postato il 17 Agosto 2014 | in "Mezzogiorno, Politica"

Casini: ora da Renzi la scossa per il Sud

«Forza Italia? Fa già parte della maggioranza»

Pier Ferdinando Casini

L’intervista di Francesco G. Gioffredi a Pier Ferdinando Casini pubblicata sul Quotidiano di Puglia

L’autunno della scossa alle riforme e dello sprint alla crescita. L’autunno, anche, del ciclo politico che entra nel vivo e promette svolte e scenari tra le mura di partiti e coalizioni. E poi il 2015, che in Puglia sarà l’orizzonte delle elezioni regionali. Mesi ad alto voltaggio, e l’analisi di Pier Ferdinando Casini affronta tutti i nodi. Il leader Udc anche quest’anno ha scelto il Salento per la pausa estiva: «Ormai faccio i 20 anni di nozze col Salento. E spero di tornarci per altri 20. Ci sono tanti amici, come per esempio Luigi Melica, una persona che stimo molto».

Il Sud torna alla ribalta dell’agenda Renzi, almeno nelle dichiarazioni programmatiche. Il premier promette un tour periodico e un monitoraggio costante della spesa dei fondi europei. È davvero l’ultima chiamata per il Mezzogiorno, soprattutto in vista del ciclo di programmazione 2014-2020?
«Personalmente sono davvero preoccupato dalla parcellizzazione della spesa. Finanziare micro-interventi settoriali vuol dire solo sprecare grandi occasioni, quando invece occorrerebbe individuare alcune opere strategiche per rilanciare davvero il Sud. Sì, è vero: il Mezzogiorno è una risorsa per l’intero Paese, ma a forza di dichiararlo rischiamo di perdere tempo prezioso».

Proprio per non dissipare più fondi e – in generale – chance, non sarebbe meglio accentrare il controllo della spesa nell’Agenzia della coesione territoriale?
«È un tema che comporta inevitabilmente riflessioni amare sulla condotta delle Regioni stesse. Si è tanto parlato di federalismo, ma noi siamo stati tra i pochi a votare contro quel provvedimento in salsa leghista. C’è senza dubbio la necessità di ripensare l’assetto delle Regioni. Detto ciò, sono contrario a provvedimenti punitivi, ma bisogna necessariamente prendere atto di quanto non è stato fatto in merito alla spesa dei fondi europei. E allora, piuttosto che perderli, meglio accentrare: mai come in questo caso il fine giustifica i mezzi».

La Commissione europea intanto ha scritto al governo italiano bocciando la bozza di Accordo di partenariato. Ancora un segnale di sfiducia da Bruxelles?
«È uno dei tipici esempi in cui non è il caso di prendercela con l’Europa, ma con noi stessi: spesso scarichiamo sull’Europa l’assenza di efficaci processi decisionali italiani. Possiamo anche puntare il dito contro l’Europa per il rigore eccessivo che rischia di portare a una recessione generalizzata, ma sul tema dei fondi europei chi è causa del suo mal pianga se stesso. Un conto è avere un debito pubblico che proviene da decine anni fa, altra cosa non saper spendere i fondi. E da questo punto di vista il fallimento totale è delle Regioni, soprattutto meridionali».

I segnali lanciati da Renzi le sembrano positivi?
«Il suo gesto di andare a Ferragosto al Sud è positivo, ma certo non basta: al Mezzogiorno bisogna dedicare attenzioni enormi nei fatti, e occorre farlo quotidianamente, in tutti i settori. Penso ad esempio al turismo: i dati raccontano di luci e di ombre, eppure abbiamo potenzialità enormi di espansione verso mercati attratti da questo territorio. Ma al Sud purtroppo abbiamo una rete di porti turistici fatiscente, strutture non sempre adeguate, collegamenti infrastrutturali carenti. Dobbiamo migliorare sotto tutti questi aspetti, sempre però attenti alle realtà industriali già presenti: penso al porto di Gioia Tauro o all’Ilva di Taranto. La tutela dell’ambiente è sacrosanta, ma nella città jonica va conciliata con la difesa della realtà siderurgica più importante d’Europa».

È una ferita ancora aperta.
«E non possiamo lasciare alla magistratura le decisioni sul futuro della politica industriale italiana. Ma questo è accaduto perché la politica è stata assente e i magistrati hanno supplito a quell’assenza. E poiché il governo Renzi è politico, e non tecnico, allora riacquistiamo la centralità nei processi decisionali».

