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PNRR: Per non sprecare i fondi serve un armistizio tra destra e sinistra

postato il 3 Aprile 2023

Appello per salvare i miliardi Ue: governo e opposizione depongano le armi

L’intervista di Paola Di Caro pubblicata sul Corriere della Sera

Ha fatto incontrare in pubblico per la prima volta il ministro Fitto (FdI) e il commissario europeo Gentiloni (Pd) per la presentazione del suo libro «C’era una volta la politica». E siccome Pier Ferdinando Casini nella politica crede ancora, il suo è un vero appello a maggioranza e opposizione: depongano le armi almeno su un tema così cruciale come il Pnrr e collaborino perché quei «miliardi di fondi pubblici» non vengano persi o sprecati: «Sarebbe mettere un fardello pesantissimo sulle spalle delle prossime generazioni. È necessario un patto per evitarlo».

Lei sa bene quanto oggi i rapporti siano tesi tra maggioranza e opposizione…

«È comprensibile. C’è una maggioranza che rischia il delirio di onnipotenza, avendo vinto in modo nettissimo e potendo ragionevolmente governare per 5 anni; e c’è un’opposizione divisa ma con nuove leadership, soprattutto quella di Elly Schlein».

E come si fa una tregua?

«Si fa se si pensa che non si è mai vista dopo il piano Marshall una tale quantità di fondi pubblici messi a disposizione di un Paese che nelle ultime decadi è cresciuto molto meno degli altri e ha l’assoluta necessità di farlo».

In cosa dovrebbe consistere questa sorta di armistizio?

«Intanto non vanno esportate a Bruxelles le risse politiche nazionali. E non serve rimpallarsi reciprocamente le responsabilità dei problemi».

Ma davvero non si possono stabilire meriti e demeriti su questo terreno?

«Io credo che sia Conte che Draghi abbiano ottenuto risultati molto importanti, ma con onestà va detto che oggi se al posto del governo Meloni ce ne fosse un altro avrebbe gli stessi problemi, che dipendono dall’ apparato della Pubblica amministrazione e dalla desertificazione delle competenze. Non è un caso che l’unica opera pubblica fatta in tempi velocissimi sia stata il Ponte Morandi a Genova, perché in deroga».

Ma una tregua non sarebbe utile solo al governo?

«Sarebbe utile al governo, ma lo sarebbe soprattutto all’Italia. E le forze di opposizione che si propongono di creare un’alleanza di governo non possono pensare solo di andare in piazza sfruttando le gaffes della maggioranza ed evitando di affrontare nodi così importanti».

A cosa pensa concretamente?

«Il governo dovrebbe lasciare da parte la presunzione di poter fare tutto da solo e l’opposizione la demagogia, e per questo serve un patto di natura politica. Poi ne serve uno istituzionale tra Regioni ed enti locali da una parte e Stato centrale dall’altra, perché le materie interfacciano tanti soggetti».

E quale sarebbe la sede del confronto?

«Il Parlamento, che oggi vedo purtroppo marginalizzato: si ratificano decreti legge — pochi —, si votano mozioni — troppe — e si moltiplicano commissioni di inchiesta che dovrebbero essere strumento straordinario e invece sembrano servire più a tenere occupati i parlamentari che a raggiungere verità».

Ma mentre lei lancia l’appello, è scontro su tutto: ultimo caso quello La Russa sulle Fosse Ardeatine, contro il quale Schlein ha già annunciato mobilitazione.

«Su La Russa, essendo stato presidente di un ramo del Parlamento, so quali siano le difficoltà e non gliene aggiungo altre: d’altra parte, che si sia scusato la dice lunga sull’errore che ha fatto… Su Schlein, capisco che un segretario così di rottura voglia cavalcare il movimentismo, ci sta. Ma bisogna scegliere i terreni sui quali l’una e l’altra parte possono battersi. E il Pnrr non deve essere tra questi, se si vuole fare il bene del Paese».

