Tutti i post della categoria: Spunti di riflessione

Cattolici in politica, un impegno oneroso ma doveroso

postato il 11 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

Si parla spesso di impegno dei cattolici in politica, soprattutto dopo l’appello del cardinal Bagnasco, all’impegno dei cattolici in politica, e  al richiamo dell’ex ministro Pisanu,  durante la convention Udc di Chianciano, al codice di Camaldoli auspicando una riunione dei politici cattolici. Se ne parla tanto, quindi. Ma sappiamo anche che da troppi anni la politica è vista dalla gente come qualcosa di sporco, corrotto, che pensa solo ai propri privilegi in barba agli interessi della gente. In questo panorama politico, i cattolici sono impegnati a essere coerenti con se stessi. Il cattolico non deve essere maestro, ma testimone, che vuol dire tradurre il messaggio di Cristo in fatti concreti e in scelte concrete, nella vita pubblica e privata. Essere cattolici non può e non deve essere un’etichetta che si sfoggia per ottenere il voto delle vecchiette che frequentano le sacrestia più della propria casa o dei ragazzi che frequentano gli oratori; essere cattolici è un’impegno difficile, oneroso, che espone al giudizio del prossimo: occorre essere, come ci ricorda San Pietro, “sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in noi”; occorre testimoniare con la propria vita e il proprio operato la propria fede, avendo coraggio di scelte impopolari ma coerenti con il Vangelo. Allo stesso tempo occorre non perdere mai di vista la laicità dello Stato, distinguendo bene fra ispirazione ai valori cattolici e integralismo, rispettando la pluralità della popolazione che si va a governare. L’impegno, quindi, è gravoso; essere cattolici è prima di tutto un dovere.

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L’orgoglio di una scelta (giusta)

postato il 10 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Pier Ferdinando Casini ha appena concluso il suo discorso conclusivo alla convention di Chianciano 2011. È stato un discorso bellissimo, forte e chiaro come ormai quasi tutti quelli che fa nell’ultimo periodo: sono quei discorsi che, pur non cadendo mai nella banalità o nella foga retorica, puntano tutto sui contenuti, sulle proposte e sui progetti, abbandonando quella cripticità e quell’ambiguità che a giudizio comune facevano troppo vecchia Dc; sono quei discorsi che non fanno sconti a nessuno, senza per questo giocare con il vecchio vizio dello scaricabarile; sono quei discorsi che a partire dall’intervento alla Camera del mese scorso, hanno fatto guadagnare a Casini molti e nuovi consensi e stima anche sul mondo della Rete, di solito non esattamente tenero nei nostri confronti. Oggi, mentre Casini sul palco tuonava contro l’insufficienza del governo e rilanciava le nostre ricette per il salvataggio del Paese, ha trasmesso un entusiasmo e un’energia ai militanti e alla platea incredibili. A un certo punto alcuni settori del pubblico non si sono più potuti trattenere e sono esplosi in un’ovazione, urlando “Casini Presidente, Presidente, Presidente!”, in modo così spontaneo ed energico da far scattare in piedi anche me, che non sono certo un novellino di queste iniziative e so bene come spesso cose del genere siano concordate ex ante: ma non era questo il caso.

Stavolta in quell’esplosione di gioia e di festa c’era un sentimento sincero e antico: l’empatia e la soddisfazione che si provano quando ci si sente pienamente rappresentanti dal proprio leader. Eppure, per me, non è stato solo questo: c’è un’altra motivazione che mi ha spinto a “esplodere”: ed è, principalmente, una questione di “orgoglio”. Sì, proprio “orgoglio”. Perché l’edizione di Chianciano 2011 è stata per me la riprova “finale” che la scelta fatta l’anno scorso di restare nell’Udc siciliana, in un momento in cui sembravamo tutti destinati ad essere trascinati via dalle follie dell’autunno di un vecchio patriarca, in un momento in cui tanti amici preferirono lasciare la casa comune e veleggiare verso lidi che non potevano e non potranno mai essere “nostri”, non era solo “coraggiosa” o magari “ingenua”. Era giusta.

Grazie Pier, per avermelo confermato.

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Il Mediterraneo, tra Europa e Primavera Araba

postato il 10 Settembre 2011

Riceviamo e pubblichiamo di Jacob Panzeri

Il termine Mediterraneo deriva dalla parola latina Mediterraneus, che significa “in mezzo alle terre”. Vero e proprio ponte tra territori, è la culla di alcune tra le più antiche civiltà del pianeta e uno straordinario crocevia di genti e di culture. Ma da tempo le acque del Mediterraneo sono inquinate, e non solo per le 500 tonnellate di frammenti di plastica che vi galleggiano, ma per l’incapacità di creare una reale politica in grado di abbracciare  i popoli Mediterranei. Venire incontro all’inesauribile desiderio di libertà protagonista della primavera araba dovrebbe essere un diritto e un dovere per l’Europa, e non con il mero scopo di  preservare o rafforzare i propri accordi economici, ma per creare una vera realtà mediterranea. Un abbraccio in cui potenziarci a vicenda che si avvalga di una seria campagna immigratoria non propagandistica (il numero dei clandestini giunti in Italia tramite i famigerati barconi sono soltanto il 2-3% dei clandestini che per lo più si intrufolano ottenendo un permesso temporaneo, un visto turistico, per poi rendersi latitanti). Occorre una nuova prospettiva in cui guardare non solo alle braccia ma al cuore e al cervello, respingere con durezza chi non desidera davvero  migliorare la propria vita e rendere un servizio all’Italia e  allo stesso tempo accogliere con maggiore efficacia e umanità i giovani dei paesi mediterranei che potranno un giorno diventare protagonisti della vita del loro paese, migliorarlo e conseguentemente migliorare anche noi. Ecco perché è una prospettiva sbagliata quella condotta per oltre trent’anni e cioè avallare regimi con limitazione delle libertà personali e sociali che possono essere definite delle vere e proprie dittature in cambio della stabilità politica del territorio ed economica per i nostri interessi.

L’età media dell’Egitto è 22 anni, è un paese con un altissimo tasso giovanile che vuole sentirsi protagonista, è in contatto con tecnologie come internet che gli permettono di avere uno sguardo globale, sono giovani che non si fanno condizionare dai radicalismi islamici e desiderano una vita migliore di democrazia e libertà. E’ il caso di Abdu Azzab, giovane egiziano al terzo anno di economia dell’Università di Trento che ci ha reso una preziosa testimonianza del suo paese. I giovani egiziani sono stati 18 giorni in piazza Tahir a chiedere le dimissione del governo Mubarak e una nuova speranza per l’Egitto. Gli estremisti hanno tentato durante la rivolta a più riprese di prenderne la testa ad esempio con il tentativo di sabotaggio dell’ambasciata israeliana del Cairo ma venendo anch’essi sconfitti dalla sete di libertà dei giovani. Ci racconta Abdu che oggi Piazza Thair ha raggiunto per lui davvero un valore sacro e uno dei segni che più lo ha emozionato è stata la preghiera interreligiosa tra cristiani e musulmani. Oggi i principali esponenti del governo Mubarak sono agli arresti e l’Egitto è in attesa delle prime elezioni democratiche dopo trenta anni. Auguriamo all’Egitto e agli altri paesi oppressi di poter finalmente vedere la luce e a questi giovani di abbeverarsi continuamente alla loro speranza per costruire un futuro migliore. Insieme. Per un nuovo grande Mediterraneo.

 

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A Chianciano si ragiona di economia e di futuro.

postato il 10 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Si è appena conclusa la tavola rotonda “L’Agenda per la Crescita”, incontro clou della giornata di oggi. Sul palco della nostra convention si sono confrontati – in una giornata nera per l’economia mondiale, con lo spread italiano arrivato a oltre quota 350 e con le dimissioni del commissario tedesco nel board BCE, Stark – ospiti d’eccezione, quali Emma Marcegaglia, Presidente di Confindustria, Raffaele Bonanni, segretario generale della CISL, Corrado Passera, Chief Executive Officer di Intesa Sanpaolo, Alberto Orioli, vicedirettore del Sole 24 Ore, e il nostro Savino Pezzotta, Presidente della Costituente di Centro. Si è ragionato di economia e di prospettive future, partendo dalle difficoltà della crisi che stiamo vivendo in questi mesi, in modo concreto e stimolante: in un periodo in cui il nostro Paese è sempre più teatro di lotte intestine, di incomprensioni, di scelte di campo eternamente divergenti (del resto, ieri Pisanu si è chiesto, sconsolato: “che razza di Paese siamo diventati? Non riusciamo più ad unirci nemmeno in questi casi!”), vedere i rappresentanti dell’Industria, delle Banche e dei Sindacati trovare un punto di interlocuzione comune e sviluppare una discussione comune, non è sicuramente un fatto da sottovalutare. E che ciò sia avvenuto proprio sul palco della nostra convention, altro non è che la riprova che i nostri appelli alle “responsabilità nazionale” e agli “sforzi comuni” non sono solo parole al vento: sono, piuttosto, il presupposto per poter cercare delle soluzioni coraggiose e strutturali ai nostri problemi. Perché, come ha ben detto Pezzotta, non si può pensare di trovare riparo in scorciatoie ed escamotage “tecnici”: la risposta deve venire dalla politica, ma da una politica che sappia – finalmente – diventare “responsabile” e, quindi, “istituzionale”.

In questi mesi, si è lungamente ragionato sui “limiti” della politica, che a detta di molti avrebbero rappresentato uno delle cause principali dell’esplosione dello strapotere dei mercati. Noi, da parte nostra, più che di “limiti” della politica, abbiamo sempre preferito parlare di “assenza di coraggio”, di incapacità di dettare la linea ai mercati, anziché farsela da loro dettare; ecco, perché i veri “limiti” della politica sono ben altri e ben più semplici (forse): sostanzialmente, ha ribadito Pezzotta, l’errore fondamentale sta nel fatto che i politici italiani hanno smarrito una visione di insieme e di futuro, dimenticando che la loro grande missione sta proprio in questo, nella capacità di saper interpretare i tempi e di guardare al momento di “crisi” non come una fase depressiva da domare, ma come un’occasione per fare quelle riforme strutturali ormai improrogabili per il nostro “sistema Paese”: “dobbiamo smetterla – ha tuonato il Presidente della Costituente – di scaricare le nostre colpe sui mercati. Il vero problema non è speculazione, ma  la cronica insufficienza del Governo!”. Sulla stessa linea d’onda anche gli altri intervenuti: la Marcegaglia, infatti, molto applaudita e gradita dalla nostra platea, ha impostato il suo discorso sulla necessità di un rilancio della crescita economica, da conseguire attraverso l’adozione di diversi provvedimenti in grado di contemperare le richieste di tutte le categorie sociali (per cui, sì anche alla patrimoniale, se questo volesse dire sgravi fiscali, liberalizzazioni e privatizzazioni): e, stuzzicata da una domanda del moderatore Orioli, non ha avuto problemi nel dire che se questo Governo dovesse continuare a percorrere, come ha fatto finora, la strada dell’indecisionismo,  un cambio di guida diventerà indispensabile e irrinunciabile (meraviglioso il passaggio: “noi, per salvare 158 mila pensionati 58enni padani, stiamo pagando un prezzo altissimo: è inaccettabile”). Ancora più esplicito e diretto è stato poi Corrado Passera, che ha battuto insistentemente su un punto fisso: l’Italia ha tutte le carte in regola per uscire dalla crisi da sola, non c’è bisogno di restare aggrappati all’ancora di salvataggio lanciataci dalla BCE e dalla UE. Per riuscirci, basta fare un ragionamento serio sulle priorità e sulle urgenze da risolvere, a partire dalla lotta all’evasione, che dovrebbe essere perseguita senza sconti e indulgenze per nessuno: è inaccettabile che, esclusi i dipendenti, siano pochissimi gli Italiani a dichiarare più di 100 mila euro l’anno. Interessante anche l’intervento di Raffaele Bonanni, che – pur sicuramente in una prospettiva diversa, ma non per questo antitetica da quella della Marcegaglia e di Passera – ha fatto leva sulla necessità di “modernizzare” l’Italia, facendo un esempio più che calzante: com’è pensabile che in Val di Susa, la Tav, un’opera che è già pronta da 4 anni in Francia e che ci chiede l’Europa, sia bloccata da un gruppo di facinorosi ed estremisti? Dov’è il decisionismo, la forza, l’autorità di chi governa? Magistrale a tal punto proprio l’intervento finale del presidente Marcegaglia che ha concluso la tavola rotonda: il compito che le forze responsabili del nostro Paese, in testa ovviamente l’Udc, deve essere quello di dare voce alla “maggioranza silenziosa” italiana che, al contrario di una “minoranza silenziosa”, si rifiuta di cedere al richiamo della demagogia e continua a sognare un Paese moderno. E, tutto sommato, normale.

