Quanto PIL, lavoro, soldi sono legati al settore farmaceutico?
‘Riceviamo e pubblichiamo’ di Gaspare Compagno
Dopo le note vicende legate agli annunci della Glaxo mi sono posto un quesito: ma quanto PIL, lavoro, soldi sono legati al settore farmaceutico e biomedicale in Italia?
La risposta è: tanto, tanto, tanto.
Una cosa assolutamente incredibile, di cui ignoravo l’ampiezza.
Se pensate che sto esagerando, ecco alcuni dati del 2008: in Italia abbiamo 250 aziende produttrici di prodotti farmaceutici finiti, a cui sommiamo 100 aziende che producono materie prime (sostanze farmaceutiche che necessitano di ulteriore lavorazione).
Molte di queste sono aziende piccole o medie, poi ci sono i colossi: la Glaxo; la Novartis che ha tre centri, quello direzionale e logistico a Caronno Pertusella (Lombardia), quello di ricerca sui vaccini a Siena e quello produttivo in Campania; Schering-Plough in Lombardia e così via.
Ognuna di queste aziende impiega direttamente, alcune migliaia di dipendenti: la Sanofi-Aventis ha 3400 dipendenti; Wyeth Laderle ne conta oltre 2000 e così via.
Si tratta non solo di dipendenti nel settore produzione e commercializzazione, ma molti di loro sono ricercatori: ad esempio il centro a Siena è il polo mondiale della Novartis nella ricerca sui vaccini.
Ma queste aziende sono solo alcune, il 31,1% delle aziende farmaceutiche in Italia, sono a capitale italiano: la Sigma-Tau, Angelini, Menarini, Chiesi-Bracco, giusto per citare le più grosse; ad esempio la Menarini conta 12500 dipendenti, di cui 700 nella ricerca (e un fatturato nel 2007 di 2,5 miliardi di euro). E finora parliamo solo dei dipendenti diretti: se consideriamo anche l’indotto il numero sale enormemente.
Su un totale di 340 aziende coinvolte a vario titolo nel settore farmaceutico, 277 sono PMI, mentre le altre sono grandi aziende. Le PMI hanno complessivamente 20.120 dipendenti, e investono sempre più nella ricerca, unica strada per contrastare lo strapotere delle grosse multinazionali.
A livello geografico i principali raggruppamenti coinvolgono mezza Italia: Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna e Lazio. Addirittura la Lombardia conta 100 aziende e 32 centri di ricerca.
A proposito di ricerca: nel 2007 il 90% della ricerca farmaceutica italiana è stata finanziata da privati con un investimento di circa 1 miliardo di euro, quindi a livello pubblico quello che si investe sono briciole (circa 200 milioni di euro), in un settore dove Cina, Singapore, Usa investono sempre di più.
Nel frattempo anche la Pfizer decide di chiudere il suo stabilimento a Nerviano (Lombardia), seguita dalla Merck Shampe & Dome che chiudono il loro centro a Pomezia.
Ma cosa pensa di fare il governo?
E qui veniamo alle note dolenti: nonostante le belle parole del Governo, si registra la totale assenza di una strategia nazionale per incoraggiare il settore e la ricerca farmaceutica , anzi negli ultimi anni si assiste ad una erosione dei margini di profittabilità per il privato, con il risultato che, prevedibilmente, un settore molto promettente per il futuro vedrà lo spostamento di investimenti produttivi verso altre nazioni, in particolare Cina, USA, India. L’unica novità viene dal ministro Tremonti che ha promesso di introdurre una riforma fiscale premiante nei confronti della Ricerca , troppo poco, mi sembra, rispetto alle richieste avanzate dal presidente di farmindustria, Dompè.
E’ troppo poco se consideriamo che da tre anni si attende invano che il governo recepisca la direttiva europea in campo farmaceutico, rischiando, a causa del mancato recepimento, un richiamo e una sanzione da parte della UE. Ed è l’unico paese europeo a non avere ancora recepito la direttiva comunitaria: quale è la conseguenza? Che non vi è una esatta rispondenza tra legislazione italiana e certificazioni italiane e legislazione e certificazioni europee, con la conseguenza che, dovendo scegliere, le aziende preferiscono investire in Europa, che non Italia.
Ma il problema è ben più ampio e riguarda non solo il settore farmaceutico, ma anche altre strutture in altri settori: la Alcoa entro tre anni chiuderà le sue strutture, l’Italtel di Carini chiude, la Keller a Palermo chiude, la Wyeth a Catania chiude, l’ALcatel chiude a Battipaglia, il centro di ricerca di Cinisello Balsamo della Nokia chiuderà molto presto, come anche il centro di Parma della Nestlè.
E l’anno scorso hanno chiuso la Motorola a Torino e la Yamaha a Monza.
Non è un fenomeno isolato, e non riguarda solo un settore, ma è un fenomeno che investe tutte le regioni italiane. Un fenomeno che non trova risposta dal governo, che pure professa ottimismo.
Eppure il governo ha una colpa gravissima: reagisce, ma dopo; prima non fa nulla, e si muove solo quando è troppo tardi.
E la chiusura di impianti non è dovuta solo al costo del lavoro, una scusa che non regge più in settori dove è sempre maggiore la presenza di macchinari, più che di lavoratori poco qualificati. Lo stesso settore tessile ormai è influenzato poco dal costo della mano d’opera.
Allora quale è il motivo? Manca una azione di governo che sia concreta. Non servono le trasferte faraoniche in terra straniera.
Quel che serve sono accordi semplici con i paesi per avere aree di libero scambio e canali agevolati nel commercio, e per attirare gli investimenti, si potrebbero usare i beni demaniali non usati, magari dandoli in usufrutto gratuito alle aziende che decidono di investire, in tal modo le aziende abbatterebbero i costi senza pesare sulle casse dello stato e andando incontro anche alle esigenze delle PMI che spesso hanno problemi per potere avere strutture a prezzi non eccessivi; un’altra diea per le PMI potrebbe essere, prestiti a tasso agevolato da parte delle banche, garantiti da beni dello stato. Sono solo tre idee, ma, nell’assenza di idee di questo governo, sono molte.
Si, ma il problema si risolve tutto con l’approvazione dell’emendamento farmacia?
A me non sembra.
Inoltre, tutti chiedono qualcosa, ma gli imprenditori cosa fanno?
Chiedono aiuti, ma perchè non fanno loro qualcosa?
Thanos, per certi versi hai ragione, ma serve anceh realizzare un quadro normativo, e in questo senso lavora la direttiva comunitaria.
Inoltre se non c’è un piano di sviluppo economico, gli imprenditori si torvano abbandonati a se stessi e si spostano altrove.
Sono in sintonia col primo commento. Gli imprenditori non possono chiamarsi fuori.
Il quadro che viene presentato in questo articolo (quadro che coinvolge anche me) fotografa una classe imprenditoriale disinteressata a creare valore, più che un governo assente.
Detto questo, il governo, non potendo intervenire direttamente nell’impresa, dovrebbe impostare progetti su infrastrutture cui agganciare le imprese stesse e generare indotto.
Ma questo basterebbe, secondo voi? Secondo me, no. Temo che non servirebbe nemmeno nell’immediato.
E’ il cosiddetto “sistema paese” che deve muoversi e il sistema paese è fatto da tutti noi, non solo dal governo. Nessuno deve chiamarsi fuori.
Io mi sento responsabile di questa sistuazione quanto i miei amministratori e cerco di contrastare questo andazzo andando a fondo delle cose ed evitando il mugugno e la questua. Il mugugno non paga. La questua, la pagano gli altri.
E’ una proposta difficile, lo so. E’ un cammino lungo, lo so. Credo però che sia l’unica strada.
Grazie per lo spazio. Apprezzo la vostra concretezza.
