Tutti i post della categoria: Economia

Cosa serve (davvero) alla Sicilia

postato il 14 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera di oggi, ha scritto un articolo durissimo – fin dal titolo, “Il Festival degli sprechi” – sul recente stop di 600 milioni di euro di fondi dall’Ue alla Regione Sicilia. L’analisi è impietosa: dal 2000 al 2006, la Sicilia ha ricevuto 16,88 miliardi di fondi europei (il quintuplo dei fondi destinati a tutte le regioni del nord); di questi il 30-40% pare sia gestito dalle mafie. Di 2177 (duemilacentosettasette) progetti finanziati, ne sono stati completati solo 186 (centoottansei): l’8,6% (otto virgola 6 percento). Più di uno spreco, uno scandalo. Per anni in Sicilia sono piovuti miliardi, che invece di trasformare l’Isola in positivo, hanno solo aggravato, peggiorato, portato alla cancrena la situazione. Il centro studi Svimez ha calcolato che il Pil pro capite delle regioni del Sud dal 1951 al 2009, anziché crescere, ha subito rispetto al Nord un netto arretramento, passando – in modo constante – dal 65,3% al 58,8%.

Cos’è che quindi serve davvero alla Sicilia, per invertire la vergognosa tendenza? Di sicuro, meno soldi. Basta rubinetti aperti che servono solo a ingrassare clientele e a offrire una succulenta moneta di scambio a una classe politica parassita e parassitaria. Serve, poi, meno spesa pubblica, tagli netti alla pletorica e non funzionale macchina amministrativa/burocratica della regione. Serve avere il coraggio di dire basta alle infornate per stabilizzare migliaia di precari ogni anno (perché non è così che si crea lavoro!). Serve, quindi, un netto cambio di rotta: innanzitutto serve – paradossalmente – meno politica: serve cioè più spazio per l’iniziativa privata; in Sicilia i livelli di penetrazione industriali sono bassissimi e le varie aziende che nascono sopravvivono spesso solo grazie a incentivi vari, mentre proprio la stessa burocrazia regionale le strangola lentamente (del resto, ce lo insegnò Hayek: chi possiede tutti i mezzi, stabilisce anche tutti i fini). Viva la concorrenza, viva la libertà di investire, vincere (o fallire) quindi! Bisogna poi recedere in profondità i canali di collegamento tra i politici che spartiscono fondi pubblici per interessi privati. Perché, facendo questo, si assesta anche un colpo mortale alla corruzione e ai mille tentacoli delle piovre mafiose: l’Ue ha bloccato la tranche di 600 milioni di euro, perché non condivideva la sua divisione in mille rivoli – una marea di “misure” e “sottomisure” (gli ambiti di intervento) – tali da rendere sempre più piccoli gli importi ma anche più difficili i controlli.

Qualche tempo fa, il ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca spiegava che il dato che più impensieriva gli organismi internazionali non era il pur spropositato livello della nostra spesa pubblica nazionale, quanto l’improduttività di gran parte dei suoi capitoli: in parole più semplici, l’incapacità della spesa pubblica (che è uno strumento utilissimo, da gestire con molta attenzione) di creare ricchezza. E, provate a indovinare, quali sono le regione che più appesantiscono con le loro cattive performance questo già triste bilancio. In Sicilia, per esempio, la spesa pubblica per le infrastrutture è altissima, ma le infrastrutture non esistono. E i soldi stanziati, che fine fanno? Eh.

Se, come è vero, a Ottobre si tornerà a votare per le elezioni regionali, questi saranno i temi che diventeranno ineludibili. Perché, in un momento di stringente crisi come questo, i rubinetti sono destinati a chiudersi, bruscamente. Questo vuol dire che se arriveremo impreparati a quel momento, continuando magari allegramente a spartire posti e incarichi di sottogoverno, il default sarà assicurato.  La scelta sta a noi. Diciamo basta alla Sicilia-Crono che divora i suoi figli e agli interventi palliativi per pony: diamo avvio a una seria cura da cavallo, per rimettere in sesto la nostra terra.

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Expo 2015: il tempo passa, ma a che punto siamo con i lavori?

postato il 7 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In passato ho scritto dell’expo in varie occasioni e ho sempre sollevato dei dubbi in merito alla tempistica e ai costi dei lavori, senza contare i problemi e le vicissitudini dei vertici della società che gestisce tutto l’affare “Expo”.

