Tutti i post della categoria: Spunti di riflessione

Tramonti africani e timori italiani

postato il 15 Gennaio 2011

In arabo la parola “Maghreb” significa tramonto e indicava i paesi più occidentali dei domini islamici, oggi questo nome si addice di più alla sorte dei regimi che governano gli stati africani mediterranei. Le cronache di questi giorni ci hanno raccontato il tramonto del presidente tunisino Ben Ali e come ogni tramonto, purtroppo, anche questo si è colorato di rosso, il rosso del sangue di tanti giovani tunisini.

In Italia e in Europa ciò che accade in Tunisia, e che rischia di contagiare l’Algeria e gli altri paesi limitrofi, sembra non destare interesse, forse perchè si è troppo concentrati su un’altra tristemente famosa figlia del Maghreb. Eppure l’Occidente ha delle responsabilità dall’altra parte del Mediterraneo e soprattutto l’Italia ha da imparare qualcosa da quanto sta accadendo in quelle società. L’Occidente è stato a lungo complice del fuggitivo e disprezzato Ben Ali e di tutti gli altri pseudo presidenti nordafricani, un po’ per convenienza (i ricchi affari delle imprese occidentali) e un po’ per quel calcolo politico che preferisce dittatori dal pugno di ferro capaci di sbarrare la strada ai partiti islamici anti-occidentali.

L’ipocrisia occidentale del parlare nei consessi internazionali e davanti ai media di diritti e libertà per poi sottobanco trattare affari con i tiranni locali chiudendo gli occhi su alternanza politica, diritti delle donne e delle minoranze religiose è ben presente nella coscienza del popolo tunisino e in quella degli altri paesi. Questo elemento non è da sottovalutare perché la rivolta tunisina è una moto provocato anche dal risentimento per l’imbroglio e la sopraffazione. In pochi analisti hanno infatti rilevato che una delle gocce  che hanno fatto traboccare il vaso sono le rivelazioni della vituperata Wikileaks che hanno reso pubbliche la corruzione e l’insaziabile fame di potere e denaro della famiglia di  Leila Trabelsi, una parrucchiera che il presidente Ben Ali ha sposato in seconde nozze nel 1992 e che pian piano ha scalato le vette del potere economico e politico. E’ importante sottolineare che la rivolta tunisina è stata una rivolta giovanile ed una rivolta 2.0. Non si è trattato di poveri straccioni che si sono sollevati contro l’oppressore, ma di giovani istruiti che utilizzano con dimestichezza internet e i suoi social network. Quando il 4 gennaio muore il giovane diplomato Mohamed Bouzid, che si era dato fuoco il 17 dicembre perché non aveva altra prospettiva che il suo chiosco di frutta, la notizia della sua morte comincia a circolare rapidamente su Facebook e Twitter ed è l’input per l’inizio della rivolta.

Da quel giorno la rivolta corre in rete che diventa non solo luogo di denuncia ma un vero e proprio strumento di resistenza ai colpi di coda, anche virtuali, del regime agonizzante. I giovani tunisini non sono esecrabili perchè tentano di riprendersi la loro libertà per far sì che il loro futuro non sia un chiosco di frutta o un barcone nelle acque del canale di Sicilia, per mettere fine all’ingiusto e crescente divario tra ricchi e poveri. L’Occidente e l’Italia possono ignorare questa rivolta? Possono rifiutarsi di apprendere qualcosa da quanto successo in Tunisia? Evidentemente no e ciò per due ordini di motivi. Americani ed europei non possono lavarsi le mani della crisi del Maghreb, non solo perché hanno grandi responsabilità (il sostegno alla scalata del potere e al mantenimento di questo da parte dei dittatori) ma perché l’instabilità politica di questi paesi avrà delle intuibili conseguenze politiche, economiche e sociali sull’Europa. Per capirlo è necessario vedere comparire ogni tipo di imbarcazione carica di immigrati sulle nostre coste o aspettare il tracollo di qualche impresa che ha investito da quelle parti? In secondo luogo è necessario imparare qualcosa dalla gioventù tunisina e chiedersi se in paesi come l’Italia si può continuare a imbrogliare, speculare e sopraffare le giovani generazioni. Fino a quando abuseremo della loro pazienza? C’è da augurarsi che in Italia gli stati di Facebook e i messaggi di Twitter continuino a raccontare una tranquilla quotidianità e un futuro migliore.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Commenti disabilitati su Tramonti africani e timori italiani

