Ospite di “Stasera Italia”

postato il 22 Gennaio 2019

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Ospite di “Un giorno da pecora”

postato il 22 Gennaio 2019

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Bologna, 25/1: Accordo di Partenariato Economico tra Giappone e Unione europea

postato il 17 Gennaio 2019

Venerdì 25 gennaio, a Bologna, a partire dalle 14:30, presso Regione Emilia-Romagna – Sala 20 maggio 2012 – Terza Torre (Viale della Fiera, 8)

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PROGRAMMA:
14:30 Registrazione Partecipanti
15:00 Saluti Istituzionali
Stefano Bonaccini
Presidente della Regione Emilia-Romagna
Pier Ferdinando Casini
Senatore della Repubblica Italiana, Presidente dell’Associazione Parlamentare Amici del Giappone
Pierpio Cerfogli
Vice Direttore Generale di BPER Banca – Area Affari
Yuji Amamiya
Console del Giappone a Milano
Umberto Vattani
Presidente della Fondazione Italia Giappone
Moderatore
Davide Nitrosi
Responsabile Economia & Lavoro di QN

15:30 Italia-Giappone-Europa: un nuovo scenario
Alessandra Lanza
Responsabile Strategie industriali e regionali di PROMETEIA
15:45 L’Accordo di Partenariato Economico tra Giappone e Unione Europea
Marco Chirullo
Vice Capo Negoziatore per l’Europa
16:15 Le Relazioni Commerciali tra Italia e Giappone
Maki Hosoda
Vice Presidente della Camera Commercio Giapponese in Italia
16:30 Tavola Rotonda: le opportunità bilaterali di business e investimento
Stefano Nicoletti
Responsabile Internazionalizzazione del Sistema Paese del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
Ruben Sacerdoti
Servizio Attrattività e Internazionalizzazione della Regione Emilia-Romagna
Nicola Giorgi
Responsabile Servizio Global Transaction Banking di BPER Banca
Paolo Mattioli
Division Manager di MARPOSS
Gianluca Bellavista
Direttore Relazioni Esterne di Philip Morris Italia
17:30 Q & A di approfondimento su specifici settori: focus agroalimentare, meccanica e moda
18:30 Business cocktail

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Battisti: “Saldato un debito, ma che errore dare l’idea di uno Stato che si vendica”

postato il 16 Gennaio 2019

 


Pubblichiamo l’intervista di Monica Rubino pubblicata su Repubblica

«I due ministri che aspettavano l’arrivo di Cesare Battisti hanno dato l’idea di uno Stato che si doveva vendicare. Mentre lo Stato deve essere implacabile, non vendicativo». Pier Ferdinando Casini, senatore del gruppo Per le Autonomie alleato con il Pd, mette in chiaro la differenza tra due visioni dello Stato, dopo la passerella di Salvini e Bonafede, che all’aeroporto di Ciampino si sono divisi la scena del ritorno dell’ex terrorista.

Che impressione le ha fatto il rientro di Battisti?
«E’ stato motivo di soddisfazione perché Battisti è un assassino condannato per omicidi e non poteva che essere estradato. Ma ho trovato triste il contesto».

I due ministri all’aeroporto le sono sembrati inopportuni?
«Se Salvini avesse tenuto una conferenza stampa al Viminale, l’avrei ritenuto doveroso e forse l’avrei anche applaudito. Ma parlare all’aeroporto, per di più con una divisa indosso, e stata un’ostentazione. Dubito che questa propaganda alia lunga risulti efficace. Il centrodestra è sempre stato estraneo all’idea di giustizialismo. Oggi sembra che la Lega abiuri il garantismo giuridico assorbito negli anni dell’alleanza con Berlusconi per riproporre gli stereotipi che indussero il Carroccio, venti anni fa, a portare il cappio in Parlamento».

La giustizia non ha bisogno di parole forti.
«Certo che no, siamo figli di una cultura giuridica garantista che dobbiamo preservare. Altrimenti di questo passo finiremmo con l’arrivare alla pena di morte».

Si sarebbe augurato maggiore unità tra le forze politiche?
«Sì perché è stato finalmente saldato un debito ideale coni figli delle vittime del terrorismo. E invece anche questo evento è diventato l’ennesimo spettacolo di propaganda degli uni contro gli altri. E’ una barbarie lo Stato che non riesce più ad avere dei momenti comuni, come accadde in passato ad esempio per i fatti di Nassiriya o per l’omicidio Biagi».

E’ preoccupato per il clima di violenza crescente in Italia e in Europa?
«Figli di questa orgia di violenza di parole sono, da un lato, gli imbecilli di Bologna che inneggiano a Battisti. E dall’altro il terribile omicidio del sindaco polacco, che dimostra come la continua istigazione alia violenza alia fine produca atti di violenza».

