postato il 8 Novembre 2020 | in "Politica, Rassegna stampa"

«II governo Conte da solo non ce la può più fare»

«Una larga coalizione adesso è impossibile, ma tra maggioranza e opposizione serve comunque un’intesa minimale. Gli Usa? Il trumpismo non è finito»

L’intervista di Alessandro Giuli pubblicata su Libero

L’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini confida in Joe Biden («l’usato sicuro alla guida degli Stati Uniti”) anche se non si fa troppe illusioni («la spinta del populismo mondiale è ancora fortissima») ma si augura che in Italia, dove «il governo Conte non basta più a se stesso», maggioranza e opposizione ritrovino una concordia istituzionale per fronteggiare insieme la pandemia e la crisi economica. La chiave di svolta è in Parlamento, nella Conferenza dei capigruppo.

Gli Stati Uniti hanno superato l’eccezione populista rappresentata da Donald Trump?
“Sì e no. Diciamo che l’elezione di Biden alla Casa Bianca dimostra come oggi, in un momento di grandissima confusione e disorientamento, ci sia bisogno di ancorarsi ai valori tradizionali e a quella grande fascia di riferimenti moderati e istituzionali che Biden ha rappresentato negli Usa…”

E tuttavia?
“L’analisi incompleta se non si aggiunge altro: queste presidenziali mostrano anche che la spinta del populismo mondiale è stata arrestata ma non abbattuta da Biden, è un fenomeno che persiste e ha un radicamento molto più forte di quello che certi commentatori devoti al politically correct ritengono. E’ vero che nessuno prima di Biden ha ricevuto tanti voti popolari, ma è anche vero che in graduatoria il secondo votato è proprio Trump. Per l’ormai ex presidente il risultato è comunque enorme. L’onda blu non c’è stata”.

La contrapposizione tra popolo e establishment non si è esaurita?
“In America abbiamo assistito alla grande capacità di resistenza degli elettori democratici ai quali si sono aggiunti alcuni pezzi dell’establishment repubblicano ispirati da figure storiche come John McCain e George W. Bush o altri come Mitt Romney. Ma i risultati ci dicono che siamo tornati nello schema della normalità, resta il problema di un conflitto tra i valori tradizionali della democrazia e un populismo al limite dell’eversione. La navigazione di Biden si preannuncia molto complicata e non soltanto perché non ha la maggioranza in Senato, dove comunque un mediatore esperto come lui saprà trovare il giusto gentlemen ‘s agreement, il punto è che il nuovo presidente rischia di doversi confrontare una fortissima opposizione popolare capeggiata da Trump”.

Ora la sinistra americana è chiamata a governare una crisi che ha contribuito a creare.
“La crisi economica di cui si è nutrita la reazione populista è stata generata da un disagio sociale che aumenta perché esistono fasce di diseredati, in particolare nel mondo giovanile, che si sentono escluse dalla società. In una prima fase la globalizzazione ha rappresentato un’opportunità, oggi abbiamo sotto gli occhi la mole di problemi che ha creato: la concentrazione della ricchezza in pochissime mani, la necessità di riconvertire interi apparati industriali che non servono, la trasformazione nel mercato del lavoro ora esasperata dal ricorso allo smart working. Il tutto, adesso, è aggravato dalla pandemia di coronavirus. Di fronte a questo, la sinistra tradizionalmente intesa ha latitato e Trump continua a intercettare il malumore dell’America profonda. Lo stesso fenomeno, sebbene con ricadute meno gravi, si è manifestato in Europa”.

In Italia i populisti sono al governo da oltre due anni, prima con i sovranisti della Lega e poi con il Pd, il partito dell’establishment.
“I Cinque stelle sono l’espressione di un mare in tempesta, più che i naviganti esperti di questo mare. Hanno vinto nel 2018 perché sono saltati gli schemi tradizionali della rappresentanza, basta pensare ai voti che grillini e leghisti hanno raccolto fra i sindacati e perché si è allargato il solco tra consenso e potere, società e ceto politico”.

Ma oggi le cose sono cambiate, il Movimento Cinque stelle a modo suo si è fatto establishment.
“Oggi c’è un interessante riassetto generale in corso. Dopo aver incarnato per anni la protesta anti politica, i grillini hanno governato sia con la destra sia con la sinistra e difficilmente potranno riproporsi come una forza anti sistema. Un percorso analogo sta avvenendo nel centrodestra: Giorgia Meloni ha ottenuto un ottimo successo assumendo la guida dei conservatori europei; anche nella Lega si sta mettendo in discussione il limite incapacitante del sovranismo anti europeo; e naturalmente c’è Silvio Berlusconi, il quale sia sul Mes sia sulla strategia di contenimento del Covid ha mostrato un’intelligenza pratica e una correttezza istituzionale molto importanti”.

C’è voglia di centro? O è soltanto un bisogno fisiologico di decompressione e ricomposizione in una situazione di conflitto prolungato?
“C’è bisogno di riconoscersi e rilegittimarsi in una cornice istituzionale condivisa. Per tomare all’America: ieri ho postato su Instagram il discorso fatto da McCain per onorare la vittoria dello sfidante Obama, una pagina fulgida di politica. Guai se il centrodestra ignorasse certi esempi”.

Come si fa a sostenere che il centrodestra non stia dando un contributo di fronte alla crisi pandemica, quando è il governo che ignora il Paramento e proceder a colpi di Dpcm?
“L’ho già detto e lo ripeto: per ricostruire il rapporto fra maggioranza e opposizione serve un’iniziativa forte. Il che non significa certo chiamare i leader del centrodestra 5 minuti prima di annunciare i provvedimenti d’emergenza in diretta TV, è chiaro. Però è anche vero che le poche volte in cui il Presidente del Consiglio ha cercato di raccogliere gli appelli al dialogo del Capo dello Stato l’opposizione si è subito ritratta nel guscio. Per fare un esempio: Salvini non ha tutti i torti quando denuncia che il premier sta in televisione mentre le opposizioni lo attendono in Parlamento sperando di poter votare sui decreti, ma se poi al momento del confronto fa uscire dall’aula i suoi parlamentari perde ogni ragione a tavolino”.

Possiamo dire che questo governo non basta più a se stesso e a gestire l’emergenza?
“E’ evidente, questo governo da solo non ce la fa. E sebbene non vi siano le condizioni per un’auspicabile larga coalizione, a causa d’una sorta di sfiducia bilanciata e parallela fra maggioranza e opposizione, deve comunque esserci un’intesa minimale fondata sul senso di misura richiesto in queste circostanze straordinarie. Occorre anzitutto un disarmo bilaterale sulla contrapposizione fra vita umana e salute economica”.

Non basta il Parlamento per dialogare e intendersi?
“Serve una cabina di regia condivisa che abbia come centro il luogo naturale, il Parlamento. Penso ad esempio alla conferenza dei capigruppo, una sede neutra che esiste già appunto nessuno vieta che possa parteciparvi anche il premier”.

Ma se il governo già fatica a trovare una sintesi con le regioni…
“Questo è un punto fondamentale. Oggi gli italiani sono spaventati e inermi, vedono una grandissima confusione e ricevono una risposta pubblica che non è univoca. Il cittadino, che non è un esperto di geografia istituzionale, devi misurarsi con l’apparato dei sindaci, dei presidenti delle regioni, dei ministri… e in un quadro di emergenza e scaricabarile piuttosto che di responsabilità collettive come nella prima fase. Non è una bella prova per nessuno: da una parte ci sono le regioni che rivendicano autonomia ma paiono spaventate, dall’altra c’è il governo che non può pensare di avvalersi soltanto di criteri matematici ma deve assumere responsabilità politiche”.

E qui torniamo alla necessità di un confronto aperto complessivo, se non addirittura di una svolta costituente.
“Riforma costituzionale e legislatura costituente: se ne parla spesso, a momenti alternati. È ovvio che dobbiamo ritrovare un baricentro nel rapporto fra Stato e regioni. Ma lo faremo a bocce ferme, non nel mezzo della pandemia: invocare adesso una riforma significa gettare benzina sul fuoco. Prima bisogna affrontare uniti l’emergenza, poi rifletteremo sulle riforme già bocciate, quella berlusconiana del 2006 e quella renziana del 2016, per cercare una sintesi. E senza dimenticare gli effetti del taglio lineare dei parlamentari, un’occasione sprecata che ha contribuito a delegittimare la classe politica; posto che la politica ha tante colpe ma non c’è un meccanismo diverso per far funzionare i Paesi”.

Casini e ottimista o no?
“La vita di una nazione è fatta di momenti come questi, non eravamo attrezzati per un simile scenario di guerra in tempi di relativa pace. Ora mi auguro anzitutto che i provvedimenti presi siano efficaci per abbassare la curva dei contagi, nell’attesa dei vaccini. In questo momento anche grazie all’apporto dell’Europa, l’Italia deve impegnarsi coralmente per trovare una via d’uscita. Non si vede ancora l’alba, ma l’alba arriverà”.

 

 



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