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Imu, la restituzione impossibile

postato il 4 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Diciamolo subito, la restituzione dell’IMU non è impossibile, ma quasi. Perché?

Premesso che in tutti i paesi si pagano tasse sul possesso della prima casa, a conti fatti nel 2013 lo Stato dovrebbe fare fronte a 8 miliardi : 4 miliardi di euro da restituire (IMU 2012), a cui sommare 4 miliardi di mancato introito (IMU 2013).

Dove trovare questi soldi? Berlusconi ha dato due fonti: l’accordo con la Svizzera, e aumentare altre tasse.

Sono due strade praticabili? Si, ma hanno tali e tante difficoltà che è lecito nutrire ben più di un dubbio.

Iniziamo dall’accordo con la Svizzera.

Premettiamo che se Berlusconi avesse voluto davvero che si facesse tale accordo avrebbe aspettato 4 giorni per fare cadere il governo Monti che aveva quasi stretto l’accordo con la Svizzera. Siccome si tratta di accordo internazionale, bisogna che venga ratificato dal Parlamento; se Berlusconi avesse aspettato 4-5 giorni per fare cadere il governo Monti, avremmo ottenuto l’accordo con la Svizzera. Questo è il primo fatto che mi fa dubitare delle affermazioni di Berlusconi.

Altro punto, è che, contrariamente a quel che dice Berlusconi, la Germania non ha accordo con la Svizzera: l’accordo che era stato stretto tra i due governi, è stato bocciato dal Parlametno tedesco e quindi di fatto è nullo anche alla luce dell’opposizone della UE che non vuole accordi bilaterali, ma arrivare ad un accordo quadro con la Svizzera che riguardi tutta l’Europa.

Tralasciamo queste considerazioni e andiamo sull’aspetto numerico: secondo i dati di Berlusconi si parla di un incasso di 25 miliardi una tantum, cui aggiungere un incasso annuo di circa 3 miliardi di euro ogni anno. E’ credibile? Stando a dati e stime di vari enti, nei forzieri svizzeri ci sarebbero fra i 100 e i 130 miliardi di euro dei contribuenti italiani. In caso di accordo, almeno la metà di questi denari si sposterebbe immediatamente altrove, come a Singapore o alle Cayman. In breve: applicando aliquote simili a quelle inglesi, nella migliore delle ipotesi si potrebbero incassare 10 miliardi una tantum e 1,5 a partire dal secondo anno. Quindi ecco che già i dati risultano ben diversi da quelli ipotizzati dal Cavaliere che si è lasciato una via di fuga, sempre, però a spese degli italiani: i soldi sarebbero “prontati” dalla Cassa depositi e prestiti, ma, e qui è l’inghippo, la CDP deve gran parte della sua liquidità al risparmio postale degli italiani; quindi Berlusconi restituirebbe i soldi degli italiani, usando gli stessi soldi degli italiani. Va da sé, che siamo di fronte ad un corto circuito logico, in pratica è una semplice partita di giro.

E dopo il 2013? Per coprire la cifra di 4 miliardi di euro di mancato introito dal 2014 in poi, Berlusconi indica nuove tasse: due miliardi sarebbero garantiti dai giochi pubblici. Un settore che fra gennaio e novembre del 2012 ha avuto un calo di gettito del 6,3%, più o meno 800 milioni di euro. Berlusconi vorrebbe reperire un altro miliardo dall’aumento dell’accisa sui tabacchi, 240 milioni con l’aumento delle imposte su birra e alcolici, 500 milioni dal taglio dei trasferimenti alle imprese, 260 milioni da un’addizionale di quattro euro a viaggiatore sui diritti di imbarco in aeroporto (e questo andrebbe contro il turismo, ovviamente).

Ma il mio vero dubbio è un altro: non è che Berlusconi sbaglia i conti come già accaduto in passato? Mi viene in mente l’esempio clamoroso del bonus bebè del 2006, di cui poi lo stesso Berlusconi chiese la restituzione nel 2011. La vicenda ha dell’incredibile: il bonus era stato introdotto dalla Finanziaria 2006 (legge 266/2005, articolo 1, commi 331-334) per ogni figlio nato o adottato nel 2005 o per ogni secondo o ulteriore figlio nato o adottato nel 2006. Un bonus annunciato da una lettera del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, inviata ai nuovi nati del 2005, con l’indicazione dell’ufficio postale presso cui i genitori avrebbero potuto riscuotere la somma. In pratica una lettera spedita a casa invita a recarsi in posta, auto-certificare il proprio reddito e ritirare i soldi. Ed è proprio sull’autocertificazione che nascono i problemi. L’allegato alla lettera parla infatti genericamente, come requisito, di «reddito complessivo» non superiore ai 50 mila euro. Non si specifica se lordo o netto. Indotti all’errore dalla formula poco chiara, otto mila famiglie rispondono all’invito del premier credendo di avere i requisiti. Sei anni dopo, a chi non avrebbe avuto diritto di chiedere il bonus, arriva la richiesta di restituire i 1000 euro e pagare 3000 euro di multa. Infatti arriva una comunicazione della Ragioneria dello Stato, sottoforma di lettera perentoria nel tono e nei contenuti: si parla di riscossione «illecita» del bonus bebè e di aver «sottoscritto e utilizzato un’autocertificazione mendace», e ancora, «si comunica che di quanto sopra esposto, sarà fatta apposita segnalazione alla Procura della Repubblica». Lo Stato richiede indietro i 1000 euro di bonus e 3000 euro di sanzione amministrativa. La modalità della lettera intestata ai nuovi nati ha determinato un certo caos. La gente, con reddito, intende quello che porta a casa. Per la fretta di informare le famiglie di questa elargizione, a poche settimane dal voto, il governo intervenne con una lettera a firma di Berlusconi e il governo non disse che nel reddito complessivo andava inclusa anche la rendita catastale. Risultato: molte famiglie superano i requisiti di reddito e si vedono recapitare la lettera di restituzione, e non solo devono restituire i 1000 euro, ma anche 3000 euro di interessi e multa (oltre al rischio del penale se si dimostrava la malafede).

Per fortuna un provvedimento bipartisan sanò questo problema: le famiglie restituirono solo i mille euro senza maggiorazione. Accadrà anche con l’IMU?

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È il momento di passare da Agenda Digitale a Strategia Digitale

postato il 3 Febbraio 2013

di Giuseppe Portonera

In una campagna elettorale importante come quella che sta trascorrendo, si è sottovalutato un tema importante: meglio, fondamentale. Si tratta dell’innovazione tecnologica necessaria al nostro Paese per tirarlo fuori dalle secche in cui la crisi economica e sociale lo ha precipitato. L’Udc, durante tutta questa legislatura, si è impegnato a fondo a difesa della libertà della Rete e a sostegno di “Agenda Digitale”, vero volano per il rilancio della nostra economia: basti ricordare, su tutto, il lavoro del nostro deputato Roberto Rao, che ha firmato un progetto di legge insieme a Gentiloni (PD) e Palmieri (PDL) proprio su questi temi. Il DDL prodotto è stato poi recepito – non in tutto e non in meglio purtroppo – dal DL Sviluppo presentato dal Governo e dal Ministro Passera (e convertito in legge in extremis, a causa della fine anticipata della legislatura). Ciò nonostante, dopo il lavoro svolto dal governo Monti, abbiamo la fortuna di non partire da zero: ora è il momento di dimostrare come una politica nuova per il Paese non possa prescindere da una grande idea di innovazione, non solo tecnologica ma anche e soprattutto sociale e civile.

Come ha sottolineato proprio Rao, oggi, commentando il documento presentato da Confindustria Digitale, è sempre più evidente la necessità di passare da “Agenda Digitale” a “Strategia Digitale”, fissando le tappe di una road map da spuntare da qui al 2020, per garantire al nostro Paese più inclusione sociale, competitività e produttività. Perché l’Italia sia finalmente 2.0, il che vuol dire: spread digitale al minimo, con banda larga e ultralarga per tutti, e punti hotspot wifi diffusi su tutto il territorio; servizi rapidi e efficienti per il cittadino-utente e per burocrazia informatizzata per le aziende; open data per la PA e la politica, perché la trasparenza è il miglior antidoto alla corruzione; nuovi posti di lavoro, moderni e flessibili. In questo una vera Strategia Digitale risulta fondamentale: la filosofia #open, fatta di contenuti chiari e trasparenti, deve pervadere e conquistare le nostre istituzioni.

Basta leggi oscure, incomprensibili, di bassissima qualità tecnica: dobbiamo produrre atti normativi facilmente “condivisibili”, nel senso stretto del termine (che quindi siano comprensibili a tutti, non solo agli esperti del settore) e pure nel senso social (perché possano girare su FB o Twitter, devono necessariamente essere chiare).

Nel nostro programma abbiamo già previsto: di rendere obbligatorio l’uso del non digitale nella PA solo nei casi in cui è provato che sia più conveniente dell’utilizzare il digitale; di impegnare ogni anno tutti i ministeri a produrre un piano di innovazione tecnologica; di spingere sull’introduzione del FOIA, che obbliga la pubblica amministrazione a rendere pubblici i propri atti e rende possibile a tutti i cittadini di chiedere conto delle scelte e dei risultati del lavoro amministrativo. Inoltre, l’obbligo di trasparenza riduce di molto la possibilità di evadere e corrompere: negli Stati Uniti il costo totale annuale per l’applicazione della legge è di circa $416 milioni annui, cioè di meno di $1,4 per ogni cittadino. A noi italiani la corruzione pubblico-privata costa 1.000 euro a testa all’anno (più di 60 miliardi nel complesso). Anche una piccola diminuzione della corruzione ripagherebbe ampiamente i costi di applicazione della legge!

Un’Italia 2.0 è un’Italia con un’economia di mercato più moderna, rapida e efficiente, che abbatta le distanze fisiche e sociali. E un’economia di mercato che funziona meglio porta ad costruire comunità intelligenti e più produttive, che mettano in rete (e in Rete) le loro potenzialità. E vere smart comunities danno l’opportunità di avere maggiore inclusione sociale e più possibilità di crescita e di affermare i veri talenti nostrani.

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Pier Ferdinando Casini presenta i Candidati

postato il 1 Febbraio 2013

L’intervento alla Casa dell’Architettura a Roma

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Le 13 bugie che vi hanno raccontato su Mario Monti

postato il 10 Gennaio 2013

La saggezza popolare ci ricorda che “le bugie hanno le gambe corte”, se poi le bugie sono dette da Berlusconi sembra che siano ancora più corte. E non è una questione di “statura accademica”. Il Cavaliere nel tentativo disperato di una improbabile rimonta sta riversando, oltre agli insulti più classici nei confronti di Pier Ferdinando Casini, tonnellate di falsità su Mario Monti. Un nostro lettore si è preso la briga di smascherare tutte le bugie messe in circolazione sul Presidente del Consiglio. Una lettura interessante, un antidoto contro la disinformatia berlusconiana.

di Michael Surace

1) MONTI NON HA FATTO NULLA PER RISOLVERE LA CRISI Falso. In 1 anno, a tempo di record, ha promosso leggi e decreti che hanno portato lo Spread da 550 a 270, praticamente dimezzato. Vuol dire più di 6 Miliardi di debito in meno. E l’Italia, al contrario di altri Paesi in difficoltà (Spagna e Grecia), non ha fatto ricorso ai prestiti europei, ma ce l’ha fatta da sola senza indebitarsi.

2) LO SPREAD È UNA BUFALA, NON INCIDE SULLE FAMIGLIE ITALIANE. Falso. L’aumento del differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi impatta non solo sulle finanze pubbliche, ma anche su quelle di famiglie e imprese. Sulle famiglie, in quanto l’aumento dei rendimenti per il rischio-Paese ha effetti rialzisti pure sui prestiti e tassi dei mutui. E le imprese subiscono le conseguenze negative di un rialzo dei tassi dei BTP, in quanto sono costrette ad offrire un premio più alto sui mercati dei capitali (o alle banche) per finanziarsi. E il divario dei rendimenti tra imprese italiane e straniere (ad esempio, tedesche) penalizza le prime, in quanto le grava di un costo maggiore, rendendole meno competitive. Nei mesi scorsi, ad esempio, le aziende italiane hanno dovuto corrispondere il 5,5% medio di interessi sui loro prestiti, mentre quelle tedesche intorno al 3,5%. Ciò ha avuto anche l’effetto di spiazzare gli investimenti in Italia, con beneficio della Germania.

3) MONTI NON HA TOLTO I PRIVILEGI ALLA CASTA POLITICA, NON HA APPROVATO LA LEGGE ELETTORALE. Falso, non è stato Monti. La casta della politica si è autodifesa, , tra Monti e il Partiti di maggioranza si reggeva sulla ripartizione di ruoli: il Governo si sarebbe occupato di questioni economiche e il Parlamento di riforme istituzionali, compresi legge elettorale, stipendi, province… E come si è visto tutto affossato grazie a PD-PDL!

4) MONTI HA FAVORITO LE BANCHE. Falso, semmai ha fatto qualcosa che le ha fatte infuriare; pensate alla gratuità dei conti corrente per i pensionati con ISEE inferiore a 7.500 euro o con una pensione fino a 1.500 euro/mese e l’inserimento di una tassa bancaria sui conti oltre un certo reddito. Per non parlare della richiesta franco-italiana a livello europeo della Tobin tax. E infine l’aver “disturbato” le regine delle banche mondiali, le banche svizzere, con un accordo in cantiere tra il governo presieduto da Mario Monti e il Governo Svizzero per combattere l’evasione (questo scoraggerà il deposito di capitali italiani nelle banche elvetiche).

5) IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, AMICO DI MONTI, SI È AUMENTATO LO STIPENDIO. Falsissimo. Il Presidente della Repubblica non si è aumentato lo stipendio, la notizia è stata smentita da una nota del Quirinale, la trovate sul sito del Quirinale. Ha dovuto semplicemente ripristinare lo stipendio più alto per il successivo Presidente della Repubblica, perché Napolitano si era auto ridotto lo stipendio già nel 2011 (vedi qui) ma non poteva decidere che le stesse riduzioni di stipendio decise da lui potessero influire anche sul futuro PdR senza una legge che lo prevedesse. Il totale del risparmio del Quirinale tra rinunce di parte dello stipendio e tagli vari auto impostasi dallo stesso Napolitano vale circa 70 milioni di Euro di risparmio.

6) MONTI NON HA FATTO NULLA PER IL LAVORO. Falso. È ovvio che in 1 anno i risultati di politiche per l’impiego non possono essere visibili, ma basti pensare al grande concorso pubblico dell’Istruzione che oltre a garantire lavoro a migliaia di docenti, ha svecchiato dopo decenni maestri e professori della Scuola italiana. A questo si sono aggiunte maggiori tutele per l’Apprendistato e soprattutto da oggi gli stagisti non potranno più essere sfruttati a costo zero, ma è stato stabilito uno stipendio lordo minimo di 400 euro.

7) MONTI NON HA FATTO NULLA PER L’ISTRUZIONE. Falso. I provvedimenti voluti dal Ministro Profumo ha contrastato almeno in parte i Baroni universitari, imponendo concorsi centrali. Stessa cosa vale per l’istruzione: ha svecchiato dopo decenni maestri e professori che finalmente potranno insegnare con nuove tecniche, nuova mentalità e nuovi strumenti. In Italia siamo ultimi in Europa per l’utilizzo di strumenti tecnologici (tablet, computer ecc.) per l’insegnamento, con questa epocale entrata di nuovi prof forse potremo colmare questo gap ed essere più competitivi. A questo va aggiunto l’introduzione di un metodo “meritocratico” per l’elargizione dei fondi agli atenei che vengono valutati positivamente sia dagli stessi studenti nella qualità dell’insegnamento che dai parametri di Ricerca. Su quest’ultimo capitolo ricordiamo che, al contrario di quanto aveva fatto il precedente Governo, il fondo per la Ricerca universitaria è stato mantenuto intatto.

8) MONTI FA QUELLO CHE VUOLE LA GERMANIA. Falso! Monti è stato il nemico numero 1 di Angela Merkel, almeno dal punto di vista economico. L’Italia ha proposto e fatto approvare contro i parere della Merkel il “fondo salva Stati”, ha iniziato un tavolo di collaborazione con la Francia per chiedere a Bruxelles politiche per la crescita in chiave anti tedesca.

9) MONTI NON HA INTRODOTTO L’IMU PER LA CHIESA. Falso. L’IMU verrà pagata anche dalla Chiesa nelle strutture non dedicate alla pratica religiosa (e ce ne sono molte), ma così come non la pagheranno Sindacati, Fondazioni, ONLUS ecc. La Commissione Europea si è detta soddisfatta e ha chiuso la procedura di infrazione aperta con il precedente Governo Berlusconi.

10) L’IMU L’HA CREATA MONTI. Falso! L’IMU è stata pensata e voluta dal precedente Governo, la proposta di legge infatti è a firma Calderoli, con l’intento di aumentare le entrate dei Comuni in ottica federalista. Il Governo Monti non ha fatto altro che riprenderla e destinarne una parte allo Stato; l’intenzione di Monti per il prossimo Governo è però quello di eliminare la quota dello Stato (abbassandola di conseguenza) e facendo incassare l’imposta solo ai Comuni per le proprie casse.

11) MONTI NON HA VOLUTO INTRODURRE LA PATRIMONIALE PER TASSARE I RICCHI. Falso. I partiti che hanno sostenuto Monti hanno affossato qualsiasi tentativo del Governo di introdurre patrimoniali: questo ha portato allora alla ripresa del progetto IMU del precedente Governo che in sostanza comunque colpisce soprattutto le classi più abbienti in quanto colpisce in maniera pesante chi ha multiproprietà: in Italia ricordiamo che la vecchia ICI era la tasse sulla casa più bassa d’Europa che premiava i proprietari di multiproprietà, ergo la classe più abbiente, mentre ora c’è stato un riequilibrio con l’IMU.

12) L’EUROPA HA CONDANNATO L’IMU. Falso. Notizia smentita dalla Commissione Europea la sera stessa del giorno che è stata messa in giro. Il rapporto della UE infatti riguardavo uno studio dell’ICI tra il 2008 e il 2011 in quanto tassa che non contemplava la progressività del reddito. Mentre l’IMU ha introdotto almeno sconti per le famiglie, con 50 euro a figlio. La Commissione europea ha solo criticato infine la mancata rivalutazione catastala che in molti comuni porta ancora a gravi disequilibri tra mega appartamenti in centro in cui il catasto ancora fornisce valori ben al di sotto di quelli di mercato.

13) MONTI NON VUOLE CANDIDARSI PER PAURA DI NON PRENDERE VOTI. Falso. Monti per legge non può candidarsi perché già Senatore a Vita, e per Costituzione non può candidarsi in nessun collegio. Sfatiamo un altro mito: in qualità di Senatore a vita Monti può comunque essere scelto dal Presidente della Repubblica per creare un nuovo Governo perché la legge prevede che sia Presidente del Consiglio non chi prende più voti, ma chi, sulla base della fiducia ottenuta in Parlamento sentiti i capigruppo, viene nominato dal Capo dello Stato.

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Non c’è più solo un’Agenda: adesso, con Monti, c’è una nuova Politica

postato il 23 Dicembre 2012

di Giuseppe Portonera

Il requiem per Alfano, il colpito-e-affondato per Berlusconi, le bordate contro Vendola e CGIL, i colpi d’ascia sulle populistiche promesse fiscali, le lezioni e l’esempio di De Gasperi, i rimproveri (ma anche gli elogi) ai partiti che avrebbero potuto avere più coraggio, un nuovo modo di intendere la crescita e l’economia, il rilancio dell’Agenda per cambiare l’Italia e riformare l’Europa. Nella sua ultima conferenza stampa di oggi, il Premier Mario Monti non ci ha fatto mancare nulla. Ha tenuto un discorso ampio, limpido, solido: un connubio perfetto tra una lectio magistralis su cosa voglia dire servire il proprio Paese e un memorandum sugli impegni da rispettare. Il primo dei quali, il più importante, è quello che in quest’anno si è assunto la politica: ai cittadini (non più “cretini”, ha detto Monti, non più “presi in giro” cioè) è stato chiesto di diventare partecipi di un processo di risanamento politico e economico immane, per cui 13 mesi non sarebbero potuti sicuramente bastare; loro hanno accettato e sopportato, e ora non si può pensare di tornare a farli “cretini”, promettendogli la Luna, le stelle e tutto il firmamento celeste. Ai cittadini bisogna parlare con il linguaggio “crudo” della verità: non si può andare in tv a promettere di “abolire l’IMU”, perché, in una situazione come la nostra, dopo un anno si sarebbe costretti a inventare un’imposta ancora più pesante (prenda appunti chi, non pago di aver eliminato l’ICI, ora torna a propagandare la stessa avventata ricetta fiscale). Bisogna, piuttosto, spiegare come questi sacrifici servano a fare di questo Paese, un Grande Paese (smettendo i panni di ciarliere cicale e indossando quelli di laboriose formichine). Questo Monti l’ha fatto, durante i 13 mesi in cui è stato Premier e – con maggiore forza e libertà – oggi: ci sono ancora passi enormi in avanti da fare, per avere finalmente un’Italia moderna, competitiva, produttiva. In una parola: normale.

