Perché dall’estero non investono in Italia?
postato il 24 Maggio 2012“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati
Nei giorni scorsi ho potuto parlare con alcuni amici che si sono trasferiti in Germania per lavoro e mi hanno detto che, facendo due conti, le tasse che pagano (come IRPEF) più o meno quanto pagherebbero in Italia.
Partendo da questo punto viene da chiedersi perché dall’estero si investa poco in Italia e quali sono i problemi degli imprenditori italiani ad investire in Italia, rispetto ad altre nazioni come la Germania.
La risposta la forniscono alcuni studi internazionali secondo i quali quello che penalizza l’Italia davvero sono quattro punti: la complessità burocratica, la minore produttività, la lentezza nei trasporti e il digital divide.
In particolare il “Global Competitiveness report 2011-2012” del World Economic Forum afferma che, in Italia, l’indice di complessità del quadro legislativo relativo all’applicazione delle regole misura 125 punti, contro i 17 della Francia, i 60 della Francia, i 12 della Germania, i 13 della Spagna. Secondo la società di Consulenza McKinsey ogni posto di lavoro nelle imprese estere crea maggiore valore aggiunto e ricerca che nelle imprese nazionali, citando a supporto di questa affermazione i dati dell’Istat, la quale afferma che nel 2009 il valore aggiunto medio per addetto delle imprese (ovvero la produttività per addetto) è pari a 33.700 euro contro i circa 65.000 euro delle imprese estere. Inoltre, a fronte di una spesa di 600 euro per addetto in ricerca e sviluppo da parte delle imprese nazionali, le imprese a controllo estero ne spendono in media 2.100. Guido Meardi della McKinsey ha anche ricordato che rispetto ai principali partner europei l’Italia nel periodo 2005-2011 è stata la peggiore nella capacità di raccogliere i flussi netti di investimenti diretti esteri in entrata, pari all’1,0% del Pil contro il 4,8% del Regno Unito, il 2,4% della Francia, il 2,6% della Spagna e l’1,3% della Germania. E sugli altri due punti (ovvero trasporti e digital divide) cosa possiamo dire? Secondo Nando Volpicelli, amministratore delegato di Schneider Electric Industrie Italia le nostre infrastrutture sono ridotte ai minimi termini, e addirittura il costo di trasporto per unità di prodotto (al netto della benzina) dallo stabilimento di Rieti della multinazionale transalpina è «di due euro più caro rispetto al Sud della Francia». In questo campo il recente provvedimento del governo Monti per sbloccare 100 miliardi di euro da investire nelle infrastrutture potrebbe essere un toccasana decisivo, infatti nel 1970 eravamo al terzo posto in Europa per dotazione autostradale in rapporto agli abitanti, ora siamo al quattordicesimo.
Ma a livello generale la situazione delle infrastrutture in Italia è alquanto carente: l’Italia è stato il primo Paese europeo a sperimentare l’Alta velocità ferroviaria nel 1970, ma oggi siamo indietro a tutti, infatti la Spagna ha 3230 chilometri di linee veloci, contro gli 876 dell’Italia. E a che prezzo, sta avvenendo quel recupero: 48,9 milioni di euro al chilometro, a fronte dei 10,2 milioni della Francia e dei 9,8 della Spagna. Per quanto riguarda i porti (ricordiamo che il 70% del traffico merci, viaggia su mare), tutti i principali porti italiani, per i loro problemi strutturali, hanno visto transitare nel 2009 meno container (9 milioni 321 mila teu, l’unità di misura del settore) che nel solo scalo olandese di Rotterdam (9 milioni 743 mila teu). Se guardiamo alla rete informatica, le cose non migliorano, consideriamo che la classifica 2010 di netindex.com sulla velocità media delle connessioni internet collocava l’Italia al settantesimo posto nel mondo, dietro Georgia, Mongolia, Kazakistan, Thailandia, Turchia e Giamaica.
Indubbiamente i punti sopra individuati sono delle catene che limitano le capacità dell’economia italiana e proprio per questo il governo Monti sta coniugando il rigore a delle riforme che abbattano queste catene: 100 miliardi di investimenti nelle infrastrutture, la semplificazione nel mondo del lavoro, e l’agenda per colmare il digital divide sono tutte iniziative che permetteranno di rilanciare l’economia italiana nel mondo.