 

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Gli italiani protagonisti a Chianciano

postato il 8 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Io sono l’Italia. Doveva essere questa l’idea e la forza dei giovani lombardi, degli esuli polacchi, degli avventurieri ungheresi che hanno lottato nel Risorgimento al fianco di Mazzini e Garibaldi per la repubblica Romana. Gente che non parlava le stesse lingue né si riconosceva nelle stesse tradizioni se non in quella della libertà e unità che voleva donare all’Italia, gente morta per una nazione altrui e un popolo che non conosceva ma conservando nel cuore le parole “Io sono l’Italia”.

Oggi che abbiamo la fortuna di essere uno stato e ancor più una nazione, questo spirito non si percepisce più, il patriottismo non è più di moda. Paure e incomprensioni di un paese che sembra arroccato sulla mediocrazia, che è l’antitesi della meritocrazia, sulla gerontocrazia e sulla raccomandazione dominano la mente di molti giovani che non vedono una scheggia di luce o un bagliore di speranza nel loro futuro e desiderano fuggire dal paese a gambe levate . Localismi e provincialismi, ambizioni pur giuste se orientate alla valorizzazione degli enti locali e del principio di sussidiarietà ma da vivere sempre nell’idea di un unico tutto , portate avanti nel modo sbagliato ostacolano e soffocano il belpaese. Il patriottismo non è più di moda, mentre lo sono la sfiducia e l’individualismo quando siamo ancora fortunati e non si sentono risuonare il clamore delle armi della secessione.

Tutto questo succede perché ci dimentichiamo che l’Italia prima di tutto siamo noi, sì, ognuno di noi, con le nostre paure e sfiducie ma anche i nostri sogni e le nostre ambizioni.

Scriveva Giacomo Leopardi nella lettera ai compilatori della biblioteca italiana:

Io ringrazio di cuore il cielo di avermi fatto italiano né vorrei dar la mia patria per un regno, e non per il potere d’Italia, né per il suo clima e le sue belle città, ma per l’ingegno degli italiani”

Dov’è il nostro ingegno? Lo spirito che in ogni epoca ha fatto grande l’Italia? Orsù, ognuno di noi prenda i suoi mattoni e armati di calce e ingegno potremo costruire un nuovo edificio senza scartare la pietra angolare che è la nostra grandiosa tradizione italiana di cui andare fieri nel mondo.

Tutto ciò non significa negare l’esistenza dei gravi problemi che affliggono il nostro paese, significa invece affrontarli con un nuovo spirito e una nuova fiducia.

Facciamo giungere il nostro grido alle orecchie di chi ci considera un paese di serie B, sia esso un giovane disilluso e sfiduciato o chi per primo dovrebbe rappresentare e amare il nostro paese, il presidente del consiglio dei ministri.

Il futuro si costruisce. Ognuno di noi, tutti insieme. È questo lo spirito che mi auguro possa emergere dalla convention Udc di Chianciano Terme che si aprirà domani 8 settembre al Parco Fucoli con le parole dell’on. Rocco Buttiglione.

L’8 settembre del 1943 l’Italia proclamava l’armistizio firmato il 3 settembre a Cassibile (Siracusa) con le forze anglo-americane, erano tempi oscuri che l’Italia seppe sconfiggere con l’ardore e l’impegno dimostrati nel dopoguerra che ci vi hanno reso una delle sette potenze più grandi del mondo. Oggi, 8 settembre del 2011, non abbiamo grazie al cielo alle spalle una guerra e le sue terribili difficoltà ma un identico clima di sfiducia ci opprime, è necessario tirare fuori tutto il nostro coraggio, anche il sacrificio se necessario, e far volare la nostra speranza.

Perché… quando gli italiani si uniscono sono capaci di grandi cose!

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Ciao Mino e grazie ancora per la risposta

postato il 5 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Nel 1993 ero un ragazzino delle scuole medie che invece di pensare al calcio si interessava di politica e si dichiarava democristiano. Con la Dc ero cresciuto: papà era stato  segretario provinciale dei giovani dc, da piccolino mi divertivo alla Festa dell’Amicizia e prima delle elezioni c’era sempre il rito dei candidati a casa. Insomma la Dc era una persona di famiglia, veramente mamma Dc! Eppure capì già allora di vivere l’agonia della Dc, il decomporsi della Balena bianca e del suo potere  e percepivo il clima di fine impero. In quei giorni difficili di Tangentopoli e delle stragi di Mafia non era facile essere democristiani, figurarsi ragazzini democristiani. Ricordo le prese in giro dei compagni di scuola che pur non capendo molto di politica ripetevano parole e gesti dei genitori, e penso anche al naso storto di qualche professore che abbandonata la Dc per la Rete di Leoluca Orlando pensava che per me fosse l’ora di una “rieducazione”. Eppure in quella mestizia riuscì a trovare sicurezza e voglia di continuare grazie all’arrivo al vertice del partito di Piazza del Gesù del bresciano Mino Martinazzoli. Martinazzoli non era molto famoso, qualcuno lo considerava un po’ triste e menagramo, Forattini lo disegnava senza volto e con i soli nei in rilievo. Nonostante questa immagine pubblica piuttosto debole Martinazzoli portò coraggio e speranza in un partito che era impaurito e disorientato. Forse le sue scelte politiche non furono sempre giuste ma a lui si devono uno straordinario sforzo di rinnovamento  e un tentativo coraggioso di ripensare e riproporre la presenza politica dei cattolici. Martinazzoli seppe generare l’entusiasmo dei lontani dai centri di potere democristiano  mettendo fuori gioco i famosi “pacchetti” di tessere con i quali si vincevano i congressi a tavolino, parlando di commissione di inchiesta sulle ricchezze illecite dei politici, cercando di cancellare le code dei questuanti nelle anticamere di Piazza del Gesù, tirando la cinghia licenziano e vendendo le sedi del partito, proponendo addirittura un “codice etico per gli operatori di partito”. In un consiglio nazionale del partito Martinazzoli raccontò di aver visto piangere un suo amico, operaio e democristiano, a causa dei “ladro” gridati dai leghisti al suo indirizzo e di altri dc e da questo episodio trasse uno straordinario programma politico: “noi i democristiani non dobbiamo farli piangere più”. La Dc non si salvò dal crollo della Prima Repubblica eppure grazie a Martinazzoli molti democristiani non piansero più ma ritrovarono la voglia e il coraggio, seppur con modalità diverse, di impegnarsi in politica.

