Tutti i post della categoria: Spunti di riflessione

Partecipazione, la scommessa per il futuro

postato il 21 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carlo Lazzeroni

Il tema della “partecipazione” mi affascina molto da quando, ormai dieci anni fa, frequentando il Master in Analisi Politiche Pubbliche ho avuto la fortuna di conoscere quel filone di studio e di “pratica” della forma di democrazia, definita deliberativa / partecipativa e il suo massimo esponente in Italia, il prof. Luigi Bobbio. A queste teorie e pratiche io mi riferisco quando si parla oggi di partecipazione alle scelte pubbliche, seguendo appunto quanto già sperimentato da tempo negli Stati Uniti (dove questa metodologia è nata) e in molti altri paesi anglosassoni e del Nord Europa, dove di fronte a delle scelte pubbliche, si avviano processi di inclusione dei cittadini e/o dei vari attori portatori di interesse, per arrivare a decisioni più ampiamente dibattute e condivise.

Questo nuovo e maturo “approccio” democratico nella gestione della cosa pubblica, mi pare ancora più utile nel nostro paese per tre motivi: – il crescente movimento di cittadini e comitati frutto della sindrome Nimby (dall’inglese Not In My Back Yard, che significa “Non nel mio cortile”), di fronte ad ogni tipo di opera proposta sul territorio; – una classe politica sempre meno autorevole e all’altezza di guidare democrazie sempre più complesse; – un crescente interesse dei cittadini, specialmente i più giovani che, con la rivoluzione tecnologica godono di un accesso di informazioni molto più elevato rispetto al passato, vogliono sempre più essere protagonisti delle scelte che riguardano il bene comune e la società, anche quando non direttamente “nel proprio giardino”. E’ infatti assodato che nelle nostre democrazie, ogni intervento di un certo impatto economico, ambientale o sociale che sia, provoca scontenti e potenziali “conflitti” sul territorio coinvolto. E se un tempo era relativamente facile assolutizzare l’interesse generale dichiarando, per esempio, una certa opera «di interesse nazionale» e troncare così le possibili opposizioni, liquidandole come espressioni localistiche, particolaristiche o miopi, oggi questa operazione risulta molto più complicata.

Di fronte a tutto questo sicuramente non basta più lo slogan “Sono stato eletto e devo governare!”, così come insufficiente appare l’approccio tradizionale: io Autorità decido una cosa (ad esempio il sito di un impianto di smaltimento dei rifiuti o il passaggio di una autostrada) con criteri tecnici e poi cerco di mostrare la bontà di questa scelta alle comunità locali e ai cittadini. Questi quasi sicuramente daranno vita a comitati che protestano, si oppongono e bloccano l’opera. Da lì si cercherà di negoziare e correre ai ripari, ma ormai è troppo tardi. L’approccio della democrazia partecipativa invece si basa sullo “Svegliar il can che dorme”, cioè non nascondere le criticità di un progetto, coinvolgendo direttamente e fin dall’inizio le comunità locali, gli attori più coinvolti e i cittadini nei criteri di scelta. La regola principe dovrebbe essere: non mettere più la gente di fronte a una soluzione, metterla di fronte al problema, espresso bene da uno studioso del tema con queste parole: “Guardate che il problema in questi casi, non è quello di trovare un sito, come luogo fisico, bensì una comunità che sia disposta ad accoglierlo”.

Questi concetti stanno dentro un principio che dovrebbe essere fondamentale nelle nostre società moderne e cioè che i cittadini che subiscono degli impatti (ambientali, sociali, economici) dovrebbero essere rappresentati nei processi decisionali. “Nessun impatto senza rappresentanza” che, in fondo, è una parafrasi del principio: no taxation without representation, all’origine del parlamentarismo moderno. Anche in Italia ormai dalla fine degli anni ’90 ci sono stati diverse sperimentazioni e applicazioni di queste teorie. E’ la Toscana però la prima regione in Italia e al Mondo che ha deciso addirittura di dotarsi di un’apposita legge, la 69 del 2007. Legge che, attraverso la costituzione di un’Autorità regionale per la partecipazione (indipendente) mira a promuovere sia in generale, sia su tematiche specifiche e locali, il coinvolgimento dei cittadini nelle politiche pubbliche. Io avevo mostrato delle perplessità sulla necessità di un’apposita norma in materia. A distanza di quattro anni e di un bel po’ di esperienze e progetti finanziati dalla legge (86 di fronte a 164 richieste pervenute), si deve però riconoscere che la nostra regione può a buon diritto rivendicare l’esperienza più avanzata in Italia e una delle più avanzate in Europa in questo tipo di “approccio” democratico.

Rimane però un punto critico secondo me molto importante: la pratica partecipativa come l’abbiamo finora intesa non è stata ancora sperimentata in nessun progetto a forte criticità e rilevanza sul territorio. E se è vero che ogni progetto di partecipazione messo in piedi arricchisce comunque il capitale sociale di un territorio e quindi della società, credo che molto della sfida futura della democrazia partecipativa (e della stessa sopravvivenza della legge) si giocherà sulla riuscita applicazione del processo partecipativo su qualche opera importante, anche per superare le evidenti difficoltà, come dicevo prima, della “democrazia rappresentativa”. Che non è e non dovrebbe sentirsi in contrapposizione con questo “nuovo” approccio, visto che quasi sempre è proprio la politica e gli amministratori a rimanere protagonisti, perché sono loro a scegliere, su un certo tema, di dare vita ad un percorso di maggiore inclusione della popolazione.

L’ha capito bene il sindaco di Firenze, Matteo Renzi che, pur avendo un profilo di politico decisionista da “uomo del fare”, con le due edizioni dell’iniziativa “100 luoghi”, ha dato vita contemporaneamente a cento assemblee strutturate per ascoltare e coinvolgere i cittadini, su cento spazi della città da trasformare, immaginare e costruire. Quella di Renzi è un’iniziativa che mette in campo principi e metodi della “partecipazione”, seppure in forma estemporanea (una giornata) e con effetti un po’ da spot (non a caso non è uno dei progetti finanziati dalla legge regionale), ma al confronto con gli altri amministratori, il sindaco di Firenze appare un rivoluzionario. Tornando alla legge regionale sulla partecipazione, credo invece che il percorso intrapreso in questi mesi per la costruzione di una Moschea a Firenze, faccia parte di uno di quei progetti che potrebbero essere di “svolta” sul futuro della legge. Se infatti, come credo, attraverso questo percorso “difficile” si arriverà ad una scelta condivisa, o comunque si avrà una percezione positiva sul cammino intrapreso da parte dei cittadini e di tutti gli attori coinvolti, ci saranno degli innegabili effetti positivi, utili anche per convincere i politici più scettici (quasi tutti, anche coloro che hanno proposto e voluto la legge) ad utilizzare ed investire su questo tipo di metodi democratici. Altrimenti credo che la legge sia a rischio (visto che essendo innovativa, si è data anche una scadenza naturale, il 2012, a meno di nuove scelte legislative) e questo sarebbe una sconfitta. La Moschea allora ci salverà?

 

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Riconoscimento della LIS, la Sicilia apre la strada.

postato il 20 Ottobre 2011

Per una volta la Sicilia è avanti rispetto al resto del Paese. Così se a Roma il riconoscimento della LIS si è impantanato alla Camera dei deputati, a Palermo l’Assemblea regionale siciliana ha approvato all’unanimità il disegno di legge in favore della diffusione della lingua dei segni italiana (LIS) come lingua propria della comunità degli audiolesi promosso dal deputato dell’Unione di Centro Totò Lentini. Il disegno di legge intende promuovere la lingua dei segni italiana (LIS) come strumento di ausilio e di integrazione delle comunità degli audiolesi e incentivarne l’acquisizione e l’uso, determinando in particolare, mediante un regolamento, emanato dal Presidente della Regione, le modalità di utilizzo della stessa nell’Amministrazione regionale e in ambito scolastico e universitario, nel rispetto delle rispettive autonomie. La normativa proposta mira, piuttosto che riconoscere la LIS come strumento aggregativo e di distinzione di una comunità degli audiolesi – per sua natura assolutamente eterogenea -, a considerare questo linguaggio come uno degli strumenti a disposizione per superare gli ostacoli posti dall’handicap auditivo, nella consapevolezza, peraltro, del pieno diritto di questi soggetti di imparare e scrivere correttamente la lingua italiana. L’obiettivo è, attraverso questa promozione che rivendica di anticipare, nell’ambito della competenza regionale, le determinazioni che assumerà il legislatore nazionale, quello di rimuovere, in ossequio all’articolo 3 della Costituzione, alcuni degli ostacoli che possono limitare il pieno diritto di cittadinanza degli audiolesi, fornendo loro un importante strumento di ausilio. Il ddl sulla “Lingua dei Segni” è dunque un valido strumento di integrazione per le persone audiolese e costituisce, come ha ricordato l’onorevole Lentini, ”il primo di una serie di impegni che l’Udc intende portare avanti per garantire i diritti delle persone con disabilità”.

Adriano Frinchi

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Libertà di impresa: la maggioranza fermi inconsulta marcia verso il nulla

postato il 19 Ottobre 2011

Non avalliamo perdita di tempo del Parlamento

Ai deputati del Pdl chiedo: fermatevi davanti a questa inconsulta marcia verso il nulla, basta con un’esibizione muscolare. Stiamo solo perdendo tempo. La maggioranza impone al Parlamento una questione che non avrà esito concreto. Recuperiamo serietà. Serve un’assunzione di responsabilità comune. Domani tutti i deputati dell’Udc interverranno sul voto finale del provvedimento. Noi non siamo disposti ad avallare una perdita di tempo del Parlamento su questioni che non hanno ne’ capo ne’ coda.

Pier Ferdinando

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Contro chi dovrebbero manifestare gli indignati

postato il 18 Ottobre 2011

di Marco Bigelli, Professore di Corporate Finance (Università di Bologna)

Gli indignati non dovrebbero prendersela con Draghi perché in realtà è il loro migliore amico. Il futuro dei giovani dipende infatti dalle capacità di crescita del paese, e queste sono legate alle riforme che Draghi ha sempre indicato per liberalizzare l’economia, renderla più competiti va e più meritocratica.

Non dovrebbero prendersela neanche con le banche italiane perché non hanno colpe per la crisi finanziaria attuale, che è un’evoluzione della crisi subprime nata oltreoceano e ora diventata crisi dei debiti sovrani europei a causa dell’esplosione del debito di alcuni paesi per il salvataggio delle banche e della riduzione del PIL a seguito della recessione economica.

Il debito italiano non è esploso perché non è stato necessario salvare alcuna banca, è solo sceso il PIL. Ora però anche il nostro debito è a rischio perché il mercato pensa che non riusciremo mai ad abbatterlo grazie a una robusta crescita, come invece dovremmo per il nuovo patto di stabilità europeo (secondo cui dovrebbe scendere dal 120% al 60% in 20 anni).

Fra poco potrebbe arrivare il default della Grecia e allora si dovranno salvare altre banche in Europa con ulteriore crescita del debito pubblico di alcuni paesi. Le banche italiane saranno a rischio solo se anche il debito pubblico italiano diventerà più rischioso e scenderà ulteriormente di valore, essendo molto presente nei loro bilanci.

Se i giovani indignati vogliono un futuro devono sperare che le banche italiane vadano bene e che l’Italia riconquisti la fiducia dei mercati sul suo debito pubblico. Per questo obiettivo il tempo rimasto è poco. Ogni mese che passa il debito in scadenza viene rinnovato a tassi più alti del 3-4%. Se non si riconquisterà la fiducia in fretta, si dovranno fare manovre solo per pagare il maggiore livello dei tassi di interesse, e ad ogni manovra diminuiranno le aspettative economiche future delle giovani generazioni.

In Italia gli indignati dovrebbero prendersela con chi nel paese ha generato una montagna di debito pubblico e ha soffocato la sua crescita: la criminalità organizzata, gli evasori fiscali, i pensionati baby, i finti pensionati di invalidità, i raccomandati, i politici corrotti, gli amministratori pubblici che hanno sperperato il denaro pubblico ed altri.

In conclusione, non dovrebbero andare a manifestare a Roma, o a New York ma ogniqualvolta si imbattono in uno dei soggetti che gli sta rubando il futuro.

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Chi ha paura dei cattolici?

postato il 16 Ottobre 2011
Domani a Todi personalità del mondo cattolico si troveranno per discutere del futuro dell’Italia.
Vedendo le reazioni di tanta parte della politica, una domanda si pone: chi ha paura dei cattolici?
La risposta è semplice: tutti coloro che si rallegrano di un Paese allo sfascio, e tanti nella politica, vorrebbero che tutto rimanesse come è.
E allora noi ci sentiamo di dire agli amici di Todi: grazie e avanti! 

Pier Ferdinando

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Dove sta la differenza tra indignazione e delinquenza

postato il 16 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera.

Quello che è successo oggi a Roma è terribile, incredibile e inammissibile. Una città devastata dalla furia cieca e irrazionale di un gruppo di black bloc che hanno ancora una volta dato dimostrazione della loro meschinità, della loro violenza, della loro ignoranza: la giornata di oggi resterà come una ferita profonda nella nostra storia e nella nostra memoria collettiva. Come lo sono stati gli anni 70, come lo è stato il G8 di Genova. È andata male, ma poteva andare anche peggio.

Ora che la situazione sembra essere stata riportata sui binari della normalità, restano tante domande e tanti interrogativi a cui qualcuno dovrà dare risposta (uno su tutti: come è possibile che una città come Roma possa essere messa in ginocchio da dei simili criminali?). E resta un’amara consapevolezza: che la nostra società si sta disgregando rapidamente, stretta com’è tra populismi vari e demagogie di sorta. Personalmente, non ho mai condiviso la protesta dei cosiddetti indignados, mi hanno sempre convinto pochissimo, perché ho avuto modo di ascoltare attentamente le loro proposte economiche, che, onestamente, come cura mi sembrano ben peggiore del (presunto) male che vorrebbero curare: ma mi dispiace che la loro protesta sia stata inficiata dalle azioni violente dei BB. Perché il diritto ad esprimere in libertà la propria opinione va sempre salvaguardato, stando sempre attenti a distinguere tra cittadini e delinquenti, su come vadano difesi i primi e su dove vadano sistemati i secondi.

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Ascoltare gli indignati, in galera i violenti

postato il 15 Ottobre 2011

In una società libera e democratica gli indignati si ascoltano, i delinquenti si mettono in galera.

Pier Ferdinando

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Una mattinata d’ordinaria inutilità

postato il 13 Ottobre 2011

Quella di oggi alla Camera dei Deputati è stata una giornata d’ordinaria inutilità, come le tante altre che ormai si susseguono stancamente e ininterrottamente da quando Berlusconi è a Palazzo Chigi. In un’aula abbandonata dalle opposizioni e presidiata da una maggioranza ridotta a claque mal pagata, Berlusconi si è presentato ancora una volta come alfa e omega della politica italiana e come un disco rotto ha recitato la consueta litania (i cronisti la sanno a memoria) delle riforme da fare. Un momento di rara tristezza reso ancora peggiore dalla coreografia grottesca: Bossi afflitto da una crisi di sonno, i deputati di centrodestra che fotografano i banchi vuoti della sinistra, e peones di ogni risma che animano, se così si può dire, un dibattito lunare privo di alcun senso.  La mattinata di vuoto pneumatico si esaurisce da sola, le regole parlamentari impongono però altre 24 ore di vuoto prima di votare la fiducia. Il tempo e lo spazio sembrano svaniti nell’aula parlamentare, ma l’orologio in cima al Palazzo di Montecitorio sembra con le sue lancette additare i parlamentari che abbandonano la Camera dopo la mattinata di ordinaria inutilità: “pereunt et imputantur”, le ore passano e vi vengono addebitate.

Adriano Frinchi

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Il compito dei cattolici in politica: ricercare e chiedere la sapienza

postato il 13 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Rocco Gumina

In queste ultime settimane alcuni interventi, in diverse circostanze, di Benedetto XVI, del Cardinale Angelo Bagnasco, di Mons. Mariano Crociata hanno permesso alla comunità ecclesiale italiana, all’intera società, una riflessione sui valori fondanti dell’agire politico per il servizio degli uomini, della città. Il Sommo Pontefice nel suo discorso al Bundestag (Parlamento tedesco) ha richiamato la figura del giovane re Salomone, il quale dinanzi alla possibilità di chiedere a Dio qualsiasi cosa, desidera ricevere, possedere la sapienza per poter rendere giustizia al popolo d’Israele e sapere distinguere il bene dal male. Nella nostra storia, con la nostra condizione socio-politica occorre chiedersi con fermezza quale valore possa avere questo racconto biblico: cosa significa per un politico a qualsiasi livello operi? Cosa significa questo per un cittadino? E per un credente che senso ha la scelta di Salomone? Certamente nell’Italia, nell’Europa di questo nostro tempo non ci sono più imperatori o governanti che possono ostacolare o addirittura vietare la professione della fede o più laicamente lo sviluppo integrale dell’uomo e delle comunità umane, magari minacciando la condanna a morte o la detenzione, come accadeva nei primi secoli ai cristiani. Ma forse è presente nei palazzi del potere e in diversi strati della società quella tendenza, consapevole o meno consapevole, a non colpire direttamente, ma a uccidere con i soldi, con la gestione del denaro, con la capacità di trovare in qualsiasi situazione il compromesso, il ricatto morale, il gioco al ribasso. Chiedere e ricercare la sapienza, per un politico e per un cittadino credente o non, vuol dire promuovere la giustizia, ricercare il bene comune, agire con responsabilità nei confronti degli altri e delle cose di cui si è guida o rappresentante, sostenere l’educazione integrale delle future generazioni, dare impulso alla legalità. Solo così, per dirla con La Pira, possiamo ricomprendere e vivere l’impegno politico, nei partiti o da cittadini, come un sforzo a radunare prudenza, fortezza, giustizia e carità: solo e radicalmente così possiamo ritenere che la politica non sia una cosa brutta o non seria. La politica è una cosa serissima poiché si occupa dell’uomo in vista dell’uomo. Capiamo bene, dunque, che la capacità di sapere discernere tra il bene e il male e la possibilità di promuovere la giustizia per la propria gente sono realtà molto gravi e urgenti in tutti i tempi, specialmente in questa ora.

