Libia: “Siamo stati ridicolizzati da Haftar e da quattro mesi a Tripoli non abbiamo l’ambasciatore”
Di Libia e soprattutto con i libici parlano troppi italiani…
L’intervista di Umberto De Giovannangeli pubblicata sull’Huffington Post
Il suo giudizio sulla Conferenza per la Libia di Palermo è tranchant: “L’abbiamo consegnata nelle mani di Haftar. Altro che un successo politico-diplomatico! Si è trattato di un passo indietro”. Reso ancor più evidente dal perdurare dell’assenza a Tripoli del nostro capo legazione, dopo che, il 10 agosto scorso, l’ambasciatore Giuseppe Perrone è stato richiamato a Roma per gravi motivi di sicurezza. “L’unico lato positivo è che dopo la mia sollecitazione e dopo diversi mesi, il ministro Moavero Milanesi convenga sull’urgenza della nomina di un nuovo ambasciatore”.
Ad affermarlo all’HuffPost è l’ex presidente della Camera, e senatore nell’attuale legislatura, Pier Ferdinando Casini. Di una cosa si dice certo. E questa certezza non è stata incrinata dalle considerazioni del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi né risolta da una vicenda, quella che riguarda il richiamo in patria dell’ambasciatore Perrone e l’assenza a Tripoli del massimo referente diplomatico, in una fase particolarmente calda, sul piano politico, nella quale l’Italia ha cercato, e continua a farlo, di affermare un suo ruolo primario sullo scenario libico. Il fatto è, rimarca Casini, ” che “di Libia e soprattutto con i libici, parlano troppi italiani…”. E di questo ne ha fatto le spese il nostro ambasciatore.
Per inquadrare un'”affaire” tutt’altro che risolto va ricordato che inizio agosto, l’ambasciatore aveva sottolineato, in un’intervista in arabo alla tv Libya’s Channel, l’importanza di “preparare bene le elezioni”, con una base “costituzionale chiara” e “condizioni di sicurezza adeguate”. Sostanzialmente, non entro la fine dell’anno, come prevedeva in un primo tempo il piano francese (successivamente l’inviato speciale Onu Ghassan Salamè ha definito una road map che sposta i termini al 2019). La soluzione di andare in tempi stretti alle urne era gradita anche dall’uomo forte della Cirenaica, il maresciallo Khalifa Haftar. Di qui le polemiche immediatamente successive alle dichiarazioni del diplomatico italiano, con bandiere tricolori date alle fiamme e altre dimostrazioni anti-italiane. A muoversi contro Perrone, almeno due istituzioni di Tobruk, nell’Est del Paese controllato da Haftar. La Commissione affari esteri della Camera libica aveva definito l’ambasciatore “persona non grata” e il ministero degli Esteri del “governo provvisorio” (non riconosciuto dall’Onu) lo aveva accusato di interferire negli affari libici. Uno strappo che la controversa presenza di Haftar alla Conferenza di Palermo del 12-13 novembre scorsi, non sembra, al di là di strette di mano e mezzi sorrisi, aver del tutto ricucito.
Presidente Casini, Lei ha presentato in Senato un’interrogazione rivolta al Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, e al Ministro degli Affari esteri, Enzo Moavero Milanesi, per sapere le ragioni per le quali a distanza ormai di mesi, l’ambasciatore Perrone non ha fatto rientro a Tripoli. Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi le ha risposto ieri, affermando, cito testualmente che ” la decisione presa, d’intesa con l’ambasciatore, si giustifica con i gravissimi rischi sulla sicurezza della sua persona che sono stati segnalati dalle autorità libiche a seguito dei malintesi creati dall’intervista questi sono sfociati in rischi gravi per la persona, e confermati dalle competenti autorità di sicurezza italiane. Su questo punto io ho avuto modo di riferire anche in aula e mi duole se non sono stato sufficientemente bravo a esprimermi con chiarezza…”. Al di là della chiarezza e della risposta avuta dal titolare della Farnesina, che idea ha maturato su questa vicenda e più in generale sulla politica che l’Italia sta portando avanti in Libia?
“Di Libia e soprattutto con i libici, parlano troppi italiani. E di questa cosa ne ha fatto le spese il nostro ambasciatore che è uno dei più raffinati conoscitori del mondo arabo. Non che sia determinante, ma l’ambasciatore Perrone è anche uno dei pochi italiani che parlano l’arabo, e non credo che ve ne siano tanti nei nostri servizi d’informazione. Comunque sia, l’unico lato positivo è che dopo le mie sollecitazioni e dopo diversi mesi, il ministro degli Esteri convenga sull’urgenza della nomina di un nuovo ambasciatore. Almeno questo lo considero un fatto positivo. Aggiungo che in un Paese come l’Italia che, da un lato ha grandi aziende come l’Eni che operano fattivamente in Libia, e dall’altro ha politici un po’ velleitari che organizzano la Conferenza per la Libia di Palermo, non può permettersi di avere una sede vitale come quella di Tripoli privata del capo missione. E’ come se mandassimo un aereo in volo senza il comandante”.
Partendo da questa considerazione e allargando l’orizzonte, quale giudizio si sente di dare della politica portata avanti da questo Governo in Libia?
“Preferisco non fare bilanci, perché temo che non potrebbero essere positivi. Diciamo che siamo in corso d’opera e dobbiamo ancora lavorare tanto. Palermo per me è stato un passo indietro perché abbiamo messo la Conferenza nelle mani di Haftar che ha giocato con noi ridicolizzandoci”.
Eppure dal presidente del Consiglio al ministro degli Esteri, si è ripetuto che “l’Italia è tornata in campo…”.
“Ma quale ritorno! L’Italia in campo, nel Mediterraneo, c’è sempre stata. Il problema vero è come starci e con chi”.