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Il futuro di internet potrebbe parlare italiano

postato il 7 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Il prossimo motore di ricerca su Internet potrebbe parlare italiano

grazie a Massimo Marchiori che promette di rivoluzionare i motori di ricerca.

Il suo algoritmo iniziale (che ideò circa 10 anni fa) è la base della struttura di Google: senza Marchiori, google non esisterebbe (fu Larry Page a vedere l’algoritmo e intuendone la genialità propose a Marchiori di poterlo usare). Dopo avere lavorato negli USA è tornato in Italia e ha provato a mettere su una sua iniziativa. Attualmente lavora per 2000 euro al mese per l’università di Padova, e ha fondato una sua piccola società, con la quale ha lanciato un nuovo motore di ricerca che rivoluzionerà (afferma) il mondo di internet e dei motori di ricerca.

Questo nuovo motore di ricerca consente di creare una mappa personalizzata del sito stesso in consultazione utilizzando gli elementi che ospita, inoltre permette un’immediata visualizzazione dei contenuti multimediali per effettuare rapidamente delle ricerche. Ma il punto più importante è la possibilità di vedere chi e quanti lo stanno consultando nello stesso momento, o lo hanno consultato, e entrare  in contatto con loro. «È questo un modo prezioso per fare amicizia con persone che hanno i nostri stessi interessi; è cioè una possibilità straordinaria di socializzazione».

Per realizzare tutto questo, Marchiori ha creato una società (www.volunia.com) che ha incontrato tantissimi problemi legati sia alla burocrazia (due mesi per avere l’allacciamento alla rete elettrica da parte dell’ENEL….) e legati all’arretratezza della rete informatica italiana; addirittura Telecom sostenne che non poteva connettergli i computer alla rete, come racconta lo stesso Marchiori: “Quando dovevo collegare i computer, Telecom mi informava che non poteva perché nel condotto non c’era spazio per un altro cavo. Sono stato costretto a installare una parabola e attivare una connessione radio con un fornitore remoto che supplisce ai disservizi delle reti normali.”

Se azzerassimo il famoso digital divide, se vi fosse stata la disponibilità della rete a banda larga e ultralarga, avrebbe avuto molti meno problemi (ci sono voluti 4 anni per metter in piedi la sua piccola società). E’ un italiano geniale, giovane, che lavora e genera sviluppo; e dobbiamo aiutarlo, e oltre a lui aiutare tutti gli italiani geniali, con voglia di lavorare e che sono “castrati” dalle carenze infrastrutturali italiane.

Per questo motivo, oltre a dettare i tempi dell’agenda digitale, bisogna dare certezza dei fondi; e siccome i fondi necessari sono circa 10-15 miliardi per abbattere il digital divide e potenziare al rete italiana, e i fondi pubblici stanziati in passato sono solo 800 milioni, io aggiungerei nella proposta, di usare una parte dei fondi FAS che, a vario titolo, giacciono inutilizzati (per mancanza di progetti e/o altro genere di problemi). Potenziare le infrastrutture informatiche, infondo, permetterebbe di sviluppare tutta l’Italia e soprattutto le aree più disagiate del nostro paese (è innegabile che le zone economicamente più svantaggiate sono anche quelle dove è maggiore la carenza di infrastrutture tecnologiche adeguate a cominciare dalle possibilità di connessione alla rete).

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Storie ordinarie di digital divide

postato il 6 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

Non ho mai disdegnato l’idea di vivere in un piccolo paesino di una altrettanto piccola regione come la Basilicata. Certo, le difficoltà sono molte, come la necessità dell’automobile, le scuole lontane, l’essere pendolare. Tuttavia, con l’ottimismo e con la convinzione di vivere in un paese dove persiste “l’aria buona”, ho sempre accettato queste difficoltà con spirito positivo. Tutte, tranne una: il non poter usufruire di internet veloce. Ebbene sì, faccio parte di quei 2,3 milioni di italiani del tutto privi di copertura internet, senza la possibilità di godere di una connessione internet davvero veloce, costretta a ripiegare su molto meno convenienti soluzioni. Dopo sfortunate esperienze con vari operatori telefonici per sopperire all’assenza della copertura della banda larga, sono giunta ad un’ovvia e sconsolata conclusione: ebbene sì, in Italia esiste ed è forte il problema del digital divide. Siamo alle solite, ad un’Italia che corre su due binari: l’uno prosegue spedito verso il progresso, l’altro retrocede verso l’oblio e approda nella stazione del mancato sviluppo.

