Non possiamo che essere amici della Russia
Il mio intervento su Il Foglio
La Russia è un obiettivo dei terroristi esattamente come l’Europa e gli Stati Uniti. Per capirlo non serve nemmeno far riferimento all’ultimo attentato che ha abbattuto l’aereo russo in terra egiziana; basta vedere quello che capita a Kunduz, in Afghanistan, dove i talebani sono affiancati da molti foreign fighters ceceni e originari delle repubbliche caucasiche. Putin sa che il terrorismo jihadista si rivolge contro di lui non meno che contro di noi. Il presidente russo ha constatato inoltre un vuoto americano sull’asse Siria-Iraq. L’America manca di una strategia chiara, e con il suo intervento in Siria Putin ha ottenuto tre importati obiettivi. Ha messo in sicurezza l’unico accesso al mar Mediterraneo che i russi hanno a Tartous, ha rafforzato il suo alleato Bashar el Assad, e soprattutto ha obbligato l’occidente a fare i conti con la Russia per la soluzione siriana “nonostante l’Ucraina”. Oggi si conferma così la validità della linea italiana: noi non possiamo combattere lo jihadismo senza avere la Russia strettamente alleata e non possiamo credibilmente parlare di exit strategy per Assad senza la garanzia russa.
Non possiamo che essere amici della Russia. L’occidente e gli Stati Uniti devono recuperare lo spirito di Pratica di Mare e capire che Putin è parte della soluzione e non il problema. Per questo arrivare a una Yalta contro lo Stato islamico è l’unica soluzione. Se non si prende questa strada e se ognuno non contribuisce a questa coalizione amplissima sebbene disordinata il califfo non sarà mai sconfitto. La linea italiana si è dimostrata nei fatti la più coerente rispetto a certe opinioni un po’ dissennate che abbiamo sentito in Europa da parte di alcuni nostalgici della Guerra fredda che si preoccupano soprattutto di escogitare delle strategie antirusse.
Sul campo, contro lo Stato islamico, esiste già un coordinamento di fatto, ed è necessario che una coalizione contro il Califfato tagli immediatamente le unghie alla tacita accettazione dei traffici dello Stato islamico, che si finanzia grazie ai proventi del petrolio, ma anche del traffico di droga e dei reperti archeologici- e i compratori non sono solo i paesi sunniti. I “boots on the ground”, invece, sono un errore. Su questo ha ragione Obama: è esattamente quello che vogliono i terroristi dello Stato islamico. Un intervento di terra non serve, lo Stato islamico si vince con molto meno. Ma bisogna iniziare la battaglia, finora nessuno l’ha ancora fatto.
Pier Ferdinando Casini
docente di Geopolitica del Mediterraneo all’Università Lumsa e Presidente della Commissione Affari esteri del Senato
Premetto di non appartenere a nessun partito politico. Ho sempre ammirato il suo modo educato, rispettoso, e moderato verso gli altri. Mi sono permesso di leggere attentamente il Suo pensiero nei confronti della Russia, dopo la tragedia dell’Aereo, e mi sento di condividerlo. Cordialmente.