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Terrorismo: Occidente senza strategia, più debole dell’11 settembre

postato il 12 Settembre 2015

L’intervista di Marco Ventura a Pier Ferdinando Casini pubblicata su Il Messaggero 

messaggero

«Sembra passata un’epoca dall’11 Settembre, un’intera ondata della storia, e l’amara constatazione dopo 14 anni è che abbiamo fatto passi indietro: la strategia occidentale di contrasto al terrorismo si è rivelata inefficace».

Il presidente della Commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, l’11 Settembre si trovava nella sua stanza di presidente della Camera: «Ero con D’Alema, qualcuno ci disse di sintonizzarci sulla Cnn. Rimanemmo stupefatti di fronte a quella violazione di un tempio, a quella strage».
E adesso?
«Bisognerebbe fare autocritica su certe missioni militari basate, dall’Iraq alla Libia, su un eccesso di fiducia, sull’idea che rimossi i dittatori la strada per la democrazia sarebbe stata più agevole. I dittatori sono stati rimossi, ma quei Paesi sono piombati in un caos generalizzato. E dalle ceneri della primavere arabe sono nate restaurazioni o Stati terroristici».
Che cosa deve temere di più l’Occidente?
«Nuovi attentati, magari per mano di foreign fighters figli di una nostra generazione perduta, ma anche insediamenti territoriali terroristici che grazie a armi, petrolio e tanto denaro hanno fatto saltare le statualità definite dopo la Grande Guerra. Non esistono più Iraq, Siria, Somalia, Libia. Intere aree del’Africa centrale sono dominate dai terroristi di Al Shabaab e Boko Haram. In Siria è impossibile distinguere buoni e cattivi, perché all’Isis si contrappongono eredi di Al Qaeda come Al Nusra o regimi agonizzanti come quello di Assad».
Quanto ci costa il disimpegno americano in Medio Oriente?
«Gli americani scottati dagli interventi in Afghanistan e Iraq, rassicurati dall’autosufficienza energetica raggiunta con lo shale gas, concentrati sul Pacifico orientale, sembrano dirci: adesso siete maggiorenni e provvedete da voi. Ma chi siamo noi? L’Europa è un’entità ancora astratta, purtroppo, nella politica estera e di difesa. E il dialogo con interlocutori fondamentali come la Russia è condizionato dalla vicenda ucraina».
Non rimpiangerà mica la Guerra Fredda? [Continua a leggere]

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Le 13 bugie che vi hanno raccontato su Mario Monti

postato il 10 Gennaio 2013

La saggezza popolare ci ricorda che “le bugie hanno le gambe corte”, se poi le bugie sono dette da Berlusconi sembra che siano ancora più corte. E non è una questione di “statura accademica”. Il Cavaliere nel tentativo disperato di una improbabile rimonta sta riversando, oltre agli insulti più classici nei confronti di Pier Ferdinando Casini, tonnellate di falsità su Mario Monti. Un nostro lettore si è preso la briga di smascherare tutte le bugie messe in circolazione sul Presidente del Consiglio. Una lettura interessante, un antidoto contro la disinformatia berlusconiana.

di Michael Surace

1) MONTI NON HA FATTO NULLA PER RISOLVERE LA CRISI Falso. In 1 anno, a tempo di record, ha promosso leggi e decreti che hanno portato lo Spread da 550 a 270, praticamente dimezzato. Vuol dire più di 6 Miliardi di debito in meno. E l’Italia, al contrario di altri Paesi in difficoltà (Spagna e Grecia), non ha fatto ricorso ai prestiti europei, ma ce l’ha fatta da sola senza indebitarsi.

2) LO SPREAD È UNA BUFALA, NON INCIDE SULLE FAMIGLIE ITALIANE. Falso. L’aumento del differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi impatta non solo sulle finanze pubbliche, ma anche su quelle di famiglie e imprese. Sulle famiglie, in quanto l’aumento dei rendimenti per il rischio-Paese ha effetti rialzisti pure sui prestiti e tassi dei mutui. E le imprese subiscono le conseguenze negative di un rialzo dei tassi dei BTP, in quanto sono costrette ad offrire un premio più alto sui mercati dei capitali (o alle banche) per finanziarsi. E il divario dei rendimenti tra imprese italiane e straniere (ad esempio, tedesche) penalizza le prime, in quanto le grava di un costo maggiore, rendendole meno competitive. Nei mesi scorsi, ad esempio, le aziende italiane hanno dovuto corrispondere il 5,5% medio di interessi sui loro prestiti, mentre quelle tedesche intorno al 3,5%. Ciò ha avuto anche l’effetto di spiazzare gli investimenti in Italia, con beneficio della Germania.

3) MONTI NON HA TOLTO I PRIVILEGI ALLA CASTA POLITICA, NON HA APPROVATO LA LEGGE ELETTORALE. Falso, non è stato Monti. La casta della politica si è autodifesa, , tra Monti e il Partiti di maggioranza si reggeva sulla ripartizione di ruoli: il Governo si sarebbe occupato di questioni economiche e il Parlamento di riforme istituzionali, compresi legge elettorale, stipendi, province… E come si è visto tutto affossato grazie a PD-PDL!

4) MONTI HA FAVORITO LE BANCHE. Falso, semmai ha fatto qualcosa che le ha fatte infuriare; pensate alla gratuità dei conti corrente per i pensionati con ISEE inferiore a 7.500 euro o con una pensione fino a 1.500 euro/mese e l’inserimento di una tassa bancaria sui conti oltre un certo reddito. Per non parlare della richiesta franco-italiana a livello europeo della Tobin tax. E infine l’aver “disturbato” le regine delle banche mondiali, le banche svizzere, con un accordo in cantiere tra il governo presieduto da Mario Monti e il Governo Svizzero per combattere l’evasione (questo scoraggerà il deposito di capitali italiani nelle banche elvetiche).

5) IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, AMICO DI MONTI, SI È AUMENTATO LO STIPENDIO. Falsissimo. Il Presidente della Repubblica non si è aumentato lo stipendio, la notizia è stata smentita da una nota del Quirinale, la trovate sul sito del Quirinale. Ha dovuto semplicemente ripristinare lo stipendio più alto per il successivo Presidente della Repubblica, perché Napolitano si era auto ridotto lo stipendio già nel 2011 (vedi qui) ma non poteva decidere che le stesse riduzioni di stipendio decise da lui potessero influire anche sul futuro PdR senza una legge che lo prevedesse. Il totale del risparmio del Quirinale tra rinunce di parte dello stipendio e tagli vari auto impostasi dallo stesso Napolitano vale circa 70 milioni di Euro di risparmio.

6) MONTI NON HA FATTO NULLA PER IL LAVORO. Falso. È ovvio che in 1 anno i risultati di politiche per l’impiego non possono essere visibili, ma basti pensare al grande concorso pubblico dell’Istruzione che oltre a garantire lavoro a migliaia di docenti, ha svecchiato dopo decenni maestri e professori della Scuola italiana. A questo si sono aggiunte maggiori tutele per l’Apprendistato e soprattutto da oggi gli stagisti non potranno più essere sfruttati a costo zero, ma è stato stabilito uno stipendio lordo minimo di 400 euro.

7) MONTI NON HA FATTO NULLA PER L’ISTRUZIONE. Falso. I provvedimenti voluti dal Ministro Profumo ha contrastato almeno in parte i Baroni universitari, imponendo concorsi centrali. Stessa cosa vale per l’istruzione: ha svecchiato dopo decenni maestri e professori che finalmente potranno insegnare con nuove tecniche, nuova mentalità e nuovi strumenti. In Italia siamo ultimi in Europa per l’utilizzo di strumenti tecnologici (tablet, computer ecc.) per l’insegnamento, con questa epocale entrata di nuovi prof forse potremo colmare questo gap ed essere più competitivi. A questo va aggiunto l’introduzione di un metodo “meritocratico” per l’elargizione dei fondi agli atenei che vengono valutati positivamente sia dagli stessi studenti nella qualità dell’insegnamento che dai parametri di Ricerca. Su quest’ultimo capitolo ricordiamo che, al contrario di quanto aveva fatto il precedente Governo, il fondo per la Ricerca universitaria è stato mantenuto intatto.

8) MONTI FA QUELLO CHE VUOLE LA GERMANIA. Falso! Monti è stato il nemico numero 1 di Angela Merkel, almeno dal punto di vista economico. L’Italia ha proposto e fatto approvare contro i parere della Merkel il “fondo salva Stati”, ha iniziato un tavolo di collaborazione con la Francia per chiedere a Bruxelles politiche per la crescita in chiave anti tedesca.

9) MONTI NON HA INTRODOTTO L’IMU PER LA CHIESA. Falso. L’IMU verrà pagata anche dalla Chiesa nelle strutture non dedicate alla pratica religiosa (e ce ne sono molte), ma così come non la pagheranno Sindacati, Fondazioni, ONLUS ecc. La Commissione Europea si è detta soddisfatta e ha chiuso la procedura di infrazione aperta con il precedente Governo Berlusconi.

10) L’IMU L’HA CREATA MONTI. Falso! L’IMU è stata pensata e voluta dal precedente Governo, la proposta di legge infatti è a firma Calderoli, con l’intento di aumentare le entrate dei Comuni in ottica federalista. Il Governo Monti non ha fatto altro che riprenderla e destinarne una parte allo Stato; l’intenzione di Monti per il prossimo Governo è però quello di eliminare la quota dello Stato (abbassandola di conseguenza) e facendo incassare l’imposta solo ai Comuni per le proprie casse.

11) MONTI NON HA VOLUTO INTRODURRE LA PATRIMONIALE PER TASSARE I RICCHI. Falso. I partiti che hanno sostenuto Monti hanno affossato qualsiasi tentativo del Governo di introdurre patrimoniali: questo ha portato allora alla ripresa del progetto IMU del precedente Governo che in sostanza comunque colpisce soprattutto le classi più abbienti in quanto colpisce in maniera pesante chi ha multiproprietà: in Italia ricordiamo che la vecchia ICI era la tasse sulla casa più bassa d’Europa che premiava i proprietari di multiproprietà, ergo la classe più abbiente, mentre ora c’è stato un riequilibrio con l’IMU.

12) L’EUROPA HA CONDANNATO L’IMU. Falso. Notizia smentita dalla Commissione Europea la sera stessa del giorno che è stata messa in giro. Il rapporto della UE infatti riguardavo uno studio dell’ICI tra il 2008 e il 2011 in quanto tassa che non contemplava la progressività del reddito. Mentre l’IMU ha introdotto almeno sconti per le famiglie, con 50 euro a figlio. La Commissione europea ha solo criticato infine la mancata rivalutazione catastala che in molti comuni porta ancora a gravi disequilibri tra mega appartamenti in centro in cui il catasto ancora fornisce valori ben al di sotto di quelli di mercato.