Oggi i miei dubbi permangono.

Il 30 settembre scorso il consiglio generale di Fondazione Fiera Milano, dopo avere recepito la volontà degli enti locali (Regione Lombardia e Comune di Milano), di comprare i terreni che ospiteranno l’Expo 2015 attraverso la società per azioni Arexpo, aveva deciso di entrare nella suddetta società con una quota del 27,7% del capitale (il Comune di Milano e la Regione Lombardia hanno circa il 69% della società) tramite il conferimento ad Arexpo di una parte, (circa 158 mila metri quadri), delle aree di sua proprietà necessarie alla realizzazione del sito Expo, a un valore pari a 26 milioni di euro. In pratica, la Fondazione Fiera Milano, entra nell’affare fornendo una parte dei terreni (che aveva di proprietà) conferendoli ad una società di cui acquista una parte della proprietà. Sembra uno scioglilingua, ma, questo escamotage assolutamente legale (tengo a precisarlo), di fatto permette alla Fondazione Fiera Milano di entrare nell’affare con un esborso minimo.

Anche il governo sta valutando il suo ruolo, dato che contribuisce alla realizzazione del sito con 823 milioni. Tra le ipotesi c’è anche l’ingresso del ministero delle Finanze dentro Arexpo, oppure la possibilità di uno sconto per lo Stato sulle opere di smantellamento a fine rassegna. A tal proposito riporto la dichiarazione rilasciata qualche giorno fa da Mario Catania, ministro dell’agricoltura, che ha affermato: ”Per l’Expo di Milano faremo tutto il possibile e tu e la tua organizzazione, come l’intero settore agricolo ci darete una mano”. Catania ha ribadito un convinto sostegno all’Expo del 2015 che servirà a ”dare un messaggio e un’immagine del sistema complessivo dell’agroalimentare italiano”.

Ma a che punto siamo con i lavori? Intanto premetto subito che si può rinunciare all’EXPO 2015, infatti, il regolamento del Bie (Bureau International des Expositions, ovvero l’ente supremo che gestisce i vari EXPO) prevede la possibilità di ritirarsi. Il ritiro, a partire da maggio 2012 e fino ad aprile 2013, comporterebbe una penale di 51,6 milioni di euro.

Se invece si continua sull’EXPO 2015, è bene dire che gli interventi previsti costeranno, in base alle ultime stime, fino a 25 miliardi tra opere e costi diretti, cioè creazione degli spazi espositivi di gestione. Questa cifra immane comporta la necessità, per il Comune di Milano, di ottenere una deroga al patto di stabilità interno. Per evitare tale deroga, l’alternativa sono gli investimenti dei privati che coprirebbero tali spese, ma al di là degli impegni verbali, l’intervento dei privati latita. Il Comune meneghino ha preparato un pacchetto di undici progetti obbligatori e di sette qualificanti che, per la maggior parte, dovranno essere finanziati da Palazzo Marino. Il problema, però, è che il Comune non può indebitarsi a causa dei vincoli imposti dal Patto di Stabilità. E il rischio è la paralisi.
Proprio per questo motivo, a Milano è divenuta concreta l’ipotesi che i lavori per la Pedemontana, le nuove linee metro e la bretella di raccordo tra Fiera di Rho e Malpensa, non vengano conclusi per il 2015. A questi problemi aggiungiamo anche il giudizio espresso nel dossier sui sistemi infrastrutturali dell’Osservatorio del Nord Ovest di Assolombarda, stilato lo scorso dicembre che afferma: “dal punto di vista procedurale, si segnala che diverse opere essenziali e connesse non hanno ancora un progetto preliminare approvato, con possibili ripercussioni sulla possibilità di realizzare gli interventi in tempo per l’Expo”.

A fronte di queste spese, quali sono i possibili ricavi (che, sono solo preventivati e ipotizzati, quindi assolutamente non certi)? Questi i numeri previsti: 20 milioni di visitatori di cui un terzo stranieri, settemila eventi in sei mesi, 181 paesi partecipanti, 61 mila posti di lavoro l’anno nel decennio 2011-2020, 3,5 miliardi di euro per la spesa turistica indotta e una produzione nel secondo decennio del secolo di 69 miliardi di euro, il tutto per una crescita del Pil dello 0,18 per cento. Sono numeri credibili? Sui posti di lavoro è lecito sollevare dei dubbi, visti i ritardi nei lavori, ma quel che più preoccupa è che ad oggi, solo 81 nazioni abbiano dato per certa la loro partecipazione firmando i relativi documenti. Vi sono poi una diecina di nazioni tra cui USA, Brasile e Cina che hanno espresso il loro interesse a partecipare, ma solo verbalmente e senza avere sottoscritto alcun impegno vincolante.

