Tutti i post della categoria: Spunti di riflessione

Giù le mani dai nostri sogni

postato il 16 Dicembre 2010

La sera del 7 dicembre viene trasmesso in prima serata su rai 1 l’imperdibile classico Disney “Cenerentola”. Conclusa la romantica scena del ballo fra Cenerentola e il suo principe, la storia viene interrotta dalla pubblicità, che inizia con quella del programma di Bruno Vespa “Porta a Porta”: sullo sfondo, in formato gigante, ci sono le foto di Sarah e Yara; sopra di loro una scritta a caratteri cubitali “Come difendere i nostri figli?”; in primo piano Bruno Vespa e le sue parole: “Molte ragazzine si saranno commosse davanti a fiabe come quella di Cenerentola ma poi la loro vita è stata spezzata, come successo nei recenti casi di cronaca…”. Tutto questo davanti a più di 7 milioni di telespettatori, fra i quali bambini, adolescenti, giovani, adulti e famiglie.

Personalmente, sono senza parole. Come si fa a trattenere così violentemente i piedi per terra a chi riesce a volare con i sogni e la fantasia semplicemente guardando una fiaba del genere? Con quello spot il ritorno alla realtà sarà stato immediato. L’interruzione pubblicitaria già distoglie l’attenzione e il coinvolgimento emotivo dalla storia, le parole di Vespa, poi, hanno praticamente messo a confronto sogni e realtà, speranza e realismo, ottimismo e cinismo, serenità e dolore… fiducia e paura. Ma noi abbiamo già i tg, i giornali, i cinici, i pessimisti che ci convincono ogni giorno che le difficoltà nella vita sono infinite, che il mondo fa schifo, che non vale la pena combattere, che tragedie e drammi sono sempre in agguato dietro l’angolo, che i sogni sono per i sciocchi. Quello che ci manca, è qualcuno che ci ricordi che vale sempre la pena di lottare, che credere in noi stessi e nelle nostra capacità è fondamentale, che la vita oltre al dolore ci riserba sempre sorprese e gioie… che un sogno si realizza solo se ci crediamo. Ebbene, mi stupisco sempre della quantità di messaggi positivi e di valori che un cartone animato riesce a trasmettere (molto più di molti film per adulti), ma se anche questi vengono rovinati da chi continua a riportare la nostra attenzione sul lato del mondo più brutto e crudele, come facciamo a continuare a sognare?

Ricordiamoci e soprattutto convinciamoci che “Quando desideri qualcosa, tutto l’Universo cospira affinché tu realizzi il tuo desiderio” (Paulo Coelho) e mettiamo in pratica questo verso di una canzone di Eros Ramazzotti: “Segui il passo di un sogno che hai, chi lo sa dove può arrivare…”. I sogni non sono la realtà nel presente, ma possono esserlo nel futuro, se noi ci crediamo. Dunque chiedo rispetto: giù le mani dai nostri sogni!

“Riceviamo e pubblichiamo” di Chiara Cudini

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Berlusconi scherzi con i suoi fanti, ma lasci stare i santi

postato il 15 Dicembre 2010

Nel convulso giorno del voto di fiducia è sfuggita ai più una incredibile dichiarazione attribuita al Presidente del Consiglio: “Anche il Vaticano si è chiesto come mai l’Udc non dia l’appoggio esterno al mio governo”. Non volendo neanche prendere in considerazione l’idea che Oltretevere la prima preoccupazione sia quella di vedere l’Udc alla corte del Cavaliere, restano le parole gravissime, e non smentite, del Premier.

Perché sono gravissime? Non certo perché si esautora Padre Lombardi del ruolo di portavoce della Santa Sede, ma perché  da questa affermazione traspare la concezione utilitaristica che Berlusconi ha della Chiesa e dei cattolici. Il Presidente del Consiglio crede con generici impegni sui valori, con provvedimenti a favore delle famiglie (mai attuati) e cospicui finanziamenti a parrocchie e scuole private di poter fare della Chiesa cattolica un instrumentum regni e di trattarla come una delle azienda di famiglia. No, caro Presidente, lei potrà “convincere” tutti i deputati che vuole, potrà compiacere anche qualche prete e qualche vescovo ma non può tirare nel fango di una insulsa battaglia politica la Sede Apostolica e la Chiesa di Gesù Cristo che, nonostante le umane debolezze, hanno pensieri più importanti del salvare politicamente lei e il suo governo.

E’ triste anche il ricorso da parte di un capo di governo a termini generici e giornalistici come “Vaticano” , un termine che il più delle volte indica la Santa Sede esclusivamente come centro di potere temporale. Vaticano è il nome del luogo dove la tradizione vuole sia stato sepolto San Pietro dopo essere stato martirizzato durante la persecuzione di Nerone, il luogo dunque dove riposa un pescatore galileo che disse il suo no chiaro ai potenti del tempo. Un nome quello di Vaticano che meriterebbe maggior rispetto specie da chi si professa paladino dei valori cattolici.

Presidente, anche se siamo alle comiche finali risparmi la Santa Sede da questo teatrino segua quell’antico e sano principio proprio della saggezza popolare che vuole il profano separato dal sacro e che si concretizza nel celebre detto: “scherza coi fanti ma lascia stare i santi”. I santi si scomodano solo per le grazie importanti, per salvare un governo bastano i fanti a poco prezzo che si possono racimolare alla Camera.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Fiducia: l’intervista di Enrico Mentana

postato il 13 Dicembre 2010

Ospite in studio del TgLa7

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Rifiuto la democrazia bovina, non tutti hanno un prezzo

postato il 11 Dicembre 2010

In principio fu la pecora.  Forse la prima volta che gli animali da allevamento entrarono nel vocabolario della politica italiana fu grazie al missino Teodoro Buontempo che i suoi chiamavano familiarmente “er pecora”. In tempi più recenti si sono fatte strada le capre e i maiali, anzi i porci, grazie a Vittorio Sgarbi e Umberto Bossi, ma nella seconda repubblica a dominare incontrastati sono i bovini.

Da più di vent’anni l’ambito semantico bovino segna la politica italiana: si usano verbi come “mungere” e “foraggiare” e la stessa classe politica si è avviata ad una singolare omologazione con la specie bovina tanto da mutuarne comportamenti come la transumanza. Gli esperti politico-bovini hanno definito transumanza l’abitudine di gruppi di parlamentari  raccolti in gregge-partito che in tempi propizi lasciavano le irte zone dell’opposizione per i pianeggianti pascoli governativi. Come non ricordare le bucoliche transumanze mastelliane? In tempi in cui l’economia trionfa, si è affermato con successo il famigerato mercato delle vacche: prima delle elezioni pastori e allevatori (anche di Montenero di Bisaccia) riempiono le loro stalle di capi pregiatissimi che mandano a pascolare a Montecitorio, e quando i tempi si fanno difficili queste vacche floride diventano oggetto di intensa e provvidenziale compravendita, addirittura alcuni esemplari sono così intelligenti che si offrono da soli al miglior acquirente. Inutile dire che Il Cavaliere in questo campo è davvero esperto, non per niente ad Arcore aveva uno stalliere.

Anche se le battute e le ironie su questa democrazia bovina sono fin troppo facili alla fine resta una certa amarezza davanti a queste giornate convulse dove figure assolutamente mediocri e modeste pretendono, con la compiacenza di tv e giornali, di fare la storia della Repubblica. Ma potevamo aspettarci di meglio da un Parlamento di nominati? Evidentemente no. In questo quadro così desolante spiccano Pierferdinando Casini e i parlamentari dell’Udc. Attenzione non c’è nessuna intenzione di fare una banale peana del leader dell’Udc, ma è un dato di fatto che i presunti “poltronari” dell’Udc, per dirla alla Bossi, siano gli unici che da due legislature se ne stanno tranquillamente all’opposizione di Prodi e Berlusconi senza nessuna intenzione di offrirsi e farsi comprare. Chapeau!

Purtroppo le buone intenzioni di Casini non ci salvano dal generale quadro desolante e così fino al 14 dicembre, e forse fino a quando la politica italiana non cambierà rotta, saremo costretti prima di dormire a continuare a contare le vacche parlamentari al posto delle classiche pecorelle. La democrazia è dunque bovina, ma il popolo è sempre più bue.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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La sindrome del bunker

postato il 7 Dicembre 2010

E’ innegabile che stiamo assistendo alla fine di una lunga stagione politica segnata dalla figura di Silvio Berlusconi, e ogni tramonto acquista connotazioni particolari a secondo dei comportamenti di chi, nel bene e nel male, si avvia ad uscire di scena. Ci sono tramonti che sono delle onorevoli uscite di scena: uomini e donne che hanno servito il proprio paese che ad un certo punto intuiscono di aver concluso il proprio ciclo, e dopo aver dato il proprio contributo decidono di lasciare ad altri il compito gravoso di reggere le sorti della nazione. Penso in questo caso a politici del calibro di Winston Churchill, Margaret Thatcher o Josè Maria Aznar, ma penso anche a casi particolari come quello del dittatore spagnolo Francisco Franco che, al crepuscolo del franchismo, e della sua vita prese tutte le misure per favorire una transizione il più possibile indolore della Spagna verso un cambio di regime  riconsegnando la Spagna alla casa reale spagnola.