Purtroppo, questo mancato sviluppo lo si avverte nella vita quotidiana di un piccolo paese: disservizi e ritardi nelle operazioni alle poste, impossibilità di fruire di servizi internet per le piccole imprese, isolamento totale. Un isolamento che appare ironico e beffardo in un mondo globalizzato, capace di azzerare le distanze tra nazioni e continenti, e non tra paesi della stessa Italia. Questo per la miopia di una politica, incapace di intuire che nell’accessibilità ad internet veloce si Può nascondere una grandissima possibilità di sviluppo e investimento. Rendendo efficienti anche i territori più periferici (che costituiscono la vera Italia, fatta di piccoli centri, e non soltanto di grandi città), si potrebbero aprire nuove zone d’investimento, invogliare gli imprenditori ad investire in piccole imprese, anche in centri di modeste dimensioni, naturalmente con adeguate condizioni infrastrutturali.

E far sì che tutta l’Italia possa godere di un’adeguata copertura ADSL, significa fornire già il primo mattoncino per una nuova economia, per aprirsi al nuovo mondo e alle nuove tecnologie.


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La necessaria riforma dell’art. 49 della Costituzione

postato il 6 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Davanti alla penosa vicenda dell’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi ci sono due reazioni deprecabili tanto quanto il reato commesso: la prima è liquidare la vicenda con un tristemente famoso “è un mariuolo isolato” e continuare a far finta di niente, la seconda è buttarla nella solita cagnara populista con tanto di Banda Bassotti di contorno come fa il Fatto Quotidiano. Minimizzare e abbandonarsi  al furor giacobino sono due reazioni opposte ma che hanno il medesimo risultato: non cambiare niente. Il recente passato ne è una testimonianza: tanto baccano all’indomani di Tangentopoli e poi, fatto passare un po’ di tempo, si è tornati a rubare meglio e più di prima.

Cosa fare per evitare nuovi casi Lusi? E’ sufficiente intervenire nuovamente sul finanziamento pubblico ai partiti? E’ importante dire subito che non bastano piccole modifiche o soluzioni provvisorie, ma oggi più che mai occorre affrontare il problema della regolamentazione giuridica dei partiti. Per far ciò occorre mettere mano all’articolo 49 della Costituzione che risente ormai del mutato quadro storico-politico; in altri termini è necessario salvare i partiti o meglio restituirgli dignità. Restituire dignità ai partiti significa ridare a questi quel ruolo di raccordo fra i cittadini e le istituzioni, che è fondamentale in una democrazia pluralista e che, proprio per questo motivo, non può più essere sottratto ad una regolazione dei partiti in forme autenticamente democratiche ed aperte al controllo dell’opinione pubblica e della legge. I partiti devono rinunciare ad una parte del loro arbitrio, subordinandosi a regole certe e trasparenti, devono altresì tornare a svolgere la loro funzione nella democrazia italiana, ritornando ad essere autenticamente soggetti democratici subordinati a regole certe e trasparenti mediante la pubblicità dei loro statuti e soprattutto  dando reale potere ai loro iscritti ed elettori. Una operazione di questo genere oltre che necessaria è richiesta dall’Europa, infatti il diritto comunitario prevede che un partito politico a livello europeo per accedere ai finanziamenti debba avere personalità giuridica nello Stato membro in cui ha sede.

Già don Luigi Sturzo che della lotta alla partitocrazia, una delle tre «malebestie» che già allora inquinavano la democrazia italiana con lo statalismo e l’abuso del denaro pubblico, ne aveva fatto una battaglia e propose nel 1958 un disegno di legge per dare ai partiti, allora come oggi mere associazioni di fatto, una personalità giuridica attraverso il deposito dello statuto alla cancelleria del tribunale civile del luogo in cui hanno sede legale, ed obbligarli  ogni anno a presentare alla stessa il rendiconto delle entrate e delle uscite. Altra regolamentazione prevista da Sturzo era la rendicontazione delle spese elettorali dei candidati davanti al tribunale.

Ma non è necessario andare al 1958 per trovare qualche buona soluzione ai problemi della partitocrazia senza partiti, sarebbe sufficiente riprendere in mano, anche semplicemente per aprire un ragionamento, sul ddl n. 2416 presentato dal senatore Gianpiero D’Alia e dal senatore Marco Follini nell’ottobre 2010. Il disegno di legge del presidente del gruppo Udc-Autonomie e del senatore del Pd è articolato in 10 articoli che qualificano i partiti come associazioni riconosciute con personalità giuridica, definiscono i requisiti di “democraticità” e modalità per essere riconosciuti, stabiliscono non solo un tetto alle spese elettorali e la nominatività dei titoli appartenenti al partito ma anche una commissione ad hoc presso il Ministero dell’interno per il controllo di tali spese, con la possibilita` di controllare e di conoscere i bilanci dei partiti politici e le spese sostenute. C’è dunque abbastanza materiale per ragionare, per discutere ma soprattutto per intervenire in questa materia delicata non solo per evitare altri casi Lusi, ma anche per salvare i partiti. E i partiti si salvano soltanto se si rivitalizza il rapporto fra cittadini e partiti.