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A Schlein dico: rileggiti Mao. Parola di un Dc

postato il 21 Marzo 2023

Festeggia 40 anni in Parlamento. E si definisce l’ultimo democristiano. Pier Ferdinando Casini commenta la scena politica. A partire dalla segretaria dem: una nuova Zaccagnini.
L’effetto Schlein-Meloni rende vecchio tutto il panorama. Ma il vero problema della premier è la sua squadra. Sono “sbaricentrali”, in sintonia solo sui posti da occupare


La mia intervista a L’Espresso a cura di Susanna Turco


Ha quarant’anni tondi di permanenza in Parlamento; sembra averci preso gusto solo ora che non deve «più dimostrare niente a nessuno» e che può osservare in pace l’effetto Schlein-Meloni, il quale «invecchia di colpo» tutto il panorama. Alla stessa sua anzianità politica, nel 1983, Giulio Andreotti festeggiò con una serata all’Adriano, allora teatro, affollato di potenti.

Quarant’anni dopo, Pier Ferdinando Casini ha festeggiato, da senatore eletto nel Pd, con un tour di accalcate presentazioni del suo libro (“C’era una volta la politica”, Piemme) nel quale si è battezzato «ultimo democristiano». Ha sfiorato il Quirinale nel 2022, sostiene (figuriamoci) di non pensarci più: «Il potere è un’illusione ottica». Studia «le sensibilità altrui»: nello zaino ha “Storia transgender” di Susan Stryker («L’anno scorso mia figlia diciottenne mi ha apostrofato: “Non mi devo mica vergognare che non voti la legge Zan, vero? Conoscendoti un dubbio ce l’ho”»). È in treno, diretto alla presentazione di Pistoia, reduce da quella di Ferrara, dove Dario Franceschini ha ricordato di quando, nel 1975, al congresso dei giovani Dc di Bergamo, fu convinto da lui a cedergli le sue cinque deleghe. «A son parti’ moroteo, a son turna’ dorotoeo», fu il sospiro di chi guidava, nel viaggio di ritorno verso Ferrara, in cinque a bordo di una Prinz.

Stavolta Franceschini torna schleiniano.
«Non voglio entrare nelle dinamiche del Pd, per rispetto verso il partito che mi ha eletto, però da osservatore capisco il ragionamento: ritiene che il Pd abbia bisogno di discontinuità, che serva un elettroshock. E ancora una volta ha dimostrato di essere il miglior kingmaker della politica italiana». Kingmaker o burattinaio?
«È finita l’epoca dei burattinai. Sono convinto che i presunti burattinai siano così intelligenti da non proporsi come tali. E che i presunti burattini non siano così sciocchi da farsi gestire da qualcun altro. Peraltro Elly Schlein di voti ne ha già presi, sul territorio, e molti. Non è poco, in quest’epoca. E direi che la sua inclinazione non è quella di fare ciò che gli altri immaginano farà. Lo si è già visto per l’Ucraina. Anche gli stereotipi hanno fatto il loro tempo».
Se dovesse darle un consiglio?
«Legga Mao Tse-Tung, si attrezzi a una lunga marcia. Le finestre temporali dei leader sono sempre più brevi, lo spiego nel libro, il difficile è resistere. La prima fase, un anno, servirà a rinvigorire il partito. Poi ci sarà il problema di rinvigorire le alleanze: come diceva Churchill, l’alternativa ad avere alleati scomodi è non avere alleati».
C’è chi le consiglia di spolpare il M5S.
«La strategia di spolpare non è mai intelligente. Si può spolpare de facto, che è diverso. Ma spolpare Conte non è uno scherzo».
Ce Io dica lei: Conte è un democristiano?
«Diciamo che ha un’abilità di navigazione interessante. Non so se gli farà piacere, ma ha qualcosa di andreottiano».
Schlein quale Dc potrebbe incarnare?
«Potremmo immaginarla una Zaccagnini, senza la sua bonomia. Anche lui prese la Dc in un momento in cui viveva un declino inesorabile e tutto sommato la rilanciò».
Matteo Renzi?
«Può essere Fanfani: fumantino, resistente, perspicace, capace di vittorie e sconfitte. Carlo Calenda lo assimilo a Filippo Maria Pandolfì, ministro dell’Economia serio, più con propensioni governative che partitiche».
Così ha già risposto circa il futuro di Calenda nel Terzo polo. E Giorgia Meloni?
«La debbo ancora vedere in azione, è una ragazza in gamba che ha fatto una lunga marcia e che poi ha avuto la fortuna di incrociare il declino di Fini e di Berlusconi. Di fatto è l’erede del Cavaliere».
Come ci è riuscita?
«In politica l’eredità non si riceve mai: si ruba, si prende. Esistono i delfini, ma il principe non diventa per forza re. Lei non ha avuto bisogno di partecipare alla gara, si è presa lo scettro. Anche la fortuna, dicevo, gioca un ruolo essenziale: a ottobre ha detto “non sono ricattabile”; io ricordo di aver detto “c’è qualcuno in questo Paese che non si fa comprare”. Però l’ho fatto vent’anni fa, Berlusconi era un po’ diverso da oggi, era al massimo del potere».
Lo disse anche Fini, che però oggi è fuori dalla politica.
«Fini ha pagato un prezzo certamente superiore alle sue responsabilità. È diventato il grande nemico della destra. Ma la vera svolta della destra l’ha fatta lui, da solo, e se Meloni non deve rendere conto a nessuno di tante cose è proprio grazie a questo. Adesso ha responsabilmente anteposto il processo alle sue ambizioni, ma non mi meraviglierei se si presentasse alle Europee nel 2024: prenderebbe un sacco di voti».
Meloni è ancora in luna di miele, dopo Cutro?
«Fin qui ha avuto tutte le condizioni positive. Ora è in un momento topico: o dimostra di essere la solver dei problemi italiani o la sua occasione sparisce. Diciamo che se il buongiorno si vede dal mattino, c’è più di un problema. Però è presto».
Fdl si può trasformare in una nuova Dc?
«Paragone ardito. Nel libro parlo della pedagogia del potere: il potere ti cambia. Finché sei all’opposizione dici quello che ti pare, al governo ti devi confrontare con la realtà. Oggi il cambio di passo di Meloni c’è nella politica estera, mentre all’interno vedo che i suoi peggiori nemici sono i suoi alleati e la sua squadra. Il suo problema è che non può recitare un one woman show».
Non trova un comprimario, però, tra Piantedosi, Nordio, Lollobrigida… Consigli?
«I problemi maggiori vengono dalla sua squadra. Deve spiegare bene ai singoli che fare. Perché sono anche persone di qualità, ma sono “sbaricentrati”».
Un giudizio generoso.
«Dopo una certa età si è generosi».
Meloni e Schlein sono diventate parlamentari a 29 anni. Lei a 27. È il segno che la parabola dell’antipolitica è finita?
«È finita l’illusione dell’antipolitica e, per ora, anche la supplenza dei tecnici. L’effetto Schlein-Meloni rende vecchio tutto il panorama, crea problemi a chiunque».
Renzi invece si è fregato le mani: dice che per il Terzo polo si aprono praterie.
«Mai credere ai politici: quando dicono una cosa è sempre una bugia. Intendiamoci, Renzi è il più bravo di tutti. Ma ha un nemico che rischia sempre di abbatterlo: Renzi. Se riuscisse a rottamare una parte di sé, allora sì che si aprirebbero praterie».
A proposito di fortuna: nel 2001 lei doveva fare il ministro degli Esteri, poi finì presidente della Camera.
«Mi fregarono i poteri forti, quando c’erano. Facemmo un vertice io, Fini e Berlusconi: io avrei fatto il ministro degli Esteri, lui la Difesa. Dopo tre giorni mi chiama Fini e mi dice: “Tu pensi davvero di avere la Farnesina? Guarda che ha telefonato Gianni Agnelli, ha detto che ci andrà Renato Ruggiero”. Era nel cda della Fiat, l’avvocato spingeva per lui. Come ministro degli Esteri è durato poco, ha fatto un errore mortale: la prima volta che a Bruxelles ha detto a Berlusconi “ti spiego io cosa dire”. Fine».
È andata meglio a lei, con la guida di Montecitorio. Ma nessuna legge, misura, provvedimento porta il suo nome.
«Ho avuto la fortuna di esser protetto da tante insidie. Ho fatto tantissime cose, come presidente della Camera e non solo. Non ho il problema di avere un provvedimento a mio nome. E poi non credo alla politica che vive di effetti speciali».
Le fa impressione il Senato dimezzato?
«Quello che mi fa impressione è che il Parlamento sia ormai un passacarte. Non legifera più. La riforma Calderoli prevede addirittura un parere consultivo delle Camere: rischiamo di diventare il Cnel. Lo dico ai tanti di questa maggioranza che vedono con favore il presidenzialismo: guardino come funziona in America, dove i presidenti devono contattare fino all’ultimo parlamentare per far passare un provvedimento. E noi vogliamo fare un presidenzialismo senza Parlamento? È una cosa folle».
Lei pensa che si farà davvero?
«Constato che l’unico istituto che in Italia funziona bene è quello del capo dello Stato. Domando se abbia senso toglierlo dal ruolo super partes che ha per trasformarlo nell’epicentro delle divisioni politiche. A me pare un errore madornale».
Formica dice che, con Schlein, il capo dello Stato perde il «patronàge» sul Pd. Pensa che di qui derivi un elemento del disagio dei popolari?
«Se il Pd perdesse la sua vocazione istituzionale perderebbe, agli occhi di tanti, gran parte del suo valore. I sacrifici fatti per rimediare a errori altrui, che lo hanno portato anche al governo, non vanno sottovalutati. Lo rendono un vero partito della nazione».
Viva il Pd governista?
«Una parte di italiani vota i dem anche per quello. Una parte di giovani, anche quelli che hanno votato per Schlein, pensa che questo sia il problema. Ecco perché è difficile essere leader: non farsi carico degli uni o degli altri significa perdere una fetta importante. Bisogna fare la sintesi, ma è complicata. Soprattutto con un Parlamento in cui il Pd non è decisivo, in cui c’è una maggioranza schiacciante e, diciamolo, coerente su un punto: prende tutto il possibile».
Che intende dire?
«Mi sembra che l’unica cosa su cui c’è vera sintonia in questa maggioranza siano le nomine, i posti da occupare. Non si fanno sconti, non ci sono gentlemen’s agreement con l’opposizione: hanno una forza nei numeri che fanno valere sempre. Forse la fame atavica di chi è stato all’opposizione giustifica questo comportamento, però non è una scelta lungimirante. Anzi è un grande errore, se ne accorgeranno».

