Tutti i post della categoria: Riforme

Agenda Digitale trasformerà il Paese

postato il 11 Ottobre 2012

di Giuseppe Portonera

Su questo blog abbiamo ripetuto più e più volte che Agenda Digitale è la tra le più importanti pietre miliari da posare, per costruire un Paese più efficiente, rapido e moderno (abbiamo anche cercato di spiegare perché un kilometro di banda larga è preferibile a un kilometro di autostrada). Una rivoluzione digitale, infatti, sarebbe portatrice di nuovi shock positivi per l’economia, favorirebbe una maggiore inclusione sociale, garantirebbe un livello più alto di trasparenza e controllo. I nostri rappresentanti in Parlamento hanno sempre operato in questa direzione, cercando di rilanciare un’opera di mediazione e collaborazione tra le varie forze politiche, nel tentativo di varare il prima possibile un provvedimento per Agenda Digitale. Il Governo attuale, dopo qualche tentennamento di troppo, ha finalmente deciso di compiere un primo, importante passo in avanti, varando la sua Agenda Digitale. Da ciò che è filtrato (siamo ancora in attesa di leggere il testo del decreto), si tratterebbe di un documento molto interessante, ricco di proposte e progetti accattivanti, che potrà sicuramente essere migliorato al momento della sua conversione in legge, ma che rappresenta – prima di tutto – una vittoria “culturale”, perché denota un cambio di mentalità: finalmente, in mezzo a tante manovre emergenziali per affrontare la crisi (principalmente tasse e tagli) si sceglie di varare un provvedimento del genere, che molto può fare sul versante della crescita.

Il Premier Mario Monti, presentando venerdì scorso il pacchetto, aveva giustamente sottolineato che «Agenda Digitale è un modo per trasformare il Paese», attraverso la circolazione del sapere, la condivisione delle informazioni, la connettività, i servizi digitali al cittadino, che sono «le basi per recuperare il gap tecnologico paese». Le norme, quindi, «puntano in modo ambizioso a fare del nostro Paese un luogo nel quale l’innovazione sia un fattore di crescita sostenibile e produttività delle imprese». Non è un caso se qualcuno ha ribattezzato questo provvedimento come “TrasformaItalia”, e anche gli esperti del settore (come l’ex direttore di Wired, Riccardo Luna) si sono espressi favorevolmente. L’Agenda Digitale del Governo recepisce molti dei suggerimenti e delle intuizioni che noi avevamo avuto nei mesi precedenti: il capitolo sulle Start Up sembra ben fatto, dalla definizione dei caratteri di “impresa innovativa” (sostenere spese in ricerca e sviluppo in misura pari o superiore al 30 per cento del maggiore tra il costo e il valore della produzione; impiegare personale altamente qualificato per almeno un terzo della propria forza lavoro; essere titolare o licenziataria di una privativa industriale connessa alla propria attività) alle misure da attuare in caso di loro fallimento (dato l’alto rischio imprenditoriale, si congelerebbe solo la parte di patrimonio necessaria a ripagare i creditori, senza gravare ulteriormente sulle disponibilità personali dell’imprenditore). Ben congegnate sono anche le novità elaborate su Sanità Elettronica e Giustizia Digitale: vengono introdotti l’Unico Documento Elettronico – che unificherà carta d’identità e codice fiscale – e il fascicolo sanitario elettronico, e accelerate le procedure per prescrivere farmaci via telematica (con risparmi consistenti sui tempi burocratici); mentre tutte le comunicazioni di cancelleria, in tribunale, dovranno avvenire per via telematica all’indirizzo di posta certificata. Viene poi normato, per la prima volta, il crowdfunding, un sistema di raccolta di denaro “dal basso” che sarà regolato e monitorato, e che amplificherà quindi tutele e diritti di chi oggi semplicemente si affidava alla propria buona fede e alla voglia di “donare” risorse.

Certo, lo dicevamo su, il testo del Governo potrà e dovrà essere integrato, migliorato. Alcuni suggerimenti: innanzitutto, deve essere prevista una tassazione agevolata per il commercio dei cosiddetti beni digitali (l’Udc aveva proposto di fissare l’IVA al 4%). Poi – visto che il Ministro dell’Innovazione digitale è lo stesso che ha le deleghe all’Istruzione e alla Ricerca – bisogna programmare una riforma dell’insegnamento dell’informatica nelle nostre scuole (abbiamo bisogno di creare tecnici e professionisti digitali). Infine, come fatto rilevare anche dalla FNSI, si fa sentire la mancanza di una norma che introduca nell’ordinamento italiano i principi di trasparenza del Freedom Of Information Act (FOIA), che permette a ogni cittadino (non soltanto a chi abbia un interesse diretto e personale nella materia) di avere accesso ai dati sull’attività pubblica di ogni tipo e livello. Confidiamo dunque nel Parlamento, che ha già dimostrato grande sensibilità sul tema: Agenda Digitale può davvero trasformare il Paese. Non buttiamo via un’occasione come questa.

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Interventi del governo segnale forte per moralità

postato il 5 Ottobre 2012

Solo l’Udc votò contro questo federalismo pasticciato

Gli interventi contro la corruzione e contro i costi della politica sono un segnale forte verso una moralità che va recuperata non con le parole ma con i fatti. Il Governo ha fatto due cose importanti: la legge contro la corruzione, che va approvata subito senza ulteriori perdite di tempo, e gli interventi contro i costi della politica. Solo noi dell’Udc avevamo sostenuto che questo federalismo confuso e pasticciato, creato dalla riforma del Titolo V della Costituzione e poi dagli interventi del Governo Berlusconi, avrebbe portato ad una de-responsabilizzazione dei centri di spesa. I fatti, purtroppo, ci hanno dato ragione. Ed ora l’unico modo per buttare lontano da noi il sospetto, e respingere la corruttela di ladri che ci sono nella politica, è fare riforme incisive oggi e subito.

Pier Ferdinando

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Trasparenza: unico antidoto agli scandali della politica

postato il 25 Settembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

Non c’è cosa più brutta che aprire il giornale e trovare le pagine dedicate alla politica piene di parole come scandali, truffe e malaffare. I soldi pubblici, i soldi dei cittadini italiani, usati per rimpinguare le casse personali di consiglieri, assessori o parlamentari, fatture false per arricchire le tasche di pochi furbi ai danni della collettività e soldi sprecati in feste e festini in cui sembra quasi lecito pensare al “bere comune”, piuttosto che al Bene comune.

Non è questa la politica che mi piace e non è questa la politica di cui il nostro Paese ha bisogno. L’Italia ha bisogno di onestà: è l’unico antidoto per questo triste vortice in cui l’amministrazione pubblica sta precipitando.
Per questo motivo, è bene sottolineare la nascita di  iniziative che  vertono in questo senso, che promuovono la trasparenza nell’amministrazione pubblica:la nascita di un Anagrafe pubblica delle proprietà immobiliari della città capoluogo d’Italia, per esempio. Sarà una vera e propria “rivoluzione della trasparenza”, per utilizzare le parole del capogruppo UdC al Comune, Alessandro Onorato, autore della proposta di delibera, approvata all’unanimità lo scorso 20 settembre.
L’Anagrafe sarà pubblica e facilmente consultabile sul sito del comune (nella sezione “Trasparenza”, appunto), in modo che, con un semplice clic, tutti i cittadini potranno venire a conoscenza di tutte le caratteristiche dell’immobile di proprietà del Comune: l’indirizzo completo (compreso il piano) il valore catastale, i metri quadrati di superficie, la destinazione d’uso, il tipo di locatario (persona fisica o giuridica, associazione no profit, pubblica amministrazione), il canone mensile di affitto, le eventuali morosità.
Un passo avanti per avvicinare i cittadini alla politica, per renderli partecipi e più vicini all’amministrazione, ma anche per rendere più consapevoli  gli amministratori di Roma Capitale  dell’immenso patrimonio e delle immense potenzialità che questa grande città possiede. In più, un grande esempio di semplificazione amministrativa e sburocratizzazione.
Insomma, “Cambiare davvero si può”, come dice lo stesso Onorato. L’importante è volerlo fare, per riscrivere le pagine di giornali e riempirle di queste due parole: onestà e trasparenza. 
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Sulla legge elettorale bisogna trovare un’intesa

postato il 12 Settembre 2012

Si può trattare sul premio, non sulle preferenze

Bisogna trovare un’intesa sulla legge elettorale. Siamo pronti a venire incontro al Pd sulla richiesta del premio di maggioranza alla coalizione ma per noi le preferenze sono un punto fondamentale per restituire ai cittadini la possibilità di scegliere i parlamentari. Bisogna sedersi intorno a un tavolo  e, nel giro di ottobre, arrivare con un testo in Aula. Nelle trattative si mostrano i muscoli, ma ora e’ il tempo della testa e non credo che il Pd abbia perso il senno.