L’intervista ad ‘Annozero’

postato il 14 Gennaio 2011


Se Berlusconi pensa di affidare il destino del suo governo alla contabilità parlamentare è un problema suo.  Io, alla famosa cena a casa di Vespa,  lo invitai ad aprire una fase di responsabilità nazionale: non ha voluto seguire questo percorso e ognuno risponde delle sue scelte.
Se il Pd rinunciasse all’alleanza con Vendola e Di Pietro? Aprirebbe una fase politica seria, di riflessione, perché vorrebbe dire che la sinistra italiana ha scelto definitivamente un riformismo reale, ma le contraddizioni tra Fassino e Vendola su Mirafiori ci sono a prescindere da me.
Sulla Fiat Berlusconi sbaglia quando dice ‘se vincessero i no, Marchionne farebbe bene ad andarsene dall’Italia’, ma il rischio c’è. Io, al referendum, avrei votato sì dopo di che non possiamo certo correre il rischio che in mancanza della politica decida Marchionne.

Commenti disabilitati su L’intervista ad ‘Annozero’

Per Marchionne? Per la Fiom? Per cosa si vota a Mirafiori

postato il 13 Gennaio 2011

Non ci si può esimere dall’esprimere una riflessione sul referendum di Mirafiori, un referendum che assume importanza non solo per la situazione contingente dei rapporti tra la Fiat e i lavoratori, ma in quanto spartiacque, un punto di volta, su cui si potrà innestare ogni futura discussione sul lavoro e sulle aziende.

Sgombro subito ogni equivoco: parlare di sviluppo e di investimenti in Italia è arduo, non solo perchè si va a trattare una materia per sua natura molto ampia e complessa (i rapporti industria-lavoratori vanno ad iscriversi all’interno del ben più ampio discorso sulla politica economica e sulle scelte che questa comporta), ma perchè l’Italia ha sempre pagato il dazio di non avere una vera politica in campo economico.

Il referendum di Mirafiori è importante perchè impone una seria riflessione: è indubbio che non si possono contestare e ledere i diritti dei lavoratori, e giustamente i sindacati devono tutelare ciò, ma non si può neanche permettere che la difesa di certi diritti, trasformi questi ultimi in privilegi e impunità. Si deve impostare il discorso, oggi, sulla produttività, perchè solo con la produttività si possono attirare investimenti in Italia: ormai le competenze tecniche non sono più un patrimonio esclusivo dell’occidente, il mondo è sempre più globale e con una competizione sempre più feroce.

E’ vero che gli stipendi in Germania sono più alti, ma è anche vero che la produttività dell’operaio tedesco è ben più alta di quella dell’operaio italiano. Rompere il vecchio sistema della contrattazione nazionale per dare spazio a quella aziendale direttamente con i lavoratori è il modo per avvicinare i lavoratori alle imprese, per instaurare un proficuo dialogo.

In Italia per troppo tempo si è evitato di affrontare il tema della produttività, mentre i nostri concorrenti lavorano con tassi di produttività molto superiori e con costi molto inferiori. Le stesse competenze, come ho avuto modo di dire, se prima erano specifiche di poche nazioni, ora sono facilmente replicabili ovunque, e il rischio concreto è che gli investimenti di Fiat, e questi posti di lavoro, vengano spostati all’estero, come stanno facendo molte altre aziende straniere ed italiane, piccole e grandi.