13) MONTI NON VUOLE CANDIDARSI PER PAURA DI NON PRENDERE VOTI. Falso. Monti per legge non può candidarsi perché già Senatore a Vita, e per Costituzione non può candidarsi in nessun collegio. Sfatiamo un altro mito: in qualità di Senatore a vita Monti può comunque essere scelto dal Presidente della Repubblica per creare un nuovo Governo perché la legge prevede che sia Presidente del Consiglio non chi prende più voti, ma chi, sulla base della fiducia ottenuta in Parlamento sentiti i capigruppo, viene nominato dal Capo dello Stato.

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Casini: «Il Pd ha nostalgia di un centrino ma noi non saremo mai subalterni»

postato il 31 Dicembre 2012

Il leader Udc: «Difendo il valore di una politica che deve rinnovarsi. Ingiuste le critiche a Monti di una deriva tecnocratica. Il Pdl? Si autoesclude, il dialogo è impossibile»

Pubblichiamo da ‘Il Messaggero’ l’intervista a Pier Ferdinando Casini

di Carlo Fusi

ROMA – Pier Ferdinando Casini è esplicito: «Monti in campo materializza un’opzione che abbiamo coltivato fin dal 2008: il senso di responsabilità contro il populismo; il contrasto netto all’idea che i partiti possano organizzarsi sul criterio dell’uomo solo al comando. Monti a tutto questo ha aggiunto la sua corposa autorevolezza personale, che poi è ciò che fa la differenza, unitamente ad un forte richiamo al rinnovamento della politica».

Molti – e il segretario del Pd è tra questi – ritengono che il suo obiettivo e quello di Monti sia unicamente scompaginare il bipolarismo. Lo considerano un pericolo. Fanno bene? 
«Lo considerano un pericolo tutti quelli che sono nostalgici del passato. Noi non lo siamo. Noi pensiamo che nel passato sia la sinistra che la destra siano state messe alla prova del governo e, seppur in modo differente, entrambe abbiano fallito quella prova. E riteniamo che mettere assieme cose palesemente contraddittorie – per esempio la Fiom di Vendola con i riformisti del Pd – non possa rappresentare il timbro della nuova stagione politica».

Monti ha parlato di vocazione maggioritaria: non è un pò velleitario? A ben vedere gli unici voti certi sono i vostri, dell’Udc; il resto è un’incognita. Come si può vincere in questo modo, oltretutto da parte di una coalizione che nasce solo adesso?
«Monti ha espresso considerazioni giusti. Non porsi l’obiettivo maggioritario significa accettare la subalternità. E questo vale anche nel rapporto con gli altri. A cominciare dal Pd. Dobbiamo essere chiari: mai potremmo essere chiusi al dialogo o alla collaborazione istituzionale per il bene del Paese. Ma se questo centro nascesse con l’idea della subalternità al Pd, avrebbe fallito in partenza. Noi non siamo o saremo mai un centro di comodo». [Continua a leggere]

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Che cos’è lo Spread?

postato il 13 Dicembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Si parla spesso di spread, ma cosa è e perché influenza la nostra vita?

Lo spread è il differenziale tra il nostro tasso di interesse (che lo stato paga sui btp) e un altro tasso di interesse preso come “pietra di paragone” e che generalmente è pagato dagli investimenti ritenuti “sicuri”. In pratica, più rischioso è l’investimento, maggiore è l’interesse che vuole chi presta il denaro. Se la cosa vi sembra eticamente discutibile, provate a riflettere: voi prestereste denaro ad una persona inaffidabile con il rischio di non averlo restituito? E se prestate questo denaro, è chiaro che maggiore è il rischio, maggiore è il guadagno che chiedete per compensare il rischio corso.
Allo stesso modo dobbiamo ragionare con lo spread e il nostro debito pubblico:  lo spread è la differenza tra il tasso di interesse pagato dallo stato italiano e quello pagato dallo stato tedesco (reputato uno degli investimenti più sicuri). Supponiamo che abbiamo un tasso pari a 6%, se quello tedesco è del 2%, allora lo spread è del 4% (6-2=4).

Da queste considerazioni discende che se uno stato, come ad esempio l’Italia, diventa sempre più inaffidabile a causa dell’andamento dell’economia o perché i governanti non fanno le riforme o si dimostrano incapaci, chiaramente il tasso di interesse che paga salirà e quindi salirà anche lo spread. Sotto questo punto di vista lo spread è un primo termometro di quanto è affidabile un debitore o una nazione che si indebita.

Ma che significa per le nostre tasche uno spread alto? Ogni mese scadono dei titoli di stato (BOT, BTP, CCT, CTZ) che in massima parte vengono rinnovati: se lo spread aumenta, aumenta anche il tasso di interesse che lo stato paga sui nuovi titoli emessi; quindi se prima pagava il 4%, poi paga il 5%. In soldoni, significa che la spesa per interessi passivi dello stato italiano, aumenta e se aumenta lo stato italiano in seguito avrà meno soldi per investimenti e avrà bisogno di maggiore liquidità e quindi dovrà tagliare servizi ai cittadini o aumentare le tasse. Il nostro debito è di 1900 miliardi di euro; aumentare di 1% il nostro spread su tutto il debito (fingendo per semplicità di rinnovarlo tutto in un colpo solo) significa che gli italiani dovranno pagare 19 miliardi di euro in più ogni anno. A questo dobbiamo aggiungere che la maggiore spesa per interessi ha un effetto depressivo sul PIL e quindi non solo paghiamo più soldi, ma con un PIL minore, diminuisce anche la nostra economia 8quindi siamo penalizzati due volte): è stato calcolato che un aumento dell’1% del tasso di interesse significa per l’Italia un aumento di spesa per interessi pari allo 0,2% del PIL il primo anno, dello 0,4 il secondo anno e dello 0,5 il terzo anno, rispetto agli stati più “sicuri” (come la Germania); se si fosse mantenuto una differenza del 4%, come ai tempi di Berlusconi, per lo stato italiano si sarebbe parlato di una spesa aggiuntiva di circa 100 miliardi di euro di interessi.

Inoltre alti tassi di interesse implicano per le banche, le imprese e le famiglie, maggiori difficoltà nel reperire i fondi necessari; in altre parole una famiglia pagherà di più come interessi per avere un prestito, ma anche le imprese pagheranno di più (due estati fa, con Berlusconi, i prestiti alle imprese erano saliti ad un tasso di interesse del 9%).

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La Lucchini di Piombino: una nuova vicenda Ilva?

postato il 17 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

La vicenda dell’Ilva di Taranto ha aperto una finestra sul mondo dei grandi impianti industriali, in particolare sulla cosiddetta “industria pesante”. Una vicenda che si trascina da parecchi anni (almeno dal 2008), anche se molti la ignorano.

Per quanto riguarda la produzione dell’acciaio, in Italia, oltre a Taranto un altro grande centro è quello di Piombino che da alcuni anni versa in gravi condizioni economiche tanto che si prospetta la chiusura dell’azienda Lucchini nei prossimi mesi.

Questa azienda gestisce ed è proprietaria del complesso di altoforni a Piombino, e, da alcuni anni, ha provato a vendere invano il complesso industriale.

Sostanzialmente parliamo di 3000 operai che rischiano il loro posto di lavoro, a causa di una profonda crisi che ha colpito tutta la siderurgia europea e ha messo alle corde le aziende più piccole e deboli del settore. In totale, nel polo siderurgico di Piombino lavorano circa 6mila persone, di cui 300 appunto nella Lucchini.

Il polo è stato messo in vendita alcuni anni fa, ma nessuno si è fatto avanti per rilevare l’azienda, anche perché, oltre ai debiti pregressi, l’impianto (che è ancor attivo) perde 10 milioni di euro la mese. Significa che chi investe in questa azienda dovrebbe recuperare efficienza per 120 milioni di euro annui più i debiti contratti con le banche. Ovviamente questa è una situazione gravissima e c’è chi teme a breve un default dell’azienda.

Attualmente il complesso in questione è pesantemente indebitato verso le banche e, oltre al problema finanziario, vi è anche un problema di economicità: l’impianto risulta essere vecchio e dovrebbe essere ammodernato e ristrutturato per sostenere la concorrenza internazionale, ma, proprio a causa dei debiti pregressi, non si può intervenire investendo e migliorando l’efficienza.

L’ideale sarebbe che il governo aprisse un tavolo o, meglio ancora, decidesse di intervenire direttamente, ristrutturando il debito (senza accollarselo), rinegoziando quindi le scadenze e lanciando un programma di investimenti per l’intero settore siderurgico.

Per fare ciò, il primo passo che dovrebbe effettuare il governo è riconoscere che il polo siderurgico di Piombino è una area di crisi complessa (come si sta facendo per altre zone d’Italia), ai sensi e per gli effetti del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 24 marzo 2010 che permetterebbe l’applicazione delle agevolazioni previste dalla legge 15 maggio 1989, n. 181 e quindi l’accesso a fondi speciali e soprattutto potere rivedere i meccanismi di intervento da parte della regione Toscana.

Il problema è ovviamente complesso, come è complessa la storia di questa azienda: nel 2005 il 60% del Gruppo Lucchini passa, attraverso un aumento di capitale, al gruppo russo Severstal che ha come presidente Aleksei Mordashov. La notizia di per sé è buona, perché Severstal è uno dei più grossi gruppi siderurgici al mondo nonché uno dei primi gruppi industriali russi ad aver fatto acquisizioni all’estero. La famiglia Lucchini, invece, si concentra invece sul business ferroviario acquistando da Severstal nel 2007 il 100% della BU Lucchini RS con sede a Lovere (Bergamo) e filiali industriali in altri Paesi europei.

Di fatto, abbandonando la gestione dell’azienda di famiglia, abbandono sancito nel 2010, quando la Severstal ha acquisito tutte le quote del Gruppo Lucchini ancora in mano alla famiglia (alla data deteneva ancora una quota del 20%). A questo punto, Severstal, visto che l’impianto non riesce ad essere profittevole, conduce un processo di vendita dell’intero pacchetto azionario di Lucchini SpA, conclusosi senza acquirenti. Visto l’insuccesso, per deconsolidare il debito Lucchini SpA dai bilanci Severstal, il 51% di Lucchini SpA è stato ceduto a una società cipriota facente capo a Mordashov, mentre il restante 49% è restato di proprietà di Severstal.

E veniamo ai giorni nostri: nel 2011 viene venduta la BU Ascometal per la cifra di 325 milioni di Euro. L’incasso è servito a preparare un piano di ristrutturazione, omologato a Febbraio 2012 dal Tribunale di Milano, col quale si prevedeva di avere altri 6 mesi di liquidità per trovare al più presto un compratore. Purtroppo i 6 mesi sono passati, e nessun compratore si è fatto avanti, con il risultato di gettare ombre sul futuro di questa realtà industriale.

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Giustizia: ma quanto ci costi?

postato il 9 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

La Giustizia italiana, purtroppo, è tra le più lente del mondo: ci vogliono addirittura (in media) 1120 giorni per risolvere una controversia giuridica. Più di tre anni per affrontare i tre gradi di giudizio, che portano, secondo le stime di Mario Draghi, presidente della BCE, alla perdita di quasi un punto percentuale di PIL. Per dirla in breve, a causa della lentezza della giustizia italiana, lo Stato perde circa 18 miliardi di euro, che invece potrebbero significare investimenti proficui e benefici enormi per l’economia.

Il risultato è questo: le aziende, italiane e soprattutto straniere, preferiscono investire altrove, lì dove non è necessario affrontare 41 passaggi prima di risolvere una controversia commerciale. Anche perché, una volta risolta, e magari vinta una causa, le aziende si accorgono di dover pagare più di un quarto del valore complessivo della disputa. Ebbene, non è certo una bella pubblicità per gli investimenti stranieri.

Ecco perché è più che necessario muoversi per modificare questo stato di cose: il sistema giuridico italiano è in una pericolosa fase di stallo, sono presenti meccanismi troppo vecchi, e le modalità impiegate ad oggi sono inefficienti e improduttive.

Le semplificazioni attuate dal Governo sono già importanti passi in avanti, ma si può fare di più, e sempre meglio. Magari, un grande aiuto potrebbe giungere dall’informatizzazione dei luoghi della giustizia, così da rendere immediate le comunicazioni di notifiche, utilizzando il metodo della PEC (Posta Elettronica Certificata).

Si tratta di un provvedimento basilare, che andrebbe a snellire i tempi delle cause, oltre che i costi per i tribunali. Piccole misure per la risoluzione di un problema così importante e  grandi vantaggi economici, per un Paese che necessita di investimenti, così come l’uomo necessita dell’aria per vivere.

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La gravità del fenomeno ‘derivati’

postato il 3 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Luca Guastini

Nel grande discorso programmatico con cui ha chiuso la festa di Chianciano 2012, Pier Ferdinando Casini ha evidenziato la necessità di agire con determinazione sul problema dei “titoli tossici” che pesano sui bilanci degli enti locali.

A cosa si riferiva? Prima di tutto e soprattutto ai contratti di finanza derivata, i famigerati “derivati”, che a partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso hanno iniziato ad ammorbare le finanze pubbliche.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza in una materia di estrema complessità tecnica, partendo da un esempio concreto che chi scrive ha avuto occasione di studiare in modo approfondito: il Comune di Torino.

Senza addentrarci troppo nei dettagli, merita sottolineare che negli anni a cavallo del 2000 l’amministrazione comunale ha sottoscritto molti contratti derivati su tassi di interessi, successivamente rinegoziati in parte nel 2006-2007, di cui ben 23 risultano tuttora in essere.

Sono interest rate swap, cioè contratti con i quali si dovrebbe gestire il rischio di innalzamento del tasso di interesse: se ho un debito a lunga scadenza (un mutuo) soggetto ad interessi al tasso variabile (Euribor), rischio che l’aumento del tasso di riferimento accresca il mio debito oltre la mia capacità di farvi fronte. Attraverso un derivato opportunamente configurato, posso recuperare dal prodotto finanziario una parte di quanto ho pagato in più di interessi sul mutuo.

Tuttavia, se il prodotto è mal configurato, per errore o per scelta, invece di avere un effetto di copertura dal rischio ottengo una vera e propria speculazione o, in altri casi, un finanziamento immediato (e mascherato) con ribaltamento degli oneri molto in là nel tempo, anche di un paio di generazioni.

Nel caso di Torino, alcuni contratti hanno quale tasso di riferimento il Libor Us$ (il tasso dell’area dollaro rilavato sulla piazza di Londra), nonostante il Comune non risulti affatto indebitato a quel tasso; altri, invece, sono congegnati in modo tale che il Comune ha incassato alcuni milioni di euro nei primi due anni, salvo poi restituirne cinque o sei volte di più nei successivi trent’anni, tra l’altro con “rate” di importo folle negli ultimi due.

La Corte dei Conti è intervenuta a più riprese, stigmatizzando l’aggravarsi della situazione e chiedendo che l’amministrazione prendesse provvedimenti seri ed immediati. Provvedimenti che, invece, non sono ancora stati assunti.

Le cifre in gioco sono impressionanti, tanto più in un momento di crisi economica e di tagli profondi ai servizi per i cittadini: oltre 150 milioni di euro nei prossimi vent’anni, con un impatto annuo attuale di circa 10 milioni, che il Comune di Torino dovrà pagare alle banche coinvolte. Ma se si considera l’intera vita dei prodotti derivati in essere, la somma supera i 250 milioni, a cui vanno aggiunti quelli pagati a fronte dei contratti estinti e di cui non vi è più traccia.

La gravità del fenomeno derivati è ancor più dirompente se si pensa che esso non riguarda soltanto le Regioni, le Province i grandi comuni come Torino o Milano, ma esso interessa anche comuni più piccoli come Aqui Terme (AL), e addirittura piccolissimi centri come Omegna (VB), Gozzano (NO), Valledoria (SS), solo per citarne alcuni.

Da qui l’iniziativa del nuovo Comitato regionale piemontese, guidato da Marco Balagna, che ha fatto propria la proposta del sottoscritto: i consiglieri provinciali e comunali dell’Udc in Piemonte presenteranno nelle prossime settimane presso i rispettivi consigli un’interpellanza con la quale si chiede se siano in essere contratti derivati e quale sia la relativa esposizione dell’ente.

Lo scopo è duplice: da un lato, realizzare una mappatura del fenomeno sul territorio e dall’altro offrire un supporto concreto alle amministrazioni che vorranno affrontare il problema.

Auspichiamo che l’iniziativa produca buoni risultati e che magari sia estesa ad altre Regioni.

 

 

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Ecco il “Percorso famiglia” del governo

postato il 3 Agosto 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Il governo Monti prosegue la sua attività e ha lanciato il progetto “Percorso Famiglia” con lo scopo di lanciare una serie di misure urgenti per sostenere i nuclei in difficoltà, e associa misure strutturali e misure di emergenza.

Questo progetto, presentato lo scorso 31 luglio dal Ministro della Cooperazione Internazionale e dell’Integrazione, con delega alla Famiglia, Andrea Riccardi, dal Presidente dell’ABI, Giuseppe Mussari e da alcune associazioni dei consumatori firmatarie dell’accordo (Acu, Adiconsum, Adoc, Asso-Consum, Assoutenti, Casa del consumatore, Cittadinanzattiva, Confconsumatori, Federconsumatori, Lega Consumatori, Movimento Consumatori, Movimento Difesa del Cittadino, Unione Nazionale Consumatori), è stato quasi totalmente ignorato dai grandi media, pur presentando delle misure molto importanti per le famiglie. Questo progetto è la risposta a quanti accusano questo governo di inerzia verso i problemi delle famiglie.

Sostanzialmente cosa prevede questo “Percorso Famiglia”?

Prima di tutto un sostegno per l’acquisto dell’abitazione, tramite la modifica del Fondo Per la Casa, un fondo consente alle giovani coppie di ottenere un mutuo agevolato per l’acquisto della prima casa anche se sono precari. Le modifiche renderanno l’accesso più semplice e renderà i tassi maggiormente in linea con il mercato attuale, abbassando il tasso di interesse. Concretamente, le associazioni prevedono di sbloccare 1 miliardo di euro di mutui per le giovani coppie italiane (in cui uno dei due componenti ha un contratto precario).

Il punto successivo è la proroga triennale (proroga che è stabilità dall’articolo 12 della legge di stabilità 2012) del Fondo di credito per i nuovi nati. Il fondo risale al 2009 e nacque con lo scopo di permettere, ai genitori di figli nati tra il 2009 e il 2014, di richiedere prestiti a tasso agevolato fino ad un massimo di 5mila euro. Per inciso, la domanda deve essere presentata entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di nascita o di adozione del figlio per cui si richiede il prestito (quindi fino a giugno 2015), indipendentemente dal reddito e dalle motivazioni alla base della richiesta.
Dal 1 gennaio 2010 al 30 giugno 2012, le banche hanno confermato 25.986 garanzie e sono stati erogati finanziamenti per 127.266.226,70 euro, concessi da 141 banche in tutte e 20 le regioni.
Oltre che sul sito del fondo (di cui abbiamo riportato il link) maggiori informazioni si possono avere al numero verde 803-164.

Il progetto prevede altri due punti denominati “crescita della famiglia” e “maturità della famiglia”.

Il primo prevede un sostegno per lo studio dei figli facilitando l’erogazione dei finanziamenti del Fondo Studenti (sbloccando finanziamenti per 400 milioni di euro).

Il secondo, invece, prevede la proroga della sospensione dei mutui per le famiglie con difficoltà a pagare le rate. La sospensione ha validità per un anno e si può attivare in caso di perdita del posto di lavoro, cessazione del contratto a termine, morte, grave infortunio, entrata in cassa integrazione. Su invito del governo, inoltre, le associazioni di categoria e l’ABI si sono formalmente impegnate a trovare misure aggiuntive a sostegno delle famiglie che, scaduto l’anno di moratoria, abbiano ancora problemi con le rate e tale impegno ha prodotto dei risultati concreti fin da subito, infatti, hanno determinato che:

– le domande possono essere presentate entro il 31 gennaio 2013
– la scadenza entro cui si devono verificare gli eventi che determinano l’avvio della sospensione, è prorogata al 31 dicembre 2012
– sulla base delle disposizioni di vigilanza per le banche, per l’accesso alla misura di sospensione, l’arco temporale per la definizione di ritardo nel pagamento delle rate è rimodulata a 90 giorni;
– alla sospensione delle rate dei mutui potranno essere ammesse soltanto le operazioni che non ne abbiano già fruito.

Secondo i dati forniti, al 31 marzo 2012 i mutui sospesi dalle banche sono circa 68.000 (8 miliardi di debito residuo). Questo ha garantito alle famiglie interessate una liquidità aggiuntiva di circa 7mila euro a nucleo, 513 milioni di euro in totale.

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La vittoria di Monti per le imprese e per le famiglie

postato il 1 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carmelo Cutrufello

Monti vince la battaglia sul firewall anti speculazione e le borse ieri reagiscono in modo quasi scomposto: Milano, la migliore, guadagna più del 6 per cento (circa 15 mld di euro di capitalizzazione), ma Atene, Madrid, Parigi e Francoforte non sono da meno.

Perché la guerra allo spread è così importante e perché se lo spread cala le imprese aumentano il loro valore? Intanto vediamo cos’è lo spread. In parole povere è la differenza di rendimento tra due titoli finanziari (nel nostro caso il Bund tedesco a 10 anni e il Btp italiano a 10 anni) di pari durata. In valore assoluto il tasso di interesse rappresenta il costo al quale un Paese può contrarre (quindi vendere il proprio) debito, nello specifico lo spread rappresenta la differenza tra il rendimento dei titoli tedeschi e italiani. Ma quanto vale questo spread? Un sacco di soldi. Considerate che il nostro debito pubblico è di circa 1966 miliardi di euro (e Monti non ne ha causato nemmeno un euro) quindi ogni 100 bp (basis point) di rendimento (il famoso 1%) vale la bellezza di 19,66 miliardi di euro. Per capirci l’aumento di un punto percentuale dell’iva previsto per ottobre vale 4,5 miliardi. Ieri, dopo la conferenza di Monti, lo spread è sceso del 10% facendo scendere a sua volta il costo del nostro debito futuro dello 0,5% il che si traduce in un risparmio di circa 8 miliardi di euro sul costo del debito. L’obiettivo del Governo è tirare fuori dal pantano del debito il Paese riportando lo spread a circa 130 bp sul tedesco. Se succedesse questo si tradurrebbe in un risparmio sul costo del debito di quasi 60 mld di euro. Non solo, a quel tasso di interesse il nostro debito sarebbe assolutamente sostenibile nel lungo periodo e potremmo permetterci di far scendere la pressione fiscale.

Ma perché Monti ha alzato le imposte? Le imposte sono state l’agnello sacrificale sull’altare dello spread. Ma se alzi le imposte le imprese e le famiglie si impoveriscono, che senso ha? Rendere sostenibile il debito, contribuisce a diminuire lo spread e quindi ad abbassare il tasso di interesse dei titoli di Stato. Poiché questo rendimento è un parametro di riferimento per le banche, rispetto al quale stabiliscono il costo del denaro per imprese e famiglie. Minore è il costo per lo Stato, minore è il costo per famiglie e imprese. Del calo dello spread quindi ne beneficiano anche famiglie e imprese. In diversa proporzione. Sul fronte del costo del debito ne beneficiano soprattutto le imprese. Facciamo finta che voi siate un magnate internazionale e voleste investire in Italia 10 milioni di euro. Quanto peserà il costo del denaro nella vostra scelta? Con un tasso al 9% per le imprese private (più o meno quello attuale) il denaro vi costerà 900mila euro l’anno; con un tasso al 5,5% il costo sarà di 550mila euro. La differenza? 350 mila euro l’anno! Voi dove investireste? Il costo del denaro è per le imprese un parametro molto importante, insieme alla stabilità politica, sul quale basare le scelte di investimento del lungo periodo perché ne determina la capacità competitiva. Le multinazionali sono andate via in massa dall’Italia a causa di questo mix mortale: Governo incapace di risolvere i problemi, costo del denaro crescente, marginalità in discesa.

E le famiglie? Beh le famiglie hanno altri benefici. Sul fronte delle imposte, con l’Imu, si ridistribuisce ricchezza: chi ha 10 case paga, chi ne ha una nella stragrande maggioranza dei casi non versa nulla. Del costo della benzina non parlo: il Governo ha costretto Eni a fare il super sconto di 20 centesimi nei week end, Eni non fallisce, e i prezzi sono tornati quelli dell’anno scorso. Era un problema di cartello, non di accise. Peccato che il governo precedente non si sia reso conto della situazione. Sul fronte dello spread le famiglie hanno benefici diretti in due casi. Primo, il mutuo a tasso variabile costa meno perché i tassi di riferimento scendono. Tre punti e mezzo in meno sul tasso di riferimento fanno scendere la rata (su 100mila euro di mutuo) di 3500 euro l’anno. Secondo, possono prendere a prestito il denaro ad un costo inferiore. Terzo, ma più importante, il basso costo del denaro costituisce un vantaggio competitivo per le imprese che possono così investire di più, e di conseguenza, assumere di più.

Ecco perché il Governo Monti, dopo aver salvato lo stipendio e le pensioni dei dipendenti pubblici Italiani, ieri ha salvato anche il sistema Paese e la sua impresa. Gli effetti benefici di questo processo finanziario si vedranno nei prossimi mesi. Nel frattempo non dobbiamo fermarci: occorre abolire le provincie, accorpare i piccoli comuni, chiudere i 3127 enti strumentali inutili individuati da Giarda, rendere trasparenti gli appalti. Alla fine sarebbe un’altra Italia, più giusta, più equa e più meritocratica. Noi ci crediamo.