Pier Ferdinando

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Per crescere non bastano le infrastrutture fisiche. Ripartiamo da Agenda Digitale e Giustizia

postato il 23 Agosto 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Forse ci siamo. Domani, il CDM tornerà a riunirsi dopo la breve pausa estiva e il tema all’ordine del giorno sarà solo uno: trovare, inventare, rendere fattibili le misure necessarie alla crescita. Dopo una lunga, forse troppo, fase 1 dedicata al rigore e all’austerità (costellata di alcune riforme riuscite bene, le pensioni, altre riuscite meno, il lavoro, altre ancora da far riuscire, la spending review) è giunto il momento della tanto attesa fase 2, quella dedicata alla crescita e allo sviluppo. Dopo l’intervista del Presidente Monti a Tempi, e gli interventi dei ministri Passera e Fornero e del viceministro Ciaccia, comincia a delinearsi la strategia che il Governo ha deciso di mettere in campo: defiscalizzare i cantieri delle nuove opere pubbliche, per invogliare gli imprenditori a impegnarsi, tagliare le tasse (ormai insostenibili) sul lavoro, ridurre ancora la spesa pubblica. Si è scelto quindi di intraprendere un cammino vecchio stampo, con la messa in opere di nuovi cantieri, che – secondo le stime dei tecnici del ministero dello Sviluppo – dovrebbero portare ad aumentare il nostro PIL di almeno 5 punti entro il 2020.

È una via solida per tornare a crescere. Eppure, forse, insufficiente. La fase 1 del Governo Monti ci ha insegnato infatti che lo sviluppo si insegue, prima di tutto, rimettendo in piedi i fondamentali della nostra economia: le riforme strutturali, infatti, hanno avuto il compito – spesso ingrato, forse addirittura truce per la rapidità dei tempi – di correggere le profonde storture e distorsioni del nostro sistema Paese. Su questa strada noi dobbiamo continuare: ok ai nuovi cantieri, ma non si può pensare che altri ponti, strade o tunnel possano bastare al nostro PIL. Più che di altre infrastrutture fisiche, noi abbiamo bisogno di un altro tipo di infrastrutture, che sono quelle che riguardano – in primis – lo spread digitale che ci separa dal resto d’Europa e la riforma della Giustizia (che come abbiamo detto e ripetuto, è la prima grande riforma economica di cui necessitiamo).

Ieri, Massimo Sideri sul Corriere, ha messo in luce il grave e colpevole ritardo del nostro Paese su Agenda Digitale, che sembra non capire che un provvedimento del genere non è un semplice palliativo ma è “una politica economica che dovrebbe fare da collante a tutto il resto” e pertanto non va approvata “«dopo» la crescita, la spending review e le politiche per l’occupazione, ma di pari passo”. Questo viene però osteggiato da due fattori: il primo, il nostro elefantiaco Stato-Moloch difficilmente accetta qualche cambiamento che potrebbe rivoluzionarlo; il secondo, il radicato pregiudizio nostro e nei nostri confronti, che ci porta a credere poco nella possibilità di usare Agenda Digitale come strategia per la crescita e che allontana da noi la possibilità di investimenti esteri. Su questo il Governo deve intervenire, con decisione, perché un’Italia veramente 2.0 garantirebbe la creazione di migliaia di posti di lavoro nel futuro, riattivando le energie migliori del nostro tessuto imprenditoriale (fatto storicamente da PMI: sarà un caso che stiano nascendo sempre più start up?).

