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Emendamento UDC alla Manovra: La grande occasione della green economy

postato il 3 Luglio 2010

 

di Giuseppe Portonera

L’Udc ha presentato un pacchetto di proposte per la manovra economica 2010, ricco di idee interessanti per il rilancio dell’economia italiano, puntando su parole d’ordine come giovani, fiscalità e famiglie e green economy. Voglio concentrare la mia attenzione proprio su questo ultimo punto, che reputo assai innovativo e condivisibile. Al giorno d’oggi la green economy può essere una risposta efficace al momento di crisi che stiamo attraversando, visto che oltre che ai benefici economici, punta la propria attenzione a ridurre anche i danni ambientali. Il nostro governo farebbe bene ad impegnarsi ad investire in questo settore, perché, come ribadito da grandi studiosi, in Italia proposte di energie alternative ed eco-sostenibili potrebbero essere un’ottima riposta all’eterno problema della dipendenza energetica. E invece, come si legge nel pacchetto Udc, questa “Finanziaria pone un enorme freno allo sviluppo delle energie rinnovabili. Il mancato acquisto dei certificati verdi da parte del GSE, infatti, costituirebbe un forte disincentivo allo sviluppo delle fonti rinnovabili, nonché un evidente carenza di garanzie per il finanziamento degli impianti”.

L’Italia è la terra del sole e l’energia che scende la cielo potrebbe essere la soluzione a tanti problemi. Basta guardare al resto d’Europa: i paesi che hanno adottato politiche coraggiose hanno tratto enormi benefici. La Germania ha creato in pochi anni un’industria delle rinnovabili con 215.000 addetti, la Spagna un’altra da ben 100.000 addetti. E l’Italia? Nel 2006 ha prodotto circa 59,7 TWh di elettricità da fonti rinnovabili, pari al 17,6% del totale di energia elettrica richiesta, con il 13,1% proveniente da fonte idroelettrica e la restante parte data dalla somma di geotermico, eolico e combustione di biomassa o rifiuti. Ciò ha fatto del nostro paese il quinto produttore di elettricità da fonti rinnovabili nell’UE-15, seppur ancora lontana dagli obiettivi comunitari previsti, che prevedono la produzione del 22% di energia richiesta da fonte rinnovabile entro il 2010. Ciononostante, negli ultimi anni la produzione rinnovabile italiana sia cresciuta molto poco o si è mantenuta pressoché stabile: a crescere è soprattutto l’energia eolica, mentre quella idroelettrica ha raggiunto una fase di saturazione del potenziale economicamente sfruttabile. Inoltre, nonostante gli incentivi, l’Italia deve anche fare i conti con numerosi ritardi legislativi e di adeguatezza delle reti di distribuzione. Nel solare fotovoltaico l’Italia offre appena 1.700 posti di lavoro, contro i 42.000 della Germania e i 26.800 della Spagna; nel solare termico, siamo a 3.000 posti di lavoro in Italia contro i 17.400 della Germania. Fortunatamente nel 2009 abbiamo assistito a un cambio di marcia e si è registrato che, complici la crisi economica, le abbondanti pioggie, la mite estate, gli incentivi statali per le rinnovabili, i maggiori acquisti dall’estero (+7,2%) e le minori cessioni (-37,6%), la produzione di energia rinnovabile è passata dal 18,54% al 22,57%, raggiungendo l’ obiettivo del 22% per il 2010. Un ottimo punto di partenza, che adesso rischia di essere vanificato dallo stop imposto ai Certificati Verdi. Per l’ANEV, infatti, la misura prevista dalla Finanziaria “abolisce, anche retroattivamente, l’unico meccanismo di garanzia del sistema di sostegno alla crescita delle fonti rinnovabili, che serve invece proprio a tutelare il mercato e ad evitare speculazioni derivanti dall’oscillazione artificiosa dei prezzi dei certificati verdi” e “comprometterebbe tutti gli investimenti in corso di finanziamento nel settore delle rinnovabili, che negli ultimi due anni è stato uno dei pochi anticiclici a consentire crescita occupazionale nel nostro Paese”. Il rischio concreto, insomma, sarebbe quello di un sicuro default finanziario per tutti coloro che si vedrebbero tagliati i ritorni economici necessari a ripagare gli investimenti effettuati. Eppure, come dicevamo su, l’energia verde è la chiave per salvare i conti pubblici dei enti locali. Qui da me, in Sicilia, molti comuni hanno scelto di intraprendere questa strada. E a buon ragione. Facciamo un esempio: sono diverse le amministrazioni a rischio di bancarotta e le più importanti città isolane, Palermo e Catania, hanno un buco finanziario gigantesco. Ecco allora cosa si potrebbe fare. Il Comune X sceglie di costruire una centrale elettrica fotovoltaica o una nuova serie di pale eoliche, anche per produrre un solo megawatt di energia (più che abbondante, se si pensa che il consumo di una famiglia media è di 3 kw). Per finanziare la costruzione, sarà necessario un prestito alla “Cassa depositi e prestiti dello Stato”, è vero: ma stavolta non servirà a costruire un parcheggio o uno stadio, ma a finanziare un investimento fruttifero, visto che si tratta di una fonte di guadagno cospicua. Al contempo, l’energia prodotta basterà per soddisfare le richieste energetiche di scuole, uffici e ospedali. E quando il debito sarà ripianato (in tempi assai rapidi), il Comune potrà continuare ad usufruire gratuitamente dell’energia rinnovabile come meglio crede. Abbiamo davanti a noi una grande occasione, non sprechiamola per favore.