Da quanto detto è chiaro che siamo di fronte ad un opera faraonica, ma che, proprio per questo motivo, richiede celerità e massima attenzione per evitare che si facciano “cattedrali nel deserto” come fu per “Italia 90”.

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Spending review? Misure impopolari ma necessarie

postato il 5 Luglio 2012

La spending review non è una manovra aggiuntiva: sono quei tagli agli sprechi, quei sacrifici dolorosi che da anni abbiamo rinviato e che andavano fatti.
Monti ha chiesto alla politica di condividere un disegno di risanamento del Paese. Sappiamo che e’ un passaggio delicato ma per anni abbiamo detto che gli sprechi andavano rimossi. Oggi si avvia questo processo e noi siamo ancora una volta a sostenere scelte impopolari ma utili al Paese.

Pier Ferdinando

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La vittoria di Monti per le imprese e per le famiglie

postato il 1 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carmelo Cutrufello

Monti vince la battaglia sul firewall anti speculazione e le borse ieri reagiscono in modo quasi scomposto: Milano, la migliore, guadagna più del 6 per cento (circa 15 mld di euro di capitalizzazione), ma Atene, Madrid, Parigi e Francoforte non sono da meno.

Perché la guerra allo spread è così importante e perché se lo spread cala le imprese aumentano il loro valore? Intanto vediamo cos’è lo spread. In parole povere è la differenza di rendimento tra due titoli finanziari (nel nostro caso il Bund tedesco a 10 anni e il Btp italiano a 10 anni) di pari durata. In valore assoluto il tasso di interesse rappresenta il costo al quale un Paese può contrarre (quindi vendere il proprio) debito, nello specifico lo spread rappresenta la differenza tra il rendimento dei titoli tedeschi e italiani. Ma quanto vale questo spread? Un sacco di soldi. Considerate che il nostro debito pubblico è di circa 1966 miliardi di euro (e Monti non ne ha causato nemmeno un euro) quindi ogni 100 bp (basis point) di rendimento (il famoso 1%) vale la bellezza di 19,66 miliardi di euro. Per capirci l’aumento di un punto percentuale dell’iva previsto per ottobre vale 4,5 miliardi. Ieri, dopo la conferenza di Monti, lo spread è sceso del 10% facendo scendere a sua volta il costo del nostro debito futuro dello 0,5% il che si traduce in un risparmio di circa 8 miliardi di euro sul costo del debito. L’obiettivo del Governo è tirare fuori dal pantano del debito il Paese riportando lo spread a circa 130 bp sul tedesco. Se succedesse questo si tradurrebbe in un risparmio sul costo del debito di quasi 60 mld di euro. Non solo, a quel tasso di interesse il nostro debito sarebbe assolutamente sostenibile nel lungo periodo e potremmo permetterci di far scendere la pressione fiscale.

Ma perché Monti ha alzato le imposte? Le imposte sono state l’agnello sacrificale sull’altare dello spread. Ma se alzi le imposte le imprese e le famiglie si impoveriscono, che senso ha? Rendere sostenibile il debito, contribuisce a diminuire lo spread e quindi ad abbassare il tasso di interesse dei titoli di Stato. Poiché questo rendimento è un parametro di riferimento per le banche, rispetto al quale stabiliscono il costo del denaro per imprese e famiglie. Minore è il costo per lo Stato, minore è il costo per famiglie e imprese. Del calo dello spread quindi ne beneficiano anche famiglie e imprese. In diversa proporzione. Sul fronte del costo del debito ne beneficiano soprattutto le imprese. Facciamo finta che voi siate un magnate internazionale e voleste investire in Italia 10 milioni di euro. Quanto peserà il costo del denaro nella vostra scelta? Con un tasso al 9% per le imprese private (più o meno quello attuale) il denaro vi costerà 900mila euro l’anno; con un tasso al 5,5% il costo sarà di 550mila euro. La differenza? 350 mila euro l’anno! Voi dove investireste? Il costo del denaro è per le imprese un parametro molto importante, insieme alla stabilità politica, sul quale basare le scelte di investimento del lungo periodo perché ne determina la capacità competitiva. Le multinazionali sono andate via in massa dall’Italia a causa di questo mix mortale: Governo incapace di risolvere i problemi, costo del denaro crescente, marginalità in discesa.