Per farlo, come proprio noi abbiamo ripetuto a lungo, bisogna rendere “ordinaria” l’esperienza “straordinaria” del Governo Monti: bisogna cioè elaborare una proposta politica “montiana” che abbia come fine non solo tirare fuori l’Italia dalle sacche in cui si era cacciato, ma di condurla verso una trasformazione (ergo, normalizzazione) totale. Proprio stamattina, Monti ha indicato i punti di riferimento che dovrebbero orientare questo tipo di nuova proposta politica, che provo rapidamente a riassumere e a implementare. Il primo, la discontinuità: Monti ha riconosciuto che l’Udc in Parlamento e nel Paese è stata la più coerente sostenitrice del suo Governo, ma una “Lista Monti” deve essere molto di più, deve essere una forza che dia voce alla maggioranza silenziosa del Paese. Il secondo, un programma economico liberale: Monti ha ricordato che la “concorrenza è la migliore leva per l’equità”, ha sottolineato come i veri “conservatori” italiani siano la CGIL e Vendola (che al tema del lavoro si approcciano con una prospettiva “arcaica”), ha tracciato un percorso di riforme radicali e strutturali. Il terzo, un nuovo modo di intendere la politica: Monti ha riconosciuto la necessità di avere “maggioranze coese e coerenti”, in un quadro bipolare “in cui ci si divida sui programmi, non sui leader”, in cui le “parole, i discorsi, le dichiarazioni abbiano il peso vero che meritano”. Un manifesto di intenti che più chiaro non si poteva e che investe, per primi, proprio noi che più di tutti siamo pronti a continuare sulla strada tracciata dal Premier. Perché, come ho già scritto, quello di cui abbiamo più bisogno è il “Partito Monti”, per assicurare la presenza di una forza ispirata al PPE, liberale popolare europea, che sia alternativa a chi chiede più Stato e meno mercato, da una parte, e più anarchia e deregolamentazione facile, dall’altra. Per questo, però, serve coerenza – e serve, in primis, da parte nostra: è giunto il momento di mettere insieme chi condivide le stesse ricette e proposte politiche. Senza operazioni di Palazzo o di bassa politica: il PDL è balcanizzato e ormai impresentabile, mentre il PD non è in grado di offrire una seria soluzione ai bisogni del Paese; c’è quindi una vasta area politica – in cui aggregare, prima che pezzi di nomenclatura varia, gli elettori – da organizzare e presidiare.

Questo è quanto ci lascia la conferenza stampa di “addio” di Monti. Se saremo in grado di dimostrare “sufficienti forze e garanzie di credibilità nell’impegno” allora avremo, a prescindere, vinto la nostra sfida.

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Rimontiamo l’Italia, perché il lavoro continua

postato il 16 Dicembre 2012

di Giuseppe Portonera

Il lavoro di Mario Monti non è finito. Dodici mesi non possono essere sufficienti per sollevare un Paese dalla situazione in cui era finito. L’Italia, il Grande Paese che vogliamo costruire, ha ancora bisogno di essere rimontata, pezzo per pezzo. Per questo la vera partita da giocare e vincere è cominciata solo ora. Per farlo, però, la figura – salda, credibile, autorevole – di Mario Monti non è sufficiente: serve una forza politica che possa sostenerlo e supportarlo come si conviene. Serve, cioè, il Partito Monti, che in una prima fase può anche essere il Partito di Monti, ma che poi deve essere capace di restare come presenza forte nel Paese. Un partito che nasce nel solco del PPE e che come tale imiti i suoi corrispettivi e omologhi europei: alternativo a chi chiede più spesa pubblica, più intervento statale, meno libertà economica; liberale (socialmente e economicamente) e conservatore (che può sembrare un’offesa solo a chi confonde “progressista” con “comunista”); rigoroso e moderno.

Non abbiamo bisogno – come sostengono molti con alterità, spocchia e tanta, tanta fifa – di “aggrapparci” a Monti, perché in presunta assenza di “idee”, “valori”, “progetti”. Perché noi montiani lo siamo da prima che questo termine facesse capolino nella vita politica italiana. Perché le cose che Mario Monti ha fatto, le cose che avrebbe fatto ancora meglio se non avesse avuto vari impedimenti e ostacoli, le cose che non ha mancato di sottolineare come “necessarie” nei suoi vari interventi in Italia e all’estero, fanno parte del nostro DNA, da sempre. Per questo siamo consapevoli che questo è il momento di mettere ordine tra di noi: se la “Lista per l’Italia” deve essere un modo per superare meno dolorosamente possibile le prossime elezioni, allora è meglio salutarsi qui. L’assunto da cui bisogna partire, se non vogliamo commettere questo errore, è quello che ha fissato Pier Ferdinando Casini nella sua intervista al Corriere, ieri: «Il nostro progetto è limpido e va oltre le scelte personali di Monti. Offriremo agli italiani un programma che parta dal lavoro portato avanti dal suo governo. Per più di un anno è stato come il medico al capezzale di un malato grave. E per salvarlo ha somministrato la pesante medicina dei sacrifici. Sarebbe assurdo che dopo le elezioni questo malato, che è l’Italia, riprendesse la vita dissoluta di prima». Ecco a cosa serve la “Lista per l’Italia”. Ed è per questo che il 20 dicembre ci vedremo a Roma, all’evento “Rimontiamo l’Italia” – organizzato dagli ottimi Gianluca Galletti, Benedetto Della Vedova e Linda Lanzillotta. Perché, come ha scritto Carmelo Palma, la situazione dell’emergenza è passata ed è giunto il momento di rendere “ordinaria” l’esperienza “straordinaria” del Governo Monti: “una continuità di governo, sul piano dei contenuti, prima che degli uomini, non potrà risultare che dalla presenza e dall’affermazione di una forza elettorale che rivendichi i meriti e rinnovi le ambizioni dell’esecutivo chiamato dal novembre 2011 a ‘salvare l’Italia’. Nessuna continuità potrà essere assicurata se a prevalere sarà semplicemente una delle coalizioni in tutto o in parte ‘anti-montiane’”. Perché il lavoro continua. Con Mario Monti Premier.

