piccolo del governissimo, evitiamo intanto di scrivere un’agenda unilaterale sul piano di rinascita di questo Paese». [Continua a leggere]

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«Galletti sarebbe eletto sindaco. Proprio per questo il Pd non lo candiderà»

postato il 24 Giugno 2020

I dem preferiscono rischiare di perdere con un candidato ‘targato’ che vincere con un esterno alla tradizione della casa

L’intervista di Luca Orsi pubblicata sul Resto del Carlino di Bologna

Prima si schermisce: «Sono un libero battitore, ormai fuori dai giochi». Di elezioni per il sindaco 2021 – e delle manovre più o meno sotterranee in seno al Pd, con le prime schermaglie fra aspiranti candidati – Pier Ferdinando Casini non vorrebbe parlare: «Sono un senatore della città, non entro in queste logiche. Ma… se parlo dico quello che penso, perché non debbo più fare carriera». E allora? «Il dibattito non è cominciato bene».

Senatore, cosa non le piace?
«L’analisi è autoreferenziale, tutta nel reticolo del Pd».

La vittoria alle regionali ha ridato fiducia ai dem.
«Ma c’era Stefano Bonaccini. Un governatore che poi, in piena pandemia è riuscito, come forse solo Zaia e De Luca, ma molto meglio di loro, a dare buona prova di sé in un momento drammatico».

Per Palazzo d’Accursio è tutto ancora da decidere.
«Vedo un po’ troppa tranquillità, come se fosse una sfida senza storia, da amministrare come un problema interno del Pd. Ma qui non c’è Bonaccini».

Non crede che sia possibile trovare un Bonaccini?
«Al momento mi pare che ci si stia limitando a ‘pesare’ questo o quell’assessore, a dialogare a sinistra, a verificare le Sardine… È vero che c’è il tentativo, da parte di alcuni, di correggere il tiro. E fanno bene, perché se la premessa è questa, si rischia la catastrofe». [Continua a leggere]

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«L’Europa si è svegliata e ora tocca a noi. Serve un progetto, non assistenzialismo»

postato il 28 Maggio 2020


Non si usino i fondi per il populismo dei soliti noti ma per piani di rilancio. L’opposizione adesso collabori, non è il momento della propaganda o di chiusure ideologiche.

L’intervista di Marco Ventura pubblicata sul Messaggero

«Avevamo chiesto all’Europa: se ci sei batti un colpo! Stavolta il colpo l’ha battuto. I 500 miliardi a fondo perduto contro la crisi da Covid-19, oltre a tutti gli altri provvedimenti che sono stati presi, dimostrano che il coronavirus è servito a dare una smossa a un corpaccione statico che si è risvegliato capendo che l’alternativa è tra morire e vivere». Il corpaccione, per il presidente dell’Interparlamentare italiana Pier Ferdinando Casini, è quello della Ue. Che però resta l’unica opzione, così come lo è l’appoggio agli organismi multilaterali come l’Organizzazione mondiale della Sanità, con tutti «gli errori commessi e le contraddizioni, perché da soli non vanno da nessuna parte USA e Germania, figuriamoci l’Italia!».

Che cosa deve fare l’Europa per vivere e non morire?
«Atti come quelli appena anticipati dalla presidente della Commissione Ue. Ovviamente adesso i governi dovranno semmai migliorare, certo non peggiorare, le sue proposte. C’è l’ostacolo dei Paesi cosiddetti virtuosi che in realtà sono i più furbi, in certi casi sono paradisi fiscali, non considerano che questa Europa serve a tutti e in un mondo globalizzato procedere in ordine sparso non è possibile per Berlino e Parigi, tanto meno per Austria e Olanda. Quindi mi auguro che le resistenze vengano battute e Paesi che sono anche fondatori dell’Unione capiscano quanto sia importante che l’Europa non vada a fondo». [Continua a leggere]

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Wojtyla, un Papa contro tutti i totalitarismi

postato il 17 Maggio 2020

«Combattè non solo il comunismo, ma chiunque negasse dignità e libertà»
Domani sono i 100 anni dalla nascita di di Giovanni Paolo II: l’anniversario verrà celebrato alle 7 di mattina con la Messa, celebrata davanti all’altare della tomba da Papa Francesco, in mondovisione

 L’intervista pubblicata su Quotidiano nazionale a cura di di Antonella Coppari

 

Senza dubbio è il Papa più politico che ci sia stato tra gli ultimi Pontefici. Nessuno più di Giovanni Paolo II ha legato il suo nome a una battaglia non solo religiosa ma anche ideologica contro le dittature nell’Europa dell’Est da cui pure lui, polacco, proveniva. Presidente Pier Ferdinando Casini, è difficile sfuggire alla sensazione di trovarsi di fronte all’ultimo grande Papa guerriero, quasi un condottiero che ha sconfitto il comunismo. Condivide questa lettura?
«Non il comunismo, ma il totalitarismo. Qualcosa di più. Papa Giovanni Paolo II ha sempre combattuto la connivenza con le dittature. Con coloro che negano agli uomini il valore della dignità e della libertà».

Quello di Wojtyla era un europeismo che non dimenticava le radici cristiane.
«Sì, assolutamente. Una delle grande questioni che Giovanni Paolo II ha sollevato è stato il tema dell’identità cristiana dell’Europa. Un’Europa che diventa necessariamente multiculturale e
multireligiosa, senza disperdere però la sua identità. È vero che Wojtyla ha aperto la via al dialogo interreligioso, ma nella consapevolezza che avendo un’identità cattolica forte si può parlare con tutti».

Oggi viene arruolato nella galassia sovranista.
«Figuriamoci. Non è mai stato nazionalista. È stato piuttosto uno dei grandi costruttori dell’Europa, nella grande tradizione degasperiana. Semmai è stato un sovranista europeo».

Il 14 novembre 2002 lei lo accolse nella sua veste di Presidente a Montecitorio: una visita unica nella storia. Quale fu la sua lezione politica?
«Quella visita simboleggiò il suo amore per l’Italia e gli italiani. Ci richiamò all’attenzione verso gli ultimi. Ci fece pensare ai carcerati, a coloro che soffrivano, dimenticati spesso anche dalla politica».

Eppure, già stava male.
«Infatti. Io andai da lui e lo invitai in Parlamento. Ma qualche giorno prima dell’evento vidi in tivù che faceva fatica a parlare. Chiamai il segretario, Stanislaw Dziwisz, e gli dissi: “Ma come fa
il Papa a venire? C’è parecchio da camminare dall’ingresso fino all’aula“. Le sue parole furono: “La provvidenza ci penserà. Il Papa è tranquillo. Non si preoccupi“. E in effetti, avvenne il miracolo. Tutti pendevamo dalle sue labbra».

Ma il Parlamento non ascoltò la richiesta di un provvedimento di clemenza per i detenuti.
«Non trovammo l’accordo. Però l’anno dopo, nel 2003, il Parlamento varò il cosiddetto “indultino”».

Quali sono stati i tratti salienti di Wojtyla?
«È stato un uomo capace di parlare al mondo abbattendo tutti i confini politici, ideologici e religiosi. Ha saputo rendere la Chiesa protagonista, mantenendo un’umanità senza frontiere. In
grado, come nessun altro, di comunicare con i giovani».

Su temi come la famiglia e la vita Giovanni Paolo II era il rigorista che viene dipinto?
«Credeva nei valori non negoziabili tanto da farne una pietra angolare del suo Pontificato. Ma è stato pure il Papa che ha emanato le direttive per spingere le parrocchie ad aprire al dialogo con divorziati e risposati prendendo atto della realtà. Non voleva escludere nessuno».

Anche Papa Francesco è un Pontefice “politico“. C’è continuità tra i due papati?
«Sono due personalità molto diverse perché diversa è la loro formazione. Però se penso al discorso di Wojtyla in Parlamento, al suo appello per i detenuti, al tema del dialogo interreligioso,
all’attenzione verso i deboli e gli immigrati credo che una continuità ci sia»

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«Tempo di unità nazionale»

postato il 15 Aprile 2020

L’intervista di Antonella Coppari  pubblicata su QN

Lo scenario peggiorerà, temo che il governo non regga. Appello alle opposizioni: «Più responsabilità, Salvini e Meloni sbagliano»

«Nei prossimi mesi lo scenario rischia di peggiorare, e temo che questo governo non ce la faccia», afferma Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera e oggi senatore del gruppo delle Autonomie.