Anche io fui un giovane dc che non pianse più. Una volta dopo l’ennesimo arresto e dopo l’ennesima batosta elettorale scrissi una lettera al segretario della Dc, una sorta di piccolo sfogo e di incoraggiamento per la sua azione. Non mi aspettavo risposta eppure qualche giorno dopo mi giunse una lettera da Roma: era la risposta di Martinazzoli. Il segretario di una malandata Dc rispondeva ad un ragazzino delle scuole medie e lo ringrazia e lo incoraggiava.

La morte di Martinazzoli è una grande perdita per il Paese e per la politica italiana, ma se permettete è anche un dolore e personale:  se n’è andato uno strano pezzo importante della mia giovinezza.

Ciao Mino e grazie ancora per la risposta.

 

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Il coraggio di essere liberi. In memoria di Libero Grassi.

postato il 29 Agosto 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Vent’anni fa,  alle 7.45 del 29 agosto 1991, cinque pallottole mettevano fine alla vita di Libero Grassi, l’imprenditore palermitano che non si era piegato al racket . Il piombo mafioso non poté però arrestare il percorso di liberazione che Libero Grassi aveva avviato con la sua coraggiosa denuncia della violenza mafiosa: dopo Grassi tanti altri imprenditori e commercianti hanno trovato il coraggio di ribellarsi al giogo delle estorsioni ,la magistratura ha iniziato ad indagare gli imprenditori che non denunciano i propri aguzzini, e qualche associazione produttiva ha preso l’iniziativa di espellere gli iscritti accusati di connivenza. E’ cambiato tanto in Sicilia da quel terribile mattino di fine agosto, ma c’è ancora tanto da fare perché in troppi non riescono ad uscire dall’incubo del pizzo. Ricordare Libero Grassi significa dare luce a quanti ancora sono avvolti nelle tenebre della violenza e della paura, significa ricordare a tutti e a ciascuno che libertà, coraggio e onestà possono cambiare Palermo, la Sicilia, l’Italia e il mondo intero. Ecco perché vale la pena rileggere e tenere sempre presenti le parole nude e forti, rivestite dell’ironia dei miti, che l’imprenditore palermitano rivolse ai suoi aguzzini dalle pagine del Giornale di Sicilia il 10 gennaio 1991:

Caro estortore

Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al ‘Geometra Anzalone’ e diremo no a tutti quelli come lui.

 

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Da Madrid a Rimini: “Non abbiate paura del mondo e del futuro”

postato il 26 Agosto 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Sembrano essere loro due gli unici fari di un mondo che ha perso la bussola: il pontefice della Chiesa Cattolica, vicario di Cristo, e il presidente della Repubblica Italiana, simbolo dell’Unità nazionale. Due uomini con alle spalle un lungo cammino di vita confermatosi un cammino ricco di esperienze, di ragione e libertà. Ambedue circondati dai giovani, ricercati dai giovani, giovani essi stessi nella forza delle loro parole ricche di speranza.

Il presidente Napolitano cita Roosevelt e desidererebbe aprire il Meeting con la celebre frase del presidente americano al lancio del New Deal :” L’unica cosa di cui aver paura ora è la paura stessa”, ma sa che non bastano queste parole di fronte all’”angoscioso presente in cui la crisi ha gettato l’Italia”. E allora si rivolge ai giovani e lo fa senza tanta filosofia e giri di parole ma in modo chiaro, diretto e concreto, puntando il dito contro un governo che “forse ha esitato troppo a riconoscere la criticità della nostra situazione e la sua gravità effettiva dominato dalla preoccupazione di sostenere la validità del suo operato” e verso gran parte dell’opposizione che arroccata nei suoi pregiudizi e nelle sue omissioni non ha saputo portare il cuore oltre l’ostacolo e creare lo spirito di un’unità nazionale per costruire qualcosa insieme per il bene dell’Italia. E’ necessario avere maggiore oggettività, più misura nei giudizi, maggiori aperture e iniziare un cammino serio di riforme autentiche per rilanciare lo sviluppo, in primis con la lotta alla grande evasione fiscale, l’innovazione, la sussidiarietà. Creare un nuovo “Io” per lo sviluppo . E anche se il futuro ci appare come un gigante in una nebbia di interrogativi e dubbi, come un delicato vaso di cristallo o alabastro ripieno di tutti i nostri desideri, sogni, ambizioni a cui il volo è bloccato da un ruvido tappo, non dobbiamo perdere la speranza perché il futuro si costruisce! Ed il futuro ci serve a costruire il presente con veri progetti di vita e appartiene a coloro che credono alla bellezza dei propri sogni.

