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Perché la riforma delle pensioni s’ha da fare (subito)

postato il 2 Dicembre 2011

di Giuseppe Portonera

Una delle principali matrici di azione di questo Governo, come spiegato più e più volte dal Premier Mario Monti, sarà quella di fare la tanto annunciata quanto irrealizzata “riforma del sistema pensionistico”. In realtà la riforma del sistema previdenziale sarebbe dovuta essere approntata molto tempo fa, ma la nostra politica ha preferito sprecare anni e anni in interminabili e infinite discussioni ideologiche, con il risultato che, nella situazione straordinariamente delicata in cui ci troviamo ora, ci vediamo costretti a prendere provvedimenti decisi, senza mezze misure, in tempi stretti. Per questo serve una comune assunzione di responsabilità da parte di tutti: l’aumento dell’età pensionabile, il superamento del magico numero 40, il passaggio al sistema contributivo per tutti, l’abolizione delle pensioni di anzianità non sono misure “punitive”: sono “necessarie” per garantire una maggiore equità sociale, maggiori possibilità alle future (e presenti) nuove generazioni.

Come hanno spiegato gli economisti Tito Boeri e Agar Brugiavini, su Lavoce.info, il sistema attuale ha delle palesi situazioni di iniquità, che vanno eliminate, così come ci hanno chiesto anche Europa e Bce, non “per fare cassa, ma per equità”. Anche perché questa tipo di riforma agirebbe anche sul grande problema italiano (o meglio, uno dei tanti): la disoccupazione giovanile. Abbiamo, contemporaneamente, la quota più alta di giovani che non lavorano e non studiano al tempo stesso e quella di chi ha vite lavorative più brevi. Lavorando più a lungo, sostengono giustamente Boeri e Brugiavini, potremmo ridurre la pressione fiscale che grava sui giovani e aumentare assunzioni e rendimento dell’istruzione fra chi ha meno di 24 anni.

Del resto, sempre su lavoce.info, il neoministro per il Welfare, Elsa Fornero, non ha mancato di esporre la propria visione in materia e la propria preferenza verso una riforma netta che vada nella direzione indicata sopra: e questo, è ovvio, ci fa ben sperare. La Fornero, infatti, è un’esperta in materia, di indubbia qualità e competenza e ha sempre avuto un approccio alla questione estremamente razionale e non ideologico: in un articolo del 2007, commentando la proposta di riforma previdenziale avanzata dall’Ulivo, spiegava che “sarebbe un vero peccato se vertesse soltanto sullo scalone, che pure si può ammorbidire. A patto di saper progettare il futuro e di riaffermare il metodo contributivo, il punto forte della riforma del 1995. E l’unico in grado di garantire al tempo stesso sostenibilità finanziaria ed equità tra le generazioni”. Centrale, come vedete, è il concetto del sapere “progettare il futuro”: un futuro che si può costruire, pezzo dopo pezzo, solo se oggi i nostri padri (a proposito, date un’occhiata all’hashtag #caropadre) saranno disposti a rinunciare ad alcuni dei loro privilegi di oggi. Se così non dovesse essere, si potranno lamentare delle loro (anche magre, per carità) pensioni, ma non lasceranno ai propri figli neanche questo di cui lamentarsi: saremo la Generazione zero, zero lavoro e zero pensione. Senza questo tipo di riforma, possiamo dimenticarci ogni possibilità di crescita.

Perché, come recita un antico proverbio, le società crescono solo quando gli anziani piantano alberi sotto la cui ombra non riposeranno mai. La strada è questa, non esistono alternative: perché le pensioni tornino ad essere la giusta ricompensa per chi ha lavorato una vita, non un miraggio impossibile o un felice ricordo di un lontano passato, è necessario riformare il sistema previdenziale. Subito.

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La pericolosa navigazione del comandante Monti

postato il 1 Dicembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Mantovani

Dopo alcuni mesi di navigazione difficilissima, che hanno causato alla nave Italia danni chiaramente visibili, il nuovo Comandante Monti ha ora la responsabilità di oltrepassare lo stretto più pericoloso. L’Unione Europea e l’Euro seguono trepidanti la rotta, perché insieme all’Italia affonderebbero anche loro.