E le famiglie? Beh le famiglie hanno altri benefici. Sul fronte delle imposte, con l’Imu, si ridistribuisce ricchezza: chi ha 10 case paga, chi ne ha una nella stragrande maggioranza dei casi non versa nulla. Del costo della benzina non parlo: il Governo ha costretto Eni a fare il super sconto di 20 centesimi nei week end, Eni non fallisce, e i prezzi sono tornati quelli dell’anno scorso. Era un problema di cartello, non di accise. Peccato che il governo precedente non si sia reso conto della situazione. Sul fronte dello spread le famiglie hanno benefici diretti in due casi. Primo, il mutuo a tasso variabile costa meno perché i tassi di riferimento scendono. Tre punti e mezzo in meno sul tasso di riferimento fanno scendere la rata (su 100mila euro di mutuo) di 3500 euro l’anno. Secondo, possono prendere a prestito il denaro ad un costo inferiore. Terzo, ma più importante, il basso costo del denaro costituisce un vantaggio competitivo per le imprese che possono così investire di più, e di conseguenza, assumere di più.

Ecco perché il Governo Monti, dopo aver salvato lo stipendio e le pensioni dei dipendenti pubblici Italiani, ieri ha salvato anche il sistema Paese e la sua impresa. Gli effetti benefici di questo processo finanziario si vedranno nei prossimi mesi. Nel frattempo non dobbiamo fermarci: occorre abolire le provincie, accorpare i piccoli comuni, chiudere i 3127 enti strumentali inutili individuati da Giarda, rendere trasparenti gli appalti. Alla fine sarebbe un’altra Italia, più giusta, più equa e più meritocratica. Noi ci crediamo.

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L’accordo raggiunto permette di rilanciare l’Europa

postato il 29 Giugno 2012

“Riceviamo e pubblichiamo ” di Mario Pezzati

L’accordo raggiunto ha galvanizzato le borse europee, soprattutto perché dopo le diatribe degli ultimi giorni quasi nessuno si aspettava un simile risultato. Evidente anche l’impatto sul fronte obbligazionario, tanto che lo spread BTP-Bund ha subito un forte ridimensionamento e dopo essere sceso al di sotto dei 410 punti base, ha risalito la china. Ora il differenziale tra il decennale tedesco e quello spagnolo viene fotografato poco oltre i 441 punti base, con una secca contrazione di quasi il 5,5%. In forte recupero i prezzi del petrolio che dopo l’affondo di ieri recuperano posizioni e si riportano a ridosso dei 79,5 dollari con un rialzo del 2,33%. A riattivare lo shopping sul greggio contribuisce anche l’indebolimento del dollaro, nei confronti del quale l’euro sta recuperando posizioni, scambiando a 1,257.

Sostanzialmente l’accordo raggiunto nella notte ha dato vita al meccanismo anti-spread proposto dal Presidente del Consiglio Mario Monti ed è prevista l’adozione di un sistema che permetta di tenere sotto controllo l’andamento degli spread, oltre ad un piano che consenta l’uso dei fondi europei di salvataggio volto a stabilizzare i mercati del debito e ricapitalizzare direttamente le banche rompendo, di fatto, il circolo vizioso banche/debito sovrano.

Cosa accadeva infatti? Che i problemi delle banche emergevano tardi (quando erano veramente enormi), e venivano scaricati sui bilanci degli stati, indebolendo questi ultimi e generando ulteriori problemi e costi, in un circolo vizioso. Con un intervento diretto sulle banche, invece, e soprattutto con la vigilanza preventiva (altro punto emerso dagli accordi di questa notte), gli interventi saranno tempestivi e con costi più limitati, permettendo la rottura del circolo vizioso di cui sopra, nell’ottica di uscita dalla crisi.

