Archivio per Aprile 2010

Per una scuola migliore, la testimonianza di un’insegnante

postato il 29 Aprile 2010

colori

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesca Levito

In prima linea.

Tornando a lavorare a Palermo dopo 12 anni di assenza, la mia collega, pur avvezza ai problemi delle scuole a rischio, non si aspettava di trovare la situazione lasciatasi alle spalle: la Vucciria si conferma uno dei quartieri di Palermo in cui l’abbandono delle Istituzioni miete davvero troppe vittime.

Nella nostra scuola dal nome carico di speranze, (“Valverde”!!), persino l’uso dell’unico cortile dell’edificio, sarà una conquista. Ma questo non accadrà fino a quando, finalmente, riusciremo a far capire, all’amministrazione comunale, che non è possibile che questo spazio resti sempre aperto per far accedere gli impiegati e gli utenti del vicino ufficio, ai locali contigui alla scuola. Anziché rischiare che un alunno esca in strada o che un estraneo entri in classe, forse sarebbe più opportuno semplicemente utilizzare due cancelli diversi. Ma non deve essere così facile da capire!

E’ vero che, di contro, anche noi insegnanti non capiamo tante cose!

Ad esempio perché con uno stipendio, onorevolissimo di questi tempi, ma che sicuramente non consente lussi, dobbiamo pagare il materiale che serve agli alunni ed a noi, per svolgere le attività (fogli per fotocopie, quadernoni e vari altri materiali di cartoleria e persino l’affitto di un campo di calcetto per le partite del mini-torneo comunale). E’ bene chiarire che non siamo obbligati da nessuno ed in nessun modo. Non tutti infatti si comportano così. Ma forse io ed il mio gruppo, apparteniamo a quella specie di insegnanti che crede ancora che, come la famiglia, la scuola sia innanzitutto un valore ed un sostegno indispensabile, e che tutti debbano avere la possibilità di avvalersene. Il nostro stile di lavoro è quello di chi, pur essendo orgoglioso di essere maestro, non si esime dall’essere anche altro per quei bambini che, privi del sostegno delle famiglie, verrebbero esclusi (quando non si auto escludono!) dalle attività che più possono servire a crescere in modo responsabile. Così si aderisce al dato progetto anche se questo significa che noi insegnanti rimarremo a scuola oltre il nostro orario di lavoro, andremo a prendere gli alunni a casa perché non manchino alle attività e li riaccompagneremo a casa al termine delle stesse, compreremo loro la merenda o il necessario per il pranzo quando non li porteranno da casa…

Potrete credere che si tratti di scarsa modestia ma consiglieremmo a tanti di provare a vivere ed a lavorare in certi contesti, sperimentando la gioia di sentire i propri alunni motivati, competenti, solidali, ma anche acquisendo più forza per chiedere che questi bambini abbiano davvero gli stessi diritti degli altri.

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L’Italia e l’energia, quale modello di sviluppo?

postato il 29 Aprile 2010

Aerogeneratori, album di Lorca56Tutela dell’ambiente, riduzione delle emissioni, valorizzazione delle energie rinnovabili e sostegno alle imprese che investono in tecnologie sostenibili e risparmio. Sono alcuni dei temi trattati venerdì 23 aprile nel corso del convegno “La Green Economy per un nuovo modello di produzione e consumo”, organizzato dall’Udc alla Camera dei deputati e moderato dal deputato  Roberto Rao. [Continua a leggere]

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McDonald’s: alfiere dell’italianità con il McItaly?

postato il 27 Aprile 2010

mcItaly “Riceviamo e pubblichiamo” di  Gaspare Compagno

Per chi avversa il mondo del fast food, per chi avversa il mondo delle multinazionali, il lancio avvenuto alcune settimane fa di un nuovo panino della catena McDonald’s, sembrava una gran vittoria: il nuovo panino era il McItaly, lanciato come il panino che rilanciava il Made in Italy, con prodotti esclusivamente italiani.
Lo stesso onorevole Zaia, era contento, in quanto si ascriveva il merito di questa idea, che, stando a sentire lui ha dato sbocco a tanti contadini e allevatori. E’ davvero così?