Ma ci sono anche stagioni politiche che non vogliono finire, ci sono uomini che non accettando la fine del proprio potere si abbarbicano alla loro poltrona costi quel che costi. Queste situazioni sono sempre drammatiche perché quasi sempre comportano dei fenomeni aberranti della normale dialettica politica e segnano delle profonde e feroci divisioni. I regimi totalitari che hanno funestato l’Europa del ‘900 sono degli esempi drammatici di queste agonie dei potenti, di questi crepuscoli degli dei, basti pensare a Hitler nel suo bunker o alla vicenda di  Nicolae Ceausescu in Romania.

Queste dinamiche deleterie sono state innescate proprio dall’atteggiamento di Silvio Berlusconi che rifiutandosi di riconoscere i problemi politici presenti all’interno della compagine governativa e della sua coalizione, e soprattutto rifiutando incredibilmente  l’idea di un dissenso politico interno al suo partito, ha preferito al dialogo e alla mediazione uno scontro aperto, un regolamento di conti che ricorda tanto il “muoia Sansone con tutti i filistei”. Così Berlusconi in vista dello scontro finale si è fatto prendere da una specie di “sindrome del bunker”: asserragliato a Palazzo Chigi programma vendette e brandisce l’arma del voto anticipato per spaventare gli assedianti sicuro di un consenso spropositato.

Questa sindrome del bunker di Berlusconi non è alimentata solamente dallo smisurato ego del Cavaliere ma anche dall’azione di pretoriani e fedelissimi che, tolti di mezzo i più saggi consiglieri del Premier, quotidianamente si preoccupano di surriscaldare il clima e di fare del voto di fiducia del 14 dicembre una specie di giorno del giudizio, una epica battaglia tra le forze del bene e del male. In questo contesto vanno inserite le parole di fuoco di Berlusconi e dei suoi fedelissimi, le liste di proscrizione di Libero, gli sproloqui sui traditori e il consueto mercato delle vacche, tutta la letteratura tipica della fine di un regime che è destinata purtroppo a crescere dopo un eventuale voto di sfiducia e in vista di un feroce scontro elettorale.

Le tinte di questo tramonto politico sono già fin troppo fosche ed è naturale chiedersi se è giusto in questo frangente così delicato della politica e dell’economia gettare l’Italia nel caos politico, nella spirale di fango e meschinità che si staglia minacciosa all’orizzonte. Berlusconi è ancora in tempo per uscire dal suo bunker e affrontare con buon senso i nodi politici irrisolti e avviare una stagione nuova, ma se così non sarà dovrà rassegnarsi ad un oscuro epilogo per lui e per il Paese perché dai bunker della storia nessuno, né uomini né nazioni, ne sono usciti indenni.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Populismo è alimentare le paure degli italiani

postato il 6 Dicembre 2010

Non si strumentalizzi il tema dell’immigrazione per vantaggio politico
 
Il razzismo, la xenofobia sono sentimenti che ci sono sempre stati, ma in passato la classe politica ha cercato di governare questi fenomeni, parlando di accoglienza e anche di convenienza. Ma oggi questi temi li si strumentalizza per trarne qualche assurdo vantaggio politico. E’ solo populismo che si alimenta delle paure degli italiani e che rischia di creare una miscela esplosiva.
Noi, invece, abbiamo bisogno di essere quello che siamo: un Paese civile, che pratica l’accoglienza e che deve fare i conti con le sue contraddizioni a cominciare dal fatto che l’Italia è ormai un Paese a bassa natalità  e che non riesce a difendere il livello di vita che ha costruito negli ultimi decenni.
Io sono convinto che il multiculturalismo abbia fallito: noi siamo in grado di accogliere gli altri se siamo consapevoli delle differenze. Non dobbiamo smarrire il senso delle nostre tradizioni perché un conto è comportarsi come una società multirazziale e un conto è pensare che la nostra sia una società multiculturale.

Pier Ferdinando

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L’eutanasia e la profonda dignità di ogni vita

postato il 5 Dicembre 2010

Eutanasia, uno dei temi etici più complicati del nostro tempo. Scelte che ognuno si augura di non dover mai fare nella propria vita e di chi gli sta attorno. Eppure il problema non scappa, non si può semplicemente chiudere gli occhi e non pensare, diventare insensibili di fronte a coloro che pensano a questa come alla giusta, “dolce” morte. Eutanasia, infatti, significa letteralmente “dolce morte”. Ad essa si appellano persone che decidono di non voler più vivere incapaci di compiere gesti normali, di parlare e comunicare liberamente, di mangiare con l’aiuto della proprie mani, di lavarsi da sole, di alzarsi dal letto, di fare attività fisica, di giocare con i propri figli, di dare un bacio alla persona amata. Ad essa si appellano anche famigliari disperati di persone in coma, in stato vegetativo, paralizzate, colpite da malattie degenerative.

La risposta a queste persone può essere il sì all’eutanasia? Il sì alla libertà di decidere della propria vita o di quella di un fratello, una sorella, un figlio, un padre?

Spesso si preferisce parlare di testamento biologico come mezzo per prevenire il dovere di fare in futuro certe scelte. In realtà, si pensa poco al fatto che il problema viene semplicemente spostato: chi può dire con certezza che tipo di persona sarà nell’eventualità in cui si trovasse intubato, costretto a dipendere dalle macchine per vivere? Chi può dire che la visione del mondo, della sua vita non sarà mutata? Dire ora, a priori, che in futuro non si vuole vivere in determinate condizioni è pericoloso. Piuttosto, bisogna tenere sempre presente che giudicare qualsiasi cosa senza provare in prima persona porta quasi sempre a degli errori. Quante persone, ad esempio, pensano ad una malattia come a qualcosa di terribile a cui psicologicamente non si riuscirà a sopravvivere? Quante persone colpite da un tumore, da una paralisi, da una malattia degenerativa, invece, cambiano completamente prospettive, modi di pensare, convinzioni tanto da riscoprire il valore vero della vita ed attaccarsi ad essa in un modo più forte, puro, senza lasciarsi condizionare da ciò che stanno affrontando e da quella bolla di sentimenti che le avvolge fatta di sconforto, dispiacere e paura delle persone che le circondano?

La vera domanda che ci si deve porre, però, è: perché un uomo, una donna, un giovane arrivano al punto di chiedere di morire? Perché una mamma, un papà, un marito, una fidanzata arrivano a chiedere di far morire la persona tanto amata? Le risposte possibili possono essere ricondotte ad una sola: una vita così non è degna di essere vissuta, vivere così non è vivere. Posto che la persona non soffra molto fisicamente (per questo si deve puntare senza esitazione sulle cure palliative), la vera sofferenza è quella psicologica.

Siamo cresciuti con la convinzione che vivere significa nascere sani, crescere, imparare, studiare, trovarsi un lavoro, sposarsi, fare una famiglia e, una volta trasmessi ai figli i mezzi con i quali sopravvivere in questo mondo, godersi finalmente la pensione e i nipotini. Vite diverse da queste ci appaiono anomale, inconcepibili: ci chiediamo quale sia il senso della vita di un disabile, di una persona down, di un bambino autistico, di un malato con poche prospettive di vita, o semplicemente di una persona che fa scelte di vita che deviano da quelle “normali”, come ad esempio decidere di non sposarsi e dedicare il tempo ad aiutare gli altri, decidere di non avere figli, decidere di vivere la vita viaggiando. Ma ci chiediamo mai se siano le nostre convinzioni ad essere sbagliate? Siamo noi in grado di decidere quale sia una vita degna di essere vissuta?

Barry Neil Kaufman, padre che è riuscito a guarire suo figlio dall’autismo grazie a nuovi atteggiamenti mentali e convinzioni e grazie a tutto l’amore che egli provava e prova per il suo bambino, scrive: “Le nostre convinzioni non solo determinano la nostra visione del mondo e il nostro atteggiamento, ma plasmano anche il modo in cui giudichiamo noi stessi, gli altri e gli eventi della nostra vita. Gran parte di noi ha imparato ad accettare una visione dell’esistenza che ci inibisce e ci crea una sensazione di disagio; ma possiamo ancora disimparare, fare una nuova scelta e intraprendere una nuova vita”. Nessuno sa dire quale sia il senso profondo di ogni nostra vita. Ma questo non ci blocca, non ci frena, non ci fa dire di non voler più vivere. Al contrario, siamo sempre alla ricerca di qualcosa di profondo, di risposte ai nostri perché; impieghiamo molto del nostro tempo nel cercare di trovare un senso a quello che ci succede o nel  tentare di trovare un filo logico che colleghi tutti gli eventi della nostra vita, in modo da farci capire chi siamo e rendeci sereni. Chi dice che la vita di persone diverse dal normale, speciali nel loro essere, abbia un valore diverso? Solo perché non possono fare della loro vita quello che noi tutti vogliamo per la nostra, non vuol dire che nel mondo non ci sia posto per loro, che la loro vita non abbia un preciso e determinato scopo.

Luigi Pirandello dice, attraverso il dialogo di un suo personaggio in “Il fu Mattia Pascal”: “Lei vorrebbe provare con questo che, fiaccandosi il corpo, si infievolisce anche l’anima, per dimostrar così che l’estinzione dell’uno importi l’estinzione dell’altra? Ma immagini un pianoforte e un sonatore: a un certo punto, sonando, il pianoforte si scorda; un tasto non batte più; due, tre corde si spezzano; ebbene, sfido! Con uno strumento così ridotto, il sonatore, per forza, pur essendo bravissimo, dovrà sonar male. E se poi il pianoforte tace, non esiste più il sonatore?”

Ogni vita è degna di essere vissuta. Non sta a noi decidere se vivere o morire. Il nostro (difficile) compito è quello di creare o trovare la risposta al perché della nostra esistenza. Allora, la morte sarà “dolce” perché naturale e fisiologica, non perchè soluzione al dolore della nostra anima.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Chiara Cudini

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Ospite di ‘Otto e mezzo’

postato il 4 Dicembre 2010

Alla trasmissione de La7 condotta da Lilli Gruber. In studio Antonio Polito.

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Nel Pdl scoprono che Facebook è peggio dei comunisti

postato il 29 Novembre 2010

Mentre le cancellerie di mezzo mondo tremano per le rivelazioni del sito Wikileaks, in Italia (considerato che Assange non ci ha detto niente di nuovo) il vero nemico è rappresentato da Facebook

Il social network fondato da  Mark Zuckerberg è stato infatti oggetto di ben tre interrogazioni parlamentari rivolte al Ministero della Salute, al Presidente del Consiglio e al Ministero della Difesa dell’on. Giorgio Jannone (Pdl).  Le interrogazioni dell’onorevole Jannone meritano un’attenta lettura, non tanto perché possono risultare esilaranti, ma perché sono un significativo esempio di scollamento della classe politica rispetto al Paese reale. Sì, perché mentre ci sono famiglie che non arrivano alla fine del mese, immigrati abbarbicati sulle gru e operai e studenti che protestano nelle piazze, l’onorevole Jannone è più preoccupato di “aiutare persone affette da comportamenti compulsivi nei confronti dei social network”.

Indubbiamente la preoccupazione del deputato del Pdl è apprezzabile e sicuramente originale, ma mi chiedo se in questo momento storico non ci siano cose un tantino più urgenti da discutere.

Un’altra perla fornita dalle interrogazioni parlamentari di Jannone è la richiesta al Premier di tutela dei minori rispetto ai “pericoli incombenti dall’eccessivo utilizzo di Internet e dei social network”. Preoccupazione anche questa legittima, ma per un buon padre di famiglia e non certo per il Presidente del Consiglio. E però bisogna dare il merito all’onorevole Jannone di aver contribuito significativamente a evolvere il linguaggio politico della destra berlusconiana: se prima i comunisti mangiavano i bambini, adesso ci pensa Facebook. Il deputato del Pdl non se la prenderà se per questa bonaria presa in giro, ma sinceramente è sembrato un po’ esagerato scomodare il Governo per trattare una materia che può, più semplicemente, essere oggetto di riflessione delle agenzie educative e di ogni singola persona di buonsenso.

Jannone però si può consolare perché grazie a Emilio Fede le sue interrogazioni parlamentari sono passate in secondo piano: il direttore del Tg4, dopo un incontro “amaro” (è proprio il caso di dirlo) con l’imprenditore Giuliani, nel corso del suo tg ha lanciato una durissima invettiva contro Facebook, dove in quelle ore si festeggiavano i pugni di Giuliani al povero Fede.

Contro i tripudi di Facebook Emilio Fede ha sentenziato: “una società civile dovrebbe chiudere Facebook, che è una realtà delinquenziale all’origine di episodi drammatici”.  Urge ricordare al direttore del Tg4 che i cretini che incontriamo per strada e che dicono cretinate ai quattro venti sono gli stessi che le scrivono su Facebook e giustamente vanno esecrati nel mondo reale come in quello virtuale, tuttavia la proliferazione di cretini non legittima in nessun modo commenti di questo tipo: “Rossi, incappucciati, questa è gentaglia. Un popolo civile dovrebbe intervenire e menarli, perché capiscono solo quando vengono menati”.

Mi consenta dottor Fede, ma queste  affermazioni  fatte nel corso di un telegiornale da un direttore di lungo corso come lei sono ben più gravi di qualunque cretinata scritta su Facebook. Stia tranquillo direttore, nessuno si sognerà di chiedere la chiusura del Tg4, al massimo si potrebbe ricordare che dovrebbe andare sul satellite.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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La pluralità dell’informazione: apologia dell’inno alla vita

postato il 25 Novembre 2010

Riceviamo e pubblichiamo
di Elisabetta Pontrelli*

Non dimenticherò mai la disperazione negli occhi di Piergiorgio Welby e Peppino Englaro. La disperazione di entrambi nell’evocare la morte come liberazione da una sofferenza atroce, ingiusta, insopportabile: all’inizio dell’anno scorso, nel gennaio 2009, Peppino la chiese per l’amata figlia Eluana, da diciassette anni in coma vegetativo dopo un incidente stradale; Piergiorgio l’aveva chiesta invece nel 2006 per se stesso, giunto ormai alla fase terminale della sua terribile malattia, la distrofia muscolare, che l’accompagnava da trenta anni.
La vita a volte è spietata, sembra non voler far sconti a nessuno, né a chi si trova a vivere come Eluana Englaro la dolce primavera dell’esistenza, né a chi è già preparato alla sofferenza come Piergiorgio Welby, che, conoscendo da diversi anni la sua “compagna di viaggio” scomoda, avrà certamente sperato più volte durante il suo percorso di vita che quest’ultima deponesse le armi di fronte all’eccezionale voglia di vivere che egli possedeva, che rinnovava in lui la voglia di lottare e combattere ogni qualvolta l’ostacolo diventava più difficile da superare.

In questa battaglia vissuta all’insegna del “continuare a vivere comunque” c’è stata sempre Mina, la sua supercompagna di vita: moglie, amante, amica, mamma, complice più di ogni altra persona, più di ogni altro tipo di persona che si possa immaginare accanto ad un malato. Ammiro assolutamente la forza d’animo di questa donna-coraggio, il suo super-coraggio, sicuramente scaturito dal suo super-amore per l’adorato marito, nel riuscire ad accettare la volontà di quest’ultimo, riuscendo a rimanere accanto a lui nell’adempimento stesso di quella volontà: l’eutanasia. Rispetto la scelta che lei e suo marito avranno sicuramente analizzato e ponderato, perché è doveroso portare SEMPRE rispetto, soprattutto lì dove non si condivide un’idea o non si ha la stessa visione su un tema così delicato come quello legato alla propria morte: io non ci sarei riuscita con mia mamma, e neanche Michele con sua moglie Marina.

Mia mamma, al secolo Maria Teresa Sanna, malata terminale di Sla, immobilizzata e tracheostomizzata esattamente come Piergiorgio Welby, e Marina, in coma vegetativo proprio come la dolce Eluana Englaro, ricoverata nella stanza accanto a quella di mia madre. Mia mamma e Marina, entrambe splendide donne, di quelle che a 68 anni ne dimostrano dieci di meno, perché amano ancora pittarsi i capelli, gli occhi, le labbra e le unghie, sorridendo così alla vita. Mia mamma e Marina, proprio come Piergiorgio ed Eluana: Michele ed io abbiamo fatto spesso questo paragone, perché chiaramente quello che stavamo vivendo “in diretta” ci rimandava con la memoria a loro. Per liberare mia mamma sarebbe stato sufficiente staccare la spina del respiratore, mentre per liberare Marina sarebbe bastato sospendere la nutrizione e l’idratazione, ma Michele ed io non siamo stati Peppino e Mina. Insieme abbiamo condiviso otto mesi di corsia al reparto neurologia donne del Policlinico Gemelli, esattamente un piano sotto rispetto a dove veniva ricoverato il nostro amato Papa Giovanni Paolo II, che a me personalmente ha fatto tanta compagnia grazie alla statua che era proprio sotto le nostre finestre, statua che lo raffigura aggrappato alla Croce. Soprattutto durante le tanti notti insonni trascorse lì, guardandolo aggrappato a quella Croce pensavo alla mia, condivisa con mio padre e mia sorella, alla quale la vita gliel’aveva già presentata tramite la figlia Eleonora, disabile al cento per cento fin dalla nascita; pensavo alla croce di Michele, il cui unico figlio era in America a lottare con la moglie contro il tumore al cervello di quest’ultima e mi veniva da pensare in generale a tutte le Croci sparse nel mondo e a come fa esso a non sprofondare sotto il loro peso.

Tante domande ovviamente al caro Karol Wojtyla. Unica risposta, osservandolo e ricordando il suo esempio sul campo, la vita è vita sempre e sempre è degna di essere vissuta. Il principio è lo stesso anche per le grandi religioni orientali, Buddismo e Induismo, che, pur parlando di reincarnazione, affermano che ogni vita merita di essere vissuta, in ogni modo possibile, se si intende per VITA la possibilità di LEZIONI DA IMPARARE (ed è chiaro che la vita sarebbe da intendere così, per chi crede). E questa è stata anche l’unica risposta possibile che Michele ed io ci siamo potuti dare, domandandoci quale senso avesse vivere così e il perché di tanta sofferenza, da noi razionalmente rifiutata; una sofferenza in bianco e nero che ha cominciato a farci accettare l’idea della MORTE COME LIBERAZIONE, perché UNICA SOLUZIONE nel nostro caso, ma mai l’avremmo potuta scegliere e mettere in atto per mano nostra, non ne avremmo avuto il coraggio e, sarà sciocco dirlo, abbiamo continuato a sperare fino all’ultimo, anche in ciò che sapevamo non sarebbe mai accaduto. Eppure posso garantire che finché il cuore continua a battere tu non puoi smettere di sperare. NON PUOI, perché è l’istinto innato di sopravvivenza che ognuno di noi possiede che te lo impedisce. La Ragione ti dice che tanta sofferenza atroce è ingiusta ed è vero, eppure il Cuore ti suggerisce che, nonostante tutto, è vita e quindi non puoi smettere di amarla: ed è così che fai, non smetti di amare, pregare e sperare. Pregare la morte come liberazione… sì, può essere, se è l’unica soluzione, ma mai per mano dell’uomo, ti viene da pregare.

La Sla (sclerosi laterale amiotrofica) non ha lo stesso esordio per tutti, non ha lo stesso decorso, gli stessi tempi ed evoluzione: i “pochi mesi” (diciotto) di strazio che ha vissuto mia mamma e molti altri non sono la
regola fissa, per fortuna!! C’è chi convive con questa disabilità terribile (la quale arriva a non farti più mangiare e respirare autonomamente, né a poterti muovere e a parlare) da diversi anni, ma non ha NESSUNA INTENZIONE DI MOLLARE. Basterebbe andare sul sito di Viva la Vita Onlus, per conoscere persone straordinarie come Salvatore Usala, Claudio Sabelli ed il braveheart dell’affaire Sla, il cuore impavido e straordinario del Dott. Mario Melazzini, Presidente dell’AISLA, che afferma con assoluta certezza che la preziosissima lezione di vita che egli ha appreso “grazie” alla Sla è che gli uomini nascono per essere collegati gli uni agli altri e Mario, proprio vivendo questa terribile malattia, ha finalmente imparato a fidarsi del suo prossimo, lui che ora dal suo prossimo totalmente dipende, lui che da “medico” non era mai riuscito a capire quel “volto umano”, quello che va oltre ciò che è visibile a chiunque; quello più vero che appartiene ad ognuno di noi, spesso celato ed umiliato dalla nostra voglia di sopraffazione degli altri, la nostra volontà di dimostrare che siamo migliori degli altri, il cui aiuto non ci serve. Da queste parole vigorose, piene di voglie di vivere con tutta la straziante disabilità, di vivere nonostante essa ed andare oltre, come dice sempre l’ex calciatore Stefano Borgonovo, se ne deduce che sia estremamente necessario e doveroso capire che i malati di Sla e tutti i malati non autosufficienti, come i malati tutti, non hanno gli stessi punti di vista rispetto al senso della vita e rispetto al legame della stessa con la morte e le decisioni eventualmente da prendere in merito.

Di qui la necessaria e doverosa rappresentazione di tutti i punti di vista, se veramente crediamo nel valore della pluralità dell’informazione. Io sono totalmente d’accordo con quanto sostenuto dall’On. Pier Ferdinando Casini, innanzi tutto perché sono convinta che una vera democrazia non possa non augurarsi la pluralità dell’informazione, poi perché anch’io in qualche modo sono stata malata di Sla, essendo stata accanto a mia mamma 24 ore al giorno per circa due anni, di cui uno trascorso in diversi ospedali tra Roma e Milano, dove ho respirato e condiviso un mondo di disabilità, fatto sì di tanta sofferenza, ma anche di tanto vero calore umano, che scaturisce dall’apprezzamento delle piccole-grandi cose che in genere chi gode di buona salute dà per scontato: il profumo delle rose appena sbocciate, il vento fresco che spettina i capelli facendoti sentire vivo o un caffè con un dolcino da assaporare insieme agli altri e non di fretta da soli.

L’anno scorso ho festeggiato il mio compleanno in ospedale insieme a tanti disabili, ovviamente insieme a mia mamma, e non credo di esagerare nell’essere assolutamente convinta che è stato e rimarrà tra i più bei compleanni della mia vita.

Se non c’è la pluralità d’informazione come gli Italiani sapranno mai che esiste un Mario Melazzini che ti può raccontare la sua importante lezione di vita imparata dalla Sla? E Claudio? E Salvatore? Le visioni della vita ed i fatti che ne conseguono sono molteplici: tutti degni di rispetto, tutti degni di essere raccontati nella loro unicità, l’unicità dell’esperienza di vita che ogni malato può e deve comunicare, trasmettendo emozioni diverse, giustamente condivise o meno, ma assolutamente dette.

Dopo che l’On. Casini ha giustamente constatato con rammarico che nella trasmissione Vieni via con me è mancato il contraddittorio che poteva essere degnamente sostenuto, per esempio, dal Dott. Melazzini, come al solito si sono sprecate le faziosità ed i presunti tatticismi che egli avrebbe adottato e che non sto qui ad elencare perché è cronaca di questi giorni e perché, tristemente, gli Italiani sapranno molto di più di questi veleni, che ci vogliono divisi in guelfi e ghibellini persino di fronte la Morte, anziché conoscere invece la testimonianza che continuamente Mario Melazzini porta ovunque viaggiando: la testimonianza di un altro modo di vivere la malattia, altrettanto degno di essere raccontato, per non farci dimenticare che le PARI OPPORTUNITÀ combattono le discriminazioni innanzitutto comunicando l’EGUAGLIANZA proprio NELL’ALTERITÀ. Non bisogna per forza schierarsi, pensando sia più giusta l’eutanasia rispetto al cosiddetto accanimento terapeutico, la cui soglia di percezione tra l’altro varia da individuo ad individuo.

Semplicemente è giusto ciò che ogni malato decida per sé, proprio perché ognuno di noi è portatore di una propria unicità nell’alterità, sia fisica che intellettiva. E’ offensivo sia per l’intelligenza di Casini sia per la sensibilità dei malati e dei loro familiari pensare che essere per il contraddittorio significhi subdolamente accattivarsi la simpatia dei “soliti elettori cattolici”: esattamente il 21 giugno u.s., Giornata Mondiale del Malato di Sla, Pier Ferdinando Casini è stato infatti l’unico parlamentare che si è sentito in dovere di “scendere” dalla sua poltrona comoda di Montecitorio per partecipare INSIEME ai malati tracheostomizzati, nella medesima piazza, al sit-in da loro organizzato tramite l’associazione che li rappresenta, Viva la Vita, il cui nome sintetizza quello che più vogliono fare, nonostante la loro condizione… perché, come dice sempre Erminia Manfredi, moglie del nostro Nino nazionale e magnifica testimonial dell’associazione, “i malati di Sla adorano la Vita più di noi e la conoscono più di noi che purtroppo diamo tutto per scontato”, quindi anche la nostra salute!

Dopo due giorni, il 23 giugno u.s., il nostro meraviglioso Presidente Casini, essendo l’unico che si è degnato di ascoltarci, ha fatto un’interrogazione parlamentare seria ed appassionata in merito. Ammiro Casini per la sua sensibilità ed è questa che gli consente di affermare ciò che io, come figlia di una malata di Sla, troppo presto deceduta come tanti altri, condivido assolutamente! Non credo che lo possa fare per un proprio tornaconto, ma perché capisce che su questo tema non ci si può soffermare alla spicciolata… Non si può sperare di INCULCARE L’EUTANASIA come fosse andare al market a comperare una fiorentina piuttosto che un’orata come avviene nello spot pubblicitario già mandato in onda in Lombardia, che trovo semplicemente disgustoso perché privo di qualsiasi vibrazione di rispetto ai malati ed ai loro familiari: il pericolo dello spot è quello di poter trasmettere una semplificazione di tutto ciò, con il rischio di contribuire a creare individui non più consapevoli ed autonomi, cioè pensanti con la propria testa, perfino lì dove occorrerebbe solo SILENZIO, SILENZIO, SILENZIO e rispetto per le DECISIONI TUTTE.

Se ogni opinione può essere discutibile e se tutto può essere opinabile, una cosa è certa: i valori non posso essere negoziabili e soprattutto l’idea della vita e della morte che ognuno di noi ha non può e non deve essere semplificata e catalogata in un’unica ISTRUZIONE PER L’USO valida per tutti. Così come si è giudicata infelice la frase “Eluana potrebbe procreare”, chi è intellettualmente onesto non potrà non riconoscere che è altrettanto triste, nonché profondamente ingiusto, volere a tutti i costi convincere gli altri che non ha senso vivere in un certo modo, lì dove il senso ce lo possono comunicare Mario Melazzini e Stefano Borgonovo, poiché quel senso lo cercano e lo trovano ogni ora di ogni giorno, vissuto intensamente come un giorno in più regalato dalla vita da non sprecare (un senso che forse tutti dovremmo riscoprire); un senso che Casini ha toccato con mano avendo condiviso del tempo con i malati di Sla ed è forse per questo motivo che è stato l’unico a reclamare il contraddittorio dell’inno alla vita: poiché bisogna essere altrettanto coraggiosi a voler continuare a vivere, sorridendo ed amando la vita, nelle condizioni di Mario, di Stefano, di Salvatore o di Claudio, né più né meno come nello scegliere l’eutanasia.

E altrettanto coraggiosi sono i familiari che continuano a lottare insieme a loro sorridendo, esattamente come chi coraggiosamente accetta di vedere andar via la persona amata e lo accompagna per l’ultima volta mentre se ne va dolcemente e via con essa se ne va anche un po’ di quell’amore riposto nella lotta insieme, quando un giorno si era pensato di potercela fare, di poter vincere. E sottolineo un po’ d’amore, perché paradossalmente la Morte, cercata o no, te ne lascia dentro più di quanto se ne porta via, te ne lascia sicuramente più di quanto ce ne fosse dentro di te all’inizio del primo atto della commedia. Se proprio abbiamo voglia di urlare il nostro sdegno rispetto a qualcosa, dialoghiamo piuttosto con la Chiesa affinché non possa accadere mai più che a un Piergiorgio Welby, vero Cristo in Croce, non venga concesso il funerale, celebrato invece a criminali e dittatori sanguinari.

*Figlia di Maria Teresa Sanna, malata di Sla deceduta, attaccatissima alla vita
Cagliari, 20 novembre 2010

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