Questo è stato il messaggio del presidente lanciato ai giovani del Meeting di Rimini, un luogo di amicizia per costruire la pace, la convivenza, l’amicizia tra i popoli. Tutto ha inizio alla fine degli anni ’70, Tra alcuni amici che condividono l’esperienza cristiana, nasce il desiderio di incontrare, conoscere e portare a Rimini tutto quello che di bello e buono c’è nella cultura del tempo. Da allora ogni anno arrivano i grandi personaggi della politica, rappresentanti di religioni e culture, intellettuali e artisti, sportivi e protagonisti dello scenario mondiale. La cultura al meeting si esprime come esperienza, originata dal desiderio di scoprire la bellezza della realtà. Tutto questo nei sette giorni dell’appuntamento che è diventato negli anni il festival culturale più frequentato al mondo: si sfiora il milione di presenze, 20 nazionalità, 4.000 giovani volontari, 130 incontri, 250 relatori, 8 mostre, 35 spettacoli, 10 eventi sportivi, 170.000 mq allestii ogni anno. Tutto nato dal carisma e dalla fede di uomo che si chiamava Luigi Giussani e dalla speranza di scoprirsi amante della Bellezza, della Verità, della Giustizia aprendosi alla dinamica dell’infinito nella consapevolezza che la vita cristiana non è un’idea, un ideologia, un moralismo o un sentimento ma un fatto, una storia, la storia del mistero di Cristo che rende unica la nostra realtà e che ci coinvolge integralmente in ogni aspetto della nostra vita . La storia di un Dio che ha assunto volto umano e non ci ha fatto brancolare nel buio, di un Infinito che si è reso finito giungendo al nostro stesso atteggiamento di uomo, ricco d’amore e abbracciandoci sulla croce.

 

Per approfondire:

-L’intervento integrale del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Meeting di Rimini, 21/08/2011

http://www.meetingrimini.org/news/?id=676&id_n=11231

-Il sito ufficiale del Meeting di Rimini

http://www.meetingrimini.org/

-Il recente sito dedicato alla raccolta di tutti gli scritti di Don Giussani, per chi desiderare meglio capire l’esperienza e amicizia Cristiana di Comunione e Liberazione

http://scritti.luigigiussani.org/controls/avvertenza.aspx


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“Ci battiamo per l’anima della Nazione”. Ricordando Alcide De Gasperi.

postato il 19 Agosto 2011

Il 19 agosto del 1954 si spegneva Alcide De Gasperi.  A distanza di cinquantasette anni la sua lezione umana e politica è ancora valida ed attuale e desideriamo ricordarlo dalle nostre pagine dando nuovamente spazio alle sua parole che profeticamente tracciavano l’anatomia di un Partito della Nazione.

Ci battiamo per l’anima della Nazione

Anche oggi, amici, ci battiamo per l’anima della Nazione e per vincere questa battaglia abbiamo bisogno che in mezzo a questo popolo martoriato e quasi schiacciato dai problemi economici ma pur sempre assetato di idee e di ideali, si elevino al disopra delle cure quotidiane, gli uomini del pensiero, dell’arte, i cultori della poesia, gli araldi della scienza.