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Se la spending review si può fare grazie ad Internet

postato il 8 Dicembre 2012

di Giuseppe Portonera

La spending review dovrebbe essere un metodo permanente dell’azione di governo e il taglio dei costi, collegato all’aumento dell’efficienza e della velocità dei servizi offerti, andrebbe programmato annualmente. Grazie al Governo Monti questa strada sembra essere stata intrapresa: i ministri Giarda e Patroni Griffi, che hanno combattuto una battaglia dura contro gli immensi sprechi che si nascondono nei meandri della Pubblica Amministrazione, si sono dovuti scontrare con un moloch pesante e da più parti inattaccabile, finendo con l’incidere tagli col bisturi, anziché con l’accetta, come sarebbe servito. Questo per una molteplicità di motivi: ma quello che più mi sembra primario, è il non aver usato i giusti strumenti operativi. Il Governo Monti è il Governo dell’Agenda Digitale, che più di altro può rappresentare uno stimolo alla crescita: perché, allora, in sede di programmazione della spending review non si è pensato a tagliare i costi delle PA puntando sulla trasformazione digitale? Cosa può avere più successo della smaterializzazione delle procedure, dei documenti, dei tempi d’attesa, in materia di riduzione dei costi burocratici e maggiore efficienza del servizio?

Del resto, le idee in campo non mancano. Specie da parte nostra. Sulla scia di quanto proposto da Stefano Quintarelli, per esempio, noi pensiamo sia necessario imporre, per legge: alle PA, che qualsiasi atto o procedura non digitale sia vietato a patto che non si dimostri essere più conveniente del digitale; ai ministeri, di produrre annualmente un piano di innovazione tecnologica. È un diritto per il cittadino-utente ricevere notifiche e certificati via mail; mentre per lo Stato investire su sanità elettronica e giustizia digitale significherebbe un risparmio notevole (pensate ai faldoni di carta che occupano spazio e che per essere trasportati da un ufficio a un altro succhiano via moltissime risorse). Già in questi campi si possono attivare iniziative a costo zero: con lo switch-off nelle PA, il lavoro di trenta camminatori siciliani, per dire, sarebbe svolto da una, massimo due persone (con un risparmio di soldi pubblici e una notevole riduzione dei tempi di attesa). Una trasformazione digitale, poi, non gioverebbe solo sul fronte economico, ma anche e soprattutto su quello della trasparenza delle PA: bisogna puntare, infatti, sull’OpenData e sul FOIA. Ogni atto delle pubbliche amministrazioni (dal governo ai comuni, alle istituzioni tutte) appartiene alla comunità e deve essere conosciuto dalla comunità. Il cittadino deve poter conoscere, in ogni momento, l’attività dei suoi rappresentanti politici o amministrativi (quindi leggi, bandi, bilanci per chi gode di finanziamenti pubblici). In questo modo l’efficienza delle PA sarebbe evidente e conoscibile a tutti, e questo obbligherebbe la burocrazia a conformarsi a standard molto più elevati, rispetto a quelli di oggi. Più trasparenza, infatti, vuol dire prima di tutto meno corruzione (e quindi meno costi). Secondo la Corte dei Conti, la corruzione costa all’Italia circa 60 miliardi all’anno: negli Stati Uniti, dove la legge sul diritto all’informazione è utilizzatissima dai cittadini, il costo totale annuale per l’applicazione della legge è di circa $ 416 milioni annui, cioè di meno di $1,4 per ogni cittadino. Mentre a noi italiani la corruzione pubblico-privata costa 1.000 euro a testa all’anno. Anche una piccola diminuzione della corruzione ripagherebbe ampiamente i costi di applicazione della legge: e questa sì che sarebbe spending review!

Al prossimo governo spetta quindi questa eredità: capire che la riduzione (necessaria, profonda) dei costi della PA deve passare soprattutto attraverso l’innovazione digitale. Ecco perché sul progetto di un’Italia più trasparente, efficiente e always connected incentreremo la nostra campagna elettorale.

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Perché sulla Legge Elettorale serve, prima di tutto, buon senso

postato il 9 Novembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Scavone

Il dibattito politico, negli ultimi giorni, si è concentrato sul tema della legge elettorale. Su tv e giornali si soprappongono quotidianamente voci discordanti, spesso con toni abbastanza forti, che rischiano di soffocare il vero tema di fondo e far cadere nel nulla ogni sforzo per riformare l’attuale sistema.

Ma chiariamo prima un concetto fondamentale: sono molti coloro i quali pensano che il tema in questione sia di poco conto, che la politica dovrebbe concentrarsi sulle questioni vere e non perdersi in estenuanti confronti su argomenti del genere. Sia chiaro: una migliore legge elettorale non potrà risollevare direttamente le condizioni delle nostre famiglie, non potrà apparentemente dare risposta alle difficoltà dei cittadini. Ma se facciamo un’analisi più attenta, ci accorgiamo che è proprio dalla legge elettorale che possono provenire quelle stesse risposte. È infatti la legge elettorale che determina la composizione del Parlamento, la scelta dei nostri rappresentanti, momento non secondario nella vita di un Paese che vuole pensare a risollevarsi.

Chiarito questo, risulta inevitabile affermare la necessità non più rinviabile di mettere mano alla legge tuttora vigente. Sin dall’avvento del Governo Monti le forze politiche hanno sempre concordato su questo punto, avviando un dialogo interminabile che ad oggi non ha ancora visto il raggiungimento di un’intesa, nonostante i continui e attenti moniti di Napolitano. Si sono susseguiti tavoli di confronto, dichiarazioni, smentite, passi indietro che hanno travagliato sempre di più il percorso della nuova legge elettorale. In questo scenario, hanno giocato un ruolo decisivo le posizioni discordanti sul metodo di scelta dei parlamentari e su quella che viene definita stabilità. E così si sono confrontati coloro che considerano migliore il sistema dei collegi con quelli che privilegiano il metodo delle preferenze, così come c’è stato ampio scambio di opinioni sulle percentuali collegate al premio di maggioranza.

Mi limito ad alcune considerazioni. Che si debba recuperare un rapporto diretto tra elettore ed eletto è fuori di dubbio; ce lo ricorda quotidianamente la disaffezione degli italiani dalla politica, che richiede appunto un maggior impegno in questo senso. Ma quale miglior strada delle preferenze, che addirittura ci permetterebbero di esprimere doppie scelte di genere?

Il maggior oggetto di discordia però risulta essere il premio di maggioranza. Sono notizia di questi giorni le forti reazioni del centro-sinistra all’approvazione in commissione di un emendamento che prevede lo scatto del premio solo per la coalizione che superi il 42,5% di consensi. Le critiche provengono da chi, pur consapevole della necessità di una soglia minima riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale, ha accusato di blitz la parte avversa. Tutto ciò risulta ancora più strano se consideriamo le percentuali dei partiti della coalizione in questione: i sondaggi, in ogni caso puro metro indicativo, indicano che PD+Sel+Psi raggiungerebbero livelli che si attestano intorno al 30%. Quindi, tirando le somme, chi ha queste percentuali pretende di avere più del 50% dei seggi in Parlamento? A parer mio, questa non è una questione di stabilità o governabilità, ma di buon senso.

In questa confusione, si sta perdendo la vera bussola. Il dialogo deve essere alla base della riforma, ma non può risolversi in ostruzionismi o  atteggiamenti di critica incondizionata. Ogni forza politica deve assumersi la propria responsabilità, perché è in gioco il futuro di questo Paese. L’incapacità di un certo modo di far politica – determinato, sia chiaro, anche dall’attuale sistema elettorale – ha fatto sì che si dovesse ricorrere a nuove figure esterne. Possiamo permetterci  che queste intervengano anche su un tema così strettamente politico?

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La vera partita da vincere comincia adesso

postato il 29 Ottobre 2012

di Giuseppe Portonera

Qualche mese fa, su questo sito, pubblicai un articolo, descrivendo quello che – a parer mio – serviva davvero alla Sicilia per uscire dal pantano in cui anni e anni di cattiva gestione delle risorse l’avevano cacciata. Non era ancora certo che saremmo tornati alle urne, ma concludendo il pezzo osservavo che: “in un momento di stringente crisi come questo, i rubinetti sono destinati a chiudersi, bruscamente. Questo vuol dire che se arriveremo impreparati a quel momento, continuando magari allegramente a spartire posti e incarichi di sottogoverno, il default sarà assicurato. La scelta sta a noi. Diciamo basta alla Sicilia-Crono che divora i suoi figli e agli interventi palliativi per pony: diamo avvio a una seria cura da cavallo, per rimettere in sesto la nostra terra”. Il “mio” programma minimo di buon governo constava di pochi ma fermi punti: in primis, una gestione migliore dei fondi pubblici (che passa, inevitabilmente, per un taglio netto alla spesa pubblica); in secundis, la richiesta alla politica di decidersi, una volta per tutte, a fare il proprio mestiere, che non è quello di essere onnipresente e invadente, ma di lasciare libero campo d’azione all’iniziativa privata dei cittadini siciliani.

Ieri, nella mia Sicilia, si è votato per il rinnovo dell’Assemblea Regionale e per l’elezione diretta del Presidente della Regione. Dai risultati dello scrutinio – che, mentre scrivo, non è ancora concluso: un abbraccio fortissimo agli organi a questo proposti, per la loro celerità – si profila una vittoria, netta, del candidato Rosario Crocetta, sostenuto da un’alleanza di centrosinistra (riformista) tra Pd e Udc (salutateci anche gli amici di SEL e IDV). Prima notazione: è una vittoria “netta”, per una serie di ragioni che elencherò in seguito, ma non è di certo “totale”. Crocetta ha vinto superando di poco il 30%, non avrà una maggioranza solida all’ARS e il dato altissimo dell’astensionismo è comunque una sconfitta, per tutti. Perché, allora, ritengo la sua una vittoria “netta”? Primo, per il profilo personale del candidato: Crocetta è stato un sindaco amato e discusso e ha unito e diviso con la sua ferma e coraggiosa battaglia per la legalità. Secondo, per le modalità con cui questa vittoria è stata conseguita: Crocetta, e i partiti che lo hanno sostenuto, hanno giocato tutto in rimonta, affrontando un candidato di centrodestra dato per vincente sin dall’inizio della campagna elettorale e smontando un blocco politico ritenuto, fino a qualche tempo fa, solidissimo. Terzo, perché – fidatevi, è così – Crocetta ha vinto la sfida con Grillo (ci perdonerà Giancarlo Cancelleri, che ci è parso tuttalpiù un semplice avatar): l’affermazione del M5S c’è stata, innegabile, ma il suo candidato presidente è arrivato terzo e gli elettori siciliani hanno preferito un ex sindaco che gira la Sicilia a spiegare il proprio programma sui palchi a uno che attraversa lo stretto a nuoto e catalizza tutta l’attenzione esclusivamente su di sé (non è un caso, infatti, che l’exploit del M5S sia conciso con il tracollo del PDL: finite le prebende, il richiamo dei caudilli si fa irresistibile). Quarto, perché gli artefici di questa vittoria siamo anche e soprattutto noi, che abbiamo fatto una grande scelta di responsabilità (rinunciando a presentare un nostro candidato e stringendo un’alleanza di buon senso) e che per questo siamo stati premiati dall’elettorato: chi di voi avrebbe scommesso i suoi two cents sul fatto che l’Udc, il partito dato per scomparso dopo la scissione dell’ottobre di due anni fa, oggi avrebbe riconfermato i suoi voti e sarebbe diventato forza di governo?

Concediamocelo: quello di oggi è stato un piccolo capolavoro politico. Sarebbe potuto venire meglio, sicuramente. Ma siamo soddisfatti di quanto abbiamo fatto, anche perché siamo consapevoli che la vera partita comincia adesso. E, per quanto ci riguarda, comincia dal programma minimo di cui sopra: la Rivoluzione, che faceva da leitmotiv alla nostra campagna elettorale, dovrà essere vera, dirompente, liberatoria. Dovrà essere una Rivoluzione del merito e della legalità, della bellezza e della libertà, dell’impegno e del lavoro. Solo così, solo liberando e riformando in profondità la nostra Regione, potremo dirci veramente soddisfatti e vincenti.

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Ci siamo, #Chianciano è il meeting di chi vuole governare

postato il 6 Settembre 2012

di Giuseppe Portonera

Ci siamo. Il 7 settembre ricomincia il nostro tradizionale appuntamento di partito, come sempre a Chianciano: saranno tre giorni, fino a domenica, ricchi di incontri e dibattiti, con moltissimi ospiti e protagonisti di primo piano. Il via, ufficialmente, alle 17 di venerdì, con i saluti istituzionali e l’intervento d’apertura del nostro segretario, Lorenzo Cesa; ma si entrerà subito nel clou dell’evento, con gli interventi di Bonnani (CISL), Riccardi (Ministro della Cooperazione), Ornaghi (Ministro dei Beni Culturali), Vietti (Vice presidente CSM) e Martone (sottosegretario al Lavoro). Sabato 8 giornata fittissima: la mattinata sarà occupata infatti dagli interventi di diversi big, da Marcegaglia (ex Presidente di Confindustria) a Olivero (ACLI), passando per De Vicenti (sottosegretario allo sviluppo), arrivando a Petrucci (Presidente CONI, che sarà accompagnato dai campioni olimpionici) e Catania (Ministro dell’Agricoltura). Grandi ospiti anche nel pomeriggio: alle 15.00 apre le danze Patroni Griffi (Ministro della Funzione Pubblica), seguito da Dellai (Presidente Trentino Alto Adige), Clini (Ministro dell’Ambiente), Rossi (Italia Futura, firmatario del manifesto Fermareildeclino). Star del pomeriggio saranno Corrado Passera (ministro Sviluppo economico) che si confronterà con le domande dei giovani presenti in sala e Gianfranco Fini (Presidente della Camera), che sarà intervistato da Carlo Fusi (Il Messaggero). Domenica, infine, dopo gli interventi programmati di alcuni deputati, il nostro leader Pier Ferdinando Casini chiuderà ufficialmente la festa.

Come potete ben vedere, leggendo il programma, il nostro meeting annuale si annuncia diverso dalle edizioni precedenti. In tutti questi anni, infatti, Chianciano è stata l’occasione per fare il punto della situazione sull’anno appena trascorso, per tirare il nostro personale bilancio dell’attività di un anno. Questa volta, invece, Chianciano sarà molto di più: per la prima volta offriremo il palco della nostra festa a ospiti nuovi, che non fanno parte del nostro partito, ma che sono attori a cui guardiamo con enorme interesse, nel processo di costruzione di una nuova casa che sia pronta ad accogliere tutti coloro che vogliono trasformare questo Paese, per restituirlo finalmente alla dignità che gli spetta. Saranno presenti molti ministri del Governo Monti, che in questi ultimi 9 mesi ha rappresentato la conquista più alta del nostro lavoro e impegno, con cui interagiremo e ci confronteremo, spiegando cosa è stato fatto e cosa bisogna ancora fare, meglio di quanto sia stato già fatto. Ci saranno anche esponenti della cosiddetta società civile, di quei mondi ai quali ci siamo aperti e di cui ci sentiamo ormai parte integrante, uniti come siamo da un comune sentire su rigore e crescita (penso per esempio ai firmatari del manifesto Fermareildeclino).

Chianciano sarà molto di più rispetto agli altri anni, anche perché stavolta ci sarà la possibilità per chiunque vorrà, presente in sala o collegato da casa, di interagire con i nostri ospiti. Oltre la diretta sulla web tv, infatti, potrete seguire l’hashtag #Chianciano, su twitter, insieme ai nostri profili @estremocentro e @udctw, tutti gli aggiornamenti: inoltre, usando sempre #Chianciano potrete inviarci i vostri suggerimenti, i vostri consigli, le vostre intuizioni, le domande che vorreste porremmo agli ospiti sul palco. Tutti i tweet, in più, faranno da sfondo ad ogni intervento. Potete seguirci pure su Fb, postando le vostre foto: le migliori andranno sul profilo personale di Pier Ferdinando Casini (ah, e se siete pure su Instagram non esitate a usarlo: l’hashtag è sempre #Chianciano). Tutto questo sarà la nostra festa e faremo di tutto perché sia, soprattutto, la vostra festa: di tutti quelli che, come noi, sono pronti a mettere animo e cuore in una nuova avventura. Perché in tutti questi anni abbiamo tenuto fermo il punto e presidiato il campo: ora è arrivato il momento di osare, di vincere e di governare. Seguiteci, ripartiamo da qui.

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