Vorrei che l’Italia per una volta si mettesse in discussione.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

12 Commenti

Abbi coscienza di Te: Auguri Italia, 150!

postato il 9 Gennaio 2011

Tra le colline moreniche del Lago d’Iseo e i vigneti spumantini della Franciacorta sorge una villa nobiliare secentesca aperta al pubblico. E’ Palazzo Torri che animato dalla mecenate Paolina divenne un vero e proprio centro culturale e politico con feste, incontri, conferenze e dibattiti che hanno definito le linee guide dell’Italia postunitaria. Lo visitai in un pomeriggio d’estate, uno di quelli in cui fa piacere trascorrere la giornata in compagnia della Cultura e di una bella ragazza sottobraccio. Passeggiando sull’erba del giardino pensavo ai piedi che precedentemente l’avevano calcata: il poeta Giosuè Carducci, autore delle odi risorgimentali “Piemonte” e “Alle fonti del Clitunno”, lo scrittore Antonio Fogazzaro, che cercava di conciliare quel piccolo mondo antico di cui era stato testimone con il nuovo mondo venutosi a creare nel 1861, uomini di chiesa come monsignor Geremia Bonomelli voce del cattolicesimo bresciano e futuro cardinale di Cremona, uomini politici come il guardasigilli Zanardelli autore del codice civile promulgato nel 1890 che avrebbe abolito la pena di morte sul territorio italiano. Uomini e donne che avevano calcato i nostri stessi passi e abitato nei nostri paesi, uomini e donne che avevano fatto l’Italia, ognuno con il proprio contributo nel Risorgimento.

Risorgimento, che parolone… già dal nome suona molto enfatico e passionale, il sorgere di qualcosa che prima era stato spento, respinto, avversato, definito una “mera espressione geografica”, soffocato dal Congresso di Vienna e che ora trovava espressione come un sole pronto a rinascere e a inondare di luce. Enfatico e passionale, troppo. Forse è stato proprio questo il male della storia risorgimentale: essere trattata nella storiografia ufficiale con toni monumentali quasi mitologici e automaticamente inautentici. Una storiografia che parla di un Garibaldi eroe senza macchia partito alla testa di mille baldanzosi giovani pronti a morire o a fare l’Italia ma dimentica e silenti su episodi riprovevoli e ingiustificati come il massacro di Bronte o di Partinico. Una visione della storia che forse non ci ha dato la maturità necessaria per camminare insieme in questi 150 anni e che ha creato risentimento e revanscismo da ambo le parti. E’ facile da un lato proclamare che senza il Meridione saremmo la realtà economica più avanzata d’Europa e lamentarsi di essersi caricati sulle spalle una realtà arretrata e bloccata nel latifondo e nel brigantaggio. E facile dall’altra parta parlare di una Napoli lussureggiante capitale d’Europa e di un regno borbonico svenduto ai rozzi montanari sabaudi. Due atteggiamenti equivalenti e facili ma sbagliati.

Dal 7 febbraio a Reggio Emilia che nella battaglia di Montechiarugolo contro Napoleone diede i natali al vessillo tricolore simbolo dell’allora repubblica cispadana e che ancora oggi ci contraddistingue, sono partiti i festeggiamenti per ricordare il nostro anniversario, auguri Italia, 150 anni insieme!

Che dire se non augurare all’Italia di trovare la maturità storica di guardarsi alle spalle con spirito attento e critico, di riconoscere la forza morale dei propri padri ma anche i loro errori, tanti auguri all’Italia che con la riforma federalista ha la grande opportunità, da non sprecare e senza cadere in facili stereotipi e revanscismi, di istituzionalizzare il principio di Sussidiarietà, di valorizzare le entità locali, le amministrazioni regionali, i sistemi virtuosi nella sanità e nella scuola portati avanti da determinate regioni. La Germania ha una storia e una cronologia molto simile alla nostra: solo 10 anni dopo, nel 1871, fu unificata da Bismarck e dall’aristocrazia terriera degli junker e di nuovo divisa all’alba della guerra fredda, ha saputo con maturità crescere e unificarsi come Stato e come nazione divenendo una grande repubblica federale centro geografico, economico, politico, culturale d’Europa. “Deutschland uber alles”!

E noi abbiamo la maturità e il coraggio di dire “L’Italia prima di tutto” o siamo davvero come voleva Metternich una mera espressione geografica?