Si può pensare di essere nella fase finale della crisi che ha avuto inizio nella primavera del 2010? Al momento è prematuro per affermare una cosa del genere, ma gli esperti prevedono che, se si procederà ad una attenta analisi costi/benefici, l’unica conclusione sarà una soluzione basata su tre pilastri: Unione Bancaria, European Redemption Fund e cessione parziale di sovranità all’Unione europea.

L’accordo, oltre ai due fondi citati, riguarda anche altre iniziative che dovrebbero rilanciare l’economia europea, tra cui anche il pacchetto da 120 miliardi di euro da destinare agli investimenti produttivi.

La possibilità di ricapitalizzare direttamente le banche servirà non solo a rassicurare i mercati, ma permetterà interventi e controlli “prima” e non, come accade ora, dopo che i problemi diventino troppo gravi. In altre parole, con dei controlli preventivi e con le conseguenti azioni si vuole evitare che i costi degli interventi siano eccessivi e pesino eccessivamente sulle spalle dei cittadini e degli Stati.

Se andiamo ad analizzare il meccanismo anti spread, fortemente voluto da Mario Monti che aveva minacciato di non firmare le altre iniziative europee, facendo pesare i sacrifici che gli italiani avevano fatto per l’Europa, osserviamo che verrà attivato su richiesta dei Paesi che lo riterranno opportuno, ma non implicherà nuove condizioni oltre a quelle stabilite dal Patto di stabilità e crescita rafforzato, e la sua attivazione non sarà monitorata dalle istituzioni europee come nel caso dei programmi di aiuto per i paesi in bancarotta.

“Con questo accordo si capovolge il concetto di vigilanza e di condizionalità: finora la logica all’interno del patto di stabilità era impostata su verifiche ex-post dei conti pubblici e delle adeguate misure”, commenta Felice De Novellis, economista di Ref Ricerche. “Ora il controllo e la condizionalità sono spostati ex-ante: quindi la vigilanza, che certamente andrà rafforzata, dovrà verificare ex-ante se un Paese è nelle condizioni di poter avere tale tipo di sostegno”.
“Sposta la logica e ciò è un’ottima idea: un Paese sarà anche incentivato a essere e a rimanere in un sentiero virtuoso perché ciò gli consentirà di garantirsi livelli di rendimenti e politiche fiscali prevedibili. E di conseguenza un Paese diventa così anche più credibile. E’ uno strumento decisamente migliore rispetto a quello degli eurobond”, aggiunge De Novellis.

Lo stesso presidente della BCE, Mario Draghi, si è detto “molto contento” delle discussioni di ieri durante il Consiglio Ue di Bruxelles e incalza i leader a continuare oggi le trattative. “Sono stati raggiunti risultati nel breve termine. La deroga dello status di creditore privilegiato per la Spagna è uno di questi risultati”, ha aggiunto. “La futura possibilità di usare l’Esm per ricapitalizzare direttamente le banche, qualcosa che la Bce chiede da un po’ di tempo, è anche un buon risultato. E dobbiamo tenere in mente che tutte queste cose, per essere credibili, dovrebbero essere accompagnate da stretta condizionalità. Questo è essenziale”. “La Commissione europea – ha detto poi Draghi – presenterà una proposta sulla base dell’articolo 136 del Trattato per la creazione di un meccanismo di vigilanza unico, all’interno del quale la Bce assumerà il ruolo di supervisore per l’eurozona”. Per il presidente della Commissione Jose Manuel Barroso il vertice ha rappresentato un passo verso un’autentica unione monetaria della Eurozona. Sempre secondo Barroso, “i leader Ue sono stati capaci di prendere misure di breve e medio termine impensabili solo fino a pochi mesi fa”.

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Approvare subito la riforma del lavoro

postato il 18 Giugno 2012

Il presidente del Consiglio Mario Monti ha fatto un appello per approvare la riforma del lavoro prima del consiglio europeo del 28 giugno e noi dobbiamo rispondere ‘presente’. Poi,  in un secondo tempo, si può fare una verifica. Basta indebolire un governo che solo a parole si dice di voler sostenere. La crescita del Paese non e’ cosa che si possa affidare alla bacchetta magica di un ddl, ma questo rappresenta comunque un primo passo significativo. Sono rammaricato nel vedere che tra i partiti che sostengono l’esecutivo si tende, non a valorizzare il lavoro fatto fin qui, ma a screditarlo.