Ci fu un tempo in cui la democrazia delle arti e mestieri venne accompagnata da un’aristocrazia di artisti e di pensatori. Non si deve credere che il regime democratico si esaurisca nei piani quinquennali o dodecennali di produzione agricola e industriale, che le fonti energetiche indispensabili alla nostra rinascita debbano essere ricercate solo nelle acque defluenti dai nostri ghiacciai o fra i gas della terra; bisogna, amici, scavare più a fondo ancora, nella intimità degli spiriti, negli abissi misteriosi della moderna anima. agitata e s esso travolta, e cercarvi le sorgenti primitive della nostra si fonderle e conciliarle con le esigenze e con le aspirazioni del regime libero.

Certo la democrazia moderna avrà pochi cortigiani e scarsi mecenati; ma può offrire ai pensatori e agli artisti lo spettacolo della solidarietà consapevole, il respiro della libertà morale e sopratutto il senso della fraternità sociale.

Io penso che questo senso sia l’aspirazione più viva dell’anima popolare.

Il Machiavelli ci insegnò come governare; Frate Savonarola come governare e come morire. In questa dura campagna troppi predicarono odio, l’odio della demolizione o l’odio della vendetta. Ma il popolo

italiano ha bisogno di fraternità e di amore. Tutti ne abbiamo bisogno, i milioni di poveri che reclamano un’opera di redenzione sociale, appena cominciata; i milioni del ceto medio che mantengono a fatica, nelle accresciute esigenze, il decoro della vita; i milioni di giovani contesi e straziati da opposte fazioni. Più amore, più fraternità, più pace.

Con questo arcobaleno vorrei chiudere la mia fatica elettorale. Quando, migliorando il tenore di vita dei miseri, avremo fatto un passo definitivo verso la giustizia sociale; quando, nell’ordine e nella libertà, avremo sprigionato tutte le sane energie popolari, allora, o democrazia italiana, in questa atmosfera rinnovata dalla solidarietà cristiana, sorgerà anche il grande artista della tua epoca, interprete del sentimento che ti ispira e ti muove; il pennello farà allora risplendere ancora la luce del Suo volto nel Cenacolo ed il sorriso del Suo amore Divino*.

Alcide De Gasperi

*A.DE GASPERI, Nel Partito popolare italiano e nella Democrazia cristiana, Roma, Cinque Lune, 1990, Vol II, pp.493-502.

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Un anno senza Cossiga

postato il 17 Agosto 2011

Esattamente un anno fa Francesco Cossiga si spegneva al Policlinico Gemelli di Roma in una calda giornata agostana. A distanza di un anno in pochi hanno sentito la necessità di ricordare questo politico di rara intelligenza e di grandi doti umane e politiche, forse perché Cossiga rimane un personaggio scomodo avendo egli avuto la rara qualità di dire e di fare sempre quello che pensava e sentiva. Prezioso il ricordo di Enzo Carra che si chiede cosa avrebbe detto oggi Cossiga, davanti alla crisi economica e soprattutto alla manifesta incapacità politica di coloro che in situazioni difficili scelgono di non scegliere. Cossiga visse momenti ben più difficili e dolorosi di quello che noi stiamo vivendo e ricordava che i suoi capelli bianchi e le macchie sulla pelle erano dovuti proprio a questi travagli del Paese che diventarono i suoi personali, eppure egli seppe sempre scegliere, seppe prendersi le sue responsabilità fino alle estreme conseguenze. Francesco Cossiga concepiva la politica come l’arte di saper prendere delle scelte ma considerava anche doveroso essere responsabili di queste scelte. Ricordare oggi Cossiga significa invitare la classe politica tutta, in specie quella che ha compiti di governo, a saper fare delle scelte e a sapersi assumere la responsabilità di queste avendo come unico criterio il bene del Paese e la salvaguardia della Repubblica.

Adriano Frinchi

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