Arginare la rabbia
C’è una belva che di notte corre per le città addormentate e penetra nelle case e poi, all’alba, si unisce al branco che batte le contrade d’Italia. Questa belva è la rabbia che la nostra società, rimbambita dalla televisione, sta vedendo riemergere da un passato lontano e ormai dimenticato. E’ una rabbia che nasce dalla povertà, dallo sfruttamento, dalla precarietà e soprattutto dalla mancanza di speranza e di futuro. E’ un sentimento che nasce nel cuore di vecchi con pensioni da fame, di adulti senza più il lavoro e di giovani depredati dei loro sogni. E’ una rabbia sacrosanta per le ingiustizie perpetrate da un sistema immobile e vorace, ma che purtroppo si sta traducendo sempre più spesso in violenza contro il sistema e anche contro se stessi.
Sono le cronache di questo tempo triste a ricordarci le frequenti esplosioni di questa rabbia: il fumogeno contro Bonanni, gli assalti e le intimidazioni a Cisl e Uil, la rivolta di Terzigno e quella dei pastori sardi, senza contare l’aumento esponenziale di suicidi fra precari e disoccupati.
Ma sono ancora segnali troppo deboli per la nostra classe dirigente, impegnata a preservare potere e privilegi, e per la intorpidita coscienza civile degli italiani; eppure c’è un’aria strana, qualcosa cova sotto la cenere di alcune vite, alcuni oltre a tirare la cinghia serrano anche i denti e i pugni per riuscire a trattenere il malcontento che cresce giorno dopo giorno. La rabbia cresce e si diffonde in particolare tra i giovani che non sono soltanto bamboccioni o aspiranti tronisti e veline, ma sono anche ragazzi e ragazze che desiderano un lavoro dignitoso e che non vogliono, con tanto di laurea appesa al muro, ridursi a lavorare in un call center. Chi può scappa via da questo insulso Paese, ma chi rimane è vittima sacrificale di una spietata dittatura generazionale, come scrisse già nel 1995 Ferruccio De Bortoli, dove i padri hanno realizzato i sogni di uguaglianza e sicurezza sociale delle vecchie generazioni a spese della gioventù attuale, che è stata caricata di uno schiacciante fardello di debito pubblico.
In un contesto clientelare e dove il pensiero critico fa fatica ad affermarsi continuano a prevalere “fuga” (la celebre fuga dei cervelli all’estero) e “accettazione passiva” (astensione crescente alle elezioni), ma la rabbia degli impotenti continua ad accumularsi. La domanda allora è la seguente: cosa accadrà quando questo sistema, che già manda sinistri scricchiolii, crollerà definitivamente?
La rabbia, quella bestia che adesso crediamo in gabbia, verrà liberata e farà strage nelle tenere carni dei corpi. Non è questa la fosca previsione dell’ennesimo profeta di sventura, ma è l’esito scontato della rabbia e della disperazione che stanno seminando a piene mani nei cuori degli italiani. C’è un modo per fermare questa corsa verso il baratro? Evitare il disastro è possibile, e se la presa di coscienza della classe politica di fronte ai problemi del Paese resta ad oggi soltanto una chimera, rimane la possibilità di incanalare la rabbia e la delusione in un sentiero democratico fatto di impegno e partecipazione. Trasformare la rabbia in passione è la sfida per chi vuole veramente salvare l’Italia; dire basta alle pastoie gerontocratiche e clientelari è quanto di più coraggioso e saggio si possa fare in questo momento per un Paese che ha disperato bisogno di riforme e di risorse per l’istruzione, la ricerca e lo sviluppo, un Paese che ha disperato bisogno di futuro.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi