Per il Colle maggioranza qualificata o voto popolare
L’intervista di Monica Guerzoni a Pier Ferdinando Casini pubblicata su “Il Corriere della Sera”
«La politica ha fatto un pessimo uso dell’immunità parlamentare».
Una buona ragione per non concederla anche ai futuri senatori. Non crede, presidente Casini?
«La fase politica della Seconda Repubblica si è aperta con chi agitava i cappi in Parlamento. Ciascuno di noi è chiamato a scegliere se soddisfare i peggiori istinti giustizialisti o essere seri e allora dico che l’immunità non è un privilegio, ma una garanzia di equilibrio tra diversi poteri dello Stato».
Una buona scusa per perpetuare i privilegi della casta?
«Io non mi accodo di certo a chi dichiara l’inutilità di un istituto che esiste in tutta Europa. Mettiamo un freno alla demagogia o non so dove finiremo. Non è che se un politico è ladro siamo tutti ladri».
Il sospetto è legittimo, viste le inchieste su Expo e Mose.
«La corruzione in Italia è sempre il nemico numero uno e riguarda politici, imprenditori, professionisti, magistrati e controllori. Io non appartengo alla categoria del malaffare, appartengo a una categoria in cui purtroppo ci sono dei ladri, i quali rubano per sé e non per i partiti e in questo senso sono peggiori di quelli di ieri».
In Aula la battaglia si riaprirà e può saldarsi un asse tra dissidenti del Pd e cinquestelle.
«L’Aula è chiamata a migliorare la legge e concordo sul fatto che il Senato non può essere un passacarte. Ma dopo cinquant’anni che si discute di questo, chi dice che superare il bicameralismo perfetto equivale ad attentare alla democrazia varca le soglie del ridicolo».
Non vede rischi sull’elezione del capo dello Stato?
«La questione che a me interessa approfondire è proprio questa. La scelta del presidente della Repubblica non può appartenere solo alla maggioranza pro tempore e non può essere affidata a giochi parlamentari effimeri o contingenti. Bisogna che sia una figura terza, di garanzia, individuata come affidabile da un’ampia platea, per la maggioranza e per l’opposizione».
Garanzie che il testo Renzi-Boschi non offre, al momento.
«Il rischio vero è l’alterazione della platea degli elettori del capo dello Stato in presenza di un Senato di cento persone, scelte con queste modalità. Rischiamo di affidare la scelta alla maggioranza pro tempore che esce dalla Camera dei deputati. È una questione seria, che non va risolta con il decalogo delle buone intenzioni, ma con una iniziativa riformista seria».
La sua proposta?
«È in tre punti. Integrare la platea dei grandi elettori con gli italiani eletti al Parlamento europeo. Secondo, stabilire un quorum vincolante nelle prime sei votazioni. Si comincia con i due terzi e, se nelle prime tre votazioni non si raggiunge quella soglia, si passa ai tre quinti nelle successive tre. Se il quorum ancora non c’è, si prevede l’elezione diretta da parte dei cittadini tra i primi due candidati più votati dal Parlamento».
Una bella svolta presidenzialista…
«Sia chiaro che questa non è l’elezione diretta del presidente della Repubblica, ma la garanzia legislativa che il capo dello Stato viene scelto con il criterio di terzietà. In mancanza di un largo consenso del Parlamento, supplisce il corpo elettorale».
La sua proposta farà discutere.
«C’è un precedente che mi riservo di formulare in Aula. La stessa riflessione fu avanzata alla Costituente da Egidio Tosato, autorevolissima espressione della cultura democratica cristiana e fu ripresa da una proposta di legge costituzionale di Antonio Maccanico nel 1999. Entrambi avevano ben presente il ruolo di garanzia del capo dello Stato e nessuno dei due può essere iscritto tra coloro che ipotizzavano una deriva plebiscitaria e populista».
Se la deriva non c’è, il problema sì.
«Oggi questo problema è accentuato dal fatto che, in presenza di una legge elettorale maggioritaria, chi vince le elezioni guida il Parlamento e si sceglie il capo del governo, i ministri e il presidente della Repubblica. L’elezione popolare diventa un deterrente per spingere le forze politiche a un accordo ampio, che consenta di individuare una figura di garanzia».
Per il democratico Gotor si rischia il modello russo plebiscitario…
«Putin sta in Russia e noi in Italia. Con tutto il rispetto per i russi, la storia e le tradizioni italiane ci preservano da questi rischi. Rischi, peraltro, che la mia proposta serve a evitare».