postato il 5 Maggio 2010 | in "In evidenza, Spunti di riflessione"

Carceri, un nuovo incoraggiamento pedagogico

locked, album di SlewrateAlcuni giorni fa abbiamo pubblicato un articolo di riflessione sulla situazione nelle carceri italiane. Tra i commenti arrivati c’è anche quello di Vincenzo Andraous, detenuto presso la casa circondariale di Pavia, tutor presso la Comunità casa del giovane di Pavia e scrittore e giornalista. Pubblichiamo di seguito la sua lettera, una descrizione della “prigione” da parte di chi la vive, un invito a riflettere su cosa il carcere è e cosa dovrebbe essere.

“Riceviamo e pubblichiamo”, di Vincenzo Andraous

Il carcere continua a rimanere un luogo non autorizzato a fare nascere speranza, non rammentando che l’uomo privato della speranza è un uomo già morto.
Questo “niente” inciderà forzatamente sulle menti, giorno dopo giorno, anno dopo anno, in compagnia del solo passato che ricompone la sua trama, e passato, presente e futuro sono lì, in un presente dove non esiste futuro.
Il carcere non é una realtà trasparente, ma un mondo sommerso che l’immaginario collettivo popola di dannati, in cui la coscienza collettiva rimuove e chiude dentro tutto il male, la parte negativa della società, e dove ha paura di riconoscersi: per questo cerca di allontanarlo da sé, escludendolo, facendo diventare la prigione una struttura fuori dal mondo, utilizzata per risolvere i conflitti, come se esistesse un punto terminale; il criminale va in gattabuia e poi basta, non si agita più.
L’idea del carcere come unica difesa sociale è una bufala, è sufficiente osservare le statistiche sulla recidiva, il carcere è quello che ben sappiamo, ma chi vive in quest’agglomerato umano ha il diritto-dovere di ritrovare fiducia in se stesso e negli altri. Perché questo accada occorre rendere più umano l’inumano, il consorzio sociale dovrà attivarsi consapevolmente con il suo interessamento produttivo e non pietistico, aiutando chi è nell’errore a ritenersi capace di un costante e continuo miglioramento.
L’impressione che si ricava dal dibattito attuale sul carcere, è una somma di parole che non favorisce speranza, come se il carcere, per un imperativo categorico non scritto ma imponente, dovesse rimanere uno spazio isolato, disgregato e disgregante, annichilente a tal punto che nessuno deve interessarsene, con impegno e investimento appropriato.
Obbligatoriamente chi entra nel perimetro di una prigione, deve uscirne svuotato di se stesso, e senza prospettiva alcuna, come se trasformare il presente carcerario, ricercando un dialogo possibile, fosse utopia lacerante.
Se vogliamo che l’insicurezza e la criminalità diminuiscano, dobbiamo riflettere, perché l’esperienza ci dice e conferma che sulla personalità di ogni detenuto, di ogni uomo ristretto, di ogni minore o adulto in prigione, gli effetti sfavorevoli delle sanzioni privative della libertà personale, superano di gran lunga qualsiasi portata positiva per la sua risocializzazione.
Per superare lo scompenso, la diastasi tra punizione e recupero, occorre ripristinare un clima di collaborazione e di partecipazione attiva, dare senso e impegno a superare il passato, in una assunzione di responsabilità soggettiva che impone al detenuto, ma anche alla collettività un nuovo modo di “vivere il carcere”.
C’è davvero bisogno di un incoraggiamento pedagogico, verso condotte socialmente condivisibili, ma forse c’è soprattutto urgenza che vengano attenuati alcuni meccanismi dissocianti di una peculiare condizione carceraria, i quali ostacolano la prospettiva di un valido avvenire e di una nuova esistenza sociale.
Come uomo e come detenuto da quarant’anni, ho riconoscenza per chi mi ha aiutato a rinascere, e proprio per questo senza alcuna polemica, mi viene da pensare che “una società dimentica il diritto stesso, quando lascia il detenuto solo a riconoscere le proprie colpe, e tradisce quel diritto quando lo lascia solo nel suo impegno a superarle e rinnovarsi”.

19 Commenti
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Mimmo da Ardore
Mimmo da Ardore
13 anni fa

Tra “punizione” e “recupero”, io sono per la punizione!
Per un semplice motivo: prevenire è meglio che curare diceva uno slogan. Se si considera il carcere un luogo poco piacevole ed inoltre la condanna certa sia uno stato di fatto, allora prima di commettere un reato una qualsiasi persona ci pensa 10 volte e non una come invece fa chi sa del contrario.
Ragionamento chiaro e semplice! …almeno credo!

Poi le eccezioni ci sono sempre, ma le regole si fanno per una maggioranza e non per le eccezioni.

gaspare
gaspare
13 anni fa

mha…a furia di reinserimenti, buonismi e così via, siamo al paradosso che a Palermo (ma penso anche nel resto di italia), gli ex detenuti hanno un canale preferenziale nei posti di lavoro, mentre chi è sempre stato onesto è senza lavoro e fa la fame e questo non è giusto.
Anzi si dovrebbe premiare chi rispetta la legge.
Il carcere non è un grand hotel.

vincenzo andraous
13 anni fa

IN CARCERE SI VA PERCHE’ PUNITI E NON PER ESSERE PUNITI,

UN PRECISO INTERESSE COLLETTIVO E’ SAPERE CHI ESCE DAL CARCERE E NON COSA ESCE,

PUNIRE E RECUPERARE NON SONO OPPOSTI E CONTRARI, MA POLARITA’ OPPOSTE CHE CONVERGONO, CHE DEBBONO CONVERGERE PER ABBASSARE LA RECIDIVA. PER FARE PREVENZIONE APPUNTO.

QUANDO GIUNGERA’ IL TEMPO DI RIPARARE

Per superare la non-raccontabilità del carcere italiano occorre avere più coraggio per ciò in cui si crede, per non lasciare inalterata questa condanna aggiunta ingiustamente alla condanna da scontare, affinché l’uomo che convive con la propria pena, colga il senso di ciò che si porta dentro.
Chi sbaglia e paga il proprio debito con decenni di carcere ( quando giungerà il tempo di sostituire quel verbo “pagare” con “riparare” sarà sempre troppo tardi ), attraversa davvero tempi e contesti di un lungo viaggio di ritorno, lento e sottocarico.
Non c’è più l’uomo sconosciuto a se stesso, ma uomini nuovi che tentano di riparare al male fatto, con una dignità ritrovata, accorciando le distanze tra una giusta e doverosa esigenza di giustizia per chi è stato offeso, e quella società che è tale perché offre, a chi è protagonista della propria rinascita, opportunità di riscatto e di riparazione.
Continuare a parlare del carcere che ancora non c’è, del carcere che occorre quanto meno migliorare, è obbligante non solo per l’uomo detenuto, ma anche e soprattutto per la ricerca di una Giustizia giusta ed equa, una Giustizia che è anche perdono, e che comprenda un granello di pietà, perché la pietà non è mai un atto di debolezza.
Questo mondo penitenziario deprivato di ruolo, di scopo, di utilità, è ridotto così perché è il risultato creato e prodotto dal sistema? Quale sistema? Il sistema per cui qualcuno pensa che per risolvere il problema della devianza, basta mettere in prigione il delinquente e gettare via la chiave, tutto è risolto? Il sistema che esclude, e conclude in noi stessi, la non volontà a recuperare la persona con un impegno reale e coerente?
Penso ai tanti uomini che in un carcere sopravvivono a se stessi, inchiodati alle loro storie dimenticate, sono convinto che non esistono slanci in avanti utopisti, esistono esistenze sconfitte dal tempo e dalle miserie che ci portiamo addosso.
Mi chiedo se è possibile perdonare, nella necessità di salvaguardare la collettività, ormai improntata alla sola risposta penale, al solo deterrente carcerario.
Forse sarebbe il caso di trasformare un contesto disumanizzato e disumanizzante, in un tempo che non estrania dalla propria identità, dal proprio valore di persona.
Se è vero che ognuno vive il suo presente in funzione delle scelte del passato, è anche più vero che rielaborando e rivisitandone gli anfratti, può accadere che il detenuto abbandoni la mera convinzione di avere pagato quanto dovuto.
Occorre riconoscere il bisogno di un percorso umano ( non solo cristiano ) nella condivisione e nella reciprocità, quindi nella accettazione di una possibile trasformazione e cambiamento di mentalità, non certamente quella di lasciarsi andare e volgere le spalle al proprio rinnovamento, imparando che anche dalle critiche più feroci, c’è insita la possibilità di dialogare e confrontarsi, soprattutto di crescere insieme, affinché anche il carcere, senza sterili contrapposizioni ideologiche, possa diventare un luogo, sì, di pena, ma anche a davvero un luogo di speranza, con il coraggio di scegliere fra tanti dubbi, un percorso significativo su cui giocarsi un pezzo di vita, per il bene di tutti, società libera e detenuta.

christian condemi
christian condemi
13 anni fa

Sono stato due volte alla Casa del Giovane,per altri motivi inerenti il servizio civile,è circa tre anni fa,ho svolto una giornata all’interno del circodariale di Pavia,una mezza mattinata con un associazione esterna.
Sicuramente oggi giorno credo che siano delle discariche sociali,e penso che le cooperative vatte la pesca che gravitano intorno al recupero e reinserimento degli stessi detenuti non siano che meno di una goccia,perchè con una condotta comunque macchiata e cinquecento euro mensili,non vai da nessuna parte.Ci possono essere o creare reti ed eccezioni,ma credo che la solitudine descritta da vincenzo sia comunque lo steccato piu vero di chi si trova a precipitare in questa esperienza. Per il resto,sulle regole,le leggi,le ronde,la moralità ,la corruzione,non credo che esistano zone franche anche in settori piu alti della società. In conclusione trovo che sia difficile se non utopistico umanizzare una pena,ammesso che non ti suicidi prima all’interno della cella stessa.Poi per carità la forza che si ha dentro quella è sempre motore e pilota,e per chi puo,ho anche sentito che ci sono percorsi di chi si laurea all’interno del carcere.Inoltre avevo letto anche il tuo articolo del novembre 2008,se non erro.. che da una fotografia della situazione.

daniele
daniele
13 anni fa

Il carcere deve avere come principale funzione il recupero e il reinserimento nella società dei detenuti, il carcere è una punizione Mimmo, ciò non toglie che debba essere una punizione civile. Credo che creare nelle carceri realtà produttive, e in tante già ci sono, possa rendere il carcere a tutti i detenuti meno duro, gli stessi si renderebbero utili e potrebbero partecipare, lavorando, al proprio costo sgravando in parte i cittadini….

gaspare
gaspare
13 anni fa

Caro Vincenzo, io invece penso a chi non delinque.
Penso a chi si mantiene onesto nonostante tutto.
Il carcere è duro? Giusto così, perchè il carcere deve essere un deterrente, non un premio.
L’ex detenuto deve essere reinserito tramite il lavoro? Giusto, ma non possiamo lasciare disoccupati coloro che non delinquono.
Essere onesti non è una colpa, delinquere si.
Bisogna premiare l’onesto, non il delinquente.
Ripeto: si informi sulla realtà palermitana. L?ex detenuto ha il posto garantito, chi invece si è mantenuto onesto fa la fame e non ha lavoro.
Mi dica lei se è giusto.
Chi sbaglia, deve pagare.
Altrimenti diventiamo tutti delinquenti e freghiamocene delle leggi

Mimmo da Ardore
Mimmo da Ardore
13 anni fa

@Vincenzo: tu forse farai parte delle eccezioni (vedi il mio post sopra) e mi dispiace, anche perché potresti essere in un altro luogo a scrivere così bene e non in carcere.

@Daniele: Mi dici che il carcere è una punizione e può essere civile… si, ok! Ma non deve essere assolutamente visto come un ANNO SABBATICO per togliersi i propri desideri (di truffa, di furto, di stupro, o di qualsiasi altra cosa che possa soddisfare un bisogno presente o futuro). Poi con la proposta del PdL di oggi di far scontare l’ultimo anno ai domiciliari… sembra che si incoraggi la gente a delinquere. I problemi del sovraffollamento delle carceri era un tema da affrontare subito dopo che la sinistra ha voluto l’indulto, sbagliando anch’essa.