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Emendamento Udc alla Manovra: Agevolazioni per le assunzioni di giovani fino a 30 anni

postato il 3 Luglio 2010

di Marta Romano

Sono stati presentati oggi, da parte dell’UDC, alcuni emendamenti alla manovra finanziaria che si appresta ad essere discussa in Senato. Tra le varie proposte, tutte molto valide e facilmente comprensibili, vorrei riflettere su una in particolare: Agevolazioni per le assunzioni di giovani fino a 30 anni.

Ormai il tempo della campagna elettorale è finito, è finito il tempo degli spot e delle trovate pubblicitarie: è giunta l’ora delle proposte concrete. Questo emendamento propone una seria opportunità di sviluppo per l’Italia e per il settore delle imprese, senza sottovalutare le ottime reazioni che l’approvazione di questo emendamento potrebbe provocare nell’ambito del giovane impiego.

Non si parla di belle parole, di quelle che si sprecano in politica, di quelle che illudono i ragazzi che però, nonostante le rassicurazioni della campagna elettorale, usciti da scuola, o dall’università, non riescono a trovare alcuna possibilità d’impiego o, nel migliore dei casi, vi è l’assunzione per un tempo determinato, al termine del quale ci si ritrova con un pugno di mosche in mano, senza alcuna certezza del futuro.

E’ la dura legge del precariato.

E allora,  perché non invertire questa tendenza, con una proposta seria e concreta, come quella portata avanti dall’UDC? Analizziamola con maggiore attenzione.

Innanzitutto, nell’emendamento è proposto un credito d’imposta, triennale (2010-2011-2012), pari a 500 euro, per ogni giovane assunto a tempo indeterminato nell’impresa. In questo modo, si ridurrebbe il grande problema della disoccupazione giovanile, e ciò non peserebbe sulle imprese, già in grosse difficoltà a causa della crisi che ha colpito recentemente i mercati.

Altra brillante proposta, è quella di sgravi contributivi del 50% dei contributi dovuti all’INPS per le imprese che assumono giovani a tempo indeterminato. Anche questa proposta avrebbe valore triennale, e rimetterebbe in moto quel meccanismo alla base dello sviluppo, inceppatosi negli ultimi anni.

In questo modo, dunque, è possibile incentivare le imprese ad assumere, a puntare su giovani e, allo stesso tempo, si pone un freno al triste problema dell’emigrazione, che vede protagonisti molti giovani, costretti a lasciare la propria Regione, o addirittura il proprio Paese, per un’opportunità lavorativa.

Forse, in questo modo, Politica e Giovani non saranno più parole distanti e distinte. Forse queste due parole possano incontrarsi su un sentiero comune: quello dello Sviluppo.

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Maturità 2010: troppe insufficienze nei temi di italiano

postato il 2 Luglio 2010

di Marta Romano

E’ apparso stamattina sul Corriere della Sera un articolo che mi ha fatto ragionare a lungo sulla scuola italiana: Maturità, che fatica scrivere in italiano.
Purtroppo, secondo gli esperti dell’INVALSI, nei licei un tema su tre è insufficiente, mentre negli istituti professionali il dato sale vertiginosamente, con otto temi insufficienti su dieci. Dati preoccupanti, che mettono in luce un triste calo della qualità dello studio, che sono l’espressione di un’evidente bocciatura del sistema scuola.
D’altronde, non c’è nulla di cui meravigliarsi, poiché questi dati rispecchiano ciò che siamo abituati a vedere ogni giorno. La repentina invasione degli sms ha portato i ragazzi a dimenticare anche le semplici basi della nostra lingua, già di per sé sottovalutate fin dalle scuole elementari. Il problema, infatti, ha origine, secondo me, nelle scuole primarie. Una maggiore insistenza sulle fondamenta della nostra lingua, sulla grammatica, sulla comprensione testuale, potrebbe far sì che si erga su di esse una buona cultura.
Inoltre, un’altra importante causa di questo progressivo peggioramento degli alunni, credo sia da ricercarsi nella prepotente affermazione di internet. Purtroppo, per causa della tecnologia, non si legge più come prima, né quotidiani, né libri. I ragazzi sono attratti molto di più da uno schermo di pc, piuttosto che da un buon libro. Ma tutto ciò non è del tutto negativo!

Sono convinta che la tecnologia sia un’arma a doppio taglio: se da un lato può distogliere i ragazzi, sempre meno interessati all’attualità, dalla vita circostante, ma dall’altro può ampliare la comunicazione, spronare ad interessarsi e ad informarsi oltre ogni barriera. Perciò, determinare se la tecnologia rappresenti un’innovazione positiva o negativa è molto difficile, poiché questo giudizio è vincolato all’uso che se ne fa di essa.
Infatti, sono convinta che il web possa diventare luogo di crescita culturale. Sarebbe bello scrivere di più, riempire gli schermi dei computer con idee e pensieri, e non spendere le nostre energie giovanili in passatempi che, seppur divertenti, non devono essere altro che passatempi.
D’altronde, durante la mia carriera scolastica, ho incontrato una professoressa che era solita ripetere questa frase: “La crescita e il perfezionamento delle tecniche narrative possono esserci soltanto per mezzo della pratica”. E perché non far sì che la palestra della nostra passione diventi proprio il web?

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Linee Tirrenia, l’oro naviga sul mare? Storia di una privatizzazione all’italiana

postato il 1 Luglio 2010

di Gaspare Compagno

La Tirrenia, la storica compagnia di navigazione, sta viaggiando verso la fine della sua odissea.
In questi giorni, infatti, si chiuderà all’italiana una vicenda iniziata dall’UE e che sarebbe piaciuta immensamente a Tommasi di Lampedusa autore della frase “perchè tutto resti come è, tutto deve cambiare”.
Ma cosa accade in questi giorni?

La Tirrenia è una società formata da Tirrenia di Navigazione S.p.A. e da Sicilia Regionale Marittima S.p.A. ed è gestita dallo Stato che anno per anno ripiana i debiti.
A questo punto interviene l’UE che impone la privatizzazione della compagnia: vuole togliere la mano pubblica, e dopo un anno di concorsi pubblici, gare, interviste e altro ancora, il risultato quale è?
Di nuovo la mano pubblica, e quindi nulla nei fatti cambia.
Infatti la Tirrenia viaggia in acque finanziarie molto brutte, tanto da meritarsi l’appellativo di “Alitalia dei mari”, e da ben 25 anni la UE tenta di imporne la privatizzazione. Il nostro governo decide finalmente di procedere alla privatizzazione, ma alla sua maniera: salvare il salvabile con qualche trucchetto scaricando i costi sui cittadini.

Infatti, fin dall’inizio viene dichiarato che, chi si piglia la Tirrenia, con tutti i viaggi annessi e connessi, si “sposa” con una dote di 1,24 miliardi di euro, o, per dirla anche meglio, 1240 milioni di euro.
Perchè questa dote? Perchè i biglietti della Tirrenia sono venduti a prezzi calmierati, per la continuità territoriale che prevede il collegamento aereo o navale a tariffe agevolate per i residenti di isole o territori disagiati o poco collegati, ma non si preoccupa del modo o del tempo che si impiega per coprire la tratta interessata: giusto per dire, da Civitavecchia a Cagliari si impiegano 17 ore.
La continuità territoriale però costa cara: nel 2008, tanto per dire, gli italiani hanno sborsato di tasca propria 22 euro per ognuno dei 10,5 milioni di biglietti staccati dal gruppo.

Ma non basta e allora, oltre ai famosi 1240 milioni di euro di dote, lo Stato italiano, mette sul piatto altri benefit che servono a far durare la spesa, per il contribuente italiano, almeno fino al 2022 visto che il bando di privatizzazione, se così si può ancora chiamare, garantisce al compratore 72,6 milioni di aiuti pubblici l’anno per otto anni per Tirrenia e 55,6 (per 12 anni) per Siremar, la linea di navigazione regionale siciliana all’asta con la casa madre. Se sommiamo questi aiuti alla dote, arriviamo a quasi a 3 miliardi il conto pagato dagli italiani per tenera a galla le navi di Stato.

Intendiamoci, in alcuni casi le sovvenzioni sono necessarie: l’Italia è il paese europeo con il maggior numero di abitanti su isole (7,5 milioni) e alle isole minori (Pelagie, Gorgona, Eolie e Tremiti) va garantito un servizio di trasporto pubblico adeguato anche fuori stagione.
Però il problema è come vengono spesi questi soldi: su tre euro incassati da Tirrenia, uno arriva dalle casse dello Stato, e, a conti fatti, diventano oltre un miliardo tra il 2005 e il 2009. Ufficialmente si chiamano sovvenzioni di equilibrio, e coprono le perdite per i collegamenti anti-economici, ma in realtà sono la scusa per giustificare le inefficenze del gruppo. E non lo dico mica io, ma la stessa Tirrenia, quando nel piano industriale 2009-2014 afferma che il costo medio della forza lavoro è superiore del 24,6% rispetto a quello dei privati, per diventare superiore del 48% quando si va a considerare le linee locali (Toremar, Caremar, Saremar).

Il problema non è il numero dei dipendenti (calati dal 1989 al 2008 di 2587 unità, ovvero il 62,5% del totale), ma, la loro gestione, infatti fino a poco tempo fa ogni nave del gruppo aveva due equipaggi completi e ogni giorno di lavoro dava diritto a un giorno di riposo (oggi si è passati a 60 giorni a bordo e 30 a casa). E malgrado la riduzione del personale navigante un marinaio della Caremar costa ancora il 66% in più di quelli imbarcati sulle navi dei concorrenti privati.
L’altra faccia della medaglia è la flotta della Tirrenia. La società dichiara una flotta che conta 44 mezzi per un valore a bilancio di 855 milioni con ipoteche bancarie per 245.

Cosa c’è di strano in questa flotta? Che è fatta di navi ad alta tecnologia (dicono) ma con un’età media di 10 anni, unità veloci (dicono) già vecchie di 12, traghetti (e sono 28) che navigano da 25 anni, con tutti gli acciacchi anagrafici del caso. Non sono un esperto di alta tecnologia, ma se una nave ha una età di 25 o di 10 anni, proprio nuovissima non è. Ma la vera perla della flotta sono 6 navi costate 300 milioni di euro, ma mandate in disarmo (va da sé a spese dei contribuenti) poco dopo il varo. Possibile? Siamo in Italia, quindi si è possibile.Ecco la storia: inizio anni ’90, Tirrenia ordina ai Cantieri Rodriquez gli agili Guizzo e Scatto, due missili capaci di portare 120 auto e 450 passeggeri volando sulle onde a 40 nodi (quasi 70 all’ora). Peccato che una volta pagati e in acqua, queste spider del trasporto marittimo evidenziassero un problema forse non tanto marginale: non erano in grado di viaggiare con il mare mosso, addirittura queste due navi furono oggetto di una informativa rivolta al ministro dei trasporti dai parlamentari Becchetti e Bonaiuti. Il ministro all’epoca rispose che erano state riscontrate anomalie di funzionamento dei cuscinetti di rotolamento degli ingranaggi dei riduttori di giri dei motori principali.