Pier Ferdinando

 

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Pazzo irresponsabile chi propone uscita da Euro

postato il 18 Giugno 2012

Sollievo per risultato urne in Grecia

Chi propone l’uscita dell’Italia dall’euro e’ un pazzo irresponsabile. La strada della demagogia porta irrimediabilmente a disastri e catastrofi. Ieri i greci hanno fatto una scelta di responsabilità e oggi l’Europa non può lasciarli soli: dobbiamo dare loro una mano sui tempi di adempimento degli impegni assunti.

Pier Ferdinando

 

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Decreto Sviluppo: in arrivo 80 miliardi per la crescita

postato il 18 Giugno 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Il Decreto Sviluppo può essere una enorme iniezione di fiducia, ma soprattutto di risorse per rilanciare la crescita dell’Italia, nonostante già in queste ore i primi scettici si facciano avanti.

Gli 80 miliardi messi in campo dal governo andranno a coprire moltissime aree produttive italiane, ma gli investimenti più corposi saranno nel settore casa e infrastrutture.

Oltre ai soldi, questo decreto contiene anche alcuni punti che riguardano l’ecologia e le nostre coste: è stato stabilito di elevare, per olio e gas, la fascia di rispetto per le nuove trivellazioni in mare a 12 miglia dalle precedenti 5 miglia dalla costa e l’impulso dato allo sviluppo giovanile nella green economy (tramite finanziamenti agevolati, per un totale di 470 milioni, per quei progetti che prevedono assunzioni a tempo indeterminato).

Ma cosa contengono le 70 pagine che compongono il decreto?

Dovranno obbligatoriamente essere pubblicati su Internet dati e informazioni relativi alle somme di danaro superiori a 1.000 euro erogate a qualsiasi titolo dalla pubblica amministrazione o soggetto “ad essa funzionalmente equiparato” (concessionari di servizi pubblici o società a prevalente partecipazione o controllo pubblico) a imprese e altri soggetti economici; decreto istituisce anche un “Fondo per la distribuzione di derrate alimentari agli indigenti”, che sarà gestito da Agea e a cui sarà assegnata per il 2012 una dotazione iniziale pari a un milione di euro. I processi dovranno concludersi entro 6 anni con sentenza definitiva per essere di “ragionevole durata”. Non più di tre anni per il primo grado, due per l’appello e uno per il giudizio in Cassazione. Per ogni anno in più ci sarà un indennizzo tra i 500 e i 1.500 euro.

Come detto la parte del leone la faranno i provvedimenti per la casa e gli investimenti in infrastrutture, complessivamente 40-45 miliardi di euro, in particolare le agevolazioni fiscali per i lavori di ristrutturazione prorogati fino al 30 giugno 2013 con soglie di detrazione innalzate al 50% fino a un massimo di 96.000 euro e proroga delle agevolazioni per le riqualificazione energetica fino a metà 2013 con detrazione al 50%; il ripristino Iva per cessioni e locazioni di nuove costruzioni; semplificazioni in materia di autorizzazioni edilizie.

Per quanto riguarda gli investimenti, oltre allo blocco dei cantieri già approvati, vi sono misure per accelerare le procedure per gli investimenti anche per i cantieri da approvare.

Un capitolo è dedicato al credito d’imposta (pari al 35%) per l’assunzione di personale “altamente qualificato” allo scopo di incoraggiare le assunzioni di lavoratori di ogni età, anzi nel decreto si legge che è previsto il “vincolo di trattenere il personale assunto per almeno 3 anni. Sono stabilmente destinati alla misura 50 milioni di euro all’anno rinvenienti dalle risorse che provengono annualmente dalla riscossione delle tasse sui diritti brevettuali. Il contributo potrebbe favorire oltre 4 mila nuove assunzioni”. lo sviluppo dell’occupazione giovanile nella green economy; apertura al mercato dei capitali per le società non quotate con cambiali finanziarie e obbligazioni con il supporto di sponsor; srl semplificata estesa agli over 35; misure per accelerare gli investimenti in infrastrutture.