Inoltre concordo pienamente con Gaspare per il discorso lavoro… come se essere disonesti si possa paragonare ai diversamente abili sui privilegi sociali.

Gianluca Enzo
Gianluca Enzo
13 anni fa

Comprendo le paure di tante persone, la paura che nessuna pena venga scontata e che la società non venga ripagata, anche solo parzialmente per l’offesa subita. Oggi è difficile, tanto difficile credere nella giustizia, gli esempi negativi sono a centinaia.
Caro Vincenzo grazie per la tua testimonianza, è preziosissima perchè ci aiuta nello sforzo di provare a cogliere l’uomo che sta dietro le sbarre, l’uomo che vuole tornare a potersi guardare negli occhi con gli altri, liberi e fratelli, dopo aver pagato i propri debiti.

nicolò
nicolò
13 anni fa

Mi dispiace ma penso che chi commette un reato debba scontare la pena fino all’ultimo. Giusto il reinserimento dei detenuti nella società ma solo per reati considerati minori. La proposta avanzata in questi giorni di fare scontare l’ultimo anno di pena ai detenuti agli arresti domiciliari non mi può trovare d’accordo.

Francesco
Francesco
13 anni fa

Adesso non esageriamo con il buonismo,
i delinquenti vanno puniti, ed andrebbero arrestati già prima.
Non è possibile che si consenta a soggetti socialmente pericolosi
di continuare le loro malefatte, nonostante abbiano già centinaia di denuncie. L’anno scorso fù arrestato, finalmente, un soggetto, solo dopo che aveva collezionato ben 300 denuncie!
Nè tantomeno è ammissibile qualsiasi forma di amnistia.
Ben venga il recupero e l’integrazione, ove ci sono le condizioni,
come pure la tutela dei diritti umani in carcere,
ma tanta gente comunque non cambierà mai
i propri comportamenti pericolosi.
Adesso dal cilindro del fantasista Alfano
è uscito il disegno di legge “svuota-carceri”,
così possono dire che non è una amnistia,
che consentirebbe ai detenuti di scontare
l’ultimo anno di pena ai domiciliari.
Che equivale a tagliare le pene spesso già ridicole, di un anno,
tantopiù che non siamo assolutamente in grado di controllare le
10 mila persone che andrebbero fuori
di cui molti sono clandestini, e senza casa.

Mimmo da Ardore
Mimmo da Ardore
13 anni fa

Visto che il problema delle carceri (e quindi la proposta di Alfano) è un problema economico come del resto tutte le altre cose, perché non si pensa a “sfruttare” i carcerati in qualche modo in maniera tale da farli “produrre” e quindi automantenersi.
Vedrete che invece di toglierli cercheranno di metterli i delinquenti, costruendo nuovi carceri.

Magari facciamoli pedalare qualche ora al giorno facendo produrre loro energia… naturalmente è una battuta!

Gianluca Enzo
Gianluca Enzo
13 anni fa

E’ un dibattito anche aspro ma ci aiuta tutti a comprendere la situazione, Vincenzo continua a farne parte

Gianluca Enzo
Gianluca Enzo
13 anni fa

La notizia del 24esimo detenuto suicidatosi non può però che far preoccupare

http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/10_maggio_6/detenuto-morto-suicida-carcere-1602970047573.shtml