Ecco perché il Cardinale Angelo Bagnasco afferma, all’apertura dell’ultimo consiglio permanente della CEI, che c’è bisogno di purificare l’aria, di dare la scossa, di imprimere il cambiamento in un contesto che appare come uno stagno dove l’acqua è immobile e puzza. Ovviamente il “solo” riscontrare lo stato delle cose non sostiene la svolta, ma aiuta a capire che c’è un’Italia che vuole tornare a faticare, a chiedere la sapienza, a credere al futuro della nostra splendida penisola, mettendo da parte lo scontro e un linguaggio e dei modi da società incivile, per reggere nel futuro e nel presente riscoprendo l’austerità, la sensibilità per la verità, la moderazione, l’equilibrio, la forza e dei partiti (che vanno riformati e dunque rinnovati dall’interno) e dei movimenti civici (i quali non possono e non devono supplire al ruolo dei partiti nella nostra società), delle associazioni laiche e cattoliche.

I cattolici impegnati sia nella politica che nella società sono, quindi, interpellati per continuare a servire la nostra Italia con sapienza e con la capacità di distinguere il bene dal male, potendo sostenere un’idea di centro intesa non come luogo politico equidistante da destra e sinistra, ma come area in grado di avere una rinnovata visione per lo sviluppo del nostro Paese basandosi sulla Dottrina sociale della Chiesa, in grado di ritrovarsi insieme non solamente per le “battaglie” di natura etica, ma anche per molto altro, in grado di non essere autoreferenziale, ma capace di attrarre altre e diverse forze politiche e sociali. Cattolici che devono cominciare o tornare ad essere portatori di quella verità politica che continua ad esistere anche se un voto a maggioranza neghi l’evidenza, poiché la verità, anche se sconfitta per qualche voto, continua a svolgere la sua funzione. E bene ha fatto mons,. Mariano Crociata, nella conferenza finale del consiglio permanente della CEI, a ribadire che i vescovi italiani non hanno alcuna intenzione di sfiduciare questo governo per promuoverne altri, ma hanno invece la più radicale convinzione di sorreggere un cammino di rinnovamento morale nella società e quindi anche nella politica in Italia.

La crisi economica, accentuatasi maggiormente nei mesi estivi, ci ha mostrato ancora una volta che i problemi si possono risolvere con una buona politica, e che oggi nel nostro Paese abbiamo disperatamente bisogno di vera politica che guardi con attenzione ai giovani e alle famiglie, che eviti le improvvisazioni e i tentativi, solo giornalistici, di spallata o di cambiamento. Abbiamo bisogno di uomini e di donne, di cittadini italiani, di credenti e non, i quali osino chiedere e ricercare la sapienza per ben servire la comunità con giustizia.

 

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Seguite il vostro cuore e il vostro intuito: l’insegnamento dei premi Nobel

postato il 11 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Ellen Johnson Sirleaf (nella foto) ha 72 anni ed è la prima donna presidente dell’Africa. Eletta nel 2005 in Liberia dopo un impegnativo confronto con l’ex calciatore del Milan George Weah e l’ex signore della guerra Prince Johnson – famoso per un video in cui beve birra mentre sotto i suoi occhi i suoi accoliti tagliano le orecchie al presidente dittatore Samuel Doe – è stata insignita del premio Nobel per la Pace 2011. La sua attività si concentrò da subito sulla riabilitazione materiale ed economica di un paese dilaniato da anni di guerra civile e sui diritti delle donne, che erano stati al centro della sua agenda politica fin da quando, giovanissima, si era separata dal marito che era stata costretta a sposare a 17 anni. Con lei sono state insignite dell’onorificenza anche la compatriota Leymah Gbowee, una militante pacifista che costrinse il vecchio regime militare liberiano a un tavolo di trattativa di pace con un’idea antica che già ritroviamo nella “Lisistrata” di Aristofane: lo sciopero del sesso. A completare la terna delle donne premiate è Tawakkol Karman, l’attivista yemenita leader della protesta contro il regime di Abdullah Saleh, 32 anni come gli anni del presidente al potere. Questo Premio Nobel è davvero un riconoscimento a un continente che negli anni più recenti continua a ribellarsi alle catene che ne imprigionano il cuore in una lunga rivoluzione in cui le donne svolgono un ruolo da vere protagoniste: è il caso della Primavera Araba, dove l’egiziana Esdraa Abdel Fattah ha avuto un ruolo fondamentale su facebook e twitter nella gestione del movimento 6 aprile corso in piazza Tahir a chiedere le dimissione del governo Mubarak nella terra dei faraoni dove un’altra donna, l’attivista Bothaina Kamel, aspira a governare il suo paese, la primadopo Cleopatra . E’ il caso dell’Arabia Saudita dove le donne – che per legge non possono muoversi senza l’autorizzazione del marito o del parente maschio più prossimo e non hanno diritto di prendere la patente – si sono messe alla guida per le strade di Riad. E’ il caso di Wangaari Mathai, la prima donna centrafricana a laurearsi, la biologa fondatrice del Green Belt Moviment per lo sviluppo sostenibile e la difesa ambientale, di cui ricordiamo la recente scomparsa.

Lunedì, con il riconoscimento in campo economico, si chiuderà la settimana dei Nobel. Per me, anche se in diverse occasioni più o meno recenti mi è capitato di restare perplesso e interdetto per alcune scelte degli accademici, la settimana dei Nobel corrisponde a una scarica di adrenalina pura in cui volgere gli occhi a quanto di grande e bello può scoprire e costruire l’ingegno umano.

Mi commuovo con Tomas Transtromer,lo psicologo che continua a scrivere e a suonare il pianoforte nonostante la mano destra immobilizzata dall’ictus. Un simbolo dell’ermetismo svedese e del suo silenzio nordico, mistico e versatile e un grande amico del nostro Mario Luzi.

Volo trascinato dalla fantasia nei campi della mente grazie al chimico israeliano Daniel Shechtman e a suoi quasi-cristalli, mosaici affascinanti riprodotti a livello degli atomi che non si ripetono mai periodicamente , reticoli geometrici che la mente umana e i limiti della matematica definiva impossibili ma che ora sono stati rintracciati non solo in laboratorio ma anche in natura. Spalanco le mie ali del pensiero ancora più in alto grazie ai fisici Perlmutter, Riess e Schimidt e i loro studi cosmologici sull’entropia e l’espansione dell’universo.

Penso a un futuro migliore grazie ai dottori Beutler, Hoffman e Steinman e ai loro studi sull’interazione tra sistema nervoso e immunologico che aprono allo sviluppo di una nuova generazione di vaccini basati non più sugli anticorpi ma sulle cellule stesse.

Questi uomini e queste donne, ognuno impegnandosi nel suo campo, hanno in comune una cosa: lo stupore e la contemplazione della realtà, la capacità di volgere la mente e il cuore in un universo dalle mille forze e dalle mille bellezze per migliorare ed educare l’uomo e quindi aiutarlo ad entrare nella sua umanità spesso dimenticata. Uomini che hanno dedicato anni della loro vita spesso con grandi sacrifici personali alla ricerca e al loro ingegno e che hanno lasciato un segno nell’umanità. Uomini come Steve Jobs.

Il vostro tempo è limitato, quindi non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro. Non lasciatevi intrappolare dai dogmi – che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altri. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui lasci affogare la vostra voce interiore. E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore ed il vostro intuito. Loro sanno già quello che voi volete veramente diventare. Tutto il resto è secondario. Siate affamati. Siate folli.  (Steve Jobs).

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