Per l’Imu è stato stabilito che verranno esentati dalla tassa, le aziende per un periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori (immobili, magazzino, fabbricati costruiti e destinati alla vendita), mentre per l’iva si prevedono importanti novità in campo edilizio: l’attuale normativa prevede che le cessioni e le locazioni da parte delle imprese edili di nuove costruzioni destinate ad uso abitativo, oltre il termine di cinque anni dalla costruzione, siano esenti dall’Iva. Il nuovo decreto abolisce il limite temporale dei cinque anni, prevedendo quindi che le cessioni o locazioni di nuove abitazioni effettuate direttamente dai costruttori siamo sempre assoggettate ad Iva e consentendo di conseguenza alle imprese di avvalersi della compensazione

Sembra poi che l’agenda digitale e l’abbattimento del digital divide (con potenziamento della rete internet) porterà dei risultati concreti, infatti il decreto Sviluppo contiene un anticipo di alcune norme per la cosiddetta agenda digitale (l’intero provvedimento è atteso per agosto) con l’istituzione di un’agenzia ad hoc.

Come previsto sono state razionalizzazione le agevolazioni alle imprese, riunite in un apposito fondo rotativo, con una dotazione di 1,2 miliardi, istituito presso la Cdp.

Il decreto contiene infine alcune norme per accorciare i tempi della giustizia civile attraverso un filtro ai processi d’appello.

Il filtro all’appello, che era stato anticipato dal ministro della Giustizia Paola Severino a Reuters in un’intervista del 14 maggio scorso, “è una ricetta abbastanza semplice, che coniuga la necessità di assicurare garanzie con quella di snellire i processi”, come ha detto la Guardasigilli dopo il cdm.

“L’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”, dice il decreto.

“Abbiamo anche visto che il 68% dei processi civili finisce con la conferma della sentenza di primo grado”, ha aggiunto la Severino. “Lì dunque bisogna affondare la pala, nel mucchio dei processi accumulati, senza venir meno ai principi di garanzia”.

Per finanziare questi provvedimenti, il governo procederà a tagli alla Pubblica Amministrazione, 40-45 arriveranno dai project bond e dalle misure per le pmi – ha detto il ministro – mentre altri 30-35 miliardi dalle altre misure». Il piano per la vendita di beni statali, annunciato mercoledì dal premier Mario Monti, rappresenta “una delle tre leve di sviluppo”. I Project Bond sono obbligazioni da parte dei concessionari e delle società di progetto grazie a un trattamento fiscale agevolato, lo stesso riservato ai titoli pubblici (aliquota al 12,5%). Secondo le stime gli investimenti attivabili dai project bond ammonterebbero a 10-15 miliardi.

Gli altri bacini da cui attingere risorse sono i tagli alla spesa pubblica, in particolare ai ministeri, e la lotta all’evasione fiscale. Prevista inoltre l’armonizzazione del trattamento fiscale fra le compagnie d’assicurazione italiane e quelle estere attive nel nostro Paese, che fino ad oggi non pagavano l’imposta annua dello 0,35%.

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Casini: “E’ un reato indebolire l’azione del governo in Europa”

postato il 16 Giugno 2012

Bene il decreto Passera, di troppo rigore si muore

L’intervista pubblicata su ‘Il Messaggero’ di Barbara Jerkov

Dopo mesi di tagli e sacrifici imposti per scongiurare il default italiano, con il decreto sviluppo il governo mette finalmente in cantiere un progetto articolato per la crescita. E’ soddisfatto o si aspettava qualcosa di più, presidente Casini?
«C’è una domanda di crescita e di semplificazione che viene dalle imprese e dalle famiglie», risponde il leader dell’Udc. «Finalmente siamo a misure concrete per i giovani imprenditori e per le categorie produttive; un credito d’imposta per chi, premiando il merito, assume laureati; una riduzione dei tempi della giustizia civile. Tutto questo significa che si sta andando nella direzione che noi abbiamo sollecitato al governo. Certo, si può sempre fare meglio ma senza risorse è difficile. E anche in materia di dismissioni c’è la necessità di un forte impegno per ridurre il perimetro del pubblico e per abbattere il debito dello Stato. Ora speriamo che si abbia il coraggio di scalfire i santuari delle rendite di posizione all’ombra degli enti locali e dei campanili, affrontando finalmente pure il tema dei servizi pubblici locali».

