Battisti: “Saldato un debito, ma che errore dare l’idea di uno Stato che si vendica”

postato il 16 Gennaio 2019

 


Pubblichiamo l’intervista di Monica Rubino pubblicata su Repubblica

«I due ministri che aspettavano l’arrivo di Cesare Battisti hanno dato l’idea di uno Stato che si doveva vendicare. Mentre lo Stato deve essere implacabile, non vendicativo». Pier Ferdinando Casini, senatore del gruppo Per le Autonomie alleato con il Pd, mette in chiaro la differenza tra due visioni dello Stato, dopo la passerella di Salvini e Bonafede, che all’aeroporto di Ciampino si sono divisi la scena del ritorno dell’ex terrorista.

Che impressione le ha fatto il rientro di Battisti?
«E’ stato motivo di soddisfazione perché Battisti è un assassino condannato per omicidi e non poteva che essere estradato. Ma ho trovato triste il contesto».

I due ministri all’aeroporto le sono sembrati inopportuni?
«Se Salvini avesse tenuto una conferenza stampa al Viminale, l’avrei ritenuto doveroso e forse l’avrei anche applaudito. Ma parlare all’aeroporto, per di più con una divisa indosso, e stata un’ostentazione. Dubito che questa propaganda alia lunga risulti efficace. Il centrodestra è sempre stato estraneo all’idea di giustizialismo. Oggi sembra che la Lega abiuri il garantismo giuridico assorbito negli anni dell’alleanza con Berlusconi per riproporre gli stereotipi che indussero il Carroccio, venti anni fa, a portare il cappio in Parlamento».

La giustizia non ha bisogno di parole forti.
«Certo che no, siamo figli di una cultura giuridica garantista che dobbiamo preservare. Altrimenti di questo passo finiremmo con l’arrivare alla pena di morte».

Si sarebbe augurato maggiore unità tra le forze politiche?
«Sì perché è stato finalmente saldato un debito ideale coni figli delle vittime del terrorismo. E invece anche questo evento è diventato l’ennesimo spettacolo di propaganda degli uni contro gli altri. E’ una barbarie lo Stato che non riesce più ad avere dei momenti comuni, come accadde in passato ad esempio per i fatti di Nassiriya o per l’omicidio Biagi».

E’ preoccupato per il clima di violenza crescente in Italia e in Europa?
«Figli di questa orgia di violenza di parole sono, da un lato, gli imbecilli di Bologna che inneggiano a Battisti. E dall’altro il terribile omicidio del sindaco polacco, che dimostra come la continua istigazione alia violenza alia fine produca atti di violenza».

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«E’ una deriva venezuelana, si rischia la dittatura delle minoranze»

postato il 8 Gennaio 2019

L’intervista di Dino Martirano pubblicata sul Corriere della Sera

«La riforma che introduce il referendum propositivo senza quorum e pericolosissima. Così si avanza rapidamente verso una possibile dittatura delle minoranze che nessuno ci garantisce estranee a poteri forti e lobby…». E’ seriamente preoccupato l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini — che, a questo punto, e il decano dei parlamentari se si esclude il senatore a vita Giorgio Napolitano 一 perché con la riforma Fraccaro «si inaugura la stagione del derby permanente tra il popolo e le Camere, innescando un grave rischio per le istituzioni democratiche del Paese…».

Il governo gialloverde, che ha anche un ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta, punta sull’ iniziativa «legislativa popolare rafforzata» per mandare in pensione le Camere?
«In passato c’è stata una fase in cui i regimi totalitari hanno abolito le Camere o le hanno ridotte a soggetti serventi. Poi c’è stato un lungo periodo (da Craxi a Berlusconi) in cui i processi riformatori hanno messo in discussione, a volte anche con ragioni, un eccessivo corporativismo parlamentare. Oggi siamo arrivati a chi vuole “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”. Ma tutti noi dovremmo ricordare bene che fine fanno le scatolette dopo essere state aperte: finiscono buttate nel secchio della spazzatura».

La Lega ha prima presentato e poi a sorpresa, nonostante l’iniziale appoggio di Salvini, infine ritirato un emendamento che fissa al 33% l’asticella del quorum di partecipazione.
«Il ritiro dell’emendamento della Lega e un fatto gravissimo perché il referendum propositivo senza quorum sarebbe un colpo mortale per la democrazia parlamentare. Con questo passo indietro mi sembra evidente il gigantesco baratto concordato da Lega e M5S». [Continua a leggere]

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«Sbagliato boicottare le leggi. Così i sindaci aiutano Salvini»

postato il 6 Gennaio 2019

Alle Europee uniamo i partiti anti sovranisti

L’intervista di Antonella Coppari pubblicata su QN

Presidente Casini, tra i sindaci e Salvini da che parte sta?
«Dalla parte delle persone serie. Quelle che non fanno propaganda, ma hanno il senso delle Istituzioni. Se l’opposizione pensa di essere credibile organizzando un boicottaggio delle leggi dello Stato sbaglia: sta solo facendo a Salvini un grande favore».
Perché?
«Le leggi si rispettano anche se non piacciono. Nessun esponente politico, specie quelli istituzionali, può valicare questo confine». [Continua a leggere]

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A Bologna la tavola rotonda sul tema: “Italia senza Europa? Riflessioni sui nostri tempi”

postato il 17 Dicembre 2018

Insieme a Maurizio Marchesini, presidente di Marchesini Group Spa; Angelo Panebianco, professore di Sistemi internazionali comparati presso l’Alma Mater Studiorum; Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI) e Gian Luca Galletti, presidente regionale UCID dell’Emilia-Romagna.

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Tria e Conte? Adesso è giunta l’ora della verità

postato il 3 Dicembre 2018

Al Senato vedo muoversi i nuovi responsabili

L’intervista di Simone Canettieri pubblicata sul Messaggero

Presidente Pier Ferdinando Casini, è preoccupato da questa manovra del popolo?
«C’è da allacciarsi le cinture di sicurezza. Le persone normali cominciano ad avere i brividi. L’Italia naviga a vele spiegate verso la recessione. Ora sarà anche vero che il deterioramento dell’economia parte da lontano, ma il colpo di grazia lo hanno dato questi sei mesi di incertezze, demagogie, offese alle autorità europee e di riscoperta assistenziale».
Non mancano i segnali di insofferenza.
«Non è un caso che il Nord produttivo sia un subbuglio e che sabato a Bologna, nella mia città, le piccole imprese abbiano elevato un grido d’allarme pesante: si sentono abbandonate».
Crede che il premier Conte e il ministro Tria abbiano la forza di imporsi sui due vicepremier Di Maio e Salvini?
«Conte e Tria sono figli di questa maggioranza: il bilancio di questi mesi per loro non è certo esaltante».
Ma l’Europa sembra appellarsi però proprio a loro due: è una trattativa dall’esito impossibile?
«In politica bisogna coltivare la dose della speranza e della pazienza, oggi paradossalmente proprio queste due persone possono salvare la maggioranza gialloverde da un’autentica disfatta. Io spero che ci riescano anche perché chi milita nella minoranza, come me, deve avere a cuore il destino del Paese».
Quindi la teoria dei pop-corn non l’appassiona?
«No, non mi piace».
Evitare il muro contro muro con l’Ue a cosa porterebbe?
«Si darebbe fiato alla discesa dello spread e anche il collocamento dei titoli di Stato sarebbe meno proibitivo. Comunque se anche dovesse andar bene, rimarrà un giudizio severo sul fatto che abbiamo creato due mesi di inutili polemiche che hanno dato credibilità alla Commissione, a discapito dell’Italia». [Continua a leggere]

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Libia: “Siamo stati ridicolizzati da Haftar e da quattro mesi a Tripoli non abbiamo l’ambasciatore”

postato il 30 Novembre 2018

Di Libia e soprattutto con i libici parlano troppi italiani…

L’intervista di Umberto De Giovannangeli pubblicata sull’Huffington Post

Il suo giudizio sulla Conferenza per la Libia di Palermo è tranchant: “L’abbiamo consegnata nelle mani di Haftar. Altro che un successo politico-diplomatico! Si è trattato di un passo indietro”. Reso ancor più evidente dal perdurare dell’assenza a Tripoli del nostro capo legazione, dopo che, il 10 agosto scorso, l’ambasciatore Giuseppe Perrone è stato richiamato a Roma per gravi motivi di sicurezza. “L’unico lato positivo è che dopo la mia sollecitazione e dopo diversi mesi, il ministro Moavero Milanesi convenga sull’urgenza della nomina di un nuovo ambasciatore”.

Ad affermarlo all’HuffPost è l’ex presidente della Camera, e senatore nell’attuale legislatura, Pier Ferdinando Casini. Di una cosa si dice certo. E questa certezza non è stata incrinata dalle considerazioni del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi né risolta da una vicenda, quella che riguarda il richiamo in patria dell’ambasciatore Perrone e l’assenza a Tripoli del massimo referente diplomatico, in una fase particolarmente calda, sul piano politico, nella quale l’Italia ha cercato, e continua a farlo, di affermare un suo ruolo primario sullo scenario libico. Il fatto è, rimarca Casini, ” che “di Libia e soprattutto con i libici, parlano troppi italiani…”. E di questo ne ha fatto le spese il nostro ambasciatore.

Per inquadrare un'”affaire” tutt’altro che risolto va ricordato che inizio agosto, l’ambasciatore aveva sottolineato, in un’intervista in arabo alla tv Libya’s Channel, l’importanza di “preparare bene le elezioni”, con una base “costituzionale chiara” e “condizioni di sicurezza adeguate”. Sostanzialmente, non entro la fine dell’anno, come prevedeva in un primo tempo il piano francese (successivamente l’inviato speciale Onu Ghassan Salamè ha definito una road map che sposta i termini al 2019). La soluzione di andare in tempi stretti alle urne era gradita anche dall’uomo forte della Cirenaica, il maresciallo Khalifa Haftar. Di qui le polemiche immediatamente successive alle dichiarazioni del diplomatico italiano, con bandiere tricolori date alle fiamme e altre dimostrazioni anti-italiane. A muoversi contro Perrone, almeno due istituzioni di Tobruk, nell’Est del Paese controllato da Haftar. La Commissione affari esteri della Camera libica aveva definito l’ambasciatore “persona non grata” e il ministero degli Esteri del “governo provvisorio” (non riconosciuto dall’Onu) lo aveva accusato di interferire negli affari libici. Uno strappo che la controversa presenza di Haftar alla Conferenza di Palermo del 12-13 novembre scorsi, non sembra, al di là di strette di mano e mezzi sorrisi, aver del tutto ricucito. [Continua a leggere]

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Libia: Question Time sull’Ambasciatore d’Italia a Tripoli

postato il 29 Novembre 2018

Rivolta al Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Moavero Milanesi

Signor Presidente, signor Ministro, come lei sa, siamo stati il primo Paese a riaprire l’ambasciata a Tripoli.

Questo va a onore dell’Italia e della nostra diplomazia.

Apro una parentesi e la chiudo: dal segretario generale all’ultimo funzionario, possiamo essere fieri dei nostri diplomatici, che, indipendentemente dai Governi che si susseguono, fanno un lavoro serio nell’interesse del Paese. Dobbiamo essere particolarmente grati a quanti operano in condizioni difficili, come in Venezuela o, nel caso dell’interrogazione, in Libia.

Si dà il caso, però, che dal 20 agosto, noi, che pure abbiamo intrapreso un’iniziativa a Palermo, due settimane fa, nella Conferenza sulla Libia, abbiamo una sede priva dell’ambasciatore, il quale ha fatto un’intervista e successivamente è stato invitato a rientrare (ma non si capisce in base a quali ragioni, veramente). Ieri ho esaminato i testi delle sue risposte in Commissione affari esteri e non si capisce bene se l’ha fatto di sua iniziativa, perché gliel’ha imposto la Farnesina o per interventi terzi; non si capisce. Resta il fatto che in quattro mesi abbiamo avuto a Tripoli l’ambasciata aperta senza ambasciatore – il che equivale a mandare una flotta in mare senza il capitano o il comandante – e tutta la preparazione della vicenda della Conferenza per la Libia ha visto assente uno dei suoi principali conoscitori e soprattutto nostro ambasciatore in Libia. È come se facessimo una Conferenza su un altro Paese senza il nostro ambasciatore, che dovrebbe essere il rappresentante dello Stato in Libia (o meglio, lo è).

Le ragioni aspetto che ce le spieghi con chiarezza, perché forse sono io che non le ho capite, ma non sono chiare; infatti, se controllo nei Resoconti quanto è stato detto in Commissione affari esteri, trovo cose anche diverse. Vorrei dunque che si definisse con chiarezza la ragione per cui l’ambasciatore è qui. Se non può rientrare, nominatene un altro e destinate questa persona – che, peraltro, è un profondo conoscitore del mondo arabo – a fare qualche cos’altro; se il nostro ambasciatore deve stare in Italia a fare non si capisce cosa, perché sembra non abbia partecipato neanche agli incontri preliminari sulla Conferenza per la Libia, non si comprende quali siano l’atteggiamento del Governo e l’utilizzo di questi diplomatici.

MOAVERO MILANESIministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Signor Presidente, risponderò in ordine alle domande del senatore interrogante. L’ambasciatore d’Italia in Libia, Giuseppe Perrone, non ha partecipato alla Conferenza di Palermo; tuttavia, è del tutto evidente che le analisi da lui svolte nel corso del suo lavoro hanno fornito un contributo importante per la preparazione di tale Conferenza, anche se non ha partecipato ai lavori veri e propri.

Vorrei anche chiarire che l’ambasciatore Perrone è stato fatto rientrare in Italia, a Roma, il 10 agosto e da allora non ha fatto ritorno in Libia. La decisione, presa d’intesa con l’ambasciatore stesso, si giustifica con i gravissimi rischi per la sicurezza della sua persona, nei quali sono sfociati i malintesi creati dall’intervista, che sono stati segnalati dalle autorità libiche e confermati dalle competenti autorità di sicurezza italiane. Su questo punto ho avuto modo di riferire anche in Aula e mi duole se non sono stato sufficientemente bravo ad esprimermi con chiarezza, ma spero di essere chiaro in quest’occasione.

Il Governo intende assicurare la presenza del capo missione a Tripoli nei tempi più rapidi e segnala che l’attività dell’ambasciata non è mai stata sospesa, ma è continuata anche nelle situazioni difficili che si sono verificate. Consideriamo la questione della presenza di un capo missione come urgente, non più differibile e da risolvere nei tempi più rapidi. Il Governo sta già facendo tutte le opportune valutazioni al fine di assumere quanto prima questa decisione.

CASINI .Signor Presidente, signor Ministro, il bicchiere può essere mezzo vuoto o mezzo pieno. Dato che io sono un uomo delle istituzioni, voglio far finta che sia mezzo pieno. La ringrazio del fatto che lei, dopo cinque mesi, conviene con me sul fatto che sia indifferibile la nomina di un altro ambasciatore, visto che non c’è l’agibilità per questo in Libia. A questo punto aspetto la nomina e sicuramente, conoscendola e stimandola, so che sarà una nomina all’altezza della situazione.

Solo alla fine, per quel po’ di polemica che un pochino ciascuno di noi mette, osservo che non so se quanto accaduto era dovuto alla sicurezza dell’ambasciatore o al fatto che autorità anche italiane operanti in Libia hanno idee diverse rispetto alla valutazione che l’ambasciatore faceva in ordine alla situazione libica. Parlano tutti di Libia: le autorità di sicurezza, i Servizi, il Ministero degli esteri. C’è molta confusione e duplicazione di competenza. Io credo che i Servizi che agiscono in Libia, ieri, oggi e domani (è un problema generico), debbano trovare sintonia con le rappresentanze diplomatiche. Non possono fare le cose alle spalle. Sono tenuti sicuramente alla riservatezza, ci mancherebbe altro; se i Servizi di sicurezza non fossero riservati, non sarebbero tali. Però il rapporto con la Farnesina è essenziale. Noi siamo convinti che l’ambasciatore sia entrato in un meccanismo più grande di lui, per cui alla fine abbiamo sacrificato l’ambasciatore. Benissimo, adesso comunque nominiamone un altro e guardiamo avanti, non guardiamo più indietro; stendiamo un velo sul passato. Come lei ha detto – e io sono d’accordo con lei – bisogna rapidamente provvedere all’indicazione di un altro ambasciatore.

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Libia:il vertice italiano un flop. Prevalsa la linea di Egitto e Francia, l’Europa esce sconfitta

postato il 16 Novembre 2018

L’intervista di Antonella Coppari pubblicata su Quotidiano Nazionale

«Di mancanza di professionalità politica si muore. Conte avrebbe dovuto evitare di imbastire la Conferenza sulla Libia, poiché non c’erano i presupposti: in questo modo avrebbe evitato un fallimento annunciato».
L’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, che in tema di politica estera ha esperienza da vendere, è categorico: «Non ho nulla contro le conferenze internazionali, ma non bisogna organizzarle in modo velleitario perché invece di risolvere, peggiorano le cose».
Perché il summit di Palermo avrebbe peggiorato il quadro?
«Basta vedere quello che è successo mercoledì a Tripoli con il riesplodere della guerriglia urbana: purtroppo, l’Italia ha sbagliato completamente linea. Per far venire Haftar ha determinato l’irritazione di tutta l’area islamica che agisce su Tripoli, sostenuta dal Qatar e dalla Turchia, un’area per noi fondamentale. E così ora, coloro con cui tradizionalmente dialogavamo sono insoddisfatti, mentre la linea che è sembrata prevalere a Palermo è stata quella della Francia e dell’Egitto».
Pure la conferenza organizzata dai francesi è stata un flop.
«Non è una giustificazione: li abbiamo criticati per questo».
Nello scacchiere libico ci sono almeno tre attori europei: Francia, Italia e Inghilterra. E’ possibile che l’Unione non faccia sentire la sua voce?
«Questa è la grande sconfitta dell’Europa. Un soggetto che è assolutamente incapace di incidere una svolta a livello politico perché non ha una politica estera comune. Un dato di fatto che il dossier della Libia ha evidenziato drammaticamente negli anni».
Quanto pesa la competizione internazionale sulla crisi libica?
«Nella vicenda libica la competizione internazionale ha inciso fin dall’inizio, a partire dall’intervento sbagliato proposto da Sarkozy e dagli inglesi contro Gheddafi. Devo riconoscere che, per quanto riguarda i nostri interessi economici, l’Eni in Libia ha tenuto benissimo, non ha sentito la concorrenza della francese Total».
Si può risolvere la situazione senza mettere attorno a un tavolo non solo i libici ma anche le potenze coinvolte?
«Va bene il dialogo politico ma io sostengo che se gli Stati Uniti e la Russia non riuniscono attorno alla Libia gli attori principali, che sono Turchia, Egitto, Italia, Francia e gli Stati del golfo non si produrrà nulla perché questo è terreno di una guerra per procura».
Ha qualche chance di riuscire la mediazione dell’inviato dell’Onu, Salamé?
«Sembra un pochino più efficace di quelle del passato».
La scadenza delle elezioni a giugno in Libia sarà rispettata?
«Non sono in grado di dirlo. Le elezioni ci devono essere quando è garantito un percorso di sicurezza e di tranquillità nel paese. Se il governo legittimo non è in grado di garantirlo nemmeno nelle strade di Tripoli, di cosa si parla?».
Per governare il fenomeno migratorio Minniti prima e Salvini poi hanno puntato sugli accordi con la Libia: ha senso dato che non esiste uno stato libico?
«Da ministro dell’Interno farei le stesse cose, però è chiaro che più la Libia è divisa in fazioni, più è impossibile controllare il fenomeno».

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Libia: A Palermo soltanto una cerimonia, gli Usa faranno il minimo

postato il 12 Novembre 2018

L’intervista di Fabrizio Caccia pubblicata sul Corriere della Sera

«Io non so se è vero o no che il premier Conte sia volato da Haftar a Bengasi», dice il senatore Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera e oggi docente di Geopolitica del Mediterraneo alla Lumsa di Roma.

Palazzo Chigi ieri ha smentito.

«Fosse vero sarebbe penoso, vorrebbe dire che siamo ridotti al punto che per tenere in piedi un simulacro di conferenza, che non servirà a nulla, il nostro presidente del Consiglio deve correre da Haftar a chiedergli di partecipare».

