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Lo spettacolo televisivo del dolore

postato il 11 Ottobre 2010

Merenza davanti alla tv, di Family hotels Finale LigurePer chi nell’ultimo mese non avesse seguito la tragica storia di Sarah (difficile, vista la quantità di parole spese in tv e nei giornali) ricordo qual è stato l’altrettanto tragico epilogo: mercoledì 6 ottobre durante la puntata serale di “Chi l’ha visto?”, la madre di Sarah scopre in diretta che è stato ritrovato il corpo della ragazza e che lo zio è in qualche modo coinvolto, visto che le ricerche si sono focalizzate in un unico punto solo dopo il lungo interrogatorio di Michele, cognato della madre Concetta. Non solo: Sabrina, cugina di Sarah e figlia di Michele, scopre in diretta che suo padre (suo padre!) è l’artefice del fatto orribile che ha sconvolto l’intera famiglia. Inoltre, la verità è stata svelata contemporaneamente a 3.680.000 italiani, che, avidi di sapere, hanno seguito fino all’ultimo minuto la puntata.

Inevitabilmente, è scoppiata la polemica: come avrebbe dovuto agire Federica Sciarelli, conduttrice del programma? Perché nessuno ha impedito che una notizia così sconvolgente venisse data da un’estranea e di fronte a milioni di spettatori, violando l’intimità e il raccoglimento della famiglia attorno al dolore provocato da questa scoperta?

Prima di azzardare una risposta, ritengo necessaria una riflessione. Spesso mi capita di chiedermi, come mai “Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”? Perché ci colpiscono di più le cattive notizie piuttosto che quelle positive? Come mai la nostra empatia sembra attivarsi di più se assistiamo a situazioni di sofferenza invece che di felicità? Perfino la scienza sembra non offrirci via di scampo annoverando, fra le emozioni classificate primarie (tristezza, collera, paura, disgusto, sorpresa e gioia), più emozioni negative che positive.

Istintivamente siamo portati ad indagare, ad informarci, come per valutare quale sia il grado di sofferenza dei diretti interessati. “Dobbiamo” sentire il pianto straziante di Sabrina e vedere il volto impietrito della madre. Oppure, quando veniamo a sapere delle morte di una persona, subito chiediamo se questa aveva famigliari, figli, se era sposata… come se volessimo sapere qual è il vuoto che si porta dietro, quanta sofferenza provoca la sua scomparsa: ci concentriamo sul dolore. Ma perché, mi chiedo, sentiamo questo bisogno di conoscere tutti i particolari, di immergerci nella sofferenza del dramma che ci viene presentato? È per semplice “partecipazione empatica”? per curiosità? O c’è dell’altro?

E quando riusciamo a percepire la gravità di ciò che è successo, o pensiamo di esserci riusciti, ci sentiamo responsabili di gridare quanto il mondo sia ingiusto e quanto disgusti tutto il male che esisite. Ci sentiamo in dovere di indigniarci e, cinicamente, di perdere le speranze in questa umanità capace di compiere atti orribili. Noi invece abbiamo la possibilità di sentirci migliori, noi non faremmo mai niente del genere, anzi… e ci ritroviamo a riproporre la pena di morte come giusto prezzo da pagare, come se uccidendo un’altra vita riuscissimo a mettere fine al ciclo di morti e di omicidi. E troviamo anche un “macabro” conforto nel constatare che non siamo soli nella sofferenza di tutti i giorni, del tipo: c’è chi sta peggio!

Ma che ruolo hanno i media in tutto questo? Semplice. Questa “macchina dell’informazione” ha capito di poter giocare su quanto appena scritto, di poter far leva sui sentimenti degli “spettatori” amplificando le nostre paure, il nostro disgusto, la nostra partecipazione al dolore altrui, sfruttando tutto ciò per aumentare gli ascolti, le vendite (per fortuna questo rappresenta solo una parte del giornalismo). Ma, usando le parole di Aldo Grasso in occasione dei vent’anni da Vermicino (caso che ricorda quanto successo in tv la sera del 6 ottobre), “E’ opportuno immettere in un circuito incontrollabile immagini che invocano solo la pietà? Una cosa è soffrire, un’altra vivere con le immagini della sofferenza, che non rafforzano necessariamente la coscienza o la capacità di avere compassione. Possono anche corromperle”. Infatti, l’effetto che questo fenomeno produce, è l’abituare la persone al male. La compassione, l’empatia, la sensibilità vengono anestetizzate. Una persona abituata al dolore e alla sofferenza alza una barriera nel suo cuore: per un istinto di autoconservazione, un meccanismo di difesa, si rende passivo di fronte al dolore, fugge in ogni modo al contatto diretto con esso. Seguendo un tg veniamo bombardati da notizie di cronaca negative ad una così alta velocità che la nostra mente non ha il tempo meteriale di elaborare l’accaduto e di rendersi pienamente conto della sua gravità. Abituarsi al peggio, non è mai un bene, ci impedisce di stupirci di fronte ad eventi più grandi di noi, ci rende passivi e inerti di fronte alla realtà.

Dunque, forse la giornalista avrebbe dovuto interrompere subito il collegamento invece di limitarsi a chiedere alla madre se voleva farlo, una madre che per sapere le ultime novità riguardanti le sorti di sua figlia era costretta a dipendere dai giornali e dalla tv. Non si sarebbe dovuto insistere nel continuare a leggere notizie non confermate, non si sarebbe dovuto insistere nel puntare le telecamera su questa famiglia che si è vista costretta a frantumare l’ultimo briciolo di speranza davanti a milioni di persone, non si sarebbe dovuto insistere nel chiedere a Sabrina di mostrarsi alla telecamera per spiegare quanto sapeva e nel mandare in onda il suo pianto alla scoperta della verità.

Ma le colpe non sono da attribuire solo a Federica Sciarelli, perché è l’intero sistema che sotto questo aspetto non funziona: saper distinguere e separare ciò che è lavoro da ciò che è buonsenso, ciò che è scoop da ciò che è una tragica verità, ciò che è curiosità da ciò che è rispetto, ciò che è spettacolo da ciò che è realtà. “Bisogna smetterla di parlare della normalità del male, qui siamo di fronte al male della normalità” (Aldo Grasso).

“Riceviamo e pubblichiamo” di Chiara Cudini

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Tagliare le province è inutile?

postato il 11 Ottobre 2010

Se lo dice Tremonti…

Dopo l’ennesimo tira e molla, dopo mesi e mesi di discussione in merito alla necessari età o meno delle province italiane, dopo proposte e proteste, Tremonti, dall’alto del suo ministero, dice la sua:Tagliare le province è inutile”.

Dunque, quella che sembrava dover essere una prerogativa di questo Governo, si è sciolta come neve al sole, con le parole del Ministro dell’Economia. Secondo Tremonti, infatti, con il taglio delle province non si ricaverebbero che poche centinaia di milioni di euro, al contrario di quanto ipotizzato fino ad ora. Tagliare le province significherebbe soltanto ridistribuire gli impiegati dell’ente tra comuni e Regione.

Ebbene, il ministro scuserà la mia ingenuità, ma mi sorge spontanea una domanda: se abolire le province è inutile(ipse dixit!), perché era uno dei primi punti del programma di Governo? Una risposta ce l’avrei: pura demagogia.

Allo stesso modo Tremonti, con semplicità e freddezza matematica, conti alla mano, ha spento gli entusiasmi di tutti coloro i quali erano convinti di poter aiutare i conti dello Stato tagliando il numero e i privilegi legati alle cosiddette auto blu. Anche questi tagli sono inutili.

Ecco, mi sorge un’altra domanda: molte imprese chiudono i battenti, le famiglie non arrivano neanche alla terza settimana, la disoccupazione dilaga, tagliare le province e le auto blu è inutile.. E di che abbiamo parlato fino ad ora? Di un assurdo federalismo, di cui non è lecito conoscere i costi e le conseguenze economiche,di una riforma scolastica e universitaria che è assurdo chiamare “riforma”, delle quote latte che hanno colpito soltanto gli onesti allevatori. Ecco qual è il bilancio di 3 anni di governo Berlusconi: il nulla.

Il programma di questo governo si è pian piano sgretolato, le promesse sono rimaste tali o, in altri casi, sono state addirittura smentite da chi quelle proposte le ha scritte. E la domanda è questa: può una maggioranza così, che si smentisce da sola giorno dopo giorno, incapace di rialzarsi da questa condizione di stallo, governare ancora?

Non credo sia possibile definire ancora credibile né il premier, né la sua maggioranza. C’è bisogno di cambiamento. Allora, si faccia un governo tecnico, e si pensi a fare ciò che non si fa da troppo tempo: governare.

L’Italia ha bisogno di coraggio, l’Italia ha bisogno di vere riforme.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

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Ricordiamoci della nostra missione in Afghanistan tutti i giorni dell’anno

postato il 10 Ottobre 2010

afghanistan-in pattuglia di ivmontisAlle Famiglie delle Vittime, al 7o Reggimento Alpini va il nostro cordoglio.

Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai,
su ogni balza delle Alpi ove la provvidenza
ci ha posto a baluardo fedele delle nostre
contrade, noi, purificati dal dovere
pericolosamente compiuto,
eleviamo l’animo a Te, o Signore, che proteggi
le nostre mamme, le nostre spose,
i nostri figli e fratelli lontani, e
ci aiuti ad essere degni delle glorie
dei nostri avi.
Dio onnipotente, che governi tutti gli elementi,
salva noi, armati come siamo di fede e di amore.
Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della
tormenta, dall’impeto della valanga,
fa che il nostro piede posi sicuro
sulle creste vertiginose, su le diritte pareti,
oltre i crepacci insidiosi,
rendi forti le nostre armi contro chiunque
minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera,
la nostra millenaria civiltà cristiana.
E Tu, Madre di Dio, candida più della neve,
Tu che hai conosciuto e raccolto
ogni sofferenza e ogni sacrificio
di tutti gli Alpini caduti,
tu che conosci e raccogli ogni anelito
e ogni speranza
di tutti gli Alpini vivi ed in armi.
Tu benedici e sorridi ai nostri Battaglioni
e ai nostri Gruppi.
Così sia.”

Oggi è un giorno di lutto.

Nell’adempimento del proprio dovere il nostro contingente ha perso quattro alpini. Le vittime sono i primi caporalmaggiori Francesco Vannozzi, Gianmarco Manca, Sebastiano Ville ed il caporalmaggiore Marco Pedone. Un quinto alpino è rimasto ferito: si tratta del caporalmaggiore scelto Luca Cornacchia; per fortuna non è in pericolo di vita. E’ l’ennesima tragedia che si consuma in Afghanistan ai danni dei nostri militari, la più grave per numero di vittime dal Settembre 2009, quando rimasero sul campo sei italiani.

L’agguato è avvenuto in una delle zone più turbolente del paese, nel distretto del Gulistan. I militari stavano scortando un convoglio composto da circa settanta camion quando, alle 9.45 locali (7.45 ora di Roma), il convoglio è stato attaccato con armi leggere da un gruppo di guerriglieri talebani. Nel deviare dalla strada in cui era in corso l’imboscata per cercare di disingaggiare il nemico, il mezzo su cui viaggiavano i militari è stato investito da una terribile esplosione, che ha letteralmente disintegrato il blindato. L’attacco è stato quindi respinto ed i talebani costretti alla fuga.

Non è chiaro che tipo di ordigno sia stato utilizzato per l’attacco. Si penserebbe ad uno “Ied” (improvised explosive device – un ordigno improvvisato nascosto ai bordi della strada). L’ipotesi non è scontata, poiché i blindati Lince erano stati modificati e pesantemente corazzati dopo gli attacchi subiti negli anni passati che ne avevano messo in luce la vulnerabilità ad attacchi provenienti da sotto di essi. In tal caso si sarebbe trattato di un ordigno a pressione od con innesco mediante cavo, in quanto i nostri mezzi sono dotati di disturbatori radio, che conteneva almeno cento kilogrammi di esplosivo.

Si fa strada un’altra ipotesi, ben peggiore. Si potrebbe infatti pensare anche ad un altro tipo di esplosivo, a carica cava, con una maggiore capacità di penetrazione laterale. Questo tipo di bombe, conosciute con l’acronimo “Efp” (explosively formed projectile) non sarebbero di fabbricazione talebana. E’ richiesto infatti un grado di tecnologia di cui i guerriglieri non dispongono; è possibile quindi che questi ordigni siano prodotti in Iran.

Divampano le polemiche in Patria per l’accaduto. Si torna a gran voce a chiedere il disimpegno immediato dei nostri militari, in particolar modo da parte di esponenti dell’Italia dei Valori e di Sinistra Ecologia e Libertà. Il Ministro della Difesa La Russa chiederà al Parlamento la possibilità di inviare più elicotteri per alleggerire la presenza di convogli terrestri e di munire i nostri aerei AMX di bombe.

Il governo si affretta a ricordare i termini dell’impegno, che scadranno nel 2011, per cercare di placare una opinione pubblica sempre più insofferente.

La partita nello scacchiere si è terribilmente complicata dal 2001 ad oggi. In Afghanistan non disponiamo di alcuna opzione politica o strategica convincente. I talebani, dopo la rocambolesca ritirata, si sono nel corso degli anni riorganizzati nelle montagne al confine tra Pakistan ed Afghanistan. Lì hanno trovato terreno fertile tra i Pasthun: essi vivono secondo codici tribali particolarmente rigidi, su cui la dottrina islamica radicale ha fatto rapidamente presa; sono inoltre la tribù più numerosa in Afghanistan.

Il Pakistan, che con Musharraf si era schierato a fianco della missione NATO (convinto anche dai miliardi di dollari che piovevano sul suo paese sotto forma di aiuti militari), iniziò dapprima una blanda guerra contro queste tribù di confine, intensificata a tratti quando le pressioni statunitensi si facevano più insistenti. Il generale Musharraf infatti stava combattendo una guerra interna contro i propri servizi segreti, gli stessi che hanno addestrato i talebani, e che in Pakistan sono estremamente influenti. La sua deposizione ha aperto una voragine politica, senza un leader in grado di mantenere salde le redini del comando militare in un paese che assomiglia ad una polveriera pronta ad esplodere. Infine, per tornare a Kabul, l’attuale governo si dimostra debole, con scarso controllo del territorio e lontano dalla legittimazione popolare che potrebbe garantirne la stabilità.

Il termine della missione, coerentemente con quanto sostiene anche il presidente Obama, dovrebbe avvenire gradualmente a partire dal 2011. La grave situazione che si sta delineando in quel tormentato angolo del globo, esige che ci si affidi per i tempi tecnici richiesti dal disimpegno ai nostri generali.

In questo caso, i proclami politici di un ritiro immediato risultano dannosi: non possiamo permetterci di abbandonare Kabul in una disordinata rotta che ricorda quella americana di Saigon. Creare in così poco tempo le condizioni per una stabilità credo sia molto difficile, in particolar modo con le scarse opzioni politiche che la NATO ha dinnanzi.

Nel frattempo, dopo ormai quasi dieci anni di combattimenti (ed è inutile nasconderci che di questo si tratta), c’è da prendere coscienza di una situazione che de facto richiede l’utilizzo di mezzi adeguati a far fronte alle necessità dei nostri soldati che operano sul campo, nella speranza magari ingenua, ma certamente sincera, che tragedie come questa, non si ripetano.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Federico Poggianti

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Nobel per la Pace a Liu Xiaobo, il web a difesa dei diritti umani

postato il 8 Ottobre 2010

CHINA-DISSIDENTA dieci anni di distanza dalla consegna del premio Nobel per la Pace a Kim Dae-Jung, ex presidente della Corea del Sud, l’ambito riconoscimento internazionale è stato assegnato, secondo “quasi tutte” le aspettative, ad un altro personaggio dagli occhi a mandorla.

Questa volta non si tratta né di un Presidente, né di un Re del Sol Levante, bensì di un semplice uomo cinese tra il miliardo e quattrocento milioni di connazionali. L’uomo in questione è un anti-eroe per eccellenza, diventato, quasi per caso, il simbolo della lotta per il riconoscimento dei diritti e delle libertà in Cina. Il suo nome è Liu Xiaobo, e sta scontando 11 anni di carcere per “incitamento a sovvertire il potere dello Stato”.

Il possente e numeroso esercito cinese è stato sconfitto da un cittadino magrolino e con gli occhiali “a fondo di bottiglia”, che ha avuto il coraggio di denunciare quello che il Governo “giallo” cerca da sempre di celare. Le sue parole hanno scavalcato la lunga muraglia cinese e hanno superato i confini asiatici, giungendo alle orecchie europee e di tutto il mondo. Alla sede ufficiale del Nobel di Oslo, è stata letta la motivazione della premiazione: “Per la sua lunga e non violenta battaglia per i diritti umani in Cina”.

