postato il 15 Ottobre 2015 | in "Spunti di riflessione"

L’intervento in Aula dopo le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo

 

Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio,
a mio avviso noi abbiamo un dovere: evitare che questo Senato diventi o si trasformi, in occasioni come queste, in un parlatoio in cui tutti ripetiamo tutto. Io vorrei dire tre o quattro cose, sottoponendole alla sua attenzione, per dare la nostra indicazione rispetto alle questioni di politica internazionale che sono sul tappeto al Consiglio europeo.

In primo luogo, lei ha detto che manca una strategia. Manca una strategia. E sa dove si vede che manca una strategia? In quello che per noi è il perno della politica di questi giorni, cioè nella politica mediterranea. Abbiamo fatto Barcellona, abbiamo dimenticato Barcellona. Noi abbiamo una politica di vicinato dell’Unione europea che si fa per due terzi verso il Nord-Est ed una politica mediterranea che non si fa come Unione europea. La grande battaglia dell’Italia, secondo la migliore tradizione della politica democratica cristiana, e anche di quella dei grandi socialisti che in questo Paese hanno diretto la nostra politica governativa, è quella di chiedere in Europa che ci sia meno miopia e che anche i Paesi del Nord, che oggi sono destinatari, al pari nostro, di questo flusso drammatico di rifugiati dal Mediterraneo, capiscano che questa è un’emergenza europea. Una politica di vicinato si costruisce partendo dalla priorità del Mediterraneo.

Secondo punto: il tema dei rifugiati. Lei ha detto: noi avevamo ragione. Mi consenta di dire che anche noi, che abbiamo sostenuto il suo Governo, avevamo ragione, quando abbiamo spiegato ai nostri colleghi della Lega e ad altri colleghi, che magari attaccavano sconclusionatamente il ministro Alfano, cosa che francamente non si capisce, se non per un fatto.
I nostri colleghi che sconclusionatamente attaccano il ministro Alfano per coprire il loro vuoto dovrebbero rendersi conto che oggi i rifugiati non arrivano solo da Lampedusa, ma arrivano dalla Turchia e vanno, più che in altri Paesi, nei Paesi europei, a dimostrazione che voi non avete capito nulla dei fenomeni migratori che riguardano il Mediterraneo. Capisco la frustrazione, colleghi, perché anche con Maroni come Ministro dell’interno le cose andavano allo stesso modo. Ma questa situazione è un’emergenza mediterranea ed un problema che l’Europa non si pone.

Terza questione. Io vorrei che riflettessimo su un fatto: noi abbiamo fatto di tutto, dopo la caduta del Muro di Berlino, perché tanti Paesi che erano dall’altra parte, nel nord est dell’Europa, entrassero nell’Unione europea. L’allargamento, secondo i timori di qualcuno, ha coinciso anche con un annacquamento, ma eticamente, moralmente e politicamente è stato giusto accettare questi Paesi.

Oggi, vediamo – e dovremmo capire perché – che questi Paesi sono i primi a reagire contro queste invasioni, e magari a ritenere che l’Europa, di cui sono portatori, è quella dei muri. Perché? Perché questi Paesi – bisogna capirli fino in fondo – sono stati espropriati dall’Unione sovietica per anni, e oggi hanno il timore che sia l’Islam il nuovo detentore di una sorta di decisione che si impone sulle loro autonomie. Però noi, onorevole Presidente, non possiamo accettare l’idea che la politica di vicinato con la Russia sia determinata dalle angosce dei Paesi baltici, perché o noi associamo la Russia alla lotta contro il terrorismo o non la vinceremo mai. Noi vogliamo che la grande questione della Siria, così come dell’Iraq, si risolva associando gli Stati Uniti, la Russia, i Paesi europei e i Paesi del mondo islamico, che sono divisi non solo da un conflitto tra sunniti e sciiti ma anche da un conflitto intersunnita, perché non c’è dubbio che la Turchia e l’Egitto sono entrambi sunniti, ma non c’è altresì alcun dubbio che siano oggi tra i principali competitor in quell’area.