Indubbiamente i prodotti sono italiani: carne 100% italiana, olio extravergine di oliva siciliano, Asiago Dop, pancetta della Val Venosta, bresaola della Valtellina IGP, cipolle di Tropea, grano saraceno, e carciofi romani.

Indubbiamente i dati di vendita sembrerebbero confortanti e addirittura si parla di venderlo in Francia e in Inghilterra.
Sembrerebbe un grande trionfo della gastronomia italiana.
Ancora di più, sembrerebbe un trionfo per i piccoli coltivatori e allevatori, quelli che non sanno mai se arriveranno alla fine dell’anno a coprire le spese.
E invece no.
Iniziamo dalle reazioni all’estero: il Guardian parla addirittura di tradimento della tradizione gastronomica italiana.
Ovviamente Zaia, accusa il Guardian di sinistrosità.

Non giudico gli orientamenti del Guardian però qualcosa di vero c’è, infatti Altroconsumo arriva addirittura a dire che è meglio il panino americano Big Mac, che non il Mc Italy, perché troppo calorico e contiene troppo sale che benissimo non fa, almeno a sentire i medici.

Ma Zaia dice che i coltivatori e gli allevatori ne traggono beneficio. Anzi, afferma che si parla di potenzialmente 1000 tonnellate di prodotto e se si arriva a tale livello, si parlerebbe di 3,5 milioni di panini venduti e questo farebbe vendere il panino in Francia e Inghilterra.
Stupendo, vero? Insomma tutti i piccoli coltivatori e allevatori italiani trarranno beneficio ed esportiamo il gusto italiano. Peccato che non sia così.

Intanto sfatiamo un mito: non è Zaia ha costretto la Mc Donald’s ad usare prodotti italiani, perché la Mc Donald’s ha sempre usato prodotti italiani e lo dicono gli americani stessi, citando anche i loro fornitori: per l’insalata è la Eisberg Italia, e per la carne è la Cremonini (tenete a mente questo nome). Un attimo. Ma queste aziende producono in Italia, ma sono multinazionali. E i piccoli allevatori? I piccoli contadini? Spariti. Come al solito, questo governo dice di difendere i piccoli, ma alla fine favorisce solo i grandi. E qui sfatiamo il secondo mito.

I prodotti italiani sono usati, ma per avere certi prezzi, i prodotti più costosi (tipo la bresaola) devono essere ridotti al minimo, come ad esempio la bresaola della valtellina inserita nei menu McDonald’s con il marchio IGP: innanzitutto analizziamo il frutto dell’unione tra il Consorzio di tutela della Bresaola della Valtellina e la McDonald’s: si tratta di un’insalata (venduta al prezzo di 4,20 euro) con scaglie di parmigiano, crostini e, appunto, bresaola, presente nella modica quantità di 30 grammi.

Ma non è tutto qui. Sapete chi fornisce questo pregiato salume orgoglio della Valtellina?
L’azienda Montana Alimentari SPA del gruppo Cremonini (toh, rieccoli, vi avevo avvertito di tenerli a mente), già fornitore della carne. Per inciso, nessuno dica che la Cremonini è un piccolo allevatore: fatturano 2,3 miliardi di euro l’anno. Non solo, ma sempre il gruppo Cremonini fornisce i vini che compaiono sugli scaffali dell’IKEA.

Per altro, Zaia ha inaugurato il nuovo stabilimento Cremonini in Russia. Perché questa simbiosi con l’azienda modenese? Cito testualmente: “il futuro è puntare sui generi alimentari esportabili sui mercati internazionali”. Quindi tutti i prodotti, giudicati da Zaia, non esportabili, sono da chiudere. Certo ci vuole una visione del futuro e di come andranno i prodotti in futuro.
E lui di futuro se ne intende visto che già a luglio 2009 pianificava la sua campagna elettorale con i soldi dei contribuenti italiani, infatti a febbraio esce il numero di Welfare, editore Federsanità, che dedica la copertina e ben 11 pagine speciali al ministro (che col welfare  non c’entra nulla) per un totale di 250.000 copie gratuite delle quali 18.000 distribuite in Veneto al costo di 450.000 euro pagati da Buonitalia s.p.a., diretta emanazione del dicastero di Zaia.

Questi 450.000 euro sono la prima tranche del finanziamento dell’Unione Europea per la promozione dell’agroalimentare italiano nel mondo. Il mondo, non il Veneto.
Ma questa notizia è stata smentita dalla segreteria di Zaia che ha testualmente affermato “Cadiamo dalle nuvole, non sapevamo nulla della pubblicazione, per la quale il dicastero non ha messo un euro”.

Strano, perché invece il direttore di Federsanità, Enzo Chilelli, dati alla mano smentisce Zaia, dicendo “Il numero speciale è stato mandato in stampa a luglio, ovviamente con l’approvazione sia di Buonitalia Spa, sia dell’ufficio di comunicazione del ministero rispetto ai contenuti. Tant’è che le foto di Zaia sono quelle ufficiali forniteci dal ministero. Il costo? In tutto 450 mila euro: 300 mila per la produzione e 150 mila per la distribuzione.”

A chi credere? A Enzo Chilelli o a Zaia, personaggio quanto meno pittoresco, chiamato dai giornali locali “Er Pomata” quando non era un politico di successo e faceva il PR nelle discoteche, o, in qualità di presidente della provincia di Treviso, comprava 6 asini bruca erba, perché “costano meno di 6 falciatrici”?

A questo punto, tornando al famigerato McItaly, possiamo dire che, lungi da noi condannare il panino in quanto tale, vorremmo sfatare il mito costruito da Zaia, ovvero che è un panino che salva i piccoli agricoltori, e che promuove il Made in Italy all’estero.
Resta un’abile operazione di marketing di Zaia, e un panino normalissimo, che può piacere o meno.
Non certo il salvatore dell’enogastronomia tricolore.

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Il genocidio degli Armeni

postato il 25 Aprile 2010

Envelope, di Tim Morgan “Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Leggo online da Blitz Quotidiano una notizia agghiacciante e mi auguro che non sia vera. In un programma d’informazione turco si era infatti annoverata l’Italia tra le nazioni che riconoscono il genocidio armeno, ma l’ambasciatore italiano ad Ankara, Carlo Marsili, avrebbe precisato , per i favori del governo turco che ha sempre negato la veridicità della storia, che in realtà quell’informazione non fosse esatta: l’Italia non riconosce il genocidio degli armeni.  Eppure il governo italiano approvò a larga maggioranza nel 2000 la risoluzione Pagliarini di riconoscimento e condanna del genocidio degli armeni. Secondo l’ambasciatore Marsili questa sarebbe solo un’interpretazione giacché la risoluzione si impegna solamente ad «adoperarsi per il completo superamento di ogni contrapposizione tra popoli e minoranze diverse nell’area al fine di creare le condizioni, nel rispetto dell’integrità territoriale dei due Stati (Turchia e Armenia), per la pacifica convivenza e la corretta tutela dei diritti umani nella prospettiva di una più rapida integrazione della Turchia e dell’intera regione nell’Unione europea» . Non ho tuttavia trovato conferme su altre testate o blog di questa notizia, reputo potrebbe trattarsi anche solo di un pettegolezzo o un fraintendimento, ma qualora fosse vero sarebbe davvero grave, peraltro proprio nel 95° anniversario del genocidio armeno. Ma facciamo un po’ di luce sui fatti di questo luttuoso evento che si cerca di cancellare dalla storia.

La Turchia infatti non ha mai riconosciuto quello che è in realtà il primo genocidio del Novecento, il  secolo breve e buio in cui, come afferma il romanziere russo Vassilij Grossman, sembra sia conflagrato in un solo istante tutta la violenza che si era conservata nel corso dei secoli come l’entropia. Siamo nel 1915, l’Impero ottomano è un cadavere che cammina, si è ridotto a un patchwok  di greci, bosniaci, turchi, armeni, semiti che non trovano fra loro alcun elemento di condivisione. E’ una nazione che si regge unicamente per imposizione dall’alto e che tende a reprimere ogni tentativo di riforma o pretesa di maggiore autonomia da parte delle minoranze. L’impero ottomano crollerà definitivamente poco dopo, nel 1919, dopo una crisi inesorabile iniziata già dopo Lepanto e l’assedio di Vienna, apice e declino. Nel 1908 il movimento panturchista e ultranazionalista dei “Giovani Turchi” aveva deposto il Sultano; furono loro i principali carnefici del popolo armeno. Gli armeni erano sempre stati considerati sudditi di serie B, erano cristiani, non si vergognavano di portare la croce in petto e di officiare i loro riti anche in una nazione che, prima dell’arrivo del laico e liberale Ataturk, poteva essere considerata a pieno diritto una teocrazia islamica.

Secondo i dati della Oxford University Press, nel  solo Novecento sono stati uccisi 45 milioni di cristiani. Le prime persecuzioni  di armeni possono rintracciarsi già negli ultimi decenni del diciannovesimo secolo, in particolare il pogrom del 1885 in cui 50.000 armeni bruciarono nei loro villaggi. Ma è nel 1915 che la persecuzione deflagra in genocidio, mentre l’Impero ottomano, impegnato nella prima guerra mondiale e attivo sul fronte orientale, teme rivolte interne e non accetta le legittime richieste riformiste di suddito cristiano di serie B. Nella notte del 24 aprile 1915 intellettuali, artisti, amministratori locali, banchieri, sacerdoti e persone comuni  armene furono prelevati dalle loro case, deportati, infine massacrati. Si parla di 1.5-2 milioni di morti. Questa è una tragedia dimenticata, oltraggiata dalla Turchia che la considera una montatura e un’accusa alla sua sovranità, ignorata dai paesi europei che non vogliono pestare i piedi e gli interessi commerciali che intrattengono con il gigante dell’Asia Minore.  Oggi nessuno se ne è ricordato. Noi sì, dobbiamo esserne fieri, e consiglio la lettura, per chi volesse approfondire questo mio breve spunto del romanzo “La masseria delle allodole” di Antonia Arslan e l’ottimo articolo del Sussidiario.Net di Pippo Emmolo

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25 Aprile: Festa della Liberazione

postato il 24 Aprile 2010

25aprile ‘Riceviamo e pubblichiamo’ di Marta Romano

Eccoci giunti alla vigilia del 25 Aprile 2010, 65° anniversario della Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista . Una festa che, anche a distanza di molti anni, divide ancora l’Italia e gli italiani.

Sinceramente pensavo che il nostro Paese fosse già talmente diviso al proprio interno che quest’anno l’anniversario di quest’importante avvenimento sarebbe stato meno influente. E invece no.

Un’Italia che piange e che ricorda le vittime di ambedue le parti non riesce a cancellare le urla e le ripetute polemiche che questa ricorrenza evoca.

Eppure, forse, c’era qualche italiano che, come me, si era lasciato illudere dalla speranza di vedere un Paese diverso, unito sotto un unico patrimonio di cultura, tradizioni e storia. Alla vigilia di quest’importante ricorrenza, mi accorgo che era un’utopia. E’ ancora un sogno pensare che tutto il Paese possa ricordare e piangere i caduti di quella che può essere definita una vera e propria guerra civile per la Libertà.

Una Libertà raggiunta attraverso dolore e sofferenza, ma con un denominatore comune: l’UNITA’.

Unità e compattezza che mancano oggi, assieme alla volontà di dialogo e discussione per il raggiungimento del tanto agognato bene comune.

Ecco perché, a distanza di 65 anni da quel famoso 25 Aprile, non posso che essere preoccupata per il mio Paese. Una nazione che preferisce l’astensione alla libertà di voto, dove il dissenso dilaga e assumono sempre più importanza partiti populisti ed estremisti. Il tutto mentre cresce la disoccupazione, specialmente giovanile.

E allora, alla vigilia di quest’importante giorno, esprimo un desiderio.

Vorrei un’Italia diversa, più democratica e più serena, dove ci sia un dialogo libero e costruttivo.

Vorrei un’Italia dove lavoro e sviluppo non fossero soltanto i sogni di una giovane ragazza, ma realtà.

Ma, più di tutto, il mio desiderio è quello di vedere, un giorno, l’Italia ricucita dai troppi strappi che ne hanno lacerato l’anima. Soltanto nell’unità può esserci un futuro.

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