Siamo tutti con Liu Xiaobo!!!

A tal proposito ricordiamo che l’articolo 35 della Costituzione cinese stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso. Peccato che queste disposizioni non siano, di fatto, mai state garantite alla popolazione.

Liu Xiaobo ha semplicemente manifestato legittimamente il suo dissenso per queste pratiche anti-democratiche e il popolo cinese lo ha sostenuto. E anche la rete, il web, ha diffuso il contenuto della famosa Carta 08, un documento favorevole alla democrazia nel Paese tra i più ricchi e influenti del mondo, ispirato alla Carta 77 dei dissidenti ceco-slovacchi.

Non è un caso che la notizia è stata data da Twitter, il nuovo uccellino virtuale che vaga indisturbato da un capo all’altro del mondo non conoscendo frontiere.

Come tutti sanno, il premio Nobel per la Pace conferisce grande prestigio, sebbene sia spesso fonte di controversie politiche, e infatti pare che il Governo cinese avesse “avvertito” le alte cariche delle istituzioni, dei comitati organizzatori e della monarchia norvegese, ad accantonare l’idea di premiare colui che, in patria, secondo chi dovrebbe “applicare” correttamente la legge, è considerato un dissidente politico. Fortunatamente il “consiglio” non è stato accolto.

Oggi assistiamo ad un passaggio di testimone importante, da Barack Obama a Liu Xiaobo, dall’uomo più potente del mondo ad un uomo prigioniero, ostaggio del suo stesso Paese, reo di aver chiesto di poter esercitare i diritti e le libertà fondamentali riconosciute a tutti i cittadini del mondo.

La Cina sta attuando una forte censura anche dei mezzi di comunicazione e di informazione interni, cercando di controllarli e di far trapelare solo determinate notizie.

Io allora dico: “Per fortuna che c’è Twitter e che, oltre ai giornali, ci sono coraggiosi blogger che diffondono anche le notizie più scomode, senza paura”, con la speranza che questa “Oscenità” (così è stata commentata la notizia del Nobel dal Governo di Pechino), possa essere d’esempio a tutti i componenti del Governo asiatico.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Daniele Urciuolo

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Approvato il federalismo fiscale, a risparmiare non sarà di certo il cittadino

postato il 8 Ottobre 2010

Umberto Bossi di Lega Nord PadaniaOggi sono avvenuti dei cambiamenti negli umori degli appartenenti al governo, motivati da un unico provvedimento.

Fino a ieri la Lega agitava lo spettro di elezioni anticipate, anzi Maroni aveva già stabilito che se in tre settimane non si avesse avuto la certezza di poter pienamente dare seguito al programma il governo sarebbe caduto, mentre oggi lo stesso Ministro sostiene che non c’è bisogno di lezioni anticipate.

Cosa ha motivato questo cambio di umore in pochi giorni?

Semplice, il provvedimento preso oggi in Consiglio dei Ministri, ovvero il federalismo fiscale.

Un provvedimento preso forzando palesemente i tempi e che di fatto taglia via il Parlamento da ogni intervento e discussione sull’argomento e che è stato approvato in soli 30 minuti, pur andando a coinvolgere temi importantissimi: finanza regionale, provinciale e i costi standard in sanità.

Siamo di fronte ad una evidente e palese forzatura, visto che due giorni fa il governo medesimo aveva concordato con le Regioni di approfondire gli aspetti tecnici, e adesso, invece, pone la Conferenza Stato-Regioni di fronte al fatto compiuto, e la forzatura è resa tanto più evidente dalle reazioni dei Presidenti delle Regioni che hanno protestato contro un vero e proprio colpo di mano.

Ma andiamo ad esaminare questo provvedimento.

Come sempre si afferma che il federalismo fiscale porterà a dei risparmi. Può essere, ma per chi?

Avanzo una ipotesi: per lo Stato, ma non certo per i cittadini, i quali si troveranno, bene che vada, una partita di giro, ovvero pagheranno la stessa cifra senza avere un tangibile miglioramento dei servizi o un risparmio. Nell’ipotesi peggiore, ovviamente, il cittadino si troverà a pagare di più.

Ma come è possibile? Lo Stato spende di meno, non perché è più accorto, ma perché dà meno servizi ai cittadini, i quali dovranno rivolgersi alle Regioni, le quali già lamentano troppi tagli da parte dello Stato. Non ci vuole una grande fantasia per capire che dovranno aumentare l’imposizione fiscale sui cittadini.