Non c’è più una logica tradizionale.
Noi abbiamo combattuto il terrorismo perché veniva a invadere le nostre città, perché veniva a porre bombe nelle nostre stazioni. Oggi è tutto un altro discorso, perché a questa sfida tradizionale si associa la creazione di Stati terroristici. Sono saltate le statualità definite dopo la Prima e la Seconda guerra mondiale. Abbiamo un fenomeno come quello dei foreign fighter, che è anche la ragione per cui si muove Putin. Guardate cosa sta succedendo in Afghanistan.

In Afghanistan i talebani hanno preso una località a nord del Paese in cui sono segnalati migliaia di combattenti che vengono dalle Repubbliche vicine alla Russia a quelle Repubbliche caucasiche, dalla Cecenia e anche della Cina. Non a caso in futuro questo tipo di malinterpretazione – diciamo guerrafondaia – di un certo Islam rischia di colpire non solo noi ma anche la Russia e la Cina. È per questo che dobbiamo associare queste potenze. Guai a continuare in una politica di confronto con la Russia che ci porta ad avere nostalgia della Guerra fredda.
Sono stato a tanti incontri – il ministro Pinotti più di me e lei più di noi – dove si assiste ad una sorta di nostalgia della Guerra fredda; ma noi non abbiamo nostalgia verso la Guerra fredda. Noi siamo quelli di Pratica di Mare. E questo lo dico perché è un tema di unità nazionale che dovrebbe inorgoglire anche chi sta all’opposizione di questo Governo. Noi siamo quelli che hanno portato la Russia ad associarsi alla NATO e non a contrapporsi ad essa in una sorta di revival degli anni Settanta.

L’altra grande questione è il referendum inglese. Presidente, l’Inghilterra fuori dall’Unione europea è più debole, ma l’Unione europea non sarà più quella che è senza la Gran Bretagna. Dobbiamo fare di tutto per favorire anche la negoziazione che inevitabilmente Cameron porrà sul tavolo europeo.
La Turchia è anch’essa una grande questione, su cui noi abbiamo responsabilità europee evidenti. Quando nel 2003, contro il parere dell’Italia, Francia e Germania chiusero le porte alla negoziazione con la Turchia, posero le premesse per un ondeggiare pericoloso di quel Paese verso il mondo islamico. Questo ha determinato uno stato molto preoccupante che noi oggi vediamo come una minaccia, ma bisogna cercare di capire, di indagare. Non smettiamo di approfondire il dialogo con la Turchia.

Lei deve fare di tutto da questo punto di vista, anche andare a dire le nostre ragioni di dissenso nelle autorità turche, ma non escludiamo di continuare il dialogo nei confronti della Turchia, perché è un punto fondamentale. Allo stesso modo, se mi consentite, su alcuni Paesi: andiamo tutti a fare le manifestazioni dopo che una tragica vicenda colpisce la Tunisia, ma ci sono documenti del G8, dell’Unione europea, sugli impegni di spesa che si assumono verso la Tunisia dopo che scappano tutti i turisti perché è chiaro che si colpisce l’unica fonte di reddito di quel Paese, e alla fine sono tutti impegni ai quali non si adempie. Come può allora l’Europa, l’Occidente, essere credibile?

Infine, l’ultimo ragionamento mi viene suscitato dal fatto che con i membri della Commissione esteri abbiamo appena sentito il dottor Descalzi parlare delle strategie geopolitiche nel Mediterraneo in riferimento a quello che sta facendo l’ENI. Lei giustamente ha parlato delle riforme ed io concludo con questa sorta di interrogativo che mi permetto di porre. Nel giro di un anno l’ENI è in grado di mettere a regime la più grande scoperta che si è fatta negli ultimi anni a qualche centinaio di chilometri dalla costa egiziana e un collega ha chiesto al dottor Descalzi se questa scoperta fosse stata fatta in Italia, quanto tempo ci sarebbe voluto per arrivare allo stesso punto. Questa è la grande questione. Il tema dei tempi e della tempistica, dunque, non è più un elemento variabile: è un punto fondamentale, se vogliamo essere credibili. A mio avviso, rispetto a qualche anno fa, anche per quello che hanno fatto i Governi che hanno preceduto il suo – è giusto dirlo e ricordarlo – l’Italia oggi è più credibile perché ha fatto scelte anche difficili e io sono molto rammaricato che chi di queste scelte doveva in qualche modo farsi vanto perché erano frutto anche di un proprio parto e di una propria elaborazione si sia tirato fuori da un percorso che è importante per il futuro dei nostri figli.



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