E due. Trasporti più veloci e efficienti servono sicuramente a garantire un commercio più veloce e redditizio: ma risparmiare una, due ore di strada ci servirà sul serio, quando però un’impresa deve aspettare diversi anni per la risoluzione di una causa civile e la corruzione divora metà dei nostri fondi? Ovviamente no, e non è un caso che nell’Indice di libertà economica l’Italia si collochi solo al 92°, tra i paesi mostly unfree. Ecco perché la riforma della Giustizia è più urgente che mai, perché se non riformiamo le nostre infrastrutture giudiziarie, a ben poco varranno nuove colate di cemento: snelliamo i tempi del sistema giudiziario, riorganizziamo e razionalizziamo sul territorio le sedi giudiziarie, assicuriamo la certezza del diritto e della legge.

Perché per crescere le infrastrutture fisiche non bastano: se contiamo solo su queste, potremmo anzi ottenere un effetto contrario a quello sperato, con un aumento ingiustificato e inutile del debito pubblico. Se invece, insieme a queste, sceglieremo di intraprendere finalmente misure alternative e nuove, potremo dire di aver davvero dato il via a una “fase 2”. Non solo del Governo attuale, ma della storia del Paese.

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Non ci sono scuse contro le preferenze

postato il 11 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Raffaele Reina

Le dichiarazioni di Pier Ferdinando Casini a proposito della legge elettorale esprimono con nettezza la volontà dell’UDC di introdurre il sistema delle preferenze nella riforma in discussione. Chi è contro le preferenze non può avanzare alcuna scusa plausibile. Clientelismo,voto di scambio,corruzione, ecc. sono frutto della disonestà di esponenti poilitici spregiudicati, che possono verificarsi con qualsiasi tipo di legge elettorale.

Nei ricordi storici vi è il pensiero di Sturzo (PPI) che volle la proporzionale con preferenze nelle elezioni del 1919, perchè il sistema uninominale dei collegi era diventato fonte di corruttele e di demoralizzazione della vita pubblica, conniventi i governi giolittiani. Lo storico esponente politico lottò per l’introduzione della proporzionale anche perchè, dopo il primo conflitto mondiale, bisognava fronteggiare l’avanzare dei movimenti nazionalistici e allargare la base democratica del Paese, favorendo la partecipazione dei cittadini alla vita politica.

Questa fu la grande intuizione di don Luigi Sturzo che ebbe anche l’intelligenza e la capacità di introdurre ufficialmente i cattolici italiani,dopo il non expedit, nella vita pubblica. Sistema elettorale proporzionale con preferenze, partecipazione politica, autonomie locali rappresentavano un unicum per rafforzare la democrazia come sistema della libertà. Una intuizione quella sturziana ancora valida oggi? Per molti aspetti ritengo di sì.

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Sanità e spending review, affrontiamola seriamente

postato il 9 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

Tempi di “spending review”, di tagli alle spese inutili e di gestione oculata delle risorse. Uno dei primi settori di cui si è parlato a riguardo è stato la sanità, già vittima in passato di tagli e relative polemiche, perchè quando si parla di riduzione delle risorse in campo sanitario le proteste fioccano da ogni dove; giustamente, perchè la salute è un diritto fondamentale che deve essere salvaguardato e per il quale non si dovrebbe “badare a spese”.

Ma siamo davvero sicuri che dei tagli alla spesa sanitaria, o meglio una revisione della stessa, sarebbe così dannosa? O forse, con una miglior gestione delle risorse si riuscirebbero ad avere servizi più efficienti a minor costo per la collettività?

A mio avviso, la sanità italiana è soggetta a un forte handicap: è strettamente connessa alla politica. E’ la politica, infatti, che sceglie i vertici delle aziende sanitarie, e questo (e non solo) ha fatto si che le strutture sanitarie fosse uno dei maggiori bacini di clientele e di voti di scambio, assumendo indiscriminatamente amici e parenti, e tutele sindacali altissime, per cui chi sbaglia raramente paga. Il risultato è un alto numero di dipendenti, spessissimo sovranumerario, dove non serve, a dispetto di reparti caratterizzati da un alto carico di lavoro dove il personale è carente.

