Una rivoluzione culturale contro il “femminicidio”
“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru
Ogni due giorni in Italia avviene un delitto in famiglia e quasi sempre le vittime sono donne. Classificarli come “delitti passionali” è spesso riduttivo. Quasi sempre infatti la dinamica degli omicidi verso le donne va al di là della gelosia e si spiega solamente dietro una logica di possesso in un perverso quanto usuale gioco di ruoli. Per questi assassini, infatti, la donna altro non è che una proprietà maschile, la quale deve attenersi a un ruolo ben preciso. E quando lei si ribella a questo ruolo, le conseguenze sono fatali. Si parla, a tal proposito, di “femminicidio”: donne uccise in quanto donne, in quanto non fedeli ai canoni che i loro aguzzini hanno cucito loro addosso. Figlie, madri, ex fidanzate o fidanzate, mogli o ex mogli, picchiate, violentate o uccise in quanto non obbedienti, non caste, non modeste.
Recentemente il ministro del welfare Fornero ha individuato nella cultura della “donna-oggetto” di cui i mass media sono impregnati la causa profonda di questo fenomeno. Pensiamoci bene. Quante donne hanno finora ricoperto ruoli fondamentali nella politica e nella società? Finora, troppo poche. Quale ruolo ricopre la donna all’interno dei mass media? Davanti a pochi ma ammirevoli esempi di donne protagoniste del giornalismo e dello spettacolo (pensiamo a Lili Gruber, ad Anna Magnani) ce ne sono fin troppe che pur di apparire, pur di raggiungere al successo accettano di ricoprire ruoli subordinati a quello maschile, che accettano di usare il proprio corpo per raggiungere i propri scopi. Abbiamo avuto recenti esempi perfino nella politica: devono essere belle, silenziose e disponibili, la loro competenza non interessa a nessuno. Oggetto del piacere e del compiacimento maschile. Nulla più. Incarcerata in un ruolo francamente subordinato di cui spesso neppure siamo consapevoli.
E la cosa terribile è che questo ci viene insegnato da altre donne, dalle nostre madri. La donna infedele è una poco di buono, l’uomo infedele è semplicemente preda della sua mascolinità; la donna deve tenere la casa pulita e in ordine, all’uomo non è richiesto; la donna deve essere una madre attenta e premurosa, l’uomo può giocare con i figli un’oretta al giorno e ha assolto ai suoi doveri di padre presente; la donna deve lavorare il doppio dell’uomo per essere considerata almeno alla pari; ma soprattutto, abbiamo profondamente acquisito un modello di bellezza funzionale al piacere maschile, al quale nessuna di noi può sottrarsi, e che rende l’utilizzo del corpo la carta vincente per ottenere posizioni che con il sesso nulla hanno a che vedere. Nel 2012, in Italia, viviamo questa cultura. Non possiamo stupirci allora che questa cultura possa dare, in soggetti dalla mente magari già compromessa da vissuti difficili o patologie l’autorizzazione a pensare che una donna possa essere la sua donna, decidendo anche della sua vita.
La soluzione? La nostra cultura deve cambiare. Iniziando da noi donne, che spesso educhiamo le figlie ad essere donne di casa ma non facciamo altrettanto con i figli maschietti. Che spesso giustificano, anche solo tacitamente, chi usa violenza su donne di facili costumi. Che non educano i ragazzi all’affettività responsabile e, quando questi ultimi si ritrovano in attesa di un figlio in seguito a un rapporto occasionale non protetto, difendono il figlio contro una donna “poco di buono e approfittatrice”. Insegniamo alle bambine che il loro corpo è prezioso, e va usato con responsabilità. Facciamo loro capire che valgono per ciò che sono e non per quanto potranno compiacere un uomo, e quindi costruiamo per loro e con loro una società davvero a misura di uomo e di donna, senza competizioni fra i generi, ma consapevoli che il contributo di entrambi in uguale misura è indispensabile per il benessere della società. Solo in una cultura basata sul reale rispetto della donna, potremo combattere la vergognosa piaga del femminicidio.