Viva L’Italia, tanti auguri a tutti gli italiani.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Commenti disabilitati su Abbi coscienza di Te: Auguri Italia, 150!

Berlusconi si attivi su caso Khodorkovsky

postato il 2 Gennaio 2011

Lettera-appello inviata al Presidente del Consiglio a seguito della condanna dell’ex magnate russo del petrolio: ‘attivare ogni canale diplomatico possibile al fine di garantire il rispetto dei diritti umani e del diritto alla difesa dei cittadini russi’.

‘Come Lei sa, il 23 settembre 2009 la Camera ha discusso ed approvato una mozione di cui sono primo firmatario, nella quale si impegna il governo ad attivare ogni canale diplomatico possibile al fine di garantire il rispetto dei diritti umani e del diritto alla difesa di Mikhail Khodorkovsky, di Platon Lebedev e, in generale, dei cittadini russi.
La mozione ha ottenuto, fatto piuttosto insolito in questa legislatura, un voto favorevole molto ampio da destra a sinistra, con la sola astensione della Lega. Successivamente all’approvazione della mozione ho sollecitato più volte il governo da lei presieduto a darne concreta attuazione, anche attraverso lettere pubbliche. Più volte le ho chiesto di farsi carico, nelle sue visite ufficiali e nei suoi viaggi a Mosca, di rappresentare l’istanza contenuta nella mozione approvata dal Parlamento e dare quindi concreta attuazione all’impegno assunto dal governo.
Il processo a Mikhail Khodorkovsky e Platon Lebedev si è concluso qualche giorno fa con la condanna al carcere fino al 2017. Il caso Khodorkovsky le è ampiamente noto. Si tratta dell’ex magnate della compagnia petrolifera Yukos, e del suo socio Platon Lebedev, in carcere dal 2003, dopo essere stati arrestati con le accuse di truffa ed evasione fiscale e successivamente condannati ad otto anni di detenzione in Siberia. [Continua a leggere]

2 Commenti

Le persecuzioni dei cristiani

postato il 2 Gennaio 2011

Perciò, per far cessare tale diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. In un momento in cui milioni di nigeriani stanno celebrando le feste religiose, la Nigeria nei giorni di Natale è stata teatro di violenze che hanno colpito la popolazione di religione cristiana, funestando la festività con 41 morti, secondo ultime notizie ufficiali. Origine di questo nome era Cristo, il quale sotto l’impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; e, momentaneamente sopita, questa esiziale superstizione di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, focolare di quel morbo, ma anche a Roma. Perciò, da principio vennero arrestati coloro che confessavano, quindi, dietro denuncia di questi, fu condannata una ingente moltitudine, non tanto per l’accusa dell’incendio, quanto per odio del genere umano. Esplosioni a catena nella regione dello Jos hanno provocato la morte di altri 34 cristiani e il ferimento di 74. Nel nord est del paese, a Maiduguri, una chiesa è stata data alle fiamme. Proseguono ancora scontri e feriti e decine di edifici sono stati consegnati alle fiamme. Il gruppo islamico Abu Sayaf ha fatto invece esplodere nelle Filippine il tetto di una chiesa cattolica nell’isola di Jolo. Inoltre, a quelli che andavano a morire si aggiungevano beffe: coperti di pelli ferine, perivano dilaniati dai cani, o venivano crocifissi oppure arsi vivi in guisa di torce, per servire da illuminazione notturna al calare della notte. Nerone aveva offerto i suoi giardini e celebrava giochi circensi, mescolato alla plebe in veste d’auriga o ritto sul cocchio” .


