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Nobel per la Pace a Liu Xiaobo, il web a difesa dei diritti umani

postato il 8 Ottobre 2010

CHINA-DISSIDENTA dieci anni di distanza dalla consegna del premio Nobel per la Pace a Kim Dae-Jung, ex presidente della Corea del Sud, l’ambito riconoscimento internazionale è stato assegnato, secondo “quasi tutte” le aspettative, ad un altro personaggio dagli occhi a mandorla.

Questa volta non si tratta né di un Presidente, né di un Re del Sol Levante, bensì di un semplice uomo cinese tra il miliardo e quattrocento milioni di connazionali. L’uomo in questione è un anti-eroe per eccellenza, diventato, quasi per caso, il simbolo della lotta per il riconoscimento dei diritti e delle libertà in Cina. Il suo nome è Liu Xiaobo, e sta scontando 11 anni di carcere per “incitamento a sovvertire il potere dello Stato”.

Il possente e numeroso esercito cinese è stato sconfitto da un cittadino magrolino e con gli occhiali “a fondo di bottiglia”, che ha avuto il coraggio di denunciare quello che il Governo “giallo” cerca da sempre di celare. Le sue parole hanno scavalcato la lunga muraglia cinese e hanno superato i confini asiatici, giungendo alle orecchie europee e di tutto il mondo. Alla sede ufficiale del Nobel di Oslo, è stata letta la motivazione della premiazione: “Per la sua lunga e non violenta battaglia per i diritti umani in Cina”.

Siamo tutti con Liu Xiaobo!!!

A tal proposito ricordiamo che l’articolo 35 della Costituzione cinese stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso. Peccato che queste disposizioni non siano, di fatto, mai state garantite alla popolazione.

Liu Xiaobo ha semplicemente manifestato legittimamente il suo dissenso per queste pratiche anti-democratiche e il popolo cinese lo ha sostenuto. E anche la rete, il web, ha diffuso il contenuto della famosa Carta 08, un documento favorevole alla democrazia nel Paese tra i più ricchi e influenti del mondo, ispirato alla Carta 77 dei dissidenti ceco-slovacchi.

Non è un caso che la notizia è stata data da Twitter, il nuovo uccellino virtuale che vaga indisturbato da un capo all’altro del mondo non conoscendo frontiere.

Come tutti sanno, il premio Nobel per la Pace conferisce grande prestigio, sebbene sia spesso fonte di controversie politiche, e infatti pare che il Governo cinese avesse “avvertito” le alte cariche delle istituzioni, dei comitati organizzatori e della monarchia norvegese, ad accantonare l’idea di premiare colui che, in patria, secondo chi dovrebbe “applicare” correttamente la legge, è considerato un dissidente politico. Fortunatamente il “consiglio” non è stato accolto.

Oggi assistiamo ad un passaggio di testimone importante, da Barack Obama a Liu Xiaobo, dall’uomo più potente del mondo ad un uomo prigioniero, ostaggio del suo stesso Paese, reo di aver chiesto di poter esercitare i diritti e le libertà fondamentali riconosciute a tutti i cittadini del mondo.

La Cina sta attuando una forte censura anche dei mezzi di comunicazione e di informazione interni, cercando di controllarli e di far trapelare solo determinate notizie.

Io allora dico: “Per fortuna che c’è Twitter e che, oltre ai giornali, ci sono coraggiosi blogger che diffondono anche le notizie più scomode, senza paura”, con la speranza che questa “Oscenità” (così è stata commentata la notizia del Nobel dal Governo di Pechino), possa essere d’esempio a tutti i componenti del Governo asiatico.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Daniele Urciuolo

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Le sfide della geopolitica tricolore

postato il 6 Ottobre 2010

Earth in the water drop di 5348 Franco ON/OFFTroppo spesso la riflessione politica tende a restare chiusa nel guscio di quel che succede nel “proprio giardino”. Si dimentica che viviamo in una società in cui globale e locale si intrecciano, e ciò che succede fuori dai confini nazionali non è meno importante degli avvenimenti che ci riguardano da vicino. Basti pensare a due fatti recenti: l’espulsione dei rom da parte del presidente Sarkozy in Francia; la condanna alla lapidazione prima, all’impiccagione poi per Sakineh in Iran. Temi, entrambi, che ci hanno toccato da vicino, che ci hanno fatto riflettere.

Non è la prima volta e non sarà certo l’ultima.

Per questo motivo abbiamo deciso di promuovere sul blog un ciclo di approfondimenti di geopolitica. Si tratterà di articoli scritti da giovani, studenti e non, con l’obiettivo di stimolare un dibattito costruttivo tra cittadini, e riscoprire il gusto di capire ciò che accade attorno a sé.

Oggi pubblichiamo un articolo di introduzione. Buona lettura.

Le Sfide della geopolitica tricolore

Ci troviamo in un mondo in repentino cambiamento. Viviamo infatti in un’epoca in cui tutto ciò che i nostri padri hanno contribuito a costruire sta rapidamente mutando. Il sogno del mondo unipolare al termine di sessant’anni di Guerra Fredda si è rivelato una chimera: gli Stati Uniti, benchè usciti vincitori dal formidabile confronto ideologico, non sono riusciti a consolidare questa vittoria. Essi hanno infatti solo guidato la transizione da un bipolarismo ad un multipolarismo ben più complesso ed articolato del vecchio ordine, aprendo scenari nuovi, in cui si scontrano molteplici interessi ed equilibri geopolitici. Sono emersi nuovi attori, mentre altri hanno reclamato a gran voce la propria presenza al tavolo della Storia, dopo lunghi decenni, o addirittura secoli, di oblio.

La terribile crisi economica che ha messo in ginocchio le economie di tutti i paesi avanzati e costretto a mettere in discussione il modello di sviluppo che ha guidato il mondo dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti, ha tuttavia delineato uno scenario da cui usciranno le nazioni destinate ad essere considerate leader per il prossimo futuro. Nonostante tra i paesi che gli economisti già indicano con l’acronimo B.R.I.C. (Brasile, Russia, India e Cina), le reazioni alla tempesta siano state profondamente diverse, è indubbio che la straordinaria crescita della Cina, che le ultime stime attestano al 9% annuo, mentre per intenderci, l’Italia si aggira ad un modestissimo 0,4%, aiutano a comprendere quanto ormai il baricentro politico mondiale non si trovi più esclusivamente a Londra, Berlino o Washington. E’ importante poi aggiungere all’equazione che, Cina ed India, due stati confinanti, raccolgono all’interno dei propri confini un terzo della popolazione terrestre.

Tornando a scenari a noi più prossimi, alle porte d’Europa assistiamo al risveglio dal lungo letargo eltsiniano dell’Orso russo. La Russia ha vissuto la caduta del Muro di Berlino come una tragedia: l’era di Eltsin è per molti russi coincisa con l’adozione forzata, voluta dagli U.S.A., di un modello economico liberista, alieno e per decenni avversato dalla struttura stessa del potere sovietico il cui risultato è stato quello di portare la sfinita società russa al collasso.

Dai primi anni Duemila ad oggi, sotto la spinta del presidente Putin, lo Stato ha provveduto a centralizzare nuovamente, o in ogni caso a mantenere un controllo più o meno diretto mediante uomini di fiducia, la gran parte dei settori strategici nazionali, in primis quello energetico. E’ proprio in questa chiave che va letta l’incisività della penetrazione russa negli ex Paesi della Cortina di Ferro, forte dello status di maggior esportatore di gas in Europa. Sempre da questa considerazione parte il sabotaggio politico ad ogni gasdotto (non ultimo il caso del progetto “Nabucco”) che possa far venire meno la possibilità per la Russia di incidere in maniera fondamentale sull’approvvigionamento energetico europeo.

Un particolare riferimento va al Vicino ed al Medio Oriente, terre in cui storicamente la presenza italiana è stata permeante anche grazie alla posizione geografica della nostra Penisola, ed in cui, corre l’obbligo ricordarlo, sono impegnati in missioni multinazionali nostri militari in Libano con la missione U.N.I.F.I.L. – Leonte, ed in Afghanistan con I.S.A.F. . La maggiore partita strategica si gioca in Iran. Il regime degli Ayatollah si sta infatti progressivamente costruendo un rango di media potenza regionale ed il suo programma atomico ne è solo la manifestazione più rilevante. Ciò che infatti dovrebbe particolarmente preoccupare l’Occidente, non è solamente il perseguimento della “Bomba Sciita” (gli iraniani sono infatti musulmani di confessione Shīʿa), quanto la corsa all’arma atomica che si scatenerebbe nei vari stati del Golfo, in maggioranza di confessione sunnita e che porterebbe ad una proliferazione potenzialmente incontrollabile.