A proposito di scelte: sarà il settembre della scossa sul piano dei provvedimenti economici? Tra riforma del mercato del lavoro, spending review, barra dritta sulla tenuta del debito pubblico, rischia però di spuntare una manovra correttiva?
«Non credo che l’Italia possa sopportare manovre ulteriori: dobbiamo fare quanto deciso, con una spending review importante e provvedimenti sul lavoro che consentano un rilancio degli investimenti reali. Del resto, nonostante questo buio, abbiamo comunque scoperto che l’Italia sta tornando appetibile per gli investimenti
esteri: vuol dire che il centro decisionale di quelle aziende spesso resta qui, e in un mondo globalizzato non possiamo vivere con i paraocchi, ma dobbiamo accettare la sfida e creare le migliori condizioni».

Il contesto rischia di peggiorare: arretra persino il Pil tedesco. La possibile spirale recessiva non impone allora una revisione delle politiche pubbliche?
«Sono preoccupato per quanto sta succedendo in Germania: le esportazioni italiane si rivolgono soprattutto al Paese tedesco. Se si ferma la locomotiva, non andiamo lontano. Tutto ciò è l’indice di una politica economica sbagliata, quando invece abbiamo esempi diversi: Obama ha adottato ricette diverse dalle nostre, ha rilanciato lo sviluppo e ha battuto la recessione».

Si torna a parlare di articolo 18 e riforma dello Statuto dei lavoratori: tabù da sfatare o si rasenterebbe lo scontro sociale?
«I tabù devono cadere, però capisco anche la preoccupazione di Renzi nel riaprire dispute ideologiche che poco hanno a che fare con la concretezza dei problemi. Troviamo una soluzione, ma quel che è capitato nel caso Alitalia sia un monito: mi riferisco al rischio che saltasse tutto con Etihad per un approccio vecchio stampo dei sindacati».

Quanto ritiene praticabile un allargamento più o meno stabile della maggioranza a Forza Italia?
«Guardi, Forza Italia è già nella maggioranza. Solo chi è cieco non se ne accorge… Votano le riforme e concorrono al mantenimento del numero legale. Berlusconi ha capito che questa condizione è fondamentale per lui: non si assume l’onere di provvedimenti impopolari, ma di fatto aiuta il governo. Mi sembra un atteggiamento intelligente da parte sua, e Renzi ringrazia e porta a casa».

L’Udc con Ncd sta impostando un percorso comune, che potrebbe sfociare in un unico soggetto politico. Con quale prospettiva?
«Sotto questo punto di vista non ho alcun ruolo decisionale, ma posso dire che mi sembra un percorso di buon senso. Naturalmente è solo il primo passo: il problema vero è ricreare l’appeal del centrodestra smarrito nel corso degli anni, non a partire dalle alleanze di sigle, ma dal recupero di un insediamento sociale disperso a vantaggio dei Cinque stelle e dello stesso Renzi, che è molto più appetibile per i moderati di quanto lo siamo noi».

Alle elezioni regionali pugliesi il polo centrista Udc-Ncd marcerà compatto? E come valuta i movimenti, e le primarie, nei due poli di destra e sinistra?
«Mi auguro che Udc e Ndc procedano insieme, è un processo avviato e frazionarsi sarebbe ridicolo. Ora non spetta a me dare consigli, però nel centrosinistra vedo primarie interessanti: c’è un Emiliano “alla Crocetta” e una sinistra nuova che è quella di Stefàno, il quale come assessore e come presidente della Giunta delle elezioni del Senato ha dimostrato di essere una persona seria e capace. Nel centrodestra invece la situazione è più complessa. Non basta l’evocazione di primarie se non si recupera una condizione di impegno comune. Certo, esistono personalità importanti come Ferrarese, che stimo ed è in gamba, ma nel centrodestra l’unico vero leader è Fitto: al governo è stato molto capace, ha un radicamento territoriale forte, e se fosse lui il candidato, sarebbe facile vincere».

Come valuta i dieci anni di governo Vendola?
«Preso a sé stante è poca cosa, ma il giudizio è più generoso se paragonato al grande disastro delle altre Regioni».

Adesso s’aprirà un nuovo ciclo. Il Salento al bivio quali coordinate dovrà seguire?
«Vero, è a un bivio. A proposito dell’economia turistica, il Salento deve decidere quale modello sposare. Il turismo di massa in stile Gallipoli rischia di determinare una deriva per me negativa. Seguire una strada diversa implica politiche efficaci su destagionalizzazione, qualità dei flussi turistici, strutture e infrastrutture, sistema integrato con i beni culturali. Un sistema capace di generare un fertile tessuto di piccole e medie imprese».

Magari la spinta può essere data dalla vittoria di Lecce nella corsa a Capitale europea della cultura 2019.
«Potrebbe spuntarla, lo merita, ha tutte le carte in regola e gode di condizioni ideali».



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