Duemila anni di storia, di vite vissute, di uomini passati sulla terra con i loro odi e i loro amori, con i loro credi e le loro passioni, dividono questi due brani. Il primo, in azzurro, è un passo fondamentale della storiografia di Publio Cornelio Tacito (Annales XV,44), il secondo in rosso è il resoconto di un articolo dell’Avvenire edito il 28 dicembre 2010. Duemila anni di storia e di nuovo incendi, dolore e morte. Aveva visto giusto colui che ci aveva avvisato: ” Non sono venuto a portare la pace, ma una spada in mezzo a voi, nel mio nome subirete dilazioni e persecuzioni, la spada, la separazione, la croce, il perdere la vita”. Mi soffermo a volte a pensare cosa faccia tanta paura del messaggio cristiano. Forse quello sguardo rivolto all’Umanità come quello espresso da Madre Teresa di Calcutta capace per la sua Fede motrice di umanità di sovvertire le regole sociali delle caste indiane, forse la fiducia in una Presenza che da infinita si è resa finita, che da divina si è incarnata nella nostra fragile e meravigliosa umanità. Ma non preoccupatevi, non voglio tediarvi, almeno non in quest’occasione, con qualche resoconto storico-filosofico, apologetico o fenomenologico. L’intento di questo articolo è informare dei fatti dell’attualità che spesso passano in sordina perché ci attraggono molto di più gli ultimi gossip di qualche starletta o di un Sanremo piuttosto che i nostri fatti di attualità e umanità.

La storia dovrebbe insegnarci che in tutto il corso dell’esistenza dell’essere umano c’è stato nel nome della religione, da ogni parte, spargimento di sangue, lotte intestine, persecuzioni e condanne. Io non credo assolutamente come afferma John Lennon nella sua celebre Imagine che la pace possa essere garantita da un mondo senza nazioni, senza religioni. L’appartenenza a un sostrato culturale e quindi nell’ordine, a uno Stato , a una nazione, a una civiltà, e viceversa il senso del sacro e della fede sono elementi essenziali dell’espressione di ogni essere umano, imprescindibili e immodificabili, elementi vitali che guidano la libertà e la dignità dell’uomo.

Una sola parola, anzi due: rispetto e dialogo. E’ ciò che il pontefice Benedetto XVI ha espresso nel suo messaggio per Giornata Mondiale della Pace , è quanto il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha richiesto esprimendo il proprio cordoglio per le persecuzioni anticristiane.

Nessun trattato storico filosofico, non sono qui a fare apologetica. Semplicemente una cosa (interpello quanti si ritengono credenti) : pensiamo a noi che spesso rifiutiamo di andare in Chiesa perché piove, perché riteniamo di aver altro da fare, perché c’è la partita in televisione, perché vogliamo dormire e pensiamo a quanti non possono esprimere il loro credo e le loro funzioni o, peggio, non sanno se potranno tornare più a casa: Pensiamoci.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Commenti disabilitati su Le persecuzioni dei cristiani

Capire e dialogare con i giovani, sentire l’Italia: il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica

postato il 1 Gennaio 2011

“Sentire l’Italia”. Potrebbe essere questa la chiave di comprensione del discorso di fine anno del Presidente  della Repubblica, un discorso che non è solo un bilancio di fine anno ma un accorato appello alle istituzioni, alla politica, ad ogni italiano ad appassionarsi per il futuro del Paese. Appassionarsi per il futuro del Paese significa saper cogliere soprattutto le ansie e le preoccupazioni di chi è l’orizzonte dell’Italia: i giovani.
Mai come in quest’anno i giovani hanno incarnato nella loro protesta e nella loro sfiducia l’incertezza e la paura di un intera comunità civile e giustamente allora il Presidente Napolitano ha voluto rivolgersi a loro e ha voluto farli perno del discorso presidenziale. Non è banale retorica politica quella del Presidente della Repubblica, ma una acuta analisi della situazione e la proposta di una strategia che corrisponde ad un “impegno generalizzato” e ad una vera e propria “scommessa” sulle nuove generazioni.
L’impegno e la scommessa passano dunque dal “sentire l’Italia”, dal saper cogliere non solo il malessere, il fatalismo, ma anche il progressivo distacco tra la politica e la società, il Palazzo e la gente. Il Capo dello Stato ha indicato agli italiani e in particolare ai giovani anche il modo di vincere la sfida di questo tempo difficile: impegno politico e responsabilità civile. La tentazione dell’antipolitica, della fuga e dell’isolamento devono cedere il passo ad uno straordinario impegno politico non solo di chi già fa la politica, che è chiamato a responsabilità e chiarezza, ma di coloro che fino ad ora se ne sono tenuti disillusi ai margini. Diceva una famosa canzone di Ivano Fossati che “c’è ancora qualcosa da dire e da fare”, questo è il tempo non solo di sentire l’Italia ma di cominciare ad amarla.

