postato il 8 Gennaio 2014 | in "Esteri"

Casini: «Interessi comuni fra l’Iran e l’Occidente»

Senza gli ayatollah, qualsiasi strategia regionale rischia il fallimento

«Sarebbe un errore, anzi un gravissimo errore, non portare l’Iran al tavolo per la conferenza internazionale sulla Siria. Nessuna pace potrà dirsi durevole, nell’intera area del Medio Oriente, senza il supporto e il sostegno di Teheran. Qualsiasi strategia regionale rischia il fallimento senza l’Iran». Pier Ferdinando Casini in questi giorni è nella capitale iraniana come presidente della commissione Affari esteri del Senato. Sta incontrando molti protagonisti della scena politica iraniana, incluso il ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif.

L’Italia continua a credere nel dialogo con l’Iran. Pochi giorni fa la visita del ministro Emma Bonino, primo ministro degli Esteri dell’Unione Europea a raggiungere Teheran da dieci anni a questa parte. Ora lei, Casini…

«L’Italia vanta un credito nei confronti dell’Iran. La visita del ministro Bonino, l’incontro di Enrico Letta alle Nazioni Unite col presidente iraniano Rouhani, ora noi del Parlamento… Non nascondiamoci dietro a un dito, stiamo subendo il pregiudizio negativo di non essere al tavolo di Ginevra. Nonostante questo, I’Italia è vista come un interlocutore privilegiato. In Iran abbiamo sia grandi che medie e piccole imprese italiane molto attive, tutte nei settori non colpiti dall’embargo».

Intanto l’Iran non appare nella prima lista dei Paesi convocati al tavolo di Ginevra sulla Siria. E Teheran non intende accettare comunque un «ruolo secondario».

«La verità è che l’Occidente ha un grandissimo bisogno dell’Iran per una strategia regionale convincente. In Afghanistan siamo alla vigilia del ritiro delle truppe e c’è un serio rischio di ritorno al passato, con oltretutto un preoccupante aumento della coltivazione e produzione di oppiacei e in generale delle droghe: l’aiuto dell’Iran sarà essenziale. In quanto alla stabilizzazione dell’Iraq, unico altro Paese sciita dell’area, è ovvio dover contare su Teheran: pure qui l’Iran e l’Occidente hanno un interesse comune, battere i militanti sunniti di Al Qaeda. Hezbollah è un attore ormai globale, sia per la Siria che per il Libano. E la stessa questione palestinese trova nell’Iran un interlocutore obbligato».

 Lei crede che gli Stati Uniti la pensino così? Cioè che arrivino alle sue stesse conclusioni?

«Il disgelo tra Iran e Occidente, quindi con gli Stati Uniti, non è frutto di un sentimento generico ma, appunto, di interessi comuni. E se l’Occidente ha le sue esigenze di stabilità in quel quadrante geografico, l’Iran subisce pesantemente gli effetti delle sanzioni soprattutto nei settori di alta tecnologia. In quanto agli Usa, io credo che se l’amministrazione Obama ha deciso di impegnarsi nei negoziati sul nucleare, sa che non possono fallire. E lo stesso vale per la dirigenza iraniana: e qui bisogna tenere conto che molti settori interni, soprattutto quelli più conservatori, prosperano anche economicamente proprio sulle sanzioni».

In tutto questo quadro internazionale, però, Israele appare duramente ostile verso qualsiasi accordo con l’Iran. Cosa ne pensa?

«Credo che Israele svolga ottimamente il suo ruolo e faccia bene a mettere in guardia l’Occidente da qualsiasi eccesso di ingenuità. Ma Israele sa con altrettanta chiarezza che la sua difesa è imperniata sul realismo. Una volta garantito che il processo di intesa sul nucleare è una cosa seria, anche Israele capirà. Avremo, come Italia, il nostro ruolo, in questo chiarimento: nel nostro Paese non c’è una sola forza politica che possa essere considerata in alcun modo anti-israeliana…».



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