E cosa può accadere? Un esecutivo di salute pubblica?
«Tutti saranno chiamati all’assunzione di responsabilità, a partire dall’opposizione». [Continua a leggere]

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«Il premier ora coinvolga l’opposizione, fase difficile: non può farcela da solo»

postato il 12 Aprile 2020

Un errore l’attacco ai capi della minoranza in televisione. Forse qualcuno teme che un accordo alto possa mettere in discussione gli attuali equilibri politici.

L’intervista di Fabrizio Nicotra pubblicata sul Messaggero

In questo momento non si può giocare, l’Italia da qui a poche settimane si troverà in una crisi economico-sociale drammatica. E non può esserci nessuno spazio per le polemiche tra governo e minoranza: sono sbagliate e dannose». Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera e oggi senatore del Gruppo delle Autonomie, ritiene un errore l’attacco di Giuseppe Conte ai leader dell’opposizione venerdì sera in diretta tv. [Continua a leggere]

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Il paese avrà bisogno di chi ha più credibilità

postato il 27 Marzo 2020

Un governo Draghi? Deciderà il capo dello Stato. Adesso il governo Conte deve essere sostenuto da tutti, poi inizierà una nuova stagione. 

L’intervista di Maria Teresa Meli pubblicata sul Corriere della Sera

Pier Ferdinando Casini, lei tifa per un governo di unità nazionale?
«C’è un tempo di guerra e c’è un tempo di pace. Ora siamo in tempo di guerra: le diserzioni non sono possibili. Adesso il governo Conte deve essere sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare perché una crisi oggi finirebbe per aggravare l’emergenza. Poi si farà punto a capo e inizierà una stagione nuova. Ma per l’oggi vorrei dare dei consigli ai miei colleghi».

Quali?
«Innanzitutto di leggere poco i sondaggi perché non c’è niente di più rapido della trasformazione del consenso in rabbia. L’Italia è un grande Paese dove la gente in guerra combatte con il capo, però poi, quando l’emergenza sanitaria sarà finita, rimarrà la catastrofe economica, ci saranno migliaia e migliaia di persone che perderanno il posto di lavoro e si aprirà una fase drammatica. I sondaggi di ora non varranno più». [Continua a leggere]

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«La Ue latita, deroghe al Patto di stabilità. Camere aperte, dico no al voto a distanza»

postato il 19 Marzo 2020

Pier Ferdinando Casini, senatore del Gruppo delle Autonomie ed ex presidente della Camera, che prova sta dando di sé l’Unione europea nella gestione dell’emergenza coronavirus?
«Questa crisi per l’Europa è un’opportunità straordinaria per dimostrare di esistere, ma corriamo un grave rischio: che anche i più europeisti come me, alla fine di questa emergenza, debbano constatare che l’Europa non c’è. Le risposte arrivate fino a oggi sono deludenti».

Si riferisce alla recente gaffe di Christine Lagarde che ha detto non siamo qui per ridurre lo spread?
«L’esordio della nuova leadership della Banca centrale europea (Bce) è stato devastante e ci ha fatto capire fino in fondo quanto sia stato fondamentale il ruolo di Mario Draghi in questi anni. I casi sono due: o Lagarde ha consapevolmente riportato un parere tedesco, e questo sarebbe inammissibile, oppure lo ha fatto senza rendersene conto, e allora sarebbe quasi peggio». [Continua a leggere]

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Coronavirus: «È la terza guerra mondiale. La vinceremo»

postato il 11 Marzo 2020

«Come ai tempi del terrorismo gli interventi eccezionali sono del tutto giustificati»

L’intervista di Antonella Coppari pubblicata sul Resto del Carlino

Per descrivere il momento e indicare con quale animo si debba affrontare, Pier Ferdinando Casini ricorre a una frase del leader assurto a emblema della miglior Dc: Aldo Moro. «Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma, cari amici, non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato, con tutte le sue difficoltà».

Moro allude a periodi complicati, in cui vanno prese decisioni dolorose. Presidente Casini, ha mai vissuto una prova così drammatica?
«Questa è un’autentica terza guerra mondiale, anche se non ci sono i bombardamenti e ci è richiesto solo di stare in casa. Nulla di paragonabile al terrorismo: dopo l’11 settembre ci hanno chiesto di fare qualche piccolo sacrificio, come levare le scarpe agli aeroporti. Ora ci chiedono di cambiare radicalmente abitudini». [Continua a leggere]

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