Riportiamo i marò in Italia. Poi la commissione d’inchiesta
L’intervista di Lorenzo Bianchi a Pier Ferdinando Casini pubblicata su QN
«L’autopsia sul pescatore ucciso? È uno dei tanti misteri della vicenda. Andrà chiarito senza fare sconti a nessuno. L’Italia vuole la verità. Non ci siamo mai opposti alla necessità di fare chiarezza».
Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione Esteri del Senato, non tace le sue perplessità sul modo di procedere degli investigatori e dei giudici indiani nell’odissea cominciata nel 2012 con l’arresto di Massimiliano Latorre e di Salvatore Girone, i capi del nucleo militare di protezione della petroliera Enrica Lexie accusati dall’India di aver fulminato due pescatori scambiandoli per pirati.
Che ne pensa dell’intera questione?
«Dopo quasi quattro anni l’India tiene ancora in piedi, in sostanza, un regime di detenzione senza neppure aver formulato un capo di imputazione. È la madre di tutte le ingiustizie. Per questa ragione si è dovuta imboccare l’unica strada rimasta, quella dell’arbitrato internazionale».
Perché solo ora?
«L’Italia ha commesso l’errore di confidare nell’Autorità giudiziaria indiana. Abbiamo solo perso un sacco di tempo. I marò hanno pagato sulla loro pelle».
Finché non è stato chiaro che non c’era più nulla da fare.
«Questo finora è il capitolo pubblico della vicenda».
Che cosa vuol dire?
«Durante la visita in India delle Commissioni Esteri e Difesa della Camera e del Senato abbiamo ribadito che altri capitoli saranno aperti dopo il rientro dei marò sul territorio italiano».
Vuol dire che si dovrà istituire una commissione parlamentare d’inchiesta come suggerisce l’ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi?
«Io veramente sono stato il primo a proporla, precisando che prima i militari debbono essere riportati in Italia. Ma su questo non voglio fare dietrologie come molti che ora si ergono a giudici su questa vicenda».
Eppure l’occasione di trattenere Latore e Girone in Italia si è presentata quando furono autorizzati a rientrare per votare nelle elezioni del 2013.
«Certo, appare singolare che l’autorità giudiziaria italiana che interviene su tutto non abbia avocato a sé l’indagine su quanto è avvenuto. La nave Enrica Lexie è territorio
italiano. I due marò erano nel nostro paese. È chiaro che sono stati commessi errori. Non sono d’accordo però con chi cerca di addossarli a chi ha gestito soltanto l’ultimo capitolo, il presidente del consiglio Matteo Renzi».
Tutto questo ci lascia insegnamenti per il futuro?
«È un precedente pericoloso per le missioni internazionali di pace, prime fra tutte quelle delle Nazioni Unite. La mancanza di garanzie per i soldati può spingere gli stati più responsabili a ritirare i loro contingenti militari. Si pensi alla Somalia. Sul terreno gli Shabaab non sono stati sconfitti, ma la missione antipirateria di scorta alle navi ha ridotto moltissimo gli attacchi corsari».
Sarebbe un precedente grave soprattutto in questo momento. Penso all’ascesa del sedicente Califfato Islamico.
«Stanno nascendo stati terroristi che rompono stabilità nazionali, stati-canaglia che si basano sul traffico del petrolio, c’è sempre più bisogno di stabilità e di legalità internazionale. L’Italia è il secondo Paese del mondo dopo gli Usa per presenza di suoi militari nelle missioni di pace».
Ci sarà anche un risvolto positivo in questa storia.
«Ha provocato angoscia in tutto il Paese, che si è stretto attorno alle sue Forze Armate come mai prima».