Come sia, come non sia, resta il fatto che due navi strapagate, avevano difetti di fabrica: rottamate. Cinque anni dopo (tra il 1998 e il 2003) Tirrenia ordina a Fincantieri Aries, Scorpio, Taurus e Capricorn, navi costose (110 miliardi di lire l’una o 55 milioni di di euro) ma stabili, capienti e capaci grazie alle turbine derivate dai caccia militari di ridurre da 12 a 5 ore il tempo di traversata tra Genova e Golfo Aranci. Splendide. Ma con un un problema: consumavano 290 kg. di gasolio al minuto contro i 41 degli altri traghetti del gruppo, rendendo assolutamente antieconomico il loro utilizzo. Morale: le quattro ammiraglie sono state prepensionate come carrette dei mari qualsiasi e oggi sono ormeggiate a Genova, Arbatax e Napoli in condizioni precarie, con quattro marinai di servizio che provvedono ogni tanto ad accendere i motori tanto per oliare gli ingranaggi e gaudagnarsi il loro stipendio. La pioggia di aiuti di stato consente ogni anno a Tirrenia e alle sue compagnie regionali di chiudere i conti in utile, ma la verità però è che il bilancio, fa acqua da tutte le parti. I debiti consolidati a fine 2008, dopo le spese un po’ folli degli anni ’90, erano a quota 920 milioni di cui 311 a breve termine con le banche. Gli ultimi accordi sindacali hanno ridotto al livello dei concorrenti privati gli stipendi (scesi del 23%) per le tratte Genova-Porto Torres e Civitavecchia-Olbia, le due rotte più ricche e redditizie dove Tirrenia è stata svincolate d’estate dai vincoli tariffari. Il costo per il personale sulle linee regionali è calato però solo del 7%. E in vista della privatizzazione, segnala la Corte dei Conti, le consulenze sono cresciute del 63%.
E arriviamo ai giorni nostri. L’UE impone la vendita e si fanno avanti in 15, ma, appena vedono i conti, si defilano tutti, anche a causa dei dubbi della UE sui nuovi aiuti di Stato (quelli fino al 2022) e resta solo un unico acquirente, la Regione Sicilia e, se Bruxelles darà l’ok a questa privatizzazione, la società passerà da mani pubbliche (statali) a mani pubbliche (regionali) che hanno fatto sapere che vi saranno 211 esuberi
E i sindacati sono già sul piede di guerra. Come è che si diceva? Tutto cambia, perchè nulla cambi.

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Abolite l’UNIRE (Unione Nazionale Incremento Razze Equine)

postato il 1 Luglio 2010

di Giuseppe Portonera

L’UNIRE (Unione Nazionale Incremento Razze Equine) è uno di quegli enti inutili e costosi di cui mi piacerebbe tanto poter fare a meno. A cosa potrà mai servire un organismo (istituito con regio decreto n. 642, il 24 maggio 1932) che si occupi di “gestire le corse e le gare, fissando calendario di manifestazioni ippiche, organizzando la programmazione tecnica ed economica delle stesse e diffondere la dichiarazione dei partenti delle corse, con tutte le relative informazioni per effettuare regolari scommesse”, di “concedere e revocare i colori di scuderia ai proprietari” o di “favorire l’uso del cavallo come strumento per la riabilitazione psico-fisica dell’uomo”? Poteva essere utile quando fu pensato settantotto (78!) anni fa: ma oggi, 2010, quando tutti giocano al Win For Life e le corse ippiche hanno perso il loro appeal (-94% di spettatori in dieci anni), che senso ha continuare a sovvenzionarlo con fondi pubblici e con le nostre tasse? Senza contare il fatto che, come ha ricordato il ministro Galan, sulle spalle dello Stata grava poi il mantenimento di ben 43 ippodromi (quando su un totale di 33 milioni di Italiani che scommettono su qualcosa, la quota dell’ippica si sia ridotta a circa l’1% del totale) e che per due anni il mondo dell’ippica ha usufruito di un contributo di centocinquanta milioni di euro, senza riuscire a risollevarsi.

Proviamo a far due conti: fino al 1996 nel nostro Paese il settore ippico era regolato dalla Legge Orsi Mangelli del 1942 che riservava all’Unire “la facoltà di esercitare totalizzatori e scommesse al libro per le corse dei cavalli” e proponeva un “piano industriale” che realizzava di fatto nel nostro Paese un regime di monopolio: fino al 1996, infatti, in Italia le uniche scommesse legali erano solo quelle ippiche e le altre attività di gioco o scommesse erano vietate e severamente punite dalla Legge. Questo sistema monopolistico faceva sì che questo tipo di giocate rappresentassero gli introiti principali per il Totocalcio, il C.O.N.I e lo sport nazionale; nel 1998, però, il C.O.N.I. ottenne un finanziamento annuo di circa € 470.000 annui in valuta attuale e in questo modo poté slegare la propria sopravvivenza dal mondo delle scommesse. Al contrario dell’UNIRE, che invece si trovò ad affrontare una nuova e fortissima concorrenza, fatta di  super-enalotto, slot-machines e gratta e vinci vari, finendo quindi assolutamente marginalizzato. Come se non bastasse, sono arrivati poi la legge 169/96 e il D.L. 449/98, che hanno lasciato l’Unire Ente Pubblico; in questo modo è risultato inadatto a competere sul mercato dei giochi: come potrebbe un Ente Pubblico nel nostro Paese svolgere una funzione di “competitor” sul libero mercato, fatto di concorrenti agguerriti? È incapace di produrre, ma continua ad assorbire una quantità sproporzionata di fondi. Si tratta di uno spreco di denaro pubblico davvero intollerabile, da eliminare nel più breve tempo possibile. Ecco perché mi fa piacere che il nostro deputato Enzo Carra, insieme al senatore D’Alia, abbia proposto un emendamento teso alla soppressione dell’UNIRE. Dice Carra: “le difficoltà dell’ippica non si superano aggirando l’ostacolo con l’assistenzialismo, ma saltandolo sulla spinta di una prospettiva più moderna che il governo dovrebbe esercitare per valorizzare di più il comparto”. L’unica soluzione che ci si offre davanti quindi è abolire l’inutile UNIRE e favorire una maggiore concorrenza nel mondo delle corse ippiche, lasciando agli ippodromi concessionari di AAMS e del Ministero delle Finanze la gestione dell’indotto ippico e delle scommesse, nel contesto di un mercato davvero libero, dove i montepremi, i numeri delle giornate di corsa e le puntate siano davvero determinate solo dalla libera concorrenza. Questo è davvero l’unico modo per stimolare nuovi investimenti sia nell’impiantistica che in progetti di marketing, per impedire che il mondo dell’ippica sia ridotto a un esilio dorato per qualche politico trombato.