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Serve rispetto tra i poli, solo così si aiuta il Paese

postato il 2 Ottobre 2022

Pd, il totonomi non basta

L’intervista di Mario Ajello pubblicata sul Messaggero

Presidente Casini, lei è il decano dei parlamentari. Che Parlamento sarà questo che sta per inaugurarsi?
«Ci sono sfide inedite, anche di carattere istituzionale. La riduzione del numero dei parlamentari, 200 senatori e 400 deputati, speriamo che non incida in negativo nella operatività delle Camere. Perché è essenziale il buon funzionamento. Per quanto riguarda poi l’aspetto politico, mi sembra che sia emersa una maggioranza chiara e con numeri ampi. Bisognerà capire se, in termini di coesione interna e di chiarezza programmatica, riuscirà a dimostrare la propria autosufficienza. I numeri ci sono, sarà la politica a darci il verdetto».

Questa campagna elettorale, per lei che ne ha fatte tante fin dal 1983, è stata diversa dalle altre?
«Lo è stata per due ragioni. La prima: quando cominciai esistevano i partiti, la mobilità elettorale era molto più ridotta e c’era ancora la conventio ad excludendum per la sinistra. Il muro di Berlino nell’83 non era ancora caduto. E forze politiche radicate nel Paese e motivate ideologicamente fidelizzavano maggiormente gli elettori. Era diverso anche il ruolo delle leadership. È vero che avevamo grandi personalità, penso ai leader democristiani, a Berlinguer, a Craxi, a Spadolini, ma quelli non erano partiti costruiti sulla persona.
Oggi, invece, abbiamo il partito della Meloni, il partito di Berlusconi, i 5 stelle che sono diventati il partito di Conte e via così. Forse, solo il Pd è rimasto con una leadership plurale. Il che è positivo. Però vedo che anche da queste parti l’evocazione dell’uomo forte rischia di essere una suggestione sempre più potente». [Continua a leggere]

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Rappresento il Pd senza alcun imbarazzo. Sgarbi? Non casco nelle sue provocazioni

postato il 18 Settembre 2022

Città speciale, non solo di sinistra. Del partito ho apprezzato il senso dello Stato e le scelte coraggiose che ha fatto, come sostenere lealmente il governo Draghi

L’intervista di Adriana Logroscino pubblicata sul Corriere della Sera

Contrariato dalla sconfitta del Bologna — «ma tifare una squadra che non vince sempre tempra il carattere, come ho detto a mio figlio quando era piccolo» — Pier Ferdinando Casini lascia lo stadio per un’altra serata tra i cittadini del suo collegio. Con un solo dubbio: «Non ho voluto indossare i pantaloni rossi portafortuna, perché in campagna elettorale è un po’ troppo». Sulla scelta, dopo una vita al centro, di rappresentare il centrosinistra nella rossa Bologna, invece, non ha dubbi.

Presidente Casini, come va la campagna elettorale in città?
«Bologna è speciale. Chi ne parla etichettandola come semplicemente “di sinistra” spesso non la conosce davvero: quando c’è la processione della Madonna di San Luca tutta la città è lì, senza distinzioni politiche o di fede».

È stato accolto bene anche alle iniziative della festa dell’Unità?
«Ero ospite con Cuperlo che è molto apprezzato da quella platea. Ma ho strappato applausi anch’io. Io sono stato candidato in questo collegio anche cinque anni fa. E rappresento senza alcun imbarazzo la posizione del Pd di cui ho apprezzato il senso dello Stato e le scelte coraggiose che ha fatto, come sostenere lealmente il governo Draghi. Il muro di Berlino è caduto da quasi 35 anni. Tenerlo in vita artificialmente è ridicolo». [Continua a leggere]

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Basta con i personalismi, un’area da Letta a Calenda per le riforme dell’agenda Draghi

postato il 23 Luglio 2022

«Conte? Guida una forza che in 4 anni ha perso tre quarti dei consensi»

La mia intervista al Corriere della Sera a cura di Marco Galluzzo

 

Roma «Credo che dopo questa esperienza di Draghi nulla sarà più come prima, indipendentemente dai risultati delle prossime elezioni. È stata un’esperienza sofferta, si è conclusa in un modo molto amaro, e certamente con una perdita di credibilità per l’Italia. Ma io spero che tutti abbiano tratto una lezione da questi 18 mesi, sia chi ha sostenuto Draghi sino all’ultima curva, sia coloro che inopinatamente lo hanno abbandonato».

Pier Ferdinando Casini ci ha provato sino all’ultimo, con una mozione parlamentare che si proponeva di fare un miracolo politico, ridare forza ad un governo che l’aveva persa, irrimediabilmente. Eppure crede ancora che le dinamiche delle ultime ore possano servire da bussola per le prossime tappe politiche: «Non siamo all’anno zero, se posso permettermi una riflessione indirizzata ai protagonisti della politica di oggi io vorrei ricordare che il governo è caduto, ma esiste un’area politica omogena che fino all’ultimo si è riconosciuta nella sua agenda programmatica».

Sta pensando ad un’alleanza per riportare Draghi a Palazzo Chigi?

«Qui non si tratta di strumentalizzare Draghi, né di fare partiti pro Draghi, con o senza di lui, sono tutte alchimie che hanno avuto poco successo in passato. Ma le forze che si sono riconosciute nel programma del premier ritengo che oggi siano chiamate a superare i loro personalismi e a creare un’area ampia di riformismo che vada da Letta a Renzi, da Speranza a Calenda, perché l’emergenza in cui ci troveremo nei prossimi mesi si affronta solo così, mettendo al centro gli obiettivi dell’Italia in una coalizione che non so se possa vincere, ma che certamente può dare prova di serietà».