Adriano Frinchi

Commenti disabilitati su Capire e dialogare con i giovani, sentire l’Italia: il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica

Ospite di Porta a Porta

postato il 24 Dicembre 2010

Alla trasmissione di approfondimento politico di Rai 1, condotta da Bruno Vespa.

1 Commento

Giovani, università, futuro: una pagina di Don Milani ci salverà

postato il 20 Dicembre 2010

Migliaia di giovani sono riuniti nelle scuole e nelle università occupate per progettare e pianificare la protesta contro la riforma del ministro Gelmini. Questi giovani sono guardati talvolta con occhio benevolo, specie da chi condivide la maledetta precarietà, ma il più delle volte con biasimo paternalista se non con esplicito disprezzo da chi in questo momento detiene il potere e più in generale da quel mondo degli adulti che è ampiamente responsabile del furto di speranze e futuro.

A questi giovani che si appassionano, che vogliono urlare la loro rabbia contro i ladri di futuro vorrei potesse tornare a parlare don Lorenzo Milani. Il Priore di Barbiana se fosse vivo, si scrollerebbe di dosso l’inutile aureola veltroniana e con la sua tonaca consunta si presenterebbe in un’aula per dire una parola ferma e chiara ai giovani e per dare un sorriso paterno che sa di Dio. Prima di dire qualcosa don Milani appenderebbe alla parete dell’aula il famoso cartello con il motto dei giovani americani “I care” per ricordare a tutti  nella scuola, nell’università e nella vita che è necessario interessarsi, appassionarsi, prendere a cuore. Poi direbbe a questi giovani che “dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole)”  e che “quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siamo cambiate”. Gli ricorderebbe anche che la Costituzione offre loro due leve per cambiare le cose cioè il voto e lo sciopero, ma che faranno cosa ancora più grande se con la parola e l’esempio riusciranno a far cambiare idea a tanti. Prima di lasciarli partire per la piazza farebbe l’ultima raccomandazione ricordando a ciascuno di loro che sono tutti sovrani e che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto, e con una benedizione nel cuore e lo sguardo di un padre gli direbbe che la vita è un bel dono di Dio non va buttata via e buttarla via è peccato.

Purtroppo in queste ore nelle aule dove gli studenti sono riuniti in assemblea non entrerà nessun don Milani per ascoltarli e dialogare con loro e resteranno soli a rimestare gli insulti di La Russa e le farneticazioni di Gasparri, e poi sarà ancora piazza, sarà scontro, sarà un urlare più forte contro chi non vuole nemmeno sentire, nella speranza che l’Italia, che già piange il dialogo, non debba versare le proprie lacrime sul sangue di uno studente o di un poliziotto.

Cari studenti, in queste notti passate a scuola o all’università trovate il tempo per leggere una pagina di don Milani, fatevi scuotere da quel prete-maestro di montagna che ha ancora da dirci qualcosa sulla politica, sulla scuola e sulla vita; e alla manifestazioni brillerete di luce diversa perché non sarete una vile teppaglia ma cittadini sovrani che reclamano futuro, giustizia e libertà.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Commenti disabilitati su Giovani, università, futuro: una pagina di Don Milani ci salverà

Gli scontri di Roma e la violenza da condannare

postato il 17 Dicembre 2010

A due giorni di distanza dai disordini avvenuti a Roma il 14 dicembre, che hanno messo ferro e fuoco la città causando milioni di euro di danni mentre in Parlamento si votava la fiducia a Berlusconi, non si placa la polemica su quegli atti di violenza che hanno trasformato la manifestazione in una vera e propria guerriglia urbana. [Continua a leggere]

16 Commenti


Twitter


Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram