Tutti i post della categoria: Lavoro e imprese

Lavoro: basta consultazioni è tempo di decidere

postato il 5 Aprile 2012

Sulla  riforma del mercato del lavoro il tempo della concertazione è scaduto. Il governo ha parlato per due mesi con le parti sociali, ha  parlato con la politica, con il Parlamento, poi c’è la decisione. La  consultazione è giusta se non paralizza la decisione. Questa è l’innovazione  del governo Monti, di questo ha bisogno la politica italiana.

Pier Ferdinando

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Sul lavoro raggiunto accordo importante

postato il 4 Aprile 2012

Possibili solo piccoli margini di miglioramento

Sulla riforma del lavoro è stato fatto un buon lavoro, con buona volontà da parte di tutti. Soprattutto è un’intesa che arriva mentre l’Italia, come dimostrano i dati dei mercati, non è fuori pericolo ma è ancora in una tempesta finanziaria che richiede risposte.
Abbiamo raggiunto un accordo importante e significativo che avrà ancora margini di miglioramento in Parlamento ma che nelle linee di fondo è realizzato.

Pier Ferdinando

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Viaggio tra gli “esodati”

postato il 31 Marzo 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi giorni gli italiani hanno fatto l’orecchio con un neologismo: “esodati”. Chi sono questi esodati? In realtà non si sa con certezza, c’è chi parla di 50.000 persone, chi di 350.000, mentre alcuni parlano di 1 milione di lavoratori. Come mai questa confusione? Sostanzialmente gli “esodati” sono i lavoratori che, in base ad accordi collettivi tra azienda e sindacati, hanno accettato il “prepensionamento” o quanto meno una sorta di “scivolo” (in pratica hanno preso soldi) e hanno anticipato la loro uscita dal mondo del lavoro perché vicini all’età della pensione. Il problema è sorto con la riforma delle pensioni operata da Monti, perché spostando in là la soglia di età della pensione, queste persone si sono trovate “scoperte”. Molte dimissioni erano state date perché l’azienda era in crisi o voleva disfarsi di lavoratori giudicati non più utili e quindi premeva per pre-pensionamenti di fatto. Purtroppo chi è stato spinto a lasciare il lavoro in questo modo e per questi motivi oggi si trova senza stipendio e se prima pensava che la pensione sarebbe arrivata in 2-3 anni e poteva tirare avanti con quanto l’azienda aveva pagato, ora si trova a dovere rifare i conti perché i tempi si sono molto dilatati e rischia di vedere la pensione tra 6-7 anni.

Altri “esodi” sono stati frutto di calcolo, l’azienda non era in crisi, ma intavolava una libera trattativa con il dipendente che sollecitava uno “scivolo” ben oliato verso la condizione di pensionato vista come imminente. Anche questi lavoratori vivono un grosso problema, quantunque questo problema sia stato originato dalla fretta di andare in pensione e dalla voglia di cogliere un’opportunità retribuita, insomma di fare un “affare”.

E vi sono tante altre fattispecie, da qui il problema dell’INPS di dare una risposta univoca su quanti siano: il numero dipende a seconda di quali saranno le decisioni del governo per determinare le caratteristica degli esodati.

D’altronde se il numero fosse davvero di 350.000 persone, avremmo un numero enorme: in Italia i pensionati sono circa 19 milioni e gli assegni pensionistici un po’ più di 22 milioni (alcuni infatti percepiscono doppio assegno). Trecentocinquantamila sono circa il due per cento di tutti i pensionati in essere e sono, all’incirca, quanti vanno in pensione in due anni. Se fossero davvero queste le cifre, non si tratterebbe di una eccezione, ma di una modifica sostanziale al piano pensionistico varato dalla Fornero che anzi, di fatto, sarebbe congelato per i prossimi due anni, se si seguissero le prime proposte di modifica che stanno comparendo sui media.

Ma il punto è che qualcosa non torna: due giorni fa, quando il problema prese le prime pagine dei giornali, si parlò di 65mila esodati. Appena ci si mostrò possibilisti verso una riforma del sistema pensionistico, subito, gli esodati sono diventati 350.000 (o addirittura 1 milione secondo alcune stime), ma passare da 65mila a 350mila non è una bazzecola, non è assolutamente un errore di calcolo e anzi mette ko le previsioni del governo: trecentomila persone a cui consentire di andare in pensione con le vecchie regole, sono un costo di molti miliardi che vanno sottratti al risparmio di spesa previdenziale stimato e messo in bilancio. Forse è giusto e inevitabile perché gli “esodati” non possono essere condannati alla fame e liquidati con un “ci dispiace”. Però, in questo caso va detto chiaramente che tutta la collettività dovrà farsi carico di pagare questo prezzo; se invece si procederà a valutare caso per caso, allora questa cifra è destinata a ridursi, non senza polemiche. In ogni caso, la vicenda si presenta molto ingarbugliata.

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La riforma del lavoro non può paralizzare il cambiamento del Paese

postato il 30 Marzo 2012

Il tema della riforma del lavoro non può paralizzare il bisogno di cambiamento che c’e’ nel Paese. Per questo siamo impegnati ad evitare di impantanarci in una discussione in tempi non consoni alla drammaticità della crisi che stiamo vivendo.

Pier Ferdinando

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Serve una riforma del lavoro in tempi rapidi

postato il 29 Marzo 2012

Stop ai veti e alle lentezze del passato

Una politica dei veti è troppo facile da subire e troppo dannosa da accettare. Rimbocchiamoci le maniche tutti quanti per non rimanere bloccati nei veti contrapposti che hanno sempre caratterizzato la politica italiana. E anche sul mercato del lavoro e l’articolo 18 non possiamo pensare di tornare all’eternità dei tempi del passato: gli attriti trasmettono all’estero un’idea di incertezza, per questo destra e sinistra devono arrivare in tempi rapidi a una riforma.

Pier Ferdinando

 

 

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Più caro il contratto a tempo determinato. Il maggiore gettito servirà a finanziare l’Aspi

postato il 26 Marzo 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Nell’ottica di combattere gli abusi dei contratti a tempo determinato, spesso usati per mascherare assunzioni a tempo indeterminato, il governo ha varato un importante provvedimento: un incremento del costo contributivo con un’aliquota dell’1,4% destinata a finanziare l’Aspi. “In caso di trasformazione del contratto a tempo determinato”, si legge nel documento, “si avra’ una restituzione pari all’aliquota aggiuntiva versata, con un massimo di 6 mensilità; la restituzione avviene al superamento del periodo di prova, ove previsto”.

Questo significa, che per l’azienda diventa più oneroso ricorrere ai contratti a tempo determinato, e addirittura diventa conveniente mutarli in contratti a tempo indeterminato per avere la restituzione dell’aliquota aggiuntiva.

Il maggiore contributo (pagato dall’azienda), come detto, servirà a finanziare l’ASPI, ma cosa è l’ASPI?

Questa sigla indica l’Assicurazione sociale per l’impiego, ovvero il nuovo strumento governativo per tutelare dalla disoccupazione “a carattere universale” che assorbe la vecchia disoccupazione ordinaria (non agricola) e quella con requisiti ridotti, quelle speciali edili e la mobilità e allarga l’ambito di applicazione ad artisti e apprendisti. A questo si aggiunge una sorta di mini-Aspi, che il governo vorrebbe usare per ampliare la possibilità di richiesta dell’assegno ai precari: l’indennità attuale con requisiti ridotti viene sostituita e «condizionata alla presenza e permanenza dello stato di disoccupazione».

Spieghiamoci meglio: mentre per l’Aspi “ordinaria” l’accesso è garantito con gli stessi requisiti della disoccupazione attuale – 52 settimane nell’ultimo biennio e 2 anni di anzianità assicurativa – per la mini-Aspi è sufficiente dimostrare di aver lavorato 13 settimane negli ultimi 12 mesi. L’assegno che sarà riconosciuto avrà un tetto di 1.119,32 euro «rivalutati annualmente sulla base dell’indice dei prezzi Foi», quelli cioè delle famiglie degli operai e degli impiegati.

La nuova Aspi concede trattamenti iniziali analoghi all’indennità di mobilità fino a 1.200 euro mensili ma «decisamente più elevati per quelle superiori a tale livello». E rispetto alla disoccupazione ordinaria la nuova indennità «è sempre più favorevole, fatta eccezione per le retribuzioni comprese tra 2.050 e 2.200 euro mensili».

La contribuzione per il fondo Aspi sarà estesa a tutti i lavoratori tutelati dall’istituto che pagheranno due diverse aliquote. Quelli a tempo indeterminato l’1,31 per cento; mentre i lavoratori con una data scritta sul contratto contribuiranno con l’1,4 per cento. Ma in caso di trasformazione in contratto a tempo indeterminato, all’azienda sarà restituita l’aliquota aggiuntiva pagata fino ad allora dal lavoratore «precario». Infine, è previsto un «contributo di licenziamento» da versare all’Inps al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Si tratta di 0,5 mensilità di indennità per ogni 12 mensilità di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni e si applica anche agli apprendisti.
La riforma andrà a regime nel 2016 – una novità rispetto alle anticipazioni che parlavano del 2017. Nel periodo di transizione, si specifica che fino al 2015 per i lavoratori sotto i 50 anni sono previsti 8 mesi di assegni che salgono poi a 10 e dal 2016 a 12. Tra 50 e 54 anni sono già dodici mesi dell’anno prossimo mentre oltre i 55 anni cresceranno dai 12 mesi del 2013 al ritmo di due anni ogni dodici mesi fino a 18 mesi a regime, nel 2016.

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Lavoro: il Governo ha scelto bene

postato il 24 Marzo 2012

Il disegno di legge è strada giusta contro i doppi estremismi

La scelta del disegno di legge per la riforma del mercato del lavoro è la strada giusta perché il Parlamento non può essere espropriato. Qui ci sono doppi estremismi di chi vede ideologicamente la questione dell’articolo 18 in modo del tutto enfatico e di chi vorrebbe che il Parlamento fosse messo davanti al fatto compiuto.
Il governo ha scelto la via mediana e ha fatto bene.

Pier Ferdinando

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Finalmente la riforma del mercato del lavoro

postato il 21 Marzo 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Nei prossimi giorni il governo manderà al parlamento, dopo una lunga trattativa, la riforma del mercato del lavoro, e al di là di simpatie, antipatie e di veti incrociati minacciati da alcuni soggetti la maggior parte dei sindacati e delle parti che si sono confrontate sono arrivate ad un accordo che dovrà essere sottoposto al vaglio del Parlamento.

Ma cosa prevede questa riforma?

Essenzialmente i punti fondamentali sono due: da un lato un intervento sul mondo dei contratti a termine per combattere il precariato, dall’altro modificare l’art.18.

Per quanto riguarda il primo punto, faccio rilevare che ne avevamo già parlato portando avanti una proposta che era a costo zero e che sembra essere stata accolta dal Governo, ovvero una limitazione alla possibilità di reiterare i contratti a tempo determinato per più di 36 mesi e saranno posti “vincoli stringenti ed efficaci” sui contratti intermittenti e quelli a progetto.

Per quanto riguarda la modifica dell’art. 18, diciamo subito che le novità più importanti saranno la sua estensione a tutte le aziende, quindi anche a quelle con meno di 15 dipendenti (molte piccole aziende rinunciavano ad assumere o a crescere proprio per evitare di incappare nel famigerato art. 18) e un riordino delle tutele.

Quest’ultimo punto è molto importante, è assolutamente falso che le intenzioni siano quelle di cancellare le tutele, infatti la proposta del governo prevede per i licenziamenti discriminatori la tutela anche alle imprese sotto i 15 dipendenti. Sul fronte dei licenziamenti disciplinari, invece, la parola spetterà al giudice che deciderà il reintegro oppure un indennizzo economico per un massimo di 27 mensilità tenendo conto dell’anzianità. Per i licenziamenti economici è previsto solo l’indennizzo da un minimo di 15 a un massimo di 27 mensilità.

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L’accordo sulla riforma del lavoro si deve fare

postato il 19 Marzo 2012


Spero che si compia quest’ultimo miglio. L’accordo si deve fare, bisogna andare avanti. Le forze sociali in questi mesi di crisi hanno mostrato grande prova di disponibilità e intelligenza. So che il Presidente del Consiglio e’ determinato. E noi condividiamo la sua determinazione e sappiamo che i sindacati sono all’altezza della sfida.

Pier Ferdinando

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Lavoro: forza e coraggio, serve accordo

postato il 18 Marzo 2012

Noi non vogliamo solo regole per un nuovo mercato del lavoro, vogliamo un accordo con le parti sociali ed è a loro che dobbiamo indirizzare il nostro augurio. Sono loro, infatti, che devono dare prova di intelligenza e di disponibilità. Ci sentiamo profondamente vicini a chi, come il sindacato, sta cercando di affrontare con tanta difficoltà una situazione sociale del Paese che è esplosiva.
Il governo è determinato e non ha bisogno di altri incoraggiamenti, mentre bisogna dire forza e coraggio alle parti sociali.

Pier Ferdinando

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