Da un lato c’è Scilla, il gorgo della politica monetaria espansiva e dell’inflazione, lo strumento in apparenza più semplice per allentare la tensione sul debito, quello utilizzato dagli USA. Prevede una BCE che acquista in modo illimitato il debito sovrano dei paesi Euro sotto pressione dei tassi, stampando di fatto moneta.

In breve tempo tutti i tassi nominali dell’Eurozona aumenterebbero, l’Euro si deprezzerebbe e con esso il debito pubblico. La Germania, costretta ad una politica inflattiva, potrebbe decidere di uscire dall’Euro e qualche Stato la seguirebbe, adottando il SuperMarco. Oppure potrebbe costringere ai paesi più deboli di uscire e ritornare alle valute nazionali. Non esistono i meccanismi per gestire la spaccatura dell’Euro ed i danni sono difficilmente calcolabili ma inevitabili, come sempre nelle situazioni d’incertezza.

Dall’altro lato c’è Cariddi, il mostro recessivo alimentato dalla politica di austerità, che per ottenere risultati a breve taglia la spesa ed aumenta le tasse, deprimendo l’economia e rischiando una spirale nella quale i redditi diminuiscono ed il debito pubblico non scende. La Germania sostiene che loro sono riusciti ad evitare questa spirale, ora tocca a noi fare altrettanto. Ma se oltre a greci si ribellassero alla cura teutonica i cittadini italiani e poi gli spagnoli e infine i francesi, chi avrebbe la forza di governare la situazione? Anche in questo caso si assisterebbe ad un’implosione dell’Eurozona e della UE.

Se l’Europa unita avesse scelto per tempo, diciamo un paio d’anni fa, una delle due vie, ora non avrebbero ora le sembianze dei due mostri mitologici. Oggi invece Monti è chiamato a navigare nel mezzo, con una nave che ha vele ancora potenti, ma uno scafo piuttosto malandato.

Le misure del suo governo non devono apparire soltanto i mezzi per quadrare i prossimi bilanci, ma rappresentare un modello di riforma che ogni paese europeo in difficoltà può e deve adottare. Un modello che alleggerisce lo Stato, chiede sacrifici a tutti indistintamente e consente all’economia privata di ripartire, facendo crescere i redditi reali da lavoro e l’occupazione.

Per poter navigare al centro del terribile stretto le misure di rigore devono essere accompagnate da una politica monetaria comunque espansiva, pur evitando i temuti eccessi in stile FED.

Il passaggio senza naufragare dipenderà anche dal fatto che la manovra del 5 dicembre sia percepita come dura ma giusta, che colpisca tutti gli italiani ed in particolare coloro che negli anni passati sono rimasti indenni dai sacrifici. Più le soluzioni tenderanno a rendere omogenee le regole nell’Eurozona, più sarà possibile guidare l’economia continentale fuori dalle secche e creare nei prossimi mesi istituzioni europee più solide.

Ma oltre a Scilla e Cariddi il Comandante Monti dovrà evitare il pericoloso canto delle infinite Sirene che gli chiedono di alleggerire, di spostare, di rinviare i provvedimenti. Quelli che dicono che tanto, come sempre, ce la caveremo. Lui e i suoi marinai si leghino all’albero e si tappino le orecchie – come fece Ulisse – e vadano avanti, senza ascoltare nessuno.

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Toscana, 225 anni senza pena di morte

postato il 30 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Lorenzo Mazzei

Era un giorno come tanti nel Granducato di Toscana ma in pochi ebbero la consapevolezza che quel 30 novembre del 1786 sarebbe passato alla storia. Quel giorno  il Granduca di Toscana, Pietro Leopoldo di Lorena, in carica dal 1756, emanò la Riforma Penale,  con questa riforma, che diventerà monumento e gloria del Granduca, la Toscana diventò il primo stato al mondo in cui veniva abolita completamente la pena di morte, uno degli atti più vigliacchi del genere umano, usato da ogni stato dell’epoca e che Pietro Leopoldo definì una pratica “conveniente solo ai popoli barbari“. Con l’abolizione della pena di morte veniva anche abolita la tortura e la mutilazione delle membra.

Questa legge, in parte ispirata al Codice Giuseppino, prese spunto soprattutto dalle concezioni filosofiche dell’Illuminismo ed in particolare alla più famosa opera dell’Illuminismo Italiano “Dei delitti e delle pene” scritto da Cesare Beccaria e pubblicata, per la prima volta sempre in Toscana, a Livorno, nel 1764.

Grazie a questa legge il Granduca comandò la “demolizione delle Forche ovunque si trovino” ed ogni strumento di tortura che vennero poi bruciate, in maniera molto spettacolare per segnare la nascita di una nuova epoca e di una nuova concezione.

Dall’anno 2000  la regione Toscana celebra in questo giorno  la Festa della Regione Toscana, in omaggio a tutti coloro che si riconoscono nei valori della pace, della giustizia e della libertà nella speranza che nel più breve tempo possibile la pena di morte sia abolita in ogni angolo della terra.

Grazie Toscana.

 

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E’ morto il sarto di Ulm

postato il 30 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Per la sua “possibile storia del Pci” Lucio Magri pensò al sarto di Ulm, all’apologo di Bertold Brecht sulla triste vicenda di Albrecht Berblinger, il sarto che volendo volare precipitò giù dalla cattedrale con le sue ali finte. Nel racconto di Brecht il vescovo che mette alla prova il sarto di Ulm alla fine sentenzia perentorio: “mai l’uomo volerà”. Forse nel suo viaggio verso la Svizzera, in questi ultimi anni bui dopo la morte della moglie, Magri avrà ripensato a questa tragica sentenza come metafora triste della storia dei comunisti italiani, ma anche della sua esistenza. Solo questo può provare a spiegare il suicidio di un uomo di 79 anni, ma è una spiegazione che genera comunque angoscia. Davanti all’estremo gesto di Magri è necessario un silenzio rispettoso, che allontani le polemiche estemporanee sulla moralità degli atti, ma che comunque deve suscitare la riflessione per quanti restano. Sì, l’estremo gesto di Magri interroga noi che restiamo, non esclusivamente sui temi eticamente sensibili, ma sul senso della vita, sulla felicità, sui nostri rapporti, sul mondo che abbiamo costruito. La complessa figura di Magri mi ha riportato alla mente il bel film di Ettore Scola “la Terrazza” dove uno straordinario Vittorio Gassman nei panni di un deputato comunista adultero in crisi interroga un’austera platea congressuale chiedendo: “è lecito essere felici, anche se questo crea infelicità?”. La domanda di Magri probabilmente è la stessa del compagno in crisi del film di Scola, ma anche la reazione degli astanti sembra la stessa: l’assemblea tace perplessa.

 

 

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Giovani, è ora di cambiare passo.

postato il 29 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Anna Giunchi

Qualche giorno fa è arrivato un messaggio molto chiaro, a firma del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco: “Il capitale umano e l’investimento in conoscenza rappresentano una variabile chiave nella nostra azione di politica economica”.

“I giovani”, e a pronunciare queste parole è lo stesso Visco: “sono stati i più danneggiati dall’introduzione dell’Euro”. “Non c’è una ricetta per uscire dalla crisi”, conferma lo stesso Visco, “se non quella di ascoltare i giovani, di dare loro concrete speranze”.

I giovani che attualmente si affacciano sul mercato sono infatti esclusi dai benefici della crescita del reddito degli ultimi decenni: non vengono infatti valorizzate le risorse umane, ovvero quegli aspetti di valore racchiusi nella professionalità e nelle competenze del personale operante.

In Italia i differenziali salariali a parità di livello di istruzione non solo sono inferiori a quelli degli altri Paesi, ma coinvolgono in misura maggiore i giovani lavoratori che non gli anziani.

I nostri ragazzi hanno retribuzioni ferme da almeno dieci anni: non vengono valorizzati, insomma, come capitale umano.

La situazione dell’istruzione in Italia è tristemente nota: negli ultimi anni si è investito il 2,4% del Pil in scuola e università, contro il 4,9% degli altri paesi. Nel 2010 in Italia, inoltre, gli insegnanti con meno di 40 anni erano solo il 9%, a differenza del 25% in Germania, del 34% in Francia e dell’oltre 40% del Regno Unito.

Già il Consiglio Europeo di Lisbona, nel 2000, ribadì che la più importante economia dell’Unione Europea sarebbe stata possibile soltanto se l’istruzione e la formazione avessero avuto ruolo preponderante come fattori di crescita economica, nonché di ricerca, innovazione, competitività, sviluppo sostenibile e cittadinanza attiva.

Il contributo dell’istruzione e della formazione alla crescita è stato ampiamente riconosciuto dal Consiglio di Lisbona: le stime suggeriscono che investimenti nell’istruzione e nella formazione producono tassi di ritorno agli individui (ritorno privato) e alla società (ritorno sociale) comparabili all’investimento nel capitale fisico.

La crescente quota di servizi economici, i continui cambiamenti tecnologici, l’aumento di conoscenze/informazioni insite nel valore della produzione, nonché la ristrutturazione socio-economica renderebbero oggettivamente ancor più proficuo un simile investimento.

Un invito, dunque, ad un cambio di passo, verso un’ Europa che non aspetta.

 

 

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L’Udc vola nei sondaggi

postato il 28 Novembre 2011

Sembra passato un secolo da quando Silvio Berlusconi, che non aveva digerito il rifiuto dei centristi ad annullarsi nel calderone del Pdl, cercava di intimorire i dirigenti dell’Udc diffondendo sondaggi che davano il partito di Pier Ferdinando Casini sotto la fatidica soglia del 5% e quindi fuori dal Parlamento. Sappiamo tutti che le elezioni politiche del 2008 non andarono così e l’Udc, in barba al bipartitismo di Veltroni e Berlusconi, riuscì a mandare una nutrita pattuglia di deputati alla Camera e tre siciliani al Senato. Ma il 5,6% raccolto in quella tornata elettorale era destinato a crescere come le ragioni dell’Udc che giorno per giorno erano confermate dal progressivo disgregamento del duopolio politico creato da Berlusconi e Veltroni. La crescita dell’Udc in termini di voti ma soprattutto in termini di credibilità politica è stata confermata dalle elezioni europee del 2009 (6,5%) e dalle successive tornate elettorali amministrative che hanno visto l’Udc entrare in molte amministrazioni locali grazie anche ai suoi buoni e spesso determinanti risultati elettorali. Ultimamente sono i sondaggi d’opinione a premiare l’Udc: nel mese di Novembre istituti demoscopici come Lorien, EMG ed Euromedia hanno segnalato l’Unione di Centro sopra il 7%, ma il dato secondo altri istituti è destinato a salire tanto che l’istituto Demopolis fa salire l’asticella a quota 8,2% e Termometro politico per il quotidiano La Stampa segnala un clamoroso 10,4%.  Chiaramente questi sono solo sondaggi e, a differenza di altri, la dirigenza dell’Udc li ha guardati con soddisfazione ma senza fare inutili e ridicoli proclami di vittoria. I risultati confortanti di cui ci parlano i sondaggi sono il frutto di una politica di responsabilità e moderazione, che ha fatto percepire agli italiani l’Udc come il partito che ha cuore soltanto il bene dell’Italia e degli italiani, e fanno il paio con l’alto gradimento nel corpo elettole del nuovo esecutivo guidato da Mario Monti . La crescita dell’Udc e l’alta fiducia in Mario Monti sono un segno inequivocabile della volontà degli italiani di voltare pagina e di aprire una stagione dove moderazione e responsabilità siano le protagoniste, indipendentemente dagli attori politici.

Adriano Frinchi

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Il cuore di piazza Tahrir

postato il 28 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Piazza Tahrir è un simbolo. E’ il cuore pulsante di una lotta per il pane e di una sete inestinguibile basata sull’inesprimibile desiderio di umanità, libertà e dignità presente nell’animo umano. Piazza Thair è diventata un simbolo quando  i giovani blogger e le donne del movimento 6 aprile sono riusciti a portare migliaia di persone in piazza a protestare contro il regime trentennale di Hosni Mubarak.  Piazza Tahrir è diventata un simbolo quando  musulmani e cristiani si sono uniti per una preghiera interreligiosa per la prosperità e il futuro dell’Egitto.

In prossimità delle elezioni legislative di nuovo Piazza Tahrir è occupata. L’approvazione, pur in via referendaria, della nuova costituzione, è uno dei motivi che ha deluso il cuore dei giovani di Piazza Tahrir, impauriti che la modifica di qualche emendamento della vecchia costituzione non fosse abbastanza per dimenticare trent’anni di regime e non segnasse una vera svolta, come invece poteva essere l’abolizione dell’articolo 2 richiesto da molti giovani islamici moderati e dai cristiani copti e cioè l’abolizione di una nazione di ispirazione islamica in cambio di un entità statale laica. La nuova piazza Tahrir  ha conosciuto 41 morti secondo le stime ufficiali tra cui un bambino di dieci anni colpito alla testa da un proiettile e  un giovani con il cranio schiacciato.  Bothaina Kamel, la prima donna dopo Cleopatra ad aspirare a guidare la terra delle Piramidi è stata arrestata e poi rilasciata. Ma in Egitto in queste ore è soprattutto polemica per il presunto uso di gas tossici. Il premio Nobel ed ex direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica Mohammed El Baradei ha accusato il governo, che ha risolutamente negato,  del possibile uso del lacrimogeno Cr, sostanza dal forte impatto immediato che causa spasmi muscolari e può avere nel tempo effetto cancerogeno, gas vietato nel 1993 dalla convenzione sulle armi chimiche di Parigi.

Oggi si svolgeranno le elezioni legislative in un Egitto guidato da una giunta militare che comunque resterà al potere fino alla primavera del 2013, data delle elezioni politiche presidenziali. Le elezioni legislative di oggi, se si svolgeranno, potranno essere un’opportunità per avviarsi sul cammino difficile di una pacificazione e di una democrazia che noi tutti auguriamo all’Egitto. Prima di concludere, vorrei ringraziare la giornalista di Radio Popolare Marina Petrillo e il suo impegno nel riportare minuto per minuto l’Egitto e la Primavera Araba con l’utente twitter AlakaRp che invito a seguire, quasi più efficiente della nostra Farnesima ma attenzione perché adesso il nuovo ministro Giulio Terzi ha deciso di cinguettare con noi e chissà che non possa stupirci.

 

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La colletta alimentare, grande spettacolo di carità

postato il 27 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Ci sono delle esperienze e delle presenze che a volte si fanno tangibili. L’uomo non può che aprirsi ad esse e riconoscerle. Ieri, 26 novembre 2011 è stata  la giornata nazionale della Colletta Alimentare, un gesto significativo di solidarietà  giunto alla quindicesima edizione che si è svolto in oltre 7.600 punti vendita su tutto il territorio nazionale, con circa 120.000 volontari e una raccolta stimata in 9.000 tonnellate di cibo che sarà distribuita ai 3 milioni di famiglie italiane che risultano sotto le soglie Istat della Povertà. Un pacco di pasta, una scatola di legumi o di zucchero,  per noi una spesa insignificante, per molti una realtà fondamentale. Tutto parte quindici anni fa dal coraggio di un sacerdote, Don Mauro Inzoli, presidente del Banco Alimentare.

Ho avuto l’occasione di ascoltare direttamente la testimonianza di Don Mauro in una recente conferenza svoltasi all’auditorium di Cernusco. Raccontava Don Mauro che anni fa aveva presentato in Parlamento l’iniziativa della colletta alimentare e si era diretto a Montecitorio abbastanza spaventato: in un posto dove spesso capita, purtroppo, che un gruppo proponga un’idea e necessariamente questa idea venga rappresentata sotto una luce negativa da un altro gruppo, si aspettava di certo di ricevere qualche critica o qualche “ah”. Improvvisando, si mise a parlare dell’Educazione impartita da sua nonna. “Quando qualcuno bussava alla mia casa a chiedere qualche elemosina, mia nonna dal portico mi diceva “Corri”. Solamente la parola “Corri” e nient’altro. Io mi precipitavo in cucina e preparavo una misura di farina, ma non come faceva il venditore, scuotendo gli strumenti perché ce ne andasse giusto il necessario, ma anzi schiacciando la farina con le mie manine di bimbo perché potesse andarcene sempre di più”. Inaspettatamente, da ogni ala del palazzo, indipendentemente dal colore politico, si era levato un coro di applausi.