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Energia: tariffa bioraria dal 1° luglio. Costi e benefici

postato il 30 Giugno 2010

di Antonio Di Matteo

4,5 milioni di utenti, dal 1° luglio, e fino alla fine dell’anno saranno ben 20, beneficeranno della modifica della tariffa di fornitura della corrente elettrica. È stato deciso dall’Aeeg, Autorità per l’energia elettrica e il gas, per favorire un nuovo modello di consumo consapevole e per ottimizzare i consumi elettrici, che si concentrano tutti nelle ore diurne, nei momenti di piena attività produttiva della nostra economia. Questo passaggio alla tariffa bioraria sarà effettuato solo per quei milioni di clienti che non hanno beneficiato della possibilità di svincolarsi dal loro fornitore iniziale dopo la liberalizzazione del mercato dell’energia.

Questa nuova tariffa funziona in un modo molto semplice: dalle 19 alle 8 del mattino, i consumi energetici avranno un costo inferiore, dovuto alla bassa richiesta dell’energia, stessa cosa si applica ai consumi nei giorni festivi e nel fine settimana; invece dalle 8 alle 19, i costi saranno più alti, perché lì si concentrano i maggiori consumi energetici italiani, e quindi: più alta la domanda, più alto il prezzo; più bassa la richiesta di energia, più basso il suo costo, ceteris paribus. È un modo per responsabilizzare il consumatore e renderlo capace di scegliersi una propria e personale bolletta, scegliendo consapevolmente come spendere. Naturalmente, questa nuova tariffa sarà addolcita dai gestori, seguendo un accordo siglato con le categorie dei consumatori, che prevedeva un differenziale tra il prezzo diurno e il prezzo notturno di un 10% fino alla fine del 2011. Dal 1° gennaio 2012, si applicheranno i veri e propri prezzi di mercato, senza nessun vincolo.

Rilevanti sarebbero anche le economia di scale per i produttori, nelle eventualità il livello di energia richiesta durante l’intera giornata, si stabilizzasse attorno ad una media. Infatti, una volta preventivato il livello di consumo possibile, le società energetiche immetteranno nella linea la quantità che maggiormente minimizza i loro costi. Questa politica energetica, se ben sorvegliata dall’Aeeg, potrebbe favorire comportamenti virtuosi per produttori e consumatori. Per partecipare a questa conversione tariffaria, bisogna possedere il nuovo contatore elettronico, che i vari gestori hanno istallato ai propri utenti, e riprogrammarlo per consentire la tele lettura dei consumi biorari. Tutte queste informazioni sono state inviate ai clienti già nelle ultime tre bollette.

Dal comunicato dell’Aeeg si legge espressamente che: “i possibili risparmi (ma anche l’eventuale maggior spesa) saranno inizialmente molto contenuti ma si offrirà comunque un importante segnale di prezzo verso abitudini di consumo più efficienti e consapevoli del ‘bene’ energia elettrica.” Anche se i potenziali benefici potrebbero essere molti: “l’Autorità per l’energia stima che, se l’insieme delle famiglie italiane spostasse il 10% dei consumi nei periodi più favorevoli, si otterrebbe una riduzione di 450 mila tonnellate l’anno di anidride carbonica (CO2), equivalente alle emissioni di una centrale in grado di soddisfare i consumi di una città di circa 500 mila abitanti. In termini economici, si risparmierebbero circa 9 milioni di Euro l’anno per minori emissioni di CO2, circa 80 milioni come costo per il combustibile e oltre 120 milioni come costi di impianto. Nell’insieme, il risparmio a favore della collettività delle famiglie e dei piccoli consumatori, sarebbe di oltre 200 milioni di Euro l’anno.” In più, si legge sul sito dell’Aeeg che: “occorre tenere presente che già oggi, la media delle famiglie italiane ripartisce i suoi consumi per i due terzi (oltre il 66% del totale) nei momenti più convenienti e che le ore più a minor prezzo in un anno sono circa il doppio di quelle più costose.” Quindi lo spazio di manovra per le famiglie italiane è abbastanza esiguo.

Naturalmente, chi non volesse subire questo cambio tariffario, può tranquillamente scegliere sul libero mercato l’operatore, e le offerte da esso proposte, che più si gradiscono. Aspetteremo con impazienza i primi esiti di questa nuova tariffa: risparmi economici per le famiglie, minore inquinamento, nuova cultura della differenziazione dei consumi. Speriamo bene.

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Vogliamo una Calabria senza rifiuti tossici

postato il 30 Giugno 2010

di Daniele Coloca (Estremo Centro Calabria)

La questione ambientale in Calabria si fa sempre più preoccupante. A subirne le conseguenze, oltre al nostro meraviglioso territorio, sono tutti i cittadini calabresi.