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«E’ una deriva venezuelana, si rischia la dittatura delle minoranze»

postato il 8 Gennaio 2019

L’intervista di Dino Martirano pubblicata sul Corriere della Sera

«La riforma che introduce il referendum propositivo senza quorum e pericolosissima. Così si avanza rapidamente verso una possibile dittatura delle minoranze che nessuno ci garantisce estranee a poteri forti e lobby…». E’ seriamente preoccupato l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini — che, a questo punto, e il decano dei parlamentari se si esclude il senatore a vita Giorgio Napolitano 一 perché con la riforma Fraccaro «si inaugura la stagione del derby permanente tra il popolo e le Camere, innescando un grave rischio per le istituzioni democratiche del Paese…».

Il governo gialloverde, che ha anche un ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta, punta sull’ iniziativa «legislativa popolare rafforzata» per mandare in pensione le Camere?
«In passato c’è stata una fase in cui i regimi totalitari hanno abolito le Camere o le hanno ridotte a soggetti serventi. Poi c’è stato un lungo periodo (da Craxi a Berlusconi) in cui i processi riformatori hanno messo in discussione, a volte anche con ragioni, un eccessivo corporativismo parlamentare. Oggi siamo arrivati a chi vuole “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”. Ma tutti noi dovremmo ricordare bene che fine fanno le scatolette dopo essere state aperte: finiscono buttate nel secchio della spazzatura».

La Lega ha prima presentato e poi a sorpresa, nonostante l’iniziale appoggio di Salvini, infine ritirato un emendamento che fissa al 33% l’asticella del quorum di partecipazione.
«Il ritiro dell’emendamento della Lega e un fatto gravissimo perché il referendum propositivo senza quorum sarebbe un colpo mortale per la democrazia parlamentare. Con questo passo indietro mi sembra evidente il gigantesco baratto concordato da Lega e M5S». [Continua a leggere]

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«Sbagliato boicottare le leggi. Così i sindaci aiutano Salvini»

postato il 6 Gennaio 2019

Alle Europee uniamo i partiti anti sovranisti

L’intervista di Antonella Coppari pubblicata su QN

Presidente Casini, tra i sindaci e Salvini da che parte sta?
«Dalla parte delle persone serie. Quelle che non fanno propaganda, ma hanno il senso delle Istituzioni. Se l’opposizione pensa di essere credibile organizzando un boicottaggio delle leggi dello Stato sbaglia: sta solo facendo a Salvini un grande favore».
Perché?
«Le leggi si rispettano anche se non piacciono. Nessun esponente politico, specie quelli istituzionali, può valicare questo confine». [Continua a leggere]

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A Bologna la tavola rotonda sul tema: “Italia senza Europa? Riflessioni sui nostri tempi”

postato il 17 Dicembre 2018

Insieme a Maurizio Marchesini, presidente di Marchesini Group Spa; Angelo Panebianco, professore di Sistemi internazionali comparati presso l’Alma Mater Studiorum; Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI) e Gian Luca Galletti, presidente regionale UCID dell’Emilia-Romagna.

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Tria e Conte? Adesso è giunta l’ora della verità

postato il 3 Dicembre 2018

Al Senato vedo muoversi i nuovi responsabili

L’intervista di Simone Canettieri pubblicata sul Messaggero

Presidente Pier Ferdinando Casini, è preoccupato da questa manovra del popolo?
«C’è da allacciarsi le cinture di sicurezza. Le persone normali cominciano ad avere i brividi. L’Italia naviga a vele spiegate verso la recessione. Ora sarà anche vero che il deterioramento dell’economia parte da lontano, ma il colpo di grazia lo hanno dato questi sei mesi di incertezze, demagogie, offese alle autorità europee e di riscoperta assistenziale».
Non mancano i segnali di insofferenza.
«Non è un caso che il Nord produttivo sia un subbuglio e che sabato a Bologna, nella mia città, le piccole imprese abbiano elevato un grido d’allarme pesante: si sentono abbandonate».
Crede che il premier Conte e il ministro Tria abbiano la forza di imporsi sui due vicepremier Di Maio e Salvini?
«Conte e Tria sono figli di questa maggioranza: il bilancio di questi mesi per loro non è certo esaltante».
Ma l’Europa sembra appellarsi però proprio a loro due: è una trattativa dall’esito impossibile?
«In politica bisogna coltivare la dose della speranza e della pazienza, oggi paradossalmente proprio queste due persone possono salvare la maggioranza gialloverde da un’autentica disfatta. Io spero che ci riescano anche perché chi milita nella minoranza, come me, deve avere a cuore il destino del Paese».
Quindi la teoria dei pop-corn non l’appassiona?
«No, non mi piace».
Evitare il muro contro muro con l’Ue a cosa porterebbe?
«Si darebbe fiato alla discesa dello spread e anche il collocamento dei titoli di Stato sarebbe meno proibitivo. Comunque se anche dovesse andar bene, rimarrà un giudizio severo sul fatto che abbiamo creato due mesi di inutili polemiche che hanno dato credibilità alla Commissione, a discapito dell’Italia». [Continua a leggere]