Interpretazione di una crisi: Conte e Salvini vanno sempre più giù nei sondaggi e per questo staccano la spina?

«Non lo so, se è stato così è gigantescamente sbagliato. Per quanto riguarda Conte non mi azzardo in un pronostico, certo l’area dell’antipolitica partita da Bologna con Grillo portato in canotto in piazza Maggiore può ancora avere un appeal, ma siamo di fronte al primo esempio di una forza politica che in 4 anni ha perso i tre quarti dei suoi consensi».

E Salvini?

«Non nutro sentimenti di antipatia, anzi, ma lui e Berlusconi hanno fatto un gigantesco favore alla Meloni, che il giorno delle elezioni avrà ancora più consenso. Nessuno le può imputare nulla, non è andata al governo e non lo ha fatto cadere: ho già sentito tanta parte del popolo di centrodestra pronto a votarla».

Berlusconi?

«Lo ritengo molto sorprendente, non dico altro. La puerile scusa che Draghi fosse stanco… lasciamo perdere…».

In altri Paesi la stabilità è un valore, da noi no, perché?

«Guardando in giro rischiamo di essere in buona compagnia, Johnson con un grande consenso alle spalle sta per sloggiare, Macron è messo male in Parlamento, il nuovo Cancelliere non mi pare molto forte».

Crede ci siano state influenze di Mosca?

«Certo non credo che i protagonisti massimi della politica abbiano subito interferenze dirette, mi sento di escluderlo da uomo delle istituzioni. Ma che i russi si stiano sfregando le mani, che preferiscano che la postura internazionale di Draghi sia sostituita da una più ambigua, questo è certo. E qui lo dico ai partiti che si presenteranno: non ci possono essere ambiguità di fronte agli elettori, chi deve governare deve spiegare bene da che parte vuole andare. Eravamo considerati tradizionalmente l’anello debole dell’Occidente, sia per la preminenza di forze politiche vicine alla Russia e alla Cina, sia per una qualche tiepidezza. Ora il grande merito di Draghi è stato quello di aver scelto la parte giusta con nettezza. Sono orgoglioso del suo viaggio fatto a Kiev con Macron e Scholz, del ruolo di leadership che l’Italia ha esercitato sull’adesione di Kiev alla Ue».

Esiste la possibilità di un nuovo governo Draghi?

«Abbiamo appena seppellito un governo, per buon gusto non parliamo dei prossimi, lo decideranno gli elettori. Se c’è uno che credo abbia propensione zero per un impegno diretto in politica è proprio Draghi. Il problema è un altro, è l’agenda di un esecutivo che sino all’ultimo è stato sostenuto da un insieme di forze omogenee che oggi hanno un’occasione irrepetibile».

Cosa dovrebbero fare?

«Una grande area politica che si riconosca in un’agenda programmatica che non è cambiata. Davanti a questo sfacelo alzare le proprie bandierine farebbe solo ridere».

Potrebbe avere un ruolo la diaspora in atto in Forza Italia?

«Certo, dipende da loro, da quanto vorranno impegnarsi».

Monti cadde anche sui taxi, la storia in parte si ripete: siamo un Paese irriformabile?

«Se pensiamo di governare l’Italia accettando queste proteste di piazza allacciamoci le cinture di sicurezza».

Che errori ha fatto Draghi?

«Io credo che errori gravi non ne abbia fatti, semmai ha fatto l’impossibile su una formula, tenere insieme Lega e Cinque stelle, che era emergenziale. A sei mesi dalle elezioni le smanie e le frenesie elettorali hanno avuto il sopravvento. Era anche prevedibile, se vogliamo».

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«I propositi di Salvini sono buoni, ma non diventi un burattino nelle mani del presidente russo»

postato il 29 Maggio 2022

In certe circostanze è bene lasciare l’azione al governo. Siamo nella Nato e nell’Europa, non possiamo essere artefici in solitudine del nostro destino.
L’intervista di Fabrizio Caccia pubblicata sul Corriere della Sera

Presidente Casini, venerdì era a Nusco al funerale di Ciriaco De Mita. Ha pensato a cosa avrebbe fatto lui oggi in questi tempi di guerra?
«Sì, ci ho pensato. E credo che non solo lui, ma i nostri padri della Prima Repubblica, oggi si sarebbero fatti guidare prima di tutto dal senso del limite, una cosa che in politica è bene non perdere mai».

Sarebbe?
«Capire che siamo un Paese incardinato nella Nato e nell’Europa e che non possiamo essere artefici in solitudine del nostro destino. Perciò De Mita e gli altri oggi avrebbero lavorato per la pace, ma senza indebolire l’Alleanza atlantica e non prestandosi al rischio di essere strumentalizzati da Putin. E mi riferisco a Matteo Salvini…». [Continua a leggere]

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Da Draghi posizione solida. Come la migliore Prima Repubblica

postato il 20 Maggio 2022

Il partito antiamericano, mai dormiente, dimentica che questa guerra rilancia la Nato

L’intervista di Marco Galluzzo pubblicata sul Corriere della Sera

Presidente Pier Ferdinando Casini, lei in Parlamento ha fatto un lungo elenco delle presunte mistificazioni del dibattito politico italiano sulla guerra. A chi si riferisce?
«In Italia abbiamo il girone degli ingenui e quello della malafede. E non si sa, in politica, cosa sia più pericoloso. Il primo annovera coloro che proclamano principi giusti e ritengono che questo sia sufficiente per realizzarli, insomma si appellano al mondo dei sogni, ma sono lontani dai dati di realtà. Qualcuno vuole tornare allo spirito di Pratica di Mare e alla collaborazione fra Putin e la Nato, altri dicono che il Muro di Berlino non si deve riedificare, che la Guerra Fredda non deve ripetersi. Tutti siamo d’accordo su queste affermazioni ma sono, in sostanza, ovvie, se non banali».

E il girone della malafede? Chi ci mette?
«Quelli che utilizzano questa ingenuità per un’operazione speculativa, per innestare delle domande maliziose sulla vicenda dell’Ucraina: “In fondo è Kiev che ha provocato Mosca…”, “la Nato si è allargata troppo…”, “noi non dovremmo armare gli ucraini visto che è meglio che la guerra finisca prima possibile…”. Ma in realtà non c’è una persona dotata di un minimo di senno che non capisca che il conflitto oggi è fra dittature e democrazia, con qualcuno al nostro interno, che ha cominciato a parlare di democratura». [Continua a leggere]

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Enrico non ha sbagliato, nella sua posizione ritrovo la vera politica

postato il 26 Aprile 2022

La Russia non manifesta volontà di pace, per cui non c’è ragione di cambiare linea. Ho commemorato il valore nazionale del 25 aprile a Piombino con un sindaco di Fdi e l’Anpi.

L’intervista di Carlo Bertini a Pier Ferdinando Casini pubblicata sulla Stampa

Sposa in pieno le parole del capo dello Stato Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera. E difende a spada tratta Enrico Letta, che “non ha sbagliato nulla in questa vicenda Ucraina, il suo posizionamento è ineccepibile. E le dico una cosa in più”.

Prego.
“Le contestazioni in piazza a Milano sono di gruppi sporadici e nulla hanno a che vedere col sentimento collettivo. Letta si è assunto la responsabilità di una scelta difficile, in cui ritrovo il valore della politica: che non è quello di seguire le pulsioni dell’opinione pubblica, ma di cercare di guidarla, senza subalternità”.

Come giudica il silenzio imbarazzato della destra sul 25 Aprile, lei che lo ha celebrato come patrimonio di valori comuni di tutti i cittadini?
“Ho scelto di commemorarlo a Piombino, dove il sindaco è di Fratelli d’Italia e la giunta è di destra. Ho chiesto di invitare a parlare assieme a me il presidente dell’Anpi di Piombino, figura storica della sinistra. Questo è il 25 aprile che piace a me. Una destra che sa rinnovarsi e ritrova il valore nazionale del 25 Aprile e un mondo che rispetta il volere del popolo che ha scelto il sindaco di destra. Lo stare assieme su quel palco è il senso compiuto il 25 aprile. E attenzione, c’è un fattore importante”. [Continua a leggere]

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Buon 25 aprile!

postato il 25 Aprile 2022

L’intervento in occasione delle celebrazioni del 25 Aprile a Piombino con il sindaco della città Francesco Ferrari (Fdi) e il Presidente dell’ANPI di Piombino Mario Giannullo. 

Sono particolarmente lieto di celebrare la ricorrenza del 25 aprile qui con voi. Nei borghi di questa terra, così come in tante altre parti d’Italia, si è combattuto per realizzare un mondo di uomini liberi e per affermare il primato della dignità della persona umana contro la logica della violenza e della sopraffazione.
Ogni anno, in questo giorno, non possiamo che inchinarci con umiltà e commozione davanti al generoso sacrificio che ha accomunato tanti, giovani e non, del nostro Paese.

Ma oggi è anche un giorno di festa, in cui si celebra la rinascita della nostra Patria su basi nuove, il suo risveglio alla libertà, alla democrazia e alla pace.
I lunghi mesi tra il ’44 ed il ’45 costituirono per tutti gli italiani una prova durissima. Eppure, proprio allora, nelle loro coscienze si fece strada progressivamente un imperativo inderogabile: reagire all’umiliazione dell’occupazione nazifascista, dare nuova dignità all’Italia, trovarsi uniti nella lotta per la libertà e la democrazia.
Oggi festeggiamo questa rinascita civile e morale, da cui ha avuto inizio il processo che ha condotto alla Costituzione repubblicana. Una rinascita alimentata da valori che rappresentano ancora oggi un patrimonio comune di tutti i cittadini e fanno parte a pieno titolo del codice genetico dell’intera comunità nazionale.

Forse mai come quest’anno, alla luce dei drammatici avvenimenti in Ucraina, le celebrazioni del 25 aprile assumono un significato del tutto particolare. Ci offrono infatti la preziosa opportunità di riflettere su temi e ideali, quanto mai urgenti e attuali, da ricordare e trasmettere alle nuove generazioni. [Continua a leggere]

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Ucraina: «Kiev combatte pure per noi. Nato forte per avere la pace»

postato il 26 Marzo 2022

«Ucraina frontiera d’Europa, difende la nostra libertà e la democrazia. Va aiutata. Su Putin abbaglio collettivo, non si continui a chiudere gli occhi: è un aggressore e va fermato»

L’intervista di Alberto Gentili  pubblicata sul Messaggero

Presidente Casini, in Parlamento a Draghi è stato dato del falco, del guerrafondaio perché ha sostenuto la necessità di armare gli ucraini per difendersi dall’aggressione di Putin. Cosa ne pensa?
«È triste che in Italia si continuino a usare luoghi comuni e categorie del passato senza capire che il mondo ci impone dei mutamenti epocali. Draghi ha risposto in Parlamento in sintonia con il capo dello Stato, sapendo distinguere l’aggredito dall’aggressore e mostrando la solidarietà che si deve a un Paese che vive sul suo territorio un’invasione russa ed è martoriato con bombe che cadono a grappoli. E Draghi sarebbe un falco? Dico solo e semplicemente che questa è la risposta che le persone per bene e in buona fede devono dare».

Però Salvini dice che non riesce ad applaudire quando si parla di armi e Conte è ancora più critico…
«Mi sembra che in Italia molti uomini politici siano più preoccupati di coltivare il proprio orticello e le piccole rendite di posizione, piuttosto che guardare in faccia la realtà e svolgere analisi serie. Certo, è difficile davanti a un’opinione pubblica spaventata e a sacrifici che bisogna mettere in conto, dire la verità. La vecchia politica che tanto si critica aveva il coraggio di assumersi le proprie responsabilità: quando i sovietici puntarono gli SS20 contro le città italiane, fu una scelta dolorosa per Cossiga e Craxi decidere di installare gli euromissili in Italia. Ma quella scelta ha garantito l’equilibrio e la pace negli anni successivi». [Continua a leggere]

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