Altro annoso problema è la concezione che in Italia abbiamo avuto finora di “degenza”. Spesso si sentono pazienti che si lamentano perchè devono svolgere degli accertamenti in regime ambulatoriale quando vorrebbero farlo da ricoverati: in realtà non bisogna scordare che i posti letto sono da riservare a pazienti che hanno una patologia acuta (insorta nel giro di poco tempo) che per essere curata ha bisogno di un monitoraggio quotidiano o di farmaci che devono essere somministrati endovena; le patologie croniche, una volta instaurata una terapia efficace, possono essere tranquillamente gestite dal medico di famiglia attraverso un sistema di assistenza domiciliare: altro spinoso problema, visto che in Italia tra tempi burocratici e scarsità delle risorse non si ha un sistema di assistenza domiciliare efficiente, cosa che consentirebbe di ridurre la necessità di posto in casa di riposo, RSA e altri sistemi di degenza non ospedaliera, spesso esosi sia per il cittadino che per lo stato, togliendo oltretutto il diritto del paziente di restare nella sua casa e fra i suoi cari.

I ricoveri impropri, tuttavia, sono una brutta realtà e, oltre a rappresentare uno spreco di risorse pubbliche, sono la causa principale dei pazienti ricoverati in barella protagonisti di tante vergognose situazioni. Un malato ha diritto ad avere un letto, ma ogni letto deve essere assegnato solo a chi ne ha veramente bisogno e soltanto per il tempo necessario. Incentivare l’assistenza ambulatoriale e domiciliare può aiutare molto a decongestionare i pronto soccorso e i reparti ospedalieri, facendo in modo che solo chi ne ha davvero bisogno ne usufruisca.

Come vedete, la sanità non è così povera come appare al cittadino, vittima di liste d’attesa chilometriche e disservizi di ogni tipo: è malgestita. Occorre un controllo oculato sulla spesa, andando a premiare le aziende che tagliano gli sprechi offrendo un buon livello di assistenza ai cittadini: si può e si deve fare, tagliando i rami secchi, sanzionando i dipendenti negligenti e spendendo solo il necessario. Ne risulterebbe di certo un risparmio di risorse ma un servizio sanitario migliore per i cittadini.

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Province, la melina del Parlamento

postato il 13 Giugno 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

È la legislatura, quella attuale, degli innumerevoli tentativi di sopprimere le province. Tentativi ormai abortiti che avrebbero potuto anche andare a buon fine, se chi a parole si professava favorevole alla chiusura degli enti intermedi avesse agito di conseguenza. La memoria corre alla  campagna elettorale 2008: anche PD e PDL per bocca dei loro candidati premier si dicevano d’accordo, ma poco o nulla è cambiato in quattro anni di attività parlamentare. L’UDC e altre formazioni che da tempi non sospetti sostengono la necessità di questo taglio insistono e in Parlamento le proposte di legge si sprecano, ma tutto è rimasto uguale per l’ostilità dei partiti maggiori che assieme alla Lega evidentemente non vogliono mettere mano all’ordinamento territoriale della Repubblica.

Una cronistoria incessante di iniziative respinte o rimandate, prima perché bisogna aspettare l’intervento del governo, poi perché le Commissioni chiedono più tempo per valutare. Di rinvio in rinvio, le province sono ancora tutte lì. I tentativi per abolirle del tutto, modificando la Costituzione e trasferendo le competenze a comuni, regioni e città metropolitane, come vorrebbero UDC e Italia dei Valori, non hanno trovato il favore delle altre forze politiche. Così il compromesso è stato un modello di razionalizzazione sotto l’egida del governo Monti, che sul finire del 2011 ha inserito nel decreto “Salva-Italia” una “road map” per il riordino amministrativo: procedere per accorpamenti, stabilendo come numero minimo di abitanti la soglia di 400mila unità e la trasformazione delle province in enti di secondo livello, con l’organo assembleare e il Presidente eletti dai sindaci e consiglieri comunali del territorio (proprio in questi giorni il disegno di legge presentato dal premier Monti e dal ministro Cancellieri è in discussione alla Commissione Affari costituzionali della Camera).