Cristina Signifredi
Cristina Signifredi
13 anni fa

L’opinione pubblica è divisa sulla funzione del carcere. Alcuni vedono la prigione come un’istituzione totale, altri vorrebbero trasformarla in una struttura trattamentale. La reclusione come struttura totale è il luogo dell’isolamento dalla società civile. E’ uno spazio chiuso e inaccessibile, dove l’individuo è privato non solo della sua libertà, ma anche della sua autonomia. In queste condizioni la persona cade in uno stato di indifferenza e rifiuta perfino la cura di se stessa. Le sono tolti gli oggetti personali, che in quanto tali, fanno parte del suo vissuto, costituiscono la sua storia, la sua identità. Una prigione così concepita, mira all’annullamento del sè della persona imprigionata e tende a cambiarla , a procurarle una nuova identità. Questo è il carcere caratterizzato dalle punizioni, dalle celle di isolamento ( in caso di cattiva condotta) e dai premi ( in caso di buon comportamento), ma la prigionia può avere anche finalità diverse da quella meramente punitiva. Il carcere non deve divenire il luogo della privazione del sè, della comunicazione patologica, dell’apatia, della sessualità distorta, dell’affettività negata e negativa, ma deve essere un’occasione per ricostruire l’identità di chi è recluso, non negando il suo vissuto, ma partendo proprio da esso. La reclusione come esperienza pedagogica prevede oltre alla presenza delle guardie carcerarie, pure quella del personale educativo e sanitario. Questa tipologia di carcere ha come finalità la riabilitazione dell’individuo anche in vista di un suo eventuale e auspicabile reinserimento nella società civile. Se è valido il discorso per cui gli onesti devono essere giustamente tutelati e garantiti nei loro diritti (al lavoro, alla casa, alla sicurezza), è altrettanto degno di valore il ragionamento secondo il quale un detenuto , una volta scontata la pena, è di nuovo una persona libera, la quale deve poter godere di tutti i diritti che le spettano e deve essere dotata di ogni strumento necessario per non delinquere nuovamente.

gaspare
gaspare
13 anni fa

gianluca, certamente ci fa preoccupare…. ma dovremmo preoccuparci anche di chi si suicida perchè non ha lavoro e non delinque…
io non vorrei che per finto buonismo o finta compassione (o anche vero buonismo e vera compassione) ci scordiamo di chi si impegna nella vita, non delinque, ed è ignorato dalle istituzioni.
Ripeto: bisogna premiare chi si mantiene onesto, non chi delinque, altrimenti che messaggio diamo?

Gianluca Enzo
Gianluca Enzo
13 anni fa

Gaspare io ti capisco, so dei vantaggi che negli anni, specie in Sicilia, gli ex detenuti hanno goduto per il reinserimento nel lavoro, vantaggio che li hanno posti dinanzi ai cittadini onesti.
Occorre però trovare una posizione mediata, non per essere centristi a tutti i costi, ma per far funzionare questa nostra società.

Gianluca Enzo
Gianluca Enzo
13 anni fa

Mi fa piacere che l’Udc su questo tema ci sia:

mercoledì 5 maggio 2010
Carceri: Rao a Maroni, sollevammo scandalo bracciali 2 anni fa
Ministro allora attribui’ a magistrati scarso utilizzo

(ANSA) – ROMA, 5 MAG – ‘Gia’ due anni fa l’Udc sollevo’ in Parlamento con un’interrogazione e in un question time lo scandalo dell’inaffidabilita’ dei braccialetti elettronici privi dei requisiti per garantire l’effettiva rintracciabilita’ del detenuto’. A ricordarlo e’ il deputato centrista Roberto Rao commentando l’allarme lanciato oggi dal ministro dell’Interno sul fatto sul fatto che tale strumento non dia ‘adeguate garanzie’.
Allora Maroni, aggiunge Rao, ‘attribui’ alla magistratura la responsabilita’ dello scarso utilizzo dello strumento (11 casi) a fronte di un accordo di oltre 10 milioni di euro l’anno (dal 2004 al 2011). Oggi conferma le difficolta’ tecniche del loro utilizzo. Se questa affermazione da un lato ci dice che il nostro allarme era motivato, dall’altra ci conferma che il governo sbaglia a non ascoltare le opposizioni e a non coglierne i suggerimenti’.
‘Se si fosse dato ascolto alla nostra denuncia – conclude il parlamentare – la questione dei braccialetti elettronici poteva essere gia’ risolta o archiviata’.(ANSA).

vincenzo andraous
13 anni fa

Grazie a tutti per avermi concesso di parlare sottovoce e in punta di piedi, è chiaro che avete tutti ragione, perchè davvero occorre pagare il proprio debito alla collettività, occorre soprattutto riparare, e infine occorre diventare migliori, quanto meno per avvicinarci a un preciso interesse collettivo.
Attraverso i miei quasi quarantanni di carcere scontato ( come potete vedere la pena la si sconta e come ) ho imparato a ridefinire il mio lungo e lento e sottocarico viaggio di ritorno, in una sorta di equilibrio della rendicontazione, questa la premessa per non dovere rimanere out rispetto a quella speranza che può e deve avvenire se con l’impegno e la coerenza di tutti, nessuno escluso.
SUL CARCERE CHE ANCORA NON C’E’
Del carcere si parla per levarci di torno un fastidio, per non rendere giustizia a chi è stato offeso né a chi l’offesa l’ha recata.
Se ne parla per rendere nebulosa e poco chiara ogni analisi, un messaggio annichilente che impedisce di intervenire.
Il detenuto non è un numero, invece la realtà che deborda da una prigione è riconducibile all’umiliazione che produce il delitto, ogni delitto nella sua inaccettabilità.
Risocializzare, reinserire, non sono solamente termini e concetti trattamentali da seguire e svolgere, essi purtroppo stanno a sottolineare l’inadeguatezza al dettato Costituzionale, per l’impossibilità di rendere fattivo l’intervento rieducativo, non usare questi strumenti e di contro incancrenire la convivenza, equivale a dichiarare fallito l’ideale della promozione umana.
Basterebbe osservare volti e mani di detenuti in qualche carcere, per rendersi conto del livello di abbrutimento raggiunto, di quanto questa situazione di indifferenza e solitudine imposte, di mancata applicazione di quella famosa declinazione a nome rieducazione, risulti deleteria per la persona ristretta.
Un carcere che non ha più al suo interno spinta a rinnovarsi, un carcere popolato di uomini vestiti di paura e stanchezza, con la sola aspettativa di scontare in fretta la propria condanna, e ciò senza alcuna consapevolezza del presente, senza vista prospettica, senza figura del futuro.
In una sola parola senza speranza.
Chi conosce poco del carcere, di questa condizione inumana, dove è vietato persino sentirsi utili, responsabili, con delle prospettive, ebbene a costui sfugge il senso di questo arbitrio. Forse qualcuno pensa che inchiodare il detenuto in uno stato di inazione e alienazione, comporti la fatica minore.
Nuovamente è un inganno, perché quel detenuto non è in una situazione di attesa, dove il tempo serve a ricostruire e rigenerare, è l’esatto contrario: quel detenuto non attende domani, egli è fermo a ieri, a un passato riprodotto e mascherato, a tal punto, che tutto rincula a ieri, come se fosse possibile bloccare il tempo, come se delirare fosse identico a ben sperare.
Se riconosco il diritto alle regole da rispettare, quel diritto a sua volta disciplina i rapporti con l’altro, e implica il riconoscimento di tutte le persone, fin’anche del detenuto.
Ho l’impressione che il carcere italiano sia un involucro premeditatamente chiuso alle idee, ai cambiamenti, a tutt’oggi non lo si riesce a piegare a nessuna utilità sociale, anzi rimane il maggior riproduttore di sub-cultura: entrano uomini ed escono bambini, pacchi bomba senza fissa dimora.
Se non sarà inteso come ripristino di un senso di giustizia e di possibilità a riconquistare la propria dignità, esso sfibrerà gli uomini ristretti rendendoli insensibili alla necessità di ricucire quello strappo dolente causato con il proprio comportamento.

Gianluca Enzo
Gianluca Enzo
13 anni fa

l’unica nostra speranza è che quanti vanno in carcere ne escano migliori di come sono entrati altrimenti è un fallimento completo e controproducente. Invito i commentatori a leggersi un libro che un caro amico mi ha segnalato, è di Don Primo Mazzolari (Dietro le sbarre) prima di parlare di buonismo o di punizioni. Un uomo che sbaglia non può mai essere un uomo sbagliato. Oggi il carcere non è luogo di rieducazione: dobbiamo lottare affinché il nostro Paese che è quello di Beccaria, non dimentichi l’art. 27 della Costituzione che parla chiaramente di rieducazione e recupero. Ci sono tanti modi, fuori dal carcere, per rieducare senza limitarsi ad una punizione che è già intrinseca nella limitazione di libertà.



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