Oltre a questo, Teheran può contare in alcuni stati chiave nella geometria mediorientale, nella presenza di movimenti ritenuti amici: è il caso di Hamas nella Striscia di Gaza e di Hezbollah, particolarmente forte a sud del fiume Litani, in territorio libanese, dove operano tra i reparti multinazionali, anche nostri militari. Vi sono inoltre governi tradizionalmente amici come quello siriano ed altri che si avvicinano progressivamente alle posizioni iraniane, come sta accadendo nel caso della Turchia. Il quadro infine si complica ulteriormente se si considera che l’Italia è il terzo esportatore per volume d’affari nella Repubblica Islamica.

Si pone quindi la questione dell’attenzione che la nostra società rivolge al perseguimento dell’interesse nazionale italiano nel Mondo, in condizioni di crescente asimmetria geopolitica tra paesi sviluppati ed in via di sviluppo. Basti pensare alla poco nota presenza italiana in Africa, anche grazie ad aziende leader come l’E.N.I. ed alla sempre maggiore quota ricoperta dalle potenze emergenti (prima tra tutte proprio dalla Cina), nelle economie e nella crescita culturale e sociale dei paesi africani.

Innanzi a questa nuova forma di mercato e di equilibrio internazionale, dobbiamo prendere coscienza della grandiosità di ciò che accade al di là dei nostri ristretti confini, concentrandoci su eventi all’apparenza lontani, ma che la globalizzazione e la Storia fanno sì che si mostreranno terribilmente prossimi per approntare le giuste risposte ad una sfida che si svolgerà per i prossimi decenni.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Federico Poggianti

Il primo approfondimento: La tigre ed il dragone.

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Nei rapporti con la Libia la mortificazione della nostra politica estera

postato il 16 Settembre 2010

‘Riceviamo e pubblichiamo’
di Federico Poggianti
Era solo questione di tempo.
La politica governativa sull’immigrazione si è mostrata per quello che è: un buco nell’acqua. O meglio, tanti buchi, ma nello scafo di un peschereccio italiano attaccato da una motovedetta libica.
Donata per giunta dalla nostra Repubblica e sulla quale prestano servizio sei militari italiani della Guardia di Finanza in qualità di osservatori e tecnici.
La cessione di questo tipo di mezzi militari è stata resa esecutiva dal famigerato Trattato d’Amicizia Italo-Libico, dopo che l’Unione Europea votò nel 2004 all’unanimità il ritiro dell’embargo statunitense che dal 1986 proibiva la vendita di materiale ad uso militare alla Jamāhīriyya libica. [Continua a leggere]

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Peschereccio mitragliato, il governo riferisca al più presto

postato il 14 Settembre 2010


Quello che è accaduto ieri al peschereccio di Mazara, mitragliato da una motovedetta libica, è un episodio gravissimo e inquietante, una pagina buia della nostra politica estera.
Già il leader maximo della Libia, durante la sua visita a Roma, ha dato uno spettacolo che ha profondamente sconcertato tutti i cittadini italiani. E li ha sconcertati perché è vero che per un Paese come l’Italia sono importanti i rapporti di buon vicinato, ma niente autorizza chi viene da noi a dar vita a sceneggiate squallide che nulla hanno a che fare con il rispetto della dignità nazionale di un Paese in cui si viene in visita di Stato.
Dopo questo danno, ieri è stato il momento delle beffe. Il danno della visita è stato spiegato dagli illustri conoscitori di politica estera come un prezzo minimo da pagare per il nostro Paese per avere il controllo del mare, per avere la collaborazione delle autorità libiche.
Ma quello di ieri è stato un episodio gravissimo, inquietante perché a bordo della motovedetta c’erano militari della Guardia di finanza.
Credo che raramente nella storia ci sia stato un episodio di questo tipo.
Chiediamo a questo punto una discussione in Aula sul trattato con la Libia, che l’Udc non ha votato perché è un trattato che non vede la premessa di un momento di collaborazione e di pacificazione, ma solo un pericoloso cedimento agli umori di un regime.
Infine, rivolgo la solidarietà mia e di tutto il partito a coloro che erano a bordo dell’imbarcazione italiana mitragliata, ai loro familiari, e anche agli uomini della Guardia di Finanza che si sono trovati in una condizione di grande disagio professionale e umano.

Pier Ferdinando

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I messaggi di Gheddafi e le nostre risposte

postato il 1 Settembre 2010

La visita di Gheddafi in Italia ha confermato lo spettacolo imbarazzante, l’ennesimo, a cui il nostro paese è sottoposto, come conseguenza della spregiudicata politica estera, sempre più incentrata sui rapporti unilaterali, che il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi porta avanti.

La seconda visita di Gheddafi in Italia ha celebrato lo storico trattato di amicizia stipulato due anni fa tra l’Italia e la Libia. Lasciando da parte quegli aspetti economici, sociali, di sicurezza e di contenziosi storici da chiudere che hanno contribuito all’accordo, se valutiamo il trattato da un punto di vista storico e giuridico, può considerarsi anche doveroso che l’Italia risarcisca per i crimini commessi durante l’occupazione della Libia (può essere anche un precedente positivo nel diritto internazionale che però anche altri Stati responsabili di gravi crimini è auspicabile vogliano seguire). Quello che lascia forti dubbi però è se un accordo del genere possa essere siglato con uno Stato non propriamente democratico, come quello guidato da decenni dal colonnello libico Gheddafi.

Forse sì, ma allora doveva essere incentrato sulla sottoscrizione di un impegno per un maggior rispetto dei diritti umani e dei valori della libertà. E in quel caso già sognavo un Berlusconi prima maniera (quello della discesa in campo per la rivoluzione liberale) che andava a Tripoli e, insieme ai tanti soldi, proclamasse, forse con uno stile un po’ americano, l’esportazione della democrazia in forma pacifica, richiamando il dittatore libico al rispetto dei diritti umani, dei dissidenti politici e della libertà religiosa.

Invece sta succedendo esattamente il contrario: come in un incubo, vediamo Gheddafi, per la seconda volta a Roma, diventare il protagonista assoluto di questi incontri bilaterali; prenderci sempre più gusto e, nell’assordante silenzio della maggioranza (anche quella più beceramente anti-islamica), esaltare lo Stato libico contro le decadenti democrazie occidentali, celebrare con pubbliche manifestazioni le conversioni di alcune donne all’Islam, invitare l’Italia e tutta l’Europa decadente a convertirsi alla “Vera e Ultima” religione, tenere lezioni a centinaia di giovani e belle donne e, infine, chiedere sempre più soldi all’Europa per “riuscire” a contenere l’arrivo di nuovi immigrati in fuga dalle coste libiche. Insomma un vero capolavoro quello che ci fa vivere la diplomazia berlusconiana.

Ma i tre giorni di spettacolo “folkloristico” offerto da Gheddafi, tra i silenzi del governo italiano, ci danno l’occasione anche per fare qualche riflessione su di noi. Infatti i messaggi provocatori, e allo stesso tempo tristemente seri, del colonnello libico fanno inesorabilmente da specchio della nostra società; ad esempio sul valore e il ruolo della donna, così maledettamente simile a quello che sembra offrire gran parte della società italiana e della nostra classe politica.

Così come i tentativi di colonizzazione della religione islamica, se da una parte si scontrano con una democrazia liberale che ha gli anticorpi per tenere a distanza l’impostazione da Stato etico di Gheddafi, dall’altra trovano terreno fertile in una società dove sempre più forte risulta la deriva etica relativista, che renderà sempre più difficile il confronto con le altre culture e le altre religioni, soprattutto quelle emergenti ed “aggressive”; confronto che non è aiutato neppure da una presunta tutela della Cristianità e dei suoi valori, se questa passa attraverso interlocutori assai poco credibili che, con la scusa del crocifisso, seminano i germi della violenza, della xenofobia e dell’intolleranza.

Insomma l’“incubo” che la diplomazia italiana ci ha fatto vivere in questi giorni si porta dietro, insieme allo sdegno crescente per una politica estera di Berlusconi incentrata sempre di più da rapporti stretti e consolidati con chi non sempre rispetta i diritti umani e della libertà (Putin, Gheddafi e il leader bielorusso Alexander Lukashenko), anche l’occasione per riflettere un po’ meglio su di noi e provare a migliorare: la nostra politica, ma non solo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carlo Lazzeroni

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Salviamo Sakineh, brava Carla Bruni: le parole sono le pietre più forti

postato il 31 Agosto 2010

Ho visto in un video la lapidazione di una giovane donna.
E’ stato duro seguire fino alla fine le sequenze di dolore e di odio.
In Iran, dopo averla fustigata, vogliono lapidare Sakineh Ashtiani per adulterio. Per ora, i media iraniani, stanno lapidando verbalmente la moglie del presidente francese Carla Bruni, rea di aver svegliato l’Europa su questo nuovo barbaro crimine.
Non voglio sapere chi sia Sakineh, né cosa abbia fatto. Ma sento di dover gridare il mio sdegno, la mia rabbia per non poter fermare da solo questo insulto alla vita che è sacra: niente può giustificare questo obbrobrio.
Per questo dico: brava Carla e bravi tutti coloro che in queste ore si stanno mobilitando per fermare questo orrore.
Facciamo sentire alte le nostre grida: le parole spesso sono le pietre grandi e più forti.

Pier Ferdinando

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La nuova visita di Gheddafi a Roma

postato il 29 Agosto 2010

‘Riceviamo e pubblichiamo’

di Giuseppe Portonera

La cosa più simpatica di questo nuovo viaggio di Mu’ammar Abū Minyar al-Qadhdhāfī , supremo leader libico, in Italia, resterà senza dubbio la telefonata del colonnello Francesco Ferace all’ambasciata libica, per informarsi di come debbano essere nutriti i trenta fantastici quadrupedi che la “Guida della Rivoluzione” ha portato con sé. [Continua a leggere]

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Giorno della memoria delle vittime del massacro di Srebrenica

postato il 11 Luglio 2010

di Jakob Panzeri

Srebenica, 11 luglio 1995: le truppe del generale Ratko Mladic massacrarono 8.372 musulmani bosniaci in una zona allora sotto la protezione dell’Onu, dopo aver messo in fuga i caschi blu olandesi.

Gli animi erano esacerbati sin dagli anni ’80: con la morte di Josif Brozs, Tito, il generale di ferro che aveva guidato la Jugoslavia con un duro centralismo e comunismo, i nazionalismi delle etnie che non erano mai stati unificati, amalgamati, conciliati ma componevano il grande patchwork della regione balcanica erano esplosi.

Mentre Slovenia e Croazia ottenevano l’indipendenza, prendevano corpo da un lato la leadership della Lega dei comunisti serbi affidata al reazionario Milosevic, dall’altro il pacifico movimento di liberazione e indipendenza kosovara guidato dal premier Rugova, pur osteggiato internamente dall’UKR, organizzazione paramilitare al limite del terrorismo favorevole a una lotta di liberazione armata. Nel 1991, il rifiuto della compagine serba del trattato di Rambouillet  che garantiva una risoluzione pacifica con la concessione di maggior autonomia alla provincia di Kosovo indussero l’Alleanza Atlantica a dichiarare guerra alla Serbia.

Nel 1995 una delle pagine più tristi della storia europea nel secondo dopoguerra: le armate di Mladic dopo 4 giorni di offensiva contro le truppe bosniache di Oric, espugnarono Srebenica. Gli uomini, dai 14 ai 65 anni furono separati dalle donne, dai bambini e dagli anziani, apparentemente per procedere allo sfollamento; secondo le istituzioni ufficiali i morti furono oltre 8372, mentre non si hanno ancora stime precise del numero di dispersi. Fino ad oggi 6414 salme riesumate dalle fosse comuni sono state identificate mediante oggetti personali rinvenuti oppure in base al loro Dna che è stato confrontato con quello dei consanguinei superstiti.