C’è dunque qualcosa  nei cui confronti l’uomo non può che piegarsi e riconoscere una Presenza. Attenzione: non illudiamoci che carità significhi  dare una monetina all’indigente “Se anche dessi tutti i miei beni ai poveri, ma non avessi la Carità non sono nulla” (Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi) essa in realtà è un atteggiamento di vita!  Valore che in tempo di crisi economica è segno di una volontà e di un futuro come  presente nella magistrale enciclica “Caritas in Veritate” di Benedetto XVI, che vi invito a rileggere. Il manifesto della colletta alimentare così recita: “La confusione e lo smarrimento, in questo tempo di crisi, sembrano diventati lo stato d’animo più diffuso tra la gente. Imbattersi, però, in volti lieti e grati, per la sorpresa di essere voluti bene, scatena un desiderio e un interesse che trascinano fuori dal cinismo e dalla disperazione. Per questo anche quest’anno proponiamo di partecipare alla Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, perché anche un solo gesto di Carità Cristiana, come condividere la propria spesa con i più poveri , introduce nella società un soggetto nuovo, capace di vera solidarietà e condivisione del destino dei nostri fratelli uomini”.

PER APPROFONDIRE

Colletta alimentare: cosa è.

Testimonianze.

INVITO ALLE LETTURA

Articolo di Giorgio Vittadini, presidente Fondazione Sussidiarietà: la ragione profonda della Carità.

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Perché #lacquadelsudnonsivede? Per un uso responsabile di Twitter

postato il 26 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Avevo, colpevolmente, mancato la lettura dell’ultimo post che Dino Amenduni ha scritto per il suo blog sul Fatto Quotidiano. As usual, si tratta di un interessante approfondimento sul rapporto che intercorre tra l’uso dei social network e il loro corrispettivo “buon utilizzo”: è un tema che merita un’analisi completa e attenta. Per Dino, è necessario utilizzare “responsabilmente” i vari strumenti che il Web ci mette a disposizione, Twitter e Fb in primis, perché “i social media offrono possibilità inedite e questo non può essere mai ignorato dagli utenti. Eppure accade molto spesso. Specie quando si usano gli strumenti della Rete in modo istintivo, irrazionale, im-mediato”. La “responsabilità” sta proprio in questo, quindi, nel rendersi conto che Twitter, insieme agli altri social network, è ormai “lo strumento ideale per rendere visibili sentimenti collettivi” e che pertanto non può essere utilizzato in modo decontestualizzato, quasi fosse solo un sfogatoio o un pensatoio raccogli pensieri. Del resto, come abbiamo sempre sostenuto anche noi, i social media – come ogni altro mezzo di comunicazione – sono di per sé “neutri”: è l’utilizzo che il proprio bacino di utenza ne fa, a caratterizzarli come strumenti utili e innovativi o come inutili e passivi o addirittura pericolosi.

Già in occasione della tragica alluvione di Genova di qualche settimana fa, proprio su questo blog, avevo sottolineato come, in situazioni difficili e di emergenza, un uso maturo e responsabile dei social network fosse, oltre che utile, anche “positivamente impressionante” (per riprendere la definizione di @robertorao). Twitter aveva agito da acceleratore, catalizzando tutta la tensione emotiva dei vari utenti e spianando la strada alla libera e rapida circolazione di informazioni dirette (anche se, come ha sottolineato @_arianna, il rischio di “autoreferenzialità” era forte) e dando l’opportunità a ciascuno di noi di “renderci utili”. Lo stesso virtuoso meccanismo, purtroppo, non si è ripetuto con l’altrettanto terribile alluvione di qualche giorno fa in Sicilia e Calabria: il flusso di tweets è stato notevolmente inferiore e l’unico hashtag che è arrivata in TT, rimanendoci tra l’altro per pochissimo tempo, è stata #Saponara; mentre è nata un’altra hashtag (giustamente?) polemica, #lacquadelsudnonsivede. Ci troviamo, in sostanza, di fronte a due casi (quasi) paralleli: due terribili inondazioni, due terribili occasioni di morte, ma due – purtroppo – trattamenti mediatici differenti. Perché? Ha ragione Francesco Merlo, che – su Repubblica – ha sostenuto che è tutto passato inosservato perché “non c’è persona che non pensi che aiutare il Sud possa risultare pericoloso”? Davvero la tragedia di Genova ci ha coinvolti perché ha colpito una terra “virtuosa”, mentre quella che ha colpito Messina no, perché il nostro Sud è visto come un “luogo dove la disgrazia è considerata endemica”?

Io continuo ad augurarmi di no. Mi sforzo di pensare che ci siano altri motivi, altre spiegazioni. In attesa di trovarli, voglio però riflettere su un dato a mio parere fondamentale: l’alluvione messinese è passata inosservata non solo sui “newmedia”, ma anche su quelli tradizionali, sui giornali, sui tg; l’esatto opposto era invece avvenuto per Genova: migliaia di tweet, grandi paginate e lunghi servizi. Esiste dunque un rapporto di reciproca influenza tra new e old media? Ecco, secondo me questo si inscrive perfettamente nella discussione di cui sopra: l’utilizzo responsabile dei social media dovrebbe misurarsi anche sui parametri dell’indipendenza che questi dimostrano di avere nei confronti degli altri canali di comunicazione. Sono convinto, infatti, che se gli utenti twitter avessero puntato la loro attenzione su #Saponara, i quotidiani e i telegiornali se ne sarebbero dovuti accorgere, per forza (per quella celebre storiella del “popolo-della-rete”). E invece questo non è successo. L’acqua del Sud, per l’appunto, non si è vista, è finita in secondo piano. Ma gli utenti twitter italiani non l’hanno considerata meritevole di attenzione fino in fondo di loro sponte o perché sono state, prima di loro, le principali agenzie comunicative a relegarle a terza o quarta notizia?

Questo è una domanda che giro a voi. Di una cosa sono certo, però: la Rete non può essere “regolamentata” da agenti esterni; il processo di “responsabilizzazione” deve essere interno e automatico, deve nascere direttamente dagli stessi utenti. La consapevolezza di avere tra le mani uno strumento dalle potenzialità infinite deve essere accompagnata dalla comprensione che il suo utilizzo deve essere “competente”, deve essere “attento”. È indubbiamente difficile, però, come spiega bene Dino, “bisogna provarci, sapendo che i social media costruiscono e distruggono con la stessa potenza e facilità”.

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Germania, Usa e Cina hanno il fiato corto? Qualche preoccupazione nei mercati finanziari.

postato il 23 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi giorni le cronache finanziarie hanno presentato molte notizie negative che hanno riguardato tre economie che sembravano in piena ripresa: Stati Uniti, Germania e Cina. Ovviamente questo avrebbe ripercussioni sull’Italia e sui nostri risparmi.

Volendo riassumere, quali notizie hanno colpito i mercati?

Intanto, l’asta dei BUND a 10 anni, i titoli di stato tedeschi, è andata male tanto che hanno fatto registrare una quota di invenduto pari al 35% e rendimenti sottilissimi (1,98%), ed infatti la Bundesbank e’ stata costretta a intervenire per evitare esiti negativi clamorosi.

La cancelliera tedesca Angela Merkel ha sostenuto che è stato effetto solo del nervosismo dei mercati finanziari e probabilmente è vero, ma nulla vieta di ipotizzare che questo nervosismo sia legato ai problemi che potrebbe vivere a breve la Deutsche Bank, la più grande banca tedesca. Secondo un articolo di Simon Johnson apparso su Bloomberg, proprio la banca tedesca potrebbe essere il veicolo definitivo del contagio della crisi facendola. Cosa dice l’articolo, ripreso anche da Wall Street Italia? La Deutsche Bank presenta due rischi: da un lato possiede moltissimi titoli di stato altamente rischiosi, come quelli della Grecia, dall’altro lato è anche esposta in maniera rilevante al settore immobiliare statunitense. Eppure se si pensa alla Deutsche Bank, la gente pensa ad un colosso finanziario, in realtà si tratta di un gigante dai piedi di argilla: a fine settembre 2011 i suoi asset totalizzavano 2,28 trilioni di euro, ma aveva una capitalizzazione esigua (ovvero aveva poco capitale proprio rispetto a tutto il capitale detenuto e investito) inoltre in America è un fiduciario importante di mutui, tramite la Taunus, che però ha bisogno di circa 20 miliardi di dollari per soddisfare i requisiti patrimoniali richiesti dalle Authority americane. Per evitare questo esborso finanziario, hanno cercato di declassare lo status della sua filiale da banca a holding, ma nessuno sa come sia finita la vicenda. Fa anche pensare la posizione assunta da Paul Achleitner, direttore finanziario della compagnia assicurativa Allianz nonché ex dirigente di Goldman Sachs, che ha recentemente ammesso  di essere preoccupato per questa situazione.

Altra fonte di preoccupazione per i mercati è la Cina: l’indice Hsbc che misura l’andamento del settore manifatturiero cinese è sceso al di sotto del livello che demarca la recessione e questa notizia segue altre notizie di analoghi rischi per la Cina pubblicati nei giorni scorsi . Da mesi la congiuntura del Dragone deve fare i conti con una serie di fattori domestici e internazionali che rischia di rallentarne lo sviluppo: la politica monetaria restrittiva promossa dalla banca centrale negli ultimi 18 mesi; la profonda incertezza che grava sul settore immobiliare; il raffreddamento della domanda mondiale che penalizza l’export del made in China. Quest’ultimo fattore è sicuramente quello che preoccupa maggiormente Pechino perché sfugge al suo controllo, e perché lo stato di salute dell’economia cinese dipende dal quadro clinico del ciclo globale.

Ma quello che preoccupa davvero in Cina è il rischio contemporaneo di due bolle: quella immobilaire e quella finanziaria. Quella immobiliare è particolarmente grave perché il mattone offre lavoro alla manodopera non specializzata che ancora abbonda in Cina, contribuendo così a garantire l’ordine sociale. La bolla immobiliare cinese tende a gonfiarsi e a diventare cronica per la mancanza di alternative d’investimento: i “nuovi ricchi” non investono in borsa e si sono buttati sul mattone, ma oggi i cinesi benestanti si rendono conto che il loro investimento sta perdendo valore. Si prefigura una nuova ragione di attrito tra il governo e il blocco sociale che, arricchendosi alla sua ombra, l’ha finora sostenuto, tanto che ad ottobre una quarantina di proprietari hanno protestato presso la sede del gruppo immobiliare Greenland di Shanghai. Chi protestava ce l’aveva con la svalutazione delle proprie case (-28%) e con la svendita a minor prezzo di appartamenti uguali ai loro da parte della società. A questi rischi si aggiungono i moniti del FMI che recentemente ha messo in guardia la Cina su possibili “fragilità” del suo sistema finanziario, in quanto le banche cinesi, che sono abbastanza robuste da sostenere crisi isolate, non riuscirebbero a sostenere crisi composte derivate da sovraesposizione ai crediti, bolle immobiliari, valore della moneta.

Infine i problemi degli Usa, dove gli esperti dell’Università del Michigan e di Reuters hanno deciso di rivedere al ribasso l’indice sulla fiducia dei consumatori statunitensi del mese di novembre a 64,1 punti dai 64,2 della lettura preliminare. Il dato è inferiore alle attese degli analisti che si aspettavano una revisione al rialzo a 64,5 punti, mentre la spesa per consumi ha registrato una crescita dello 0,1% rispetto al mese precedente, inferiore dunque alle attese degli analisti (+0,3%). Da registrare anche la resa della super commissione bipartisan Usa, che doveva approvare i provvedimenti di rilancio dell’economia statunitense, ma che ha gettato la spugna perchè non ha trovato un accordo al suo interno.

 

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