Turismo e archeologia per rispondere alla crisi
“Riceviamo e pubblichiamo” di Davide Delfino
In tempi di crisi economica, parlare di turismo in un Paese come l’Italia povero di risorse naturali, puó significare molto per il rilancio dell’economia nazionale. Ma vi sono molti tipi di turismo: tra questi quello culturale é forse il meno gettonato per quanto riguarda gli investimenti e la legislazione, ma puó essere una notevole fonte di rilancio soprattutto per gli Enti pubblici territoriali. Il turismo culturale puó includere vari aspetti:
1) la valorizzazione del Patrimonio giá esistente, o meglio, giá conosciuto;
2) la ricerca storico-archeologica per scoprire altro Patrimonio da valorizzare;
3)la presenza su un determinato territorio di studiosi o studenti a causa del Patrimonio di questo territorio e delle attivitá scientifico-didattiche che vi si svolgono.
In tutti questi tre tipi di turismo culturale, chi vince sempre é il territorio e chi vi lavora: infatti in tutti i casi si portano persone sul territorio in questione, il che significa lavoro in piú per gli esercenti alberghier e di ristorazione, i negozi, gli stessi privati che possono affittare immobili per il pernottamento.
Per avere un esempio chiarificatore, si prenda il caso di un piccolo Comune portoghese, probabilmente unico nel suo genere. Mação (distretto di Santarém), fa circa 1800 abitanti e ha un discreto patrimonio archeologico, soprattutto in Arte Rupestre: circa 6 anni fa un accordo tra il Comune (Câmara Municipal) e l’ Instituto Politécnico de Tomar portó al rilancio del museo locale, installandovi la sede di un Master Erasmus Mundus in “Archeologia preistorica e Arte Rupestre”, portandovi le attivitá di un dottorato di ricerca e creando eventi “ad hoc” come corsi sulla Gestione del Patrimonio Culturale e di Archeologia Ibero Americana, sfruttando una rete creata tra varie Universitá in Europa e nel Sud America; solo due anni fa fu infine creato un centro di ricerca interno al museo (Instituto Terra e Memória) attorno al quale ruotano progetti di ricerca, convegni annuali e corsi che coinvolgono ricercatori e studenti da diversi Paesi del mondo. Questa struttura costa al Comune solo le spese di luce, internet e manutenzione delle strutture di proprietá comunale, in quanto per il resto si povvede con progetti dell’ Unione Europea; la ricaduta economica sul terriotorio é visibile in un’ indagine fatta un anno fa, che attesta che il 10% degli introiti dei soli esercenti é fatta grazie a questo progetto, in quanto in media ogni anno tra studenti del Master locale e del Dottorato, dei corsi organizzati, ricercatori, interessati vari e visitatori del museo, vengono a Mação circa 5200- 5300 persone che pernottano, consumano e comprano nel Comune per periodi da un minimo di due giorni ad un massimo di un anno intero.
Al dilá dell’esempio fatto, é importante che gli stessi abitanti di un territorio siano consapevoli della potenzialitá culturale e turistica della loro terra e che siano coinvolti in prima persona nel rilancio del proprio Patrimonio culturale in funzione di portare maggior movimento economico sul territorio: in questo il ruolo dell’archeologo, come dello storico dell’arte, é fondamentale. Queste figure professionali sono il tratto d’unione tra il territorio e il suo Patrimonio culturale , oltre che gli attori principali della sensibilizzazione della comunitá locale e del conseguente rilancio di alcune attivitá economiche. Per chiarire, si fará qui un altro esempio, relativo al Brasile.
Nella legislazione relativa al Patrimonio culturale e all’ Archeologia preventiva (Campos de Sousa, M. (2010) (ed) Arqueologia preventiva; gestão e mediação de conflitos. Estudos comparativos, São Paulo: Superintendência Regional do Iphan, 306 p.) vi sono una serie di norme interessanti che qui vengono riassunte:
1) Nessuna opera pubblica di una certa rilevanza puó essere eseguita senza un progetto di archeologia preventiva (le aziende costruttrici non possono quasi accedere ai bandi di appalto se il progetto non prevede un progetto archeologicon preventivo
2) Un progetto archeologico preventivo non viene neanche preso in considerazione se non ha uno sviluppo che va dallo studio preventivo, allo scavo, alla valorizzazione, con particolare attenzione all’ educazione patrimoniale, connesso con il patrimonio “salvato” e se non viene firmato da un dottore di ricerca in Archeologia
3) Se durante il corso di un’opera pubblica di non alta rilevanza (a livello di importo di appalto), vengono causati danni ad un eventuale patrimonio archeologico incontrato, l’impresa responsabile é sempre costretta per legge federale a finanziare il recupero, lo studio, la valorizzazione e l’educazione patrimoniale del sito danneggiato
Inoltre piú volte l’archeologo é anche il gestore dei potenziali conflitti che sorgono tra impresa e comunitá locale (intese come abitanti in un territorio, non solo come “tribú indigene”): questo fa sí che la figura dell’archeologo diventi quello di un manager che media tra le imprese costruttrici e la comunitá locale facendo studi di impatto sociale e culturale delle opere in progetto, facendo progetti di educazione patrimoniale per sensibilizzare le comunitá sul loro patrimonio ed insegnare loro a divulgarlo, difenderlo, farlo fruttare per lo sviluppo economico locale. Di recente gruppi di archeologi sono stati inseriti nel mercato del lavoro assieme alle imprese di consulenza per i lavori pubbici e per l’ambiente. Inoltre per fare ció, non é inusuale che le universitá in accordo con l’I.P.H.A.N.- Instituto do Patrimônio Histórico Nacional (l’ equivalente della Direzione Generale per le Antichitá del Mi.Bac.) creino dei “Centri della Memoria” nelle cittadine interessate da frequenti lavori pubblici e con patrimonio archeologico a rischio, per avere da una parte degli archeologi presenti capillarmente sul posto e dall’altra una presenza attiva (con ricerca, didattica, valorizzazione) che muova la comunitá locale (http://www.anglogoldashanti.com.br/Paginas/QuemSomos/CentroMemoria.aspx). Attorno a ció si é sviluppato da anni un dibattito in seno agli archeologi brasiliani, fatto di ragionamenti sulla situazione e di proposte: ci si interroga sulla responsabiltá di un’archeologia che sia socialmente utile, su un turismo ecosostenibile e sostentabile e le sue implicazioni con la conservazione e la protezione del patrimonio archeologico. É interessante notare come sia in Brasile che in Portogallo il nostro termine “Bene Culturale” sia detto semplicemente “Patrimono”…forse riflette il concetto “lusofono” del “bene culturale” come un piccolo tesoro da conservare per il futuro.
In riferimento alla realtá italiana, forse sono da prendere alcuni di questi esempi, anche in funzione della maggior ricchezza di Patrimonio culturale che ha il nostro Paese rispetto a Portogallo e Brasile. Il nostro “Patrimonio” puó essere veramente la grande ricchezza del paese, partendo dal beneficiare le realtá territoriali. In questo frangente vi sono due problemi: il primo riguarda la concezione sempre troppo incentrata sulla tutela e sulla prevenzione e poco sulla valorizzazione del “Patrimonio” (che é la parte che puó avere piú ropercussioni positive sul’economia del territorio), anche in virtú degli ultimi interventi legislativi in merio all’ Archeologia preventiva (DL 26/04/2005 n.º 63). Il secondo problema dell’ Italia é che gli attori principali della scoperta, protezione, valorizzazione di un mezzo che puó contribuire al rilancio delle economie locali, sono spesso considerati in modo poco corretto. Questi attori sono gli archeologi: ritenuti degli “Indiana Jones” dalle persone comuni, oppure come poco piú che manovali dalle imprese di archeologia preventiva, perché “l’archeologo é quello che scava”, questa categoria professionale si trova ad oggi in una situazione disperata: spesso sottopagata, rispetto al titolo di studio e agli di esperienza sul campo, e quasi senza tutele dal punto di vista legale e sindacale. Sarebbe l’ora che, almeno dal punto di vista legislativo, si iniziasse a considerare l’archeologo come un manager culturale (sulla scia dell’esempio brasiliano), che deve essere pagato per quello che é il suo peso professionale e il suo titolo di studio (spesso un Dottorato e/o una Specializzaione post laurea come i medici), istituendo una regolamentazione in seno al Ministero dei Beni e Attivitá Culturali che dica:
1) Chi puó fare lavori nell’ambito dell’archeologia
2) Quanto possono essere pagati gli archeologi ( stabilire un tetto minimo e una scala a seconda del titolo di studio e dell’esperienza professionale)
3) Che cosa fa l’archeologo
Sarebbe inoltre opportuno prevedere delle facilitazioni per i liberi professionisti, come l’inserimento della voce “operatore arheologico-culturale” nelle categorie per aprire una partita I.V.A. e legiferare in modo da istituzionalizzare la figura professionale dell’ archeologo. Una soluzione potrebbe essere, sempre sull’esempio del Portogallo (Decreto-Lei nº 380/99, de 22 de Setembro), creare la figura dell’ archeologo municipale e permettere, operando a livello di legislazione, a qualsiasi Comune di assumere un archeologo, senza ovviamente l’ obbligo di farlo: questi lavorerebbe a fianco del funzionario di zona della Soprintendenza Archeologica competente e risolverebbe sia il grave problema del controllo del territorio (vi sono ad ora solo 350 funzionari per tutta Italia), sia il gravissimo problema del “sotto”precariato di tanti archeologi qualificati ( ad oggi piú di 7000 e tra i quali ben il 33% non vive dei suoi studi, il 15% si ricicla come guida turistica e il 16% fa un lavoro totalmente diverso, dal call center, all’attore fino all’elettricista).
Rilanciare, infine, il nostro “Patrimonio” partendo dalle realtá locale e garantire qualitá e tranquillitá del lavoro ai professionisti del settore facendo una regolamentazione nazionale, sarebbe un notevole passo in avanti per rilanciare l’economia, dare piú qualitá di vita alle comunitá locali e preservare i nostri archeologi, molto rinomati in tutto il mondo, dal rischio di dover espatriare per poter degnamente esercitare la propria professione.