Da anni, la nostra terra, è oggetto di continui saccheggi, devastazioni che vanno dalle coste alle montagne, dal Pollino fino a Capo Spartivento.

L’elenco è lunghissimo, più volte abbiamo ripreso articoli sulle scorie tossiche di Amantea, sugli scarichi abusivi che inquinano mari e laghi, sulla depurazione delle acque, per non parlare del problema del dissesto idrogeologico causato soprattutto dalla cementificazione selvaggia e abusiva sul territorio.

La Calabria, viene ancora e sempre più considerata come un territorio di conquista per l’affermazione d’interessi particolari, resi ancora più difficili da contrastare, a causa dello strapotere mafioso che ormai domina su tutto.

E’ stata proprio questa mentalità diffusa e radicata a fare della Calabria il paradigma del dissesto e del degrado ambientale, una regione in cui s’ipotizza  un decollo sociale ed economico basato sul turismo e sulla cosiddetta valorizzazione delle risorse locali e nello stesso tempo si opera per distruggere tutto quello che si dice di voler valorizzare, ovvero le nostre coste, i nostri boschi, le nostre montagne.

Parliamo oggi della questione delle ferriti di zinco nella sibaritide. E’ in corso dal 1997 un’inchiesta della Procura di Castrovillari che nei mesi scorsi ha ordinato il sequestro di oltre sessanta ettari di terreno contaminati a ridosso dei tre siti interessati: tre aree ubicate nelle contrade ”Tre Ponti” e ”Chidichimo” di Cassano allo Ionio e ”Capraro” di Cerchiara di Calabria, con circa ventidue mila tonnellate di ferriti di zinco. L’indagine scaturisce da un’attività precedente, svolta dalla Guardia di Finanza di Trebisacce (oggi soppressa) che in passato aveva evidenziato un sistema ben collaudato di smaltimento illecito di svariate tonnellate di rifiuti tossici.

Il sequestro dei siti già in precedenza cautelati e poi dissequestrati, è stato disposto a causa della mancata realizzazione degli interventi di bonifica in conformità al progetto approvato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare; interventi, per i quali erano stati anche stanziati quattro milioni e mezzo di euro nell’ambito dell’Accordo Quadro di Programma in materia di tutela e risanamento del territorio della Regione Calabria.

La questione delle ferriti di zinco nella sibaritide è stata riaperta in questi giorni in Parlamento dai deputati dell’Udc Mario Tassone e Michele Vietti, su sollecitazione del sindaco di Cassano Jonio e consigliere regionale Gianluca Gallo.

I parlamentari evidenziano nell’interpellanza come la salute e la vita stessa dei cittadini che abitano in queste zone sono sotto il pericolo continuo di un inquinamento a cui non si riesce a porre rimedio, sebbene la situazione sia conosciuta ormai da più di dieci anni. Numerosi sono infatti i richiami e solleciti da parte delle Amministrazioni interessate, in particolar modo del sindaco del Comune di Cassano, Gianluca Gallo, che chiede da tempo un intervento concreto delle autorità preposte per ripristinare le normali condizioni ambientali e igienico-sanitarie delle zone.

In gioco, come al solito, c’è la salute dei cittadini ed il futuro di un’area, quella dell’Alto Ionio, a forte vocazione agricola e turistica. Urge avviare una bonifica e la messa in sicurezza ambientale del territorio. Sono quasi ventidue mila le tonnellate di ferriti di zinco già individuate e lasciate a giacere coperte da teloni spesso addirittura lesionati e deteriorati.

Non si può chiedere a queste popolazioni di veder messo in discussione il diritto a vivere nella propria terra e di progettarvi il futuro. Ci aspettiamo un intervento tempestivo della giunta regionale e del Governo, ricordando allo stesso che non potranno ripeterci quello che ci hanno detto sulle “navi dei veleni”, ovvero che ci sbagliavamo, che i rifiuti tossici non c’erano. Qui lo scempio ambientale è sotto gli occhi di tutti e non è figlio di un gesto folle.

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Accorpare i piccoli comuni. Efficienza Vs campanilismo

postato il 29 Giugno 2010

di Livio Napoleone

La manovra che il ministro Tremonti, non senza polemiche, (talvolta esagerate) ha presentato qualche settimana fa sembrava essere imperniata su una drastica riduzione della spesa pubblica tramite tagli piuttosto pesanti nel settore del pubblico impiego. Molti hanno fatto notare come poco, in realtà, si stia facendo per circoscrivere un grandissimo problema di questo Paese come l’evasione fiscale e come suddetta manovra, necessariamente restrittiva, manchi, tuttavia, di prospettive di crescita, attraverso, investimenti sia pur limitati in settori strategici per l’economia nazionale, in particolare in favore delle piccole e medie imprese, che più hanno subito il fardello della crisi e che da sempre hanno rappresentato il “nocciolo duro” del sistema produttivo italiano. E’ un’altra, però, la questione di grande rilievo che l’esame della manovra ha posto in luce: la necessità impellente di tagliare Enti inutili e dispendiosi quali le Province.

E’ riguardo a questo tema che la linea rigorosa del super-ministro dell’economia ha dimostrato tutte le sue contraddizioni. Prima l’annuncio in pompa magna dell’eliminazione di tutte le province, poi, in seguito alle prime reazioni negative della Lega (ancorata molto più di quel che vuol far credere alle poltrone e alle logiche clientelari) le province da abolire si sono ridotte a una manciata (in base a una discriminazione non fondata su criteri di efficienza, ma di popolazione). Infine, a quanto si apprende dalle ultime indiscrezioni, tali enti non saranno toccati. Allora a questo punto è legittimo porsi una domanda: dov’è la credibilità di un partito come il Pdl che gode ancora del consenso maggioritario degli Italiani? Questa è una domanda cui sarebbe fin troppo semplice dare la seguente risposta: il Pdl non è un partito, ma un gruppo di persone variegate (molte anche perbene) che ha delegato al proprio capo il compito di siglare un patto di sottomissione alla Lega.