M.Dalbon
Penso che che la giusta definizione di tutto questo e che forse non abbiamo tante credenziali sia in europa che nel mondo allora cosa fare per essere credibili? il Governo dovrebbe essere più serio perchè non è possibile che appena si apre una fabbrica ho arriva la camorra o richieste di tangenti quindi bisogna fare pulizia di tutto questo e quindi possiamo dire che quando le cose si fanno con serietà con intelligenza tutto fila per il verso giusto, quindiè inutile andare in Francia e prendere in giro il Presidente perchè la moglie è Italiana, e inutile fare un Cucu Sette alla Germania ma invece parliamo di collaborazione industriale parliamo delle quote latte etc.
Ciao a tutti
Ritengo che il governo dovrebbe lasciare che siano gli stessi imprenditori ad indicare le soluzioni, serie e non esclusivamente di parte, offrendogli la propria disponibilità. Io non credo, nelle soluzioni politiche calate dall’alto in economia, e soprattutto quando si fà impresa. Agli imprenditori và chiesto il risultato, poi come organizzare le risorse private e pubbliche per raggiungerlo, và lasciato decidere a loro, in fondo la responsabilità delle loro imprese è solo loro.
Dirò come la penso molto chiaramente.
Nell’articolo non ho voluto dire se è colpa o meno degli imprenditori o del governo o dei sindacati (come qualche volta si sente dire).
Mi sono attenuto ai fatti.
QUali sono i fatti?
1) le aziende, se ne vanno. NOn solo gli imprenditori locali, ma anche le grosse multinazionali.
2) Il governo attuale si limita a reagire alle crisi.
Faccio un esempio concreto: la Merloni è in crisi. Il governo fa qualcosa? L’UP dice che 4 raffinerie in Italia potrebbero chiudere con 7500 licenziamenti, il governo fa qualcosa?
Il problema non è che il governo si deve sostituire all’imprenditore. Non è il suo ruolo.
Ma il ruolo del governo è metter ein condizione di potere far eimpresa. E qui è vero che manca il sistema paese: che paese è quello dove all’ultimo minuto un governo ritira la firma per il progetto di sviluppo della logistica di Termini (giugno 2008)? Che paese è quello dove da tre anni si attend eil recepimento di una direttiva comunitaria? Che governo è quello dove le richieste di sindacati, lavoratori e imprenditori restano lettera morta?
Il governo deve dare regole chiare e valide per tutti, deve mettere attorno ad un tavolo imprenditori e sindacati e dialogare con loro.
Deve sopratutto avere un progetto chiaro di politica economica.
Deve avere chiaro in mente come e dove investire i soldi pubblici per creare infrastrtture e sviluppo. Con le infrastrutture e con una politica economica sana e avveduta (anche sgravi fiscali per chi assume, ad esempio) lo sviluppo e la nascita di imprese sarà una ovvia conseguenza.
Ultimo appunto: questo governo ha bloccato le Zone Franche Urbane, che prevedevano sgravi fiscali per quelle piccole imprese che investivano in distretti territoriali assumento e investendo in ricerca e sviluppo.
mi chiedo come mai dopo 3 anni il governo non abbia ancora applicato la direttiva europea… senza preoccuparsi delle sanzioni che questo comporterà!!! Cosa aspettano a recepirla???
hathor, questo governo, al di là dei proclami, non mi sembra brilli molto per efficienza ed efficacia… magari aspettano che si arrivi all’ultimo minuto, avere la multa dalla UE e poi fare l’ennesimo proclama
gaspare e a te questa sembra una cosa furba?
ma da che parte stai?
la glaxo se ne va, e se vanno via anche gli altri, noi restiamo fregati e senza lavoro…
qua non dobbiamo parlare, dobbiamo agire.
max, mica h odetto che è una cosa furba?
dici agire… ma come?
io direi che stiamo già agendo: facendo pressione affinchè i politici provvedano.
se hai idee migliori, puoi scriverle senza alcun problema
[…] il settore farmaceutico, che produce una parte importante del PIL italiano, osserviamo che per gli articoli farmaceutici, chimico-medicali e botanici le regioni con i […]