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Libia: “Siamo stati ridicolizzati da Haftar e da quattro mesi a Tripoli non abbiamo l’ambasciatore”

postato il 30 Novembre 2018

Di Libia e soprattutto con i libici parlano troppi italiani…

L’intervista di Umberto De Giovannangeli pubblicata sull’Huffington Post

Il suo giudizio sulla Conferenza per la Libia di Palermo è tranchant: “L’abbiamo consegnata nelle mani di Haftar. Altro che un successo politico-diplomatico! Si è trattato di un passo indietro”. Reso ancor più evidente dal perdurare dell’assenza a Tripoli del nostro capo legazione, dopo che, il 10 agosto scorso, l’ambasciatore Giuseppe Perrone è stato richiamato a Roma per gravi motivi di sicurezza. “L’unico lato positivo è che dopo la mia sollecitazione e dopo diversi mesi, il ministro Moavero Milanesi convenga sull’urgenza della nomina di un nuovo ambasciatore”.

Ad affermarlo all’HuffPost è l’ex presidente della Camera, e senatore nell’attuale legislatura, Pier Ferdinando Casini. Di una cosa si dice certo. E questa certezza non è stata incrinata dalle considerazioni del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi né risolta da una vicenda, quella che riguarda il richiamo in patria dell’ambasciatore Perrone e l’assenza a Tripoli del massimo referente diplomatico, in una fase particolarmente calda, sul piano politico, nella quale l’Italia ha cercato, e continua a farlo, di affermare un suo ruolo primario sullo scenario libico. Il fatto è, rimarca Casini, ” che “di Libia e soprattutto con i libici, parlano troppi italiani…”. E di questo ne ha fatto le spese il nostro ambasciatore.

Per inquadrare un'”affaire” tutt’altro che risolto va ricordato che inizio agosto, l’ambasciatore aveva sottolineato, in un’intervista in arabo alla tv Libya’s Channel, l’importanza di “preparare bene le elezioni”, con una base “costituzionale chiara” e “condizioni di sicurezza adeguate”. Sostanzialmente, non entro la fine dell’anno, come prevedeva in un primo tempo il piano francese (successivamente l’inviato speciale Onu Ghassan Salamè ha definito una road map che sposta i termini al 2019). La soluzione di andare in tempi stretti alle urne era gradita anche dall’uomo forte della Cirenaica, il maresciallo Khalifa Haftar. Di qui le polemiche immediatamente successive alle dichiarazioni del diplomatico italiano, con bandiere tricolori date alle fiamme e altre dimostrazioni anti-italiane. A muoversi contro Perrone, almeno due istituzioni di Tobruk, nell’Est del Paese controllato da Haftar. La Commissione affari esteri della Camera libica aveva definito l’ambasciatore “persona non grata” e il ministero degli Esteri del “governo provvisorio” (non riconosciuto dall’Onu) lo aveva accusato di interferire negli affari libici. Uno strappo che la controversa presenza di Haftar alla Conferenza di Palermo del 12-13 novembre scorsi, non sembra, al di là di strette di mano e mezzi sorrisi, aver del tutto ricucito. [Continua a leggere]

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Libia: Question Time sull’Ambasciatore d’Italia a Tripoli

postato il 29 Novembre 2018

Rivolta al Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Moavero Milanesi

Signor Presidente, signor Ministro, come lei sa, siamo stati il primo Paese a riaprire l’ambasciata a Tripoli.

Questo va a onore dell’Italia e della nostra diplomazia.

Apro una parentesi e la chiudo: dal segretario generale all’ultimo funzionario, possiamo essere fieri dei nostri diplomatici, che, indipendentemente dai Governi che si susseguono, fanno un lavoro serio nell’interesse del Paese. Dobbiamo essere particolarmente grati a quanti operano in condizioni difficili, come in Venezuela o, nel caso dell’interrogazione, in Libia.

Si dà il caso, però, che dal 20 agosto, noi, che pure abbiamo intrapreso un’iniziativa a Palermo, due settimane fa, nella Conferenza sulla Libia, abbiamo una sede priva dell’ambasciatore, il quale ha fatto un’intervista e successivamente è stato invitato a rientrare (ma non si capisce in base a quali ragioni, veramente). Ieri ho esaminato i testi delle sue risposte in Commissione affari esteri e non si capisce bene se l’ha fatto di sua iniziativa, perché gliel’ha imposto la Farnesina o per interventi terzi; non si capisce. Resta il fatto che in quattro mesi abbiamo avuto a Tripoli l’ambasciata aperta senza ambasciatore – il che equivale a mandare una flotta in mare senza il capitano o il comandante – e tutta la preparazione della vicenda della Conferenza per la Libia ha visto assente uno dei suoi principali conoscitori e soprattutto nostro ambasciatore in Libia. È come se facessimo una Conferenza su un altro Paese senza il nostro ambasciatore, che dovrebbe essere il rappresentante dello Stato in Libia (o meglio, lo è).

Le ragioni aspetto che ce le spieghi con chiarezza, perché forse sono io che non le ho capite, ma non sono chiare; infatti, se controllo nei Resoconti quanto è stato detto in Commissione affari esteri, trovo cose anche diverse. Vorrei dunque che si definisse con chiarezza la ragione per cui l’ambasciatore è qui. Se non può rientrare, nominatene un altro e destinate questa persona – che, peraltro, è un profondo conoscitore del mondo arabo – a fare qualche cos’altro; se il nostro ambasciatore deve stare in Italia a fare non si capisce cosa, perché sembra non abbia partecipato neanche agli incontri preliminari sulla Conferenza per la Libia, non si comprende quali siano l’atteggiamento del Governo e l’utilizzo di questi diplomatici.

MOAVERO MILANESIministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Signor Presidente, risponderò in ordine alle domande del senatore interrogante. L’ambasciatore d’Italia in Libia, Giuseppe Perrone, non ha partecipato alla Conferenza di Palermo; tuttavia, è del tutto evidente che le analisi da lui svolte nel corso del suo lavoro hanno fornito un contributo importante per la preparazione di tale Conferenza, anche se non ha partecipato ai lavori veri e propri.

Vorrei anche chiarire che l’ambasciatore Perrone è stato fatto rientrare in Italia, a Roma, il 10 agosto e da allora non ha fatto ritorno in Libia. La decisione, presa d’intesa con l’ambasciatore stesso, si giustifica con i gravissimi rischi per la sicurezza della sua persona, nei quali sono sfociati i malintesi creati dall’intervista, che sono stati segnalati dalle autorità libiche e confermati dalle competenti autorità di sicurezza italiane. Su questo punto ho avuto modo di riferire anche in Aula e mi duole se non sono stato sufficientemente bravo ad esprimermi con chiarezza, ma spero di essere chiaro in quest’occasione.

Il Governo intende assicurare la presenza del capo missione a Tripoli nei tempi più rapidi e segnala che l’attività dell’ambasciata non è mai stata sospesa, ma è continuata anche nelle situazioni difficili che si sono verificate. Consideriamo la questione della presenza di un capo missione come urgente, non più differibile e da risolvere nei tempi più rapidi. Il Governo sta già facendo tutte le opportune valutazioni al fine di assumere quanto prima questa decisione.

CASINI .Signor Presidente, signor Ministro, il bicchiere può essere mezzo vuoto o mezzo pieno. Dato che io sono un uomo delle istituzioni, voglio far finta che sia mezzo pieno. La ringrazio del fatto che lei, dopo cinque mesi, conviene con me sul fatto che sia indifferibile la nomina di un altro ambasciatore, visto che non c’è l’agibilità per questo in Libia. A questo punto aspetto la nomina e sicuramente, conoscendola e stimandola, so che sarà una nomina all’altezza della situazione.

Solo alla fine, per quel po’ di polemica che un pochino ciascuno di noi mette, osservo che non so se quanto accaduto era dovuto alla sicurezza dell’ambasciatore o al fatto che autorità anche italiane operanti in Libia hanno idee diverse rispetto alla valutazione che l’ambasciatore faceva in ordine alla situazione libica. Parlano tutti di Libia: le autorità di sicurezza, i Servizi, il Ministero degli esteri. C’è molta confusione e duplicazione di competenza. Io credo che i Servizi che agiscono in Libia, ieri, oggi e domani (è un problema generico), debbano trovare sintonia con le rappresentanze diplomatiche. Non possono fare le cose alle spalle. Sono tenuti sicuramente alla riservatezza, ci mancherebbe altro; se i Servizi di sicurezza non fossero riservati, non sarebbero tali. Però il rapporto con la Farnesina è essenziale. Noi siamo convinti che l’ambasciatore sia entrato in un meccanismo più grande di lui, per cui alla fine abbiamo sacrificato l’ambasciatore. Benissimo, adesso comunque nominiamone un altro e guardiamo avanti, non guardiamo più indietro; stendiamo un velo sul passato. Come lei ha detto – e io sono d’accordo con lei – bisogna rapidamente provvedere all’indicazione di un altro ambasciatore.

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