A distanza di anni dal genocidio, il Kosovo ha ottenuto la sua indipendenza e la Serbia ha iniziato un graduale cammino di giustizia e di modernizzazione, superato anche il dramma dell’assassinio nel 2002 del presidente Djindjic ha ufficialmente richiesto di entrare nell’Unione Europea. Ma la questione è lungi dall’essere chiusa:  i caschi blu dell’Onu ancora operano nell’area balcanica per il mantenimento dell’ordine e la ricostruzione non solo materiale ma anche morale del dramma balcano.

Ad Aprile, dopo 15 anni dal massacro, è stata scoperta quella che si pensa essere l’ultima fosse comune. Quest’oggi a Srebrenica, nella prima “Giornata della Memoria”, istituita dal Parlamento Europeo (che si è scusato per il ritardo), si terrà un funerale collettivo a seguito del quale verrà data singola sepoltura alle ultime salme scoperte nelle fosse comuni.

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Prelievo su banche e transazioni finanziarie: chi le paga?

postato il 25 Giugno 2010

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di Gaspare Compagno

La proposta di Francia e Germania di tassare le banche e le transazioni finanziarie ha incontrato il favore dei vari governi europei ed ha dato vita ad un documento che nella sostanza dice poco: i governi devono trovare una soluzione e tassare la banche, ma la tassazione avverrà con modi e importi che saranno decisi dai singoli Stati in piena autonomia.
Ma in concreto cosa c’è? A mio avviso nulla.
I politici dovevano dare una “risposta” ai loro elettori e l’hanno data, ma dal documento non emerge nulla di concreto, perchè incarica gli organi competenti della UE e della BCE ad approfondire la questione e a dare una risposta per la prossima riunione che si svolgerà ad Ottobre.

Se il principio del “paghi chi ha causato la crisi” è corretto e limpido, meno limpido è trovare le cause della crisi medesima: nel caso della Grecia, ad esempio, è palese che è stato il precedente governo a truccare i bilanci pubblici.
Cosa che si è ripetuta con l’Inghilterra.
E si potrebbe continuare.
Chiaro che additare la responsabilità alle banche è, da un punto di vista mediatico, la scappatoia perfetta per i governanti, che però dovrebbero ammettere che una delle cause della crisi europea è la mancanza di crescita, che ha portato ad una riduzione del potere di acquisto delle famiglie e ad una crescita delle persone in cerca di lavoro.

transazioneOra, se l’ipotesi di tassare le banche e le transazioni finanziarie diventa realtà, è logico aspettarsi che le banche e le istituzioni finanziarie si rivarranno su qualcuno, andando a strozzare ulteriormente le famiglie e le imprese che hanno attualmente grossa difficoltà e che sono l’asse produttivo della società e che quindi andrebbero tutelati.
E’ prevedibile che questa tassa verrà poi girata sotto varie forme alle famiglie e ai piccoli imprenditori e artigiani, e allora accadrebbe che i governi tradirebbero le promesse fatte alle famiglie e ai consumatori di non penalizzarli.
Non li penalizzano direttamente, ma indirettamente si, dando vita ad una tassazione indiretta iniqua, ingiusta e che condannerebbe ulteriormente i soggetti deboli della società: le famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese e che non vedono un futuro per loro.
Invece bisogna assicurare questo futuro, intervenendo con una legislazione efficace, efficiente, snella e certa nei tempi e nelle punizioni.

Con le regole certe si mettono le basi per una crescita che produrrebbe ricchezza per tutti, imprenditori e famiglie, ma se queste ultime vengono penalizzate, come possiamo aspettarci da loro ottimismo e propensione ai consumi? Questa è la vera domanda a cui bisogna rispondere.

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L’attacco di Israele alla Freedom Flotilla è deplorevole

postato il 1 Giugno 2010

L’attacco israeliano alle navi della Freedom Flotilla ha determinato un esito catastrofico, che non può che essere deplorato con tutte le forze anche da chi, come me, si onora di essere amico di Israele.
C’è da rimanere stupefatti nel vedere governanti democraticamente eletti assumere un’iniziativa che determinerà danni incalcolabili per lo Stato di Israele e per la causa della coesistenza pacifica tra palestinesi e israeliani.

Pier Ferdinando

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