Oggi a Palermo comincia la conferenza sulla Libia.

«Al massimo sarà una cerimonia. Perché il livello delle presenze è davvero basso. Gli Usa mandano appena un sottosegretario. Nel gergo diplomatico vuol dire fare il minimo indispensabile, piuttosto che darti un calcio in faccia. Ma forse pure lo è».

Allora cosa aspettarsi?

«Io mi auguro che alla fine Haftar venga, sarebbe un grande atto d’umiltà, anche se Palermo è solo un’ostentazione di velleitarismo. Di sicuro, occorrerà abbassare l’asticella delle aspettative. Alla conferenza, tra chi ci sarà, cerchiamo di creare almeno un dialogo sereno per indurre a un cammino elettorale».

Il futuro della Libia, però, resta un’incognita.

«L’unica soluzione è che Russia e Usa congiuntamente mostrino la volontà reale di coinvolgere gli attori principali: Egitto, Turchia e Unione Europea».

Per adesso comandano le milizie armate.

«La Libia anche con Gheddafi non è mai stata una realtà statuale. Il Colonnello la teneva insieme distribuendo i proventi del petrolio e del gas tra le tribù. Oggi servirebbe un altro capo riconosciuto da tutti, ma non c’è. Haftar è divisivo, Serraj troppo debole. Nessuno rimpiange Gheddafi, ma il problema è che oggi ci sono 50 capi che litigano tra loro».

E l’Italia?

«Ho grande stima del ministro degli Esteri, Moavero. Il problema è la nostra politica estera. Perché ci siamo vantati a lungo di essere rimasti i soli con l’ambasciata aperta a Tripoli e adesso ci ritroviamo con l’ambasciatore Giuseppe Perrone, il più esperto di cose libiche in assoluto, interdetto ad entrare? O forse siamo noi stessi che non lo facciamo più entrare? Sono cose che non capisco».

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#P20: le sfide in un mondo che cambia

postato il 31 Ottobre 2018

Al Forum parlamentare e summit dei Presidenti dei Parlamenti del G20, organizzato a Buenos Aires dall’Assemblea argentina e dalla Uip , nella sessione “le sfide in un mondo che cambia”

È stato calcolato che nel mondo 1,4 miliardi di persone vive con un dollaro al giorno e che 850 milioni di individui soffrono la fame. Ci sono disparità nella distribuzione della ricchezza che sono a tutta evidenza insopportabili. Secondo certe statistiche, l’1% più ricco della popolazione mondiale possiede più del restante 99%; e dal 2010 in poi il 50% più povero non è mai riuscito a possedere più dell’1,5% della ricchezza mondiale.
Questi problemi sono esasperati da un progresso tecnologico che ha abbreviato le distanze e i tempi. Questo stesso progresso tecnologico, tuttavia, deve permettere di individuare soluzioni e offrire prospettive. A questo scopo è necessario mettere insieme le risorse finanziarie e umane del pianeta per rendere questo percorso più rapido e più efficace.

Non aiutano in questo senso le ideologie che invocano il ritorno a formule politiche di chiusura verso l’esterno; si immaginano statualità ripiegate su sé stesse e sui propri cittadini, incapaci di mettersi in rete con altre nazioni per favorire la ricerca, lo sviluppo, il progresso. In questo senso non può non preoccupare il ritorno a sovrapprezzi internazionali sulle merci, i dazi, che ostacolano il libero scambio.
È una reazione esagerata agli eccessi di una globalizzazione che negli scorsi decenni non siamo stati in grado governare. Allo stesso tempo non si possono accettare politiche di penetrazione dei mercati attraverso la riduzione artificiosa dei costi di produzione e dei prezzi, il cosiddetto dumping. Le guerre commerciali sono state storicamente nocive ed hanno portato solo svantaggi. Anche su questo terreno è indispensabile una collaborazione internazionale realmente efficace.
Penso realmente che da oggi tutti insieme dobbiamo metterci al lavoro sviluppando un impegno comune non solo della politica, ma di tutte le forze vive delle società dei nostri paesi per realizzare l’obiettivo di cui si è parlato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a settembre: lavorare concretamente perché in tutto il mondo vi siano società ispirate ai principi di pace e giustizia.

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