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L’accordo raggiunto permette di rilanciare l’Europa

postato il 29 Giugno 2012

“Riceviamo e pubblichiamo ” di Mario Pezzati

L’accordo raggiunto ha galvanizzato le borse europee, soprattutto perché dopo le diatribe degli ultimi giorni quasi nessuno si aspettava un simile risultato. Evidente anche l’impatto sul fronte obbligazionario, tanto che lo spread BTP-Bund ha subito un forte ridimensionamento e dopo essere sceso al di sotto dei 410 punti base, ha risalito la china. Ora il differenziale tra il decennale tedesco e quello spagnolo viene fotografato poco oltre i 441 punti base, con una secca contrazione di quasi il 5,5%. In forte recupero i prezzi del petrolio che dopo l’affondo di ieri recuperano posizioni e si riportano a ridosso dei 79,5 dollari con un rialzo del 2,33%. A riattivare lo shopping sul greggio contribuisce anche l’indebolimento del dollaro, nei confronti del quale l’euro sta recuperando posizioni, scambiando a 1,257.

Sostanzialmente l’accordo raggiunto nella notte ha dato vita al meccanismo anti-spread proposto dal Presidente del Consiglio Mario Monti ed è prevista l’adozione di un sistema che permetta di tenere sotto controllo l’andamento degli spread, oltre ad un piano che consenta l’uso dei fondi europei di salvataggio volto a stabilizzare i mercati del debito e ricapitalizzare direttamente le banche rompendo, di fatto, il circolo vizioso banche/debito sovrano.

Cosa accadeva infatti? Che i problemi delle banche emergevano tardi (quando erano veramente enormi), e venivano scaricati sui bilanci degli stati, indebolendo questi ultimi e generando ulteriori problemi e costi, in un circolo vizioso. Con un intervento diretto sulle banche, invece, e soprattutto con la vigilanza preventiva (altro punto emerso dagli accordi di questa notte), gli interventi saranno tempestivi e con costi più limitati, permettendo la rottura del circolo vizioso di cui sopra, nell’ottica di uscita dalla crisi.

Si può pensare di essere nella fase finale della crisi che ha avuto inizio nella primavera del 2010? Al momento è prematuro per affermare una cosa del genere, ma gli esperti prevedono che, se si procederà ad una attenta analisi costi/benefici, l’unica conclusione sarà una soluzione basata su tre pilastri: Unione Bancaria, European Redemption Fund e cessione parziale di sovranità all’Unione europea.

L’accordo, oltre ai due fondi citati, riguarda anche altre iniziative che dovrebbero rilanciare l’economia europea, tra cui anche il pacchetto da 120 miliardi di euro da destinare agli investimenti produttivi.

La possibilità di ricapitalizzare direttamente le banche servirà non solo a rassicurare i mercati, ma permetterà interventi e controlli “prima” e non, come accade ora, dopo che i problemi diventino troppo gravi. In altre parole, con dei controlli preventivi e con le conseguenti azioni si vuole evitare che i costi degli interventi siano eccessivi e pesino eccessivamente sulle spalle dei cittadini e degli Stati.

Se andiamo ad analizzare il meccanismo anti spread, fortemente voluto da Mario Monti che aveva minacciato di non firmare le altre iniziative europee, facendo pesare i sacrifici che gli italiani avevano fatto per l’Europa, osserviamo che verrà attivato su richiesta dei Paesi che lo riterranno opportuno, ma non implicherà nuove condizioni oltre a quelle stabilite dal Patto di stabilità e crescita rafforzato, e la sua attivazione non sarà monitorata dalle istituzioni europee come nel caso dei programmi di aiuto per i paesi in bancarotta.

“Con questo accordo si capovolge il concetto di vigilanza e di condizionalità: finora la logica all’interno del patto di stabilità era impostata su verifiche ex-post dei conti pubblici e delle adeguate misure”, commenta Felice De Novellis, economista di Ref Ricerche. “Ora il controllo e la condizionalità sono spostati ex-ante: quindi la vigilanza, che certamente andrà rafforzata, dovrà verificare ex-ante se un Paese è nelle condizioni di poter avere tale tipo di sostegno”.
“Sposta la logica e ciò è un’ottima idea: un Paese sarà anche incentivato a essere e a rimanere in un sentiero virtuoso perché ciò gli consentirà di garantirsi livelli di rendimenti e politiche fiscali prevedibili. E di conseguenza un Paese diventa così anche più credibile. E’ uno strumento decisamente migliore rispetto a quello degli eurobond”, aggiunge De Novellis.

Lo stesso presidente della BCE, Mario Draghi, si è detto “molto contento” delle discussioni di ieri durante il Consiglio Ue di Bruxelles e incalza i leader a continuare oggi le trattative. “Sono stati raggiunti risultati nel breve termine. La deroga dello status di creditore privilegiato per la Spagna è uno di questi risultati”, ha aggiunto. “La futura possibilità di usare l’Esm per ricapitalizzare direttamente le banche, qualcosa che la Bce chiede da un po’ di tempo, è anche un buon risultato. E dobbiamo tenere in mente che tutte queste cose, per essere credibili, dovrebbero essere accompagnate da stretta condizionalità. Questo è essenziale”. “La Commissione europea – ha detto poi Draghi – presenterà una proposta sulla base dell’articolo 136 del Trattato per la creazione di un meccanismo di vigilanza unico, all’interno del quale la Bce assumerà il ruolo di supervisore per l’eurozona”. Per il presidente della Commissione Jose Manuel Barroso il vertice ha rappresentato un passo verso un’autentica unione monetaria della Eurozona. Sempre secondo Barroso, “i leader Ue sono stati capaci di prendere misure di breve e medio termine impensabili solo fino a pochi mesi fa”.

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