La manovra, però, non è ancora stata approvata e allora bisognerebbe fare in modo (come peraltro il gruppo Udc sta facendo con gli emendamenti presentati), di collaborare in maniera costruttiva con il Pdl per riportarlo nel solco della ragionevolezza e spingerlo ad assumere un atteggiamento coraggioso, indispensabile per ridurre gli sprechi e fronteggiare la crisi. Non serve un’ opposizione gridata come quella dell’Idv o sterile come quella del Pd. V’è bisogno al contrario di una opposizione decisa a contrastare ogni forma di deroga al principio del rigore e della legalità (condoni edilizi, sanatorie ecc.), ma allo stesso tempo a favorire l’emergere dell’anima riformista del Pdl, compressa finora dal paradossale burocratismo leghista. Bisogna perseguire l’efficienza come valore di sobrietà e di buon governo ecco, perchè, ritengo assolutamente indispensabile l’accorpamento di tanti Comuni che spesso son distinti, per motivi esclusivamente campanilistici, pur occupando delle aree economicamente e socialmente, molto affini ed essendo situati in un fazzoletto spesso ristretto di territorio. Il riferimento ovviamente, non è legato a situazioni specifiche, ma a tantissime di questo tipo sparse un pò in tutta Italia. Anche se, a dir il vero, vivendo in un Paese (Parabita) in provincia di Lecce, con poco meno di diecimila abitanti, spesso mi chiedo se non sia opportuno accorparlo insieme ad altri Comuni adiacenti per farne una città di dimensioni rispettabili in cui vi possano essere più opportunità per tutti e in particolar modo per i tanti giovani che sempre più di frequente vanno via in cerca di un domani migliore.

Se la Lega ci tiene al federalismo, deve sapere che federalismo significa in primo luogo riduzione di sprechi e di trasferimenti a pioggia, ma significa altresì abolizione delle province accorpamento dei Comuni, autonomia d’imposta con vincoli su un fondo perequativo comune. Ma, soprattutto, il federalismo implica fedeltà assoluta al vincolo di bilancio per tutti gli Enti pubblici locali (art. 31 Cost.), realizzabile solo attraverso quel coraggio riformatore che consenta di aprire al mercato e all’efficienza settori ancora sotto la cappa protettiva e corporativa delle autorità pubbliche centrali e locali e finanziate essenzialmente attraverso il circolo vizioso del ricorso al debito, da scaricare sulle generazioni a venire. Questo coraggio è mancato finora al Governo e a un “partito”, il Pdl, che pure fa nominalmente riferimento al valore della libertà, ma che stenta a praticarlo concretamente con liberalizzazioni e privatizzazioni non più rinviabili, se si vuole garantire un futuro alla nostra finanza pubblica. Non basta sollevare la questione, peraltro infondata, della presunta inadeguatezza dell’art.41 della Costituzione (molto spesso interpretato a proprio piacimento dal legislatore, soprattutto per giustificare con finalità sociali e redistributive operazioni clientelari di trasferimenti pubblici), serve una svolta riformista, che coordini le esigenze centrali e quelle locali, senza mai cedere a posizioni di privilegio.

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Spesa pubblica 2009 in aumento e i servizi sono in discesa: noi produciamo, il governo spende male

postato il 28 Giugno 2010

di Gaspare Compagno

Oggi l’ISTAT ha dato una notizia pessima sul fronte della Spesa pubblica italiana, e quindi sulle dinamiche presenti e future del debito pubblico.

Ed è la seconda cattiva notizia in questo campo, in pochi giorni: infatti già due giorni fa la CGIA di Mestre, aveva pubblicato uno studio in base al quale si evinceva che nella classifica mondiale delle qualità delle prestazioni offerte dalle istituzioni pubbliche, stilata dal World Economic Forum (Wef), il nostro Paese si piazza al 97° posto.

Che significa? Significa che lo Stato, gli enti locali, insomma tutto il settore pubblico dà agli italiani dei servizi scadenti, tra i peggiori del mondo intero, e sicuramente i peggiori in assoluto tra i paesi più economicamente sviluppati, come ha sottolineato Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA di Mestre.

Oggi, dopo questa notizia, si è aggiunta anche la notizia da parte dell’ISTAT che la spesa pubblica nel 2009 ha raggiunto i 798,854 miliardi di euro, in pratica 800 miliardi di euro, con la conseguenza di superare oltre la meta’ del prodotto interno lordo (ovvero quanto produciamo). In pratica quasi la metà di quel che è prodotto in Italia viene bruciato dalla spesa pubblica che, come abbiamo detto sopra, dà dei servizi non adeguati.

Questo livello di spesa rispetto al PIL era stato raggiunto solo negli anni Novanta e per la precisione solo nel 1996, quando il rapporto spesa-PIL era al 52,6%.

Ma questo risultato a cosa è dovuto?

Sicuramente, come si evince dai dati finanziari pubblicati dall’ISTAT, hanno pesato gli ammortizzatori sociali, infatti le prestazioni sociali in denaro (pensioni, sussidi, ecc.) nel 2009 hanno inciso oltre il 36% sulle uscite totali e sono cresciute rispetto al 2008 del 5,1%. Questa è già la dimostrazione che, contrariamente a quanto si sosteneva da parte del governo, la crisi in Italia era ben presente già nel 2009.

Ma la cosa peggiore è che questo aumento della spesa complessiva è avvenuto nonostante i tassi bassi avuti nel 2009 che hanno permesso allo Stato italiano di rispamiare sugli interessi passici (-12,2%) facendo diminuire di quasi il 9% le uscite in totale.

Che significa tutto ciò? Nel 2009 lo Stato ha pagato meno interessi, e questo ha comportato un risparmio di circa il 9% (pari a circa 10 miliardi di euro), ma questa diminuzione di interessi passivi sono stati più che compensati dall’aumento di spesa determinato dalla crisi mondiale (che il governo sosteneva non esserci o che quanto meno non era presente in Italia) che ha inciso per il 36% Parlaimo di diecine di miliardi di euro.

Ed è tutto qui il problema. Avere negato l’esistenza di una crisi, salvo poi ritrovarsi con una manovra aggiuntiva che si sta discutendo ora in Parlamento, e con una spesa pubblica fuori controllo.

Le altre voci di spesa sono rimaste pressocchè invariate (ad esempio la spesa per stipendi è aumentata del solo 1%) o con aumenti minimi ( ad esempio la spesa sanitaria è aumentata del 4,4%).

Di contro si registra una notevole diminuzione del PIL, superiore al previsto, che ha prodotto una diminuzione del gettito fiscale. E questa è una pessima notizia che conferma quel che tutti gli italiani sapevano, ma il governo negava: già nel 2009 l’Italia era in piena crisi (mentre nel 2009 il governo negava), infatti la flessione delle imposte dirette è dovuta essenzialmente al calo del gettito Ires (-23,1%), mentre quella delle imposte indirette ha risentito delle significative diminuzioni del gettito dell’Iva (-6,7%) e dell’Irap (-13%). In pratica sono diminuite le entrate perchè l’economia andava male, si produceva di meno, si guadagnava di meno e le aziende si fermavano o chiudevano.

Secondo il TG1 di Minzolini l’Italia si colloca al quinto posto, insieme alla Francia, in Europa per pressione fiscale.

Con tutto il rispetto per Minzolini, ma registriamo che non tutti sono d’accordo con la sua lettura dei dati. Infatti stando all’ufficio studi del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili bisogna rileggere il dato sulla pressione fiscale, da cui risulta che siamo primi per la pressione fiscale come afferma Claudio Siciliotti, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Infatti, spiega Siciliotti, se consideriamo la pressione fiscale sulla sola componente del Pil che le imposte le paga per davvero, ossia sulla componente depurata della quota stimata di economia sommersa, si vede chiaramente come la pressione fiscale ”reale” in Italia sia superiore: 51,6% nel 2009 rispetto al 50,8% nel 2008. Quindi molto al di sopra della Francia e delle altre nazioni. Questo è dovuto alla componente di economia sommersa stimata in Italia, che e’ percentualmente piu’ rilevante di quella di tutti gli altri Paesi europei, esclusa la sola Grecia. Ovvero, a causa dell’evasione e del sommerso (sempre in attesa di qualche condono o scudo fiscale), i lavoratori onesti pagano molto di più, e l’indice della pressione fiscale ”reale” cresce significativamente di piu’ di quello che accade con riferimento ad altri Paesi.

E non sono solo i dottori commercialisti a sostenere questa tesi, perchè anche la CGIA di Mestre  afferma la stessa cosa che anzi quantifica il sommerso in Italia pari a 250 miliardi di euro nel 2009 e l’Istat stessa: infatti l’Istituto nazionale di statistica non fa altro che applicare le disposizioni previste dall’Eurostat (Istituto europeo di statistica), che stabilisce che i sistemi di contabilita’ nazionale di tutti i Paesi europei, devono includere nel conteggio del Pil nazionale anche l’economia non osservata.

A conclusione di ciò si può solo sperare che il governo  prenda atto di una realtà assolutamente negativa per la spesa pubblica, per la produttività italiana e soprattutto per le tasche degli italiani, una realtà che era nota agli italiani, ma non al presidente del Consiglio che fino all’ultimo ha negato l’esistenza della crisi.

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Note di Merito, Franco Battiato si schiera al fianco dei malati di SLA‏

postato il 28 Giugno 2010

di Marta Romano

Il 25 giugno si è svolta, a Roma, una mirabile iniziativa: il concerto “Note di Merito”.

Franco Battiato, affiancato da molti altri artisti italiani ha portato sul palco, insieme alle sue canzoni, un tema importantissimo quale la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica).

Infatti, il cantautore siciliano si è schierato con solidarietà ed impegno al fianco dei malati di questo grande male e al fianco di tutte le loro famiglie. L’iniziativa ha riscosso un enorme successo di pubblico, ed ha avuto notevole risonanza nel web, tanto che Pier Ferdinando Casini, nel suo messaggio personale di twitter, si è complimentato con Battiato per il suo impegno.

Inoltre, qualche giorno fa, Casini si è reso protagonista di un accorato Question time, nel quale ha difeso a gran voce i malati di SLA e le loro famiglie contro i tagli previsti della manovra finanziaria. In questo modo uomini dello spettacolo e della politica si incontrano, senza darsi appuntamento, su un tema concreto e importante: si schierano a fianco dei deboli, dando voce a chi, nel nostro Paese, si ritrova solo a combattere una battaglia contro il silenzio e il disinteresse.

Queste iniziative sono importanti e necessarie per abbattere quel muro di solitudine che separa i malati e le loro famiglie dal mondo esterno.

Tutti insieme possiamo far sentire i malati gravi meno soli.

 

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