Ma l’impressione è che si pensi a tutto meno che a fare presto. Una serie infinita di dettagli, valutazioni, continui stop and go frena l’iter di questo provvedimento. Il Parlamento, luogo della rappresentanza e delle decisioni, non riesce a dare una risposta chiara a questo interrogativo:quale futuro si delinea per le nostre province? L’esecutivo ha scritto nero su bianco le sue intenzioni: si tratti pure di accorpamenti ma almeno quaranta enti devono essere chiusi con le nuove regole dettate nel decreto cosiddetto “Salva-Italia”. Ora che la posizione del governo è chiara e ora che tutte le proposte di abolizione o razionalizzazione sotto i 500mila abitanti sono state respinte, al Parlamento tocca reagire. L’UDC non può che essere favorevole alle iniziative che vanno in quella direzione. Viene il sospetto che siano i partiti a fare melina, specie quelli che hanno tante poltrone locali da difendere ma che inspiegabilmente avevano inserito nei propri programmi elettorali proprio la soppressione delle province… D’altro canto però, sembrerebbe che anche il governo tarda a dare indicazioni precise, per esempio sull’aspetto costituzionale della vicenda: la denominazione provincia viene mantenuta nella carta costituzionale, oppure viene espunta dall’ordinamento? Ma siamo sicuri che un Parlamento che volesse procedere speditamente per arrivare a un’approvazione definitiva e dettagliata solleciterebbe l’esecutivo a chiarire questo punto.

Ora tutto è nelle mani della Commissione, dell’Aula e degli ufficiali di collegamento Parlamento-Palazzo Chigi. Nel frattempo le 108 province italiane attendono il loro destino.

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Per il presidenzialismo serve tempo

postato il 6 Giugno 2012

Il presidenzialismo è un sistema che caratterizza grandi democrazie ma per modificare così a fondo la nostra Costituzione serve un grande dibattito nel Paese.
Siamo in zona Cesarini e non vorrei che non si facesse quello di cui c’è bisogno: riduzione del numero dei parlamentari e una nuova legge elettorale.

Pier Ferdinando

 

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La Sardegna passa dalle parole ai fatti e dice SI: aboliamo le province

postato il 10 Maggio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

In tempo di crisi, i costi della politica sono inevitabilemente finiti sull’occhio del ciclone. Fra il populismo e la facile demagogia di chi proclama il taglio netto di tutte le spese conseguenti alla pratica politica (senza però precisare come potrà far politica un operaio o un disoccupato senza mezzi pubblici) e l’immobilismo di una classe politica ormai irrigidita su se stessa e incapace di rispondere alla richiesta di razionalizzazione e austerità che i tempi ci impongono, il dibattito si è dilungato per parecchio tempo, senza portare a soluzioni decisive.

Non dappertutto. In Sardegna, la regione dai Consiglieri regionali pagati meglio d’Italia, con 80 consiglieri regionali e 8 province per poco più di un milione e mezzo di abitanti, il dibattito non si è fermato a parole. Si è scelto di dare la parola ai cittadini, attraverso un referendum abrogativo e consultivo che riguarda appunto temi cruciali quale il numero dei consiglieri regionali e i loro compensi, l’abolizione delle province di nuova costituzione (Olbia-Tempio Pausania, Ogliastra, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias) ma anche di quelle “storiche” (Cagliari, Sassari, Oristano e Nuoro), la riscrittura dello statuto regionale tramite un’assemblea eletta dai cittadini sardi, l’abolizione dei consigli di amministrazione delle agenzie e degli enti controllati dalla regione sardegna e l’elezione diretta del Presidente della Regione attraverso candidati scelti attraverso primarie.

Ha stravinto il Sì, con percentuali oltre il 90% e con un quorum del 35% circa. E dal momento che i primi quattro quesiti, che riguardavano l’esistenza delle ultime province costituite, erano abrogativi, questo ha portato all’immediata riduzione delle province sarde da otto a quattro. Ora il consiglio regionale è impegnato a provvedere alle norme che vadano a riempire il vuoto legislativo creato dall’improvvisa abrogazione degli articoli oggetto di referendum e per dare attuazione alla volontà espressa dai sardi con i referendum consultivi.

La Sardegna, una delle regioni più colpite dalla crisi, con un’economia industriale e agro-pastorale in ginocchio e con vertenze fondamentali aperte da troppo tempo, ha dato una lezione all’Italia. Ha mostrato che rendere la politica meno costosa e più vicina ai cittadini si può, e lo si può fare in poco tempo. Occorre determinazione e buon senso. Che l’Italia, per una volta, prenda esempio, perché i cittadini hanno diritto a istituzioni meno onerose e più efficienti.

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