postato il 13 Giugno 2012 | in "In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo, Riforme"

Province, la melina del Parlamento

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

È la legislatura, quella attuale, degli innumerevoli tentativi di sopprimere le province. Tentativi ormai abortiti che avrebbero potuto anche andare a buon fine, se chi a parole si professava favorevole alla chiusura degli enti intermedi avesse agito di conseguenza. La memoria corre alla  campagna elettorale 2008: anche PD e PDL per bocca dei loro candidati premier si dicevano d’accordo, ma poco o nulla è cambiato in quattro anni di attività parlamentare. L’UDC e altre formazioni che da tempi non sospetti sostengono la necessità di questo taglio insistono e in Parlamento le proposte di legge si sprecano, ma tutto è rimasto uguale per l’ostilità dei partiti maggiori che assieme alla Lega evidentemente non vogliono mettere mano all’ordinamento territoriale della Repubblica.

Una cronistoria incessante di iniziative respinte o rimandate, prima perché bisogna aspettare l’intervento del governo, poi perché le Commissioni chiedono più tempo per valutare. Di rinvio in rinvio, le province sono ancora tutte lì. I tentativi per abolirle del tutto, modificando la Costituzione e trasferendo le competenze a comuni, regioni e città metropolitane, come vorrebbero UDC e Italia dei Valori, non hanno trovato il favore delle altre forze politiche. Così il compromesso è stato un modello di razionalizzazione sotto l’egida del governo Monti, che sul finire del 2011 ha inserito nel decreto “Salva-Italia” una “road map” per il riordino amministrativo: procedere per accorpamenti, stabilendo come numero minimo di abitanti la soglia di 400mila unità e la trasformazione delle province in enti di secondo livello, con l’organo assembleare e il Presidente eletti dai sindaci e consiglieri comunali del territorio (proprio in questi giorni il disegno di legge presentato dal premier Monti e dal ministro Cancellieri è in discussione alla Commissione Affari costituzionali della Camera).

Ma l’impressione è che si pensi a tutto meno che a fare presto. Una serie infinita di dettagli, valutazioni, continui stop and go frena l’iter di questo provvedimento. Il Parlamento, luogo della rappresentanza e delle decisioni, non riesce a dare una risposta chiara a questo interrogativo:quale futuro si delinea per le nostre province? L’esecutivo ha scritto nero su bianco le sue intenzioni: si tratti pure di accorpamenti ma almeno quaranta enti devono essere chiusi con le nuove regole dettate nel decreto cosiddetto “Salva-Italia”. Ora che la posizione del governo è chiara e ora che tutte le proposte di abolizione o razionalizzazione sotto i 500mila abitanti sono state respinte, al Parlamento tocca reagire. L’UDC non può che essere favorevole alle iniziative che vanno in quella direzione. Viene il sospetto che siano i partiti a fare melina, specie quelli che hanno tante poltrone locali da difendere ma che inspiegabilmente avevano inserito nei propri programmi elettorali proprio la soppressione delle province… D’altro canto però, sembrerebbe che anche il governo tarda a dare indicazioni precise, per esempio sull’aspetto costituzionale della vicenda: la denominazione provincia viene mantenuta nella carta costituzionale, oppure viene espunta dall’ordinamento? Ma siamo sicuri che un Parlamento che volesse procedere speditamente per arrivare a un’approvazione definitiva e dettagliata solleciterebbe l’esecutivo a chiarire questo punto.

Ora tutto è nelle mani della Commissione, dell’Aula e degli ufficiali di collegamento Parlamento-Palazzo Chigi. Nel frattempo le 108 province italiane attendono il loro destino.



Twitter


Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram