Pubblichiamo da “Il Messaggero”
De Gasperi, la lezione di uno statista
di Pier Ferdinando Casini
Se c’è una presenza ubíqua nei “pantheon” dei partiti di oggi e di gran parte dei leader politici di destra come di sinistra, è senz’altro quella di Alcide De Gasperi.
Epilogo quasi scontato, considerata la statura politica e morale del leader democratico cristiano che seppe risollevare l’Italia dal disastro della Seconda guerra mondiale e incanalarla sui binari di una ripresa senza eguali in Europa, e la sempre più evanescente, ormai, distinzione tra concetti appartenenti al secolo scorso come destra e sinistra appunto. Ma nel 55esimo anniversario dalla sua scomparsa, mi pare sia doveroso chiedersi se tanti richiami da una parte e dall’altra siano frutto di una concreta ispirazione ai principi e agli ideali della politica degasperiana, tradotta in azioni ed iniziative politiche conseguenti, o non siano piuttosto una vacua enunciazione di stile, figlia per di più del malvezzo bipolarista ossessivo di questa Seconda Repubblica di voler incasellare di qua o di là qualunque cosa, perfino i dati economici, le istituzioni internazionali, la Chiesa e le grandi figure del passato.
De Gasperi non si sarebbe mai lasciato tirare per la giacca. Sostenendo che “un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”, orientava le sue scelte in coerenza con questa affermazione, perseguendo un unico obiettivo: l’interesse del Paese, al di là e al di sopra delle sollecitazioni del suo stesso partito.
Da leader del più grande partito italiano e presidente del Consiglio, in una fase di emergenza nazionale drammatica, con la monarchia delegittimata e uno Stato ridotto in macerie non solo fisicamente ma anche nella sua struttura istituzionale e burocratica, decise di tenersi in disparte, e con sé tenne in disparte tutto il Governo, dall’Assemblea Costituente che doveva costruire le fondamenta della nuova Italia repubblicana. Lo fece nella lucidissima consapevolezza che un conto sono le scelte quotidiane di governo, su cui è normale, anzi positivo, che le forze politiche si dividano secondo una sana dialettica democratica e un conto sono le decisioni che riguardano la cornice entro cui il Paese intero dovrà muoversi e crescere nel presente e nel futuro. Volle evitare cioè ad ogni costo che le polemiche e le divisioni politiche si scaricassero sulla Costituente chiamata ad una missione difficilissima, tradurre in una sola voce le voci e le culture differenti di tutti gli italiani.
Per questo, quando si trattò di decidere tra monarchia e repubblica, s’impose perché la scelta istituzionale non venisse alla Costituente che ne sarebbe uscita irrimediabilmente spaccata ma ai cittadini attraverso un referendum.
Per questo, con uno stile ed un rispetto delle istituzioni di cui s’è persa ogni traccia, l’unica volta in cui volle prendere posizione ufficialmente nella discussione su un singolo articolo della Carta che si andava elaborando, lo fece lasciando il posto di presidente del Consiglio per parlare dal suo banco di deputato.
Proprio la sua opzione per un sistema parlamentare poi, non dovrebbe essere mai dimenticata dai molti che dichiarano di ispirarsi alla sua azione, in una stagione in cui la stessa utilità delle Camere viene messa in discussione. Già prima della fine della guerra De Gasperi scriveva che “il primato spetterà al Parlamento, come la più alta rappresentanza dei supremi interessi della comunità nazionale e soltanto il Parlamento potrà decidere della guerra e della pace” e prefigurava su quali basi invece non avrebbe dovuto reggersi il nuovo Stato: “Né partito unico né cesarismo plebiscitario, né monarchia reazionaria né repubblica dittatoriale, né oligarchia dei ricchi, né la dittatura dei proletari”.
Mai i suoi comportamenti smentirono queste convinzioni, così come con la stessa determinazione realizzò con il suo Governo in veste di presidente del Consiglio una serie di riforme strutturali che consentirono all’Italia di avviare uno straordinario boom economico.
Oggi molto è cambiato nel mondo e in Italia. Ma è difficile sostenere che gli ideali, la visione politica, lo stile, la determinazione e la concretezza, la capacità di governare associando nelle scelte e nelle decisioni il più ampio numero di identità politiche, pur disponendo della maggioranza assoluta, la disponibilità a dialogare sempre nel rispetto delle diversità senza rinunciare mai ai propri principi, di De Gasperi siano superati. Specie in una fase di crisi economica e sociale tanto profonda. Uscirne puntando sulle divisioni nel Paese, anziché unirlo intorno ad una missione comune, sarà molto difficile e senz’altro più rischioso. Di certo, se la figura di De Gasperi rappresentasse davvero un minimo comune denominatore tra le forze politiche attuali, le chances dell’Italia aumenterebbero. Purtroppo per ora, la sensazione è che nella maggior parte dei casi rimanga un’immaginetta da esibire nei rispettivi pantheon.
*Presidente Internazionale
Democratico Cristiana
e di Centro
Gentile Presidente come non concordare con Lei. Alcide De Gasperi nel carcere di Regina Coeli si sentiva come “Daniele nella fossa dei leoni” e si domandava quale disegno la divina Provvidenza gli riservasse per il futuro del Paese. Non mi sembrano domande o pensieri attuali per molti politici italiani di derivazione “cattolica”. Le domande che si fanno sono più banali: con chi si va o chi si prende l’incarico? Ma i risultati si vedono, no, ormai si toccano con mano. Da giovane (1974) sono rimasto colpito dalla figura coraggiosa e virile, austera e bonaria, decisa e comprensiva di Alcide de Gasperi: ottimo statista, ottimo padre e ottimo marito. Insomma un riferimento ideale e concreto per i giovani. Una figura che ho anche conosciuto tramite il film di Roberto Rossellini (Anno Uno) e, soprattutto, con lo sceneggiato (Alcide de Gasperi) di Ermanno Olmi.
Se davvero tutti leaders si ispirassero a figure come Alcide de Gasperi, si tornerebbe davvero a parlare di Politica. Politica con la “P” maiuscola, quella che s’interessa del cittadino, quella che guarda al bene futuro del proprio Paese, e non agli interessi.
Solo allora davvero si potrebbe parlare di rinascita economica,culturale e sociale.
Ma finchè a guidare l’azione di un Governo saranno l’arroganza e la prepotenza, si prospetteranno per l’Italia tempi molto duri.
Non per questo noi dobbiamo arrenderci, anzi, non possiamo farlo! Soprattutto noi giovani dobbiamo avere la presunzione di poter cambiare qualcosa.Dobbiamo pensare al futuro,a noi, alle prossime generazioni, e ritornare a parlare di valori e principi che ispirarono così positivamente l’azione del più grande uomo politico italiano: Alcide De Gasperi.
Marta