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Siria, un doppio no che complica le cose

postato il 5 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

“Ci stanno bombardando! ci stanno bombardando” è la voce spezzata di un uomo nella notte mentre si odono  boati e detonazioni che giungono fino al Krak dei Cavalieri, il più potente baluardo degli antichi Crociati sul limite della frontiera libanese.  Alcuni cadaveri a terra adagiati in pozze di sangue o su letti di quello che sembra una rudimentale clinica o un ospedale. Immagini che scuotono Homs, l’antica Emesa teatro del più grande scontro tra l’Imperatore Aureliano e Zenobia la regina di Palmira.  Immagini non confermate dalla tv di stato ma scaricate su youtube dai residenti e pubblicate da Al Arabya. E’ tutto questo mentre la risoluzione Onu sulla Siria è stata bocciata con i veti di Cina e Russia. Avevamo atteso con Tigella su twitter la speranza che l’ultima versione emendata della risoluzione potesse placare le preoccupazioni russe.  Ad esse si è aggiunto anche il veto della Cina, un doppio “No” che il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki Moon ha definito una “delusione per il popolo siriano e per tutti i difensori della democrazia e dei diritti umani”.

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Siria, si fermi la mano di Assad

postato il 4 Febbraio 2012

Le ultime immagini che da internet giungono dalla capitale della rivolta siriana Homs sono terribili: le forze di Bashar al Assad hanno bersagliato con colpi di mortaio diversi quartieri della città situata nel centro del Paese, roccaforte della rivolta: una carneficina, hanno raccontato attivisti dell’Osservatorio siriano per i Diritti umani. Ci sarebbero anche centinaia di feriti. Sembra dunque necessaria ed urgente una presa di posizione delle Nazioni Unite che dovrebbe arrivare entro 48 ore considerato che c’è già una bozza di risoluzione arabo-occidentale che condanna la repressione compiuta in Siria dal regime di Bashar al Assad  in “blu” cioè che si potrà votare in tempi strettissimi. Fondati però si sono dimostrati i timori di Pier Ferdinando Casini che già il 27 gennaio su twitter esprimeva preoccupazione per la reazione russa:

Fino a poche ore fa, infatti il vice ministro  degli Esteri russo, Ghennady Gatilov, aveva dichiarato di non poter appoggiare la risoluzione, nonostante le modifiche apportate, perché non presi in sufficiente considerazione i paletti posti dal suo governo. Ma Gatilov aveva comunque evitato di minacciare espressamente un eventuale ricorso russo al diritto di veto, come per contro aveva fatto in precedenza il suo ambasciatore al Palazzo di Vetro, Vitaly Churkin.

La versione emendata del testo, secondo le ultime notizie, sembra però aver ridotto le preoccupazioni russe. La sempre attenta e informata Claudia Vago, Tigella per gli utenti di Twitter, ci insinua però un dubbio:

Non resta che aspettare la votazione delle Nazione Unite, sperando che la previsione di Claudia Vago non sia esatta.

La Redazione

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Quella violenza inflitta due volte

postato il 4 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

La corte di Cassazione ieri ha sentenziato che gli indagati per stupro eseguito in gruppo possono beneficiare di misure cautelari alternative alla detenzione. Questo in barba alla legge di contrasto alla violenza sessuale approvata dal Parlamento nel 2009, la quale sanciva chiaramente che per i rei di violenza sessuale l’unica misura cautelare applicabile è il carcere. Già per la Corte Costituzionale tale norma contrastava con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (libertà personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione. Tale interpretazione è stata recepita dai giudici della Corte di Cassazione nel caso balzato alla ribalta in questi giorni.

Unanime il coro di critiche verso una decisione definita “lacerante” a sinistra e “impossibile da condividere” a destra; la Cassazione si è difesa precisando che era l’unica interpretazione possibile verso la sentenza della Consulta, perché  in alternativa si sarebbe dovuto sollevare una questione di incostituzionalità, la quale avrebbe portato alla scarcerazione degli imputati per decorrenza dei termini.

Questo è ciò che dice la legge. Ciò che dicono i giudici. Ma può un paese civile fermarsi dietro sterili interpretazioni di norme e ignorare ciò che realmente è la tragedia dello stupro? La violenza sulle donne è un dramma che in italia si ripete ogni giorno. Una donna vittima di violenza subisce una ferita che nessuno di noi può lontanamente immaginare. Una donna vittima di violenza deve superare enormi resistenze per denunciare i propri aggressori: c’è la vergogna, la paura di far sapere a tutti cosa si è state costrette a subire, il terrore di ritorsioni da parte dei parenti degli aguzzini o da loro stessi, se lasciati in libertà. Il rimorso e il senso di colpa di essere state loro, in qualche modo, responsabili di ciò che si è subito, come se se lo fossero meritate in qualche assurdo modo. Ecco, pensate a quelle donne che, nonostante tutto, trovano il coraggio di denunciare, e sanno che i loro aguzzini sono liberi, una volta ricevuta la notifica della denuncia, di tornare da loro e farle pagare quel gesto di coraggio. Come reagireste? Parlereste ancora di principio di uguaglianza? E loro, non hanno diritto di tornare a essere uguali alle altre donne, senza doversi guardare le spalle di continuo? Il principio di libertà personale non varrebbe anche per loro, non più libere di condurre una vita normale, ammesso che trovino la forza di tornare a vivere? E per quanto riguarda la funzione della pena? La pena che si porteranno dentro per tutta la loro vita che funzione avrà?

Io mi auguro che un giorno le mie figlie vivranno in un paese che mette al centro la persona, e le restituisca davvero il diritto alla giustizia che, spesso, resta solo sulla carta. Altrimenti le donne continueranno a subire violenza due volte: la prima dai loro aggressori, la seconda dallo Stato.

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Posto fisso e sepolcri imbiancati

postato il 2 Febbraio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Patrizia

Credo che la parola “sepolcri imbiancati” sia il termine giusto per definire tutti quei signori di destra o sinistra scandalizzati dalle affermazioni del Presidente Monti. Le loro prese di posizione, la loro facile ironia sono la solita propaganda politica. Monti non è il Cavaliere, Monti non è l’uomo delle battutine da quattro soldi, se il Presidente del Consiglio ha fatto tali affermazioni è perchè la realtà che sicuramente non piace ai giovani , ne ai loro genitori, è questa.Il mitico posto fisso è stato il sogno degli italiani per almeno le due ultime generazioni, ma i cambiamenti dell’economia globale, la rivoluzione tecnologica, il ridimensionamento delle imprese, i costi del welfare, la maggior capacità delle strutture leggere e flessibili di seguire gli andamenti del mercato hanno portato alla fine del posto fisso. Nel decennio della disoccupazione e delle porte chiuse alle tradizionali vie di reclutamento, in Italia è avvenuto un mutamento che ha sconquassato le consuete categorie di pensiero.
Quindi è arrivato il momento di svegliarci, e questo lo dico principalmente da genitore: prima apriamo gli occhi e meglio è.
Certo c’è da rivedere alcune forme di precariato giovanile, rivedere il mercato delle partite iva, investire sulla ricerca ,sulla’ università.
Noi per i nostri figli non vogliamo un posto fisso, ma vogliamo che con la loro preparazione abbiano un futuro ricco di opportunità, che possano cambiare, scegliere, vivere e realizzare al meglio i loro sogni.

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La Transumanza della Pace per far tornare a vivere Srebrenica

postato il 1 Febbraio 2012

di Jakob Panzeri

“Sono più di dieci anni che giro attorno a Srebrenica, umanamente e professionalmente e in questi anni ho incontrato decine, centinaia di persone che si propongono spesso come volontari “per fare qualcosa lì, a Srebrenica… dove vai sempre…”, ma tre anni fa sull’Altopiano di Asiago in provincia di Vicenza, ho conosciuto un volontario speciale, un montanaro di razza: Gianbattista Rigoni Stern, detto Gianni. Gli ho raccontato della “mia” Srebrenica e dei suoi dintorni e ho intuito che potevamo ideare e progettare qualcosa di utile e originale insieme”. (Roberta Biagiarelli)