Basta questo decreto a riportare la crescita al centro delle politiche del governo Monti?
«La linea del governo è chiara: dolorosa, ma chiara. Pensioni, liberalizzazioni, mercato del lavoro, oggi il tema dello sviluppo. Perché di troppo rigore si muore. Siamo in piena recessione, il contagio si sta allargando a diversi Paesi europei, non si esclude che arrivi alla stessa Germania. A questa emergenza la risposta deve essere di due tipi. Su scala nazionale, rilanciando lo sviluppo e abbattendo il debito pubblico. Ma poi c’è la grande questione europea. Non possiamo fermarci in mezzo al guado. Eurobond e unione bancaria sono tasselli di un mosaico più ampio». [Continua a leggere]

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E se la Germania fosse la prossima vittima della crisi?

postato il 15 Giugno 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Se si pensa a nazioni in bilico, non si pensa certo alla Germania, ma a Grecia, Spagna e, purtroppo, Italia. Eppure, ci sono diversi indicatori che portano a pensare che proprio la Germania potrebbe essere la prossima sulla lista.

Schauble, ministro delle finanze tedesco, esclude che l’Italia abbia una situazione grave come la Spagna e afferma che non ritiene che il contagio della crisi dalla Spagna (che ha negoziato un prestito di 100 miliardi per sostenere il suo sistema finanziario) possa trasmettersi all’Italia.

Ma se fosse la Germania a rischiare più di tutti?

La settimana scorsa 7 istituti bancari tedeschi e austriaci sono stati bocciati dalle agenzie di rating, e questa bocciatura ha riguardato anche la seconda banca tedesca, ovvero la Commerzbank a causa della pesante esposizione di queste banche verso i paesi dell’est Europa.

Ma non è tutto: la finanza tedesca, al contrario di quella italiana, è pesantemente esposta verso Grecia e Spagna: verso la Grecia avevano erogato prestiti pari a 28,9 miliardi di euro che hanno dovuto svalutare incamerando delle perdite notevoli, attualmente, infatti, l’esposizione è pari a meno di un miliardo di euro, quindi la perdita è stata molto forte. Per la cronaca, la Francia era esposta per 65 miliardi verso la Grecia.

Sempre per inciso, si ipotizza che l’uscita della Grecia potrebbe costare al sistema industriale tedesco, circa 200 miliardi di euro. Come si vede, la Germania si trova particolarmente vulnerabile sul settore “Grecia”, ma a questo dobbiamo aggiungere altri tre fattori: Spagna, Deutsche Bank e Cina.

La Spagna è, al momento, una vera mina per i conti tedeschi perché le banche tedesche hanno un’esposizione di 117 miliardi di euro verso il paese iberico; segue la Francia con 92 miliardi (anche lei abbastanza fragile, in questo momento) davanti agli istituti di credito britannici e americani. Le banche italiane sono invece esposte per poco più di 20 miliardi di euro.

Vi è quindi un rischio concreto, per le banche tedesche, di dovere contabilizzare ulteriori perdite e di avere necessità di liquidità nell’immediato.

Ci sono anche altri due fattori di rischio: la Cina sta continuando il rallentamento dell’economia  e quindi diventa un terreno meno favorevole per l’export tedesco che deve fare anche i conti con la minore propensione al consumo da parte dei paesi europei, e la Deutsche Bank che si presenta come un colosso dai piedi d’argilla bisognoso una urgente ricapitalizzazione.

Questi fattori rischiano di mettere in seria crisi prima il sistema bancario tedesco e poi quello industriale; e questo ci porta a valutare cosa potrebbe accadere nelle prossime settimane nel “giardino finanziario” di casa nostra. Qualora la crisi in Spagna perdurasse si assisterà ad un rastrellamento di liquidità, quindi vendita di titoli di stato italiani e di azioni di società italiane, per ottenere liquidità con cui puntellare le banche tedesche, ma difficilmente questa liquidità sarà bastevole per il sistema bancario tedesco. Questo metterà, nel breve periodo, sotto pressione lo spread e le nostre aziende con il risultato che la nostra Borsa possa sperimentare nuovi cali. Se il prestito da 100 miliardi alla Spagna non fosse sufficiente e se la Merkel continuerà nella sua opposizione suicida agli eurobond, nel lungo periodo i rischi maggiori li correranno proprio gli istituti finanziari tedeschi che potrebbero creare un effetto a catena in tutto il sistema produttivo tedesco, facendo vivere proprio alla Germania una grave crisi che farebbe sprofondare il sistema produttivo tedesco e la Borsa tedesca a valori molto più bassi di quelli attuali.

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