Srebrenica è “la splendente”, un piccolo gioiello che brillava tra i Monti Balcani basata su una florida agricoltura, sull’estrazione di piombo e salgemma ma anche su uno stabilimento termale che attirava frequentatori da tutta l’ex-Jugoslavia. Oggi di tutto questo non resta più niente. La splendente è stata macchiata nell’estate del 1995 dal sangue di migliaia di musulmani bosniaci massacrati dalle truppe serbe del generale Ratko Mladic. Ed è difficile ricominciare quando senti ancora nelle narici l’odore della tua casa bruciata, riempita di copertoni e accesa da bombe a mano. Un passato terribilmente vicino che ha cancellato gli uomini ma anche le loro storie e tradizioni. Qui non ci sono padri che insegnano ai figli le tradizioni più semplici che hanno appreso dai nonni, come mungere una mucca per sostenere la fragile agricoltura montana. Ed ecco allora la “Transumanza della Pace”, una realtà che vide protagonista la Provincia di Trento che ha donato 48 manze di razza Rendena.
Ma tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’intervento di Roberta Biagiarelli, un’autrice e regista indipendente fortemente impegnata nel sociale e a Gianni Rigoni Stern che si è occupato di istituire corsi per far rifiorire la tradizione agricola.
Grazie per averci ricordato, in tempi della crisi, la cultura della condivisione e della solidarietà che è il vero nucleo della nostra società, del nostro umano stare insieme.

Per approfondire.

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Tg1, è ora del Monti style

postato il 31 Gennaio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Berlusconi non è più a Palazzo Chigi, Minzolini ha lasciato il Tg1 per una storia di carte di credito ma al Tg della rete ammiraglia Rai poco sembra essere cambiato o almeno qualcuno vorrebbe non cambiare niente. L’idea de dg della Rai Lorenza Lei di confermare alla guida del Tg1 Alberto Maccari più che una soluzione di transizione sembra una di quelle mosse per salvare lo status quo politico e quindi non dispiacersi troppo l’asse Pdl-Lega che fino a poco tempo fa  faceva il bello e il cattivo tempo a Viale Mazzini. Non è in discussione la professionalità di Alberto Maccari ( anche se la telefonata con il finto Bossi David Parenzo è degna di un film di Alberto Sordi) ma l’immagine del Tg1 che viene da una stagione non troppo esaltante, per usare un eufemismo. Il Tg1 deve tornare ai vecchi fasti e per far questo è necessaria una direzione autorevole e di qualità che si caratterizzi per uno stile e uno spirito equivalente a quello del governo Monti. Come ha giustamente detto Roberto Rao alla Rai la resistenza degli ultimi giapponesi non serve; la guerra per il Tg1 è finita, è giunta l’ora del Monti style.

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Scalfaro in due tweet.

postato il 30 Gennaio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Oggi si diranno e si scriveranno tante cose di Oscar Luigi Scalfaro. Non si conteranno articoli ampollosi, enfatici e sostanzialmente vuoti, i maestri dell’ipocrisia che in passato vomitarono su Scalfaro oggi avranno parole di cristiana pietà e infine i restanti si divideranno ancora una volta tra fan sfegatati e detrattori implacabili. Così vanno le cose in Italia. Fortunatamente nel marasma emotivo si riesce a cogliere anche qualche perla di saggezza che non a caso viene da Twitter che è stato anche il primo a dare la notizia della morte di Scalfaro. Mi sembra perciò opportuno in attesa di una riflessione più serena sull’opera politica di Scalfaro e in particolare sul suo settennato al Quirinale citare i tweet di due illustri commentatori che hanno messo in luce aspetti diversi della figura di Scalfaro. Il primo bel tweet a commento della scomparsa del Presidente emerito della Repubblica è di Enzo Carra:

Scalfaro visse a lungo ed ebbe diverse vite politiche, tutte vissute con passione.

Un commento sobrio, in perfetto stile democristiano diranno alcuni, dove si ricordano le diverse stagioni politiche di Scalfaro, più o meno condivisibili, ma dove si riconosce il valore profondo della passione civile di Scalfaro, della sua fede nella Costituzione simile a quella per il Vangelo. Scalfaro infatti fu uomo di fede: fede religiosa e fede civile, entrambe fedi radicali, senza sconti per se stesso e per gli altri.

Il secondo tweet che vale la pena citare è di Claudio Velardi:

Scalfaro era un vecchio conservatore. La destra se lo fece nemico e la sinistra se lo intestò. Questo dice tutto sull’Italia.

Una fotografia perfetta di quanto è accaduto e sta accadendo intorno alla figura di Scalfaro, un altro dei frutti amari del falso bipolarismo italiano senza idee e senza ideali.

Sarebbe ingiusto però adulterare la memoria di Scalfaro con la polemica politica, e se la riflessione storica ha bisogno di tempo è giusto in queste ore lasciare spazio alle emozioni, quelle emozioni suscitate dalle parole vigorose rivolte da Scalfaro ai giovani, quelle emozioni suscitate da quell’antico distintivo dell’Azione Cattolica sul bavero della giacca, segno di una tradizione forte di cui oggi si sente la mancanza.

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