Tutto questo lo si vede se si va a studiare il contenuto del decreto che riporta i seguenti provvedimenti: le Regioni hanno facoltà di aumentare l’Irpef dell’1,4% nel 2013, dell’1,8% nel 2014 e del 3% nel 2015, in compenso non potranno aumentare l’Irpef per i primi due scaglioni di reddito (dipendenti e pensionati) e nemmeno diminuire l’Irap in caso di aumento dell’addizionale Irpef.

In pratica, le regioni possono aumentare l’addizionale IRPEF (penalizzando i cittadini), ma se lo fanno non possono diminuire l’IRAP e quindi penalizzano le aziende.

Si dirà: ma i primi due scaglioni di reddito sono salvi. Vero, ma invito tutti a riflettere sul fatto che gli scaglioni per l’IRPEF vengono conteggiati al lordo di tutte le trattenute in busta paga, quindi con un valore complessivo superiore a quello che viene realmente percepito.

Altro provvedimento riguarda l’IVA dove il governo ha deciso che la compartecipazione regionale “potrà aggirarsi sul 45%”, dunque al livello attuale.

E’ finita qui? Assolutamente no.

Intanto vi è il cosiddetto Fondo di Solidarietà tra le regioni che servirà per i 5 anni successivi al 2014 a rendere meno traumatico il passaggio al federalismo per le regioni che attualmente non hanno i conti in ordine. Il fondo verrà alimentato con una parte dei fondi di compartecipazione dell’Iva, mentre l’attribuzione dell’IVA alle Regioni sarà determinata in base ai consumi sul territorio (penalizzando le Regioni che consumano meno).

Altro punto fondamentale sono le accise su energia elettrica, benzina e prodotti petroliferi che verrano redistribuite sulla base della competenza territoriale di produzione (quindi, ad esempio la Sicilia e la Sardegna verrebbero favorite).

Ma la cosa che veramente fa capire che non si prospetta una riduzione delle tasse per i cittadini, ma anzi un aumento, è quando il provvedimento dichiara che le Regioni potranno mettere nuovi tributi regionali e locali, anche se solo su beni che non sono già tassati dallo Stato.

Quanto scommettiamo che le Regioni troveranno sicuramente un sacco di nuovi beni da tassare?

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Libero WiFi in libera Italia

postato il 8 Ottobre 2010

Metro U. de Chile di -Priss-In Italia dal 2005 esiste una norma che, ufficialmente, dovrebbe difenderci dai terroristi, ma che, in realtà, finisce semplicemente per ingigantire la burocrazia: l’articolo 7 della legge Pisanu del 2005 che sancisce paletti e restrizioni per le reti wireless pubbliche.

Questa norma potrebbe essere eliminata grazie ad una proposta firmata da Gentiloni (PD), Roberto Rao (UDC), Barbareschi (FLI) e Lanzillotta (API).

Cosa diceva questo famoso articolo 7? Che bisognava procedere ad identificazione dei fruitori delle reti wireless tramite raccolta dei dati di un documento di identità.

E qui veniamo al vulnus che rende nei fatti inutile questa norma e una maledizione a livello burocratico, tanto che nessuna altra nazione ha adottato qualcosa di simile, neanche gli USA del post Patriot Act.

Infatti, se un gestore deve tenere copia cartacea di tutti i documenti di identità si pone un grosso problema in ordine alla tenuta di simile archivio, con notevole aggravio di costi, oltre ad aumentare i passaggi burocratici (comunicazione agli enti appositi e così via); da un punto di vista pratico, inoltre, questa norma è assolutamente inutile: il gestore può solo prendere nota dei dati, ma non può verificare se i dati riportati sulla carta di identità siano veri o falsi.

Questa norma è sempre stata rinnovata anno per anno con il decreto milleproroghe, e da qui discendono alcune considerazioni.

La prima è che se una norma è transitoria, allora, per definizione, deve essere limitata nel tempo, se viene rinnovata di volta in volta sine die, allora non si parla più di norma transitoria, ma è necessario pensare una soluzione stabile e definitiva e che venga discussa in Parlamento.

La seconda considerazione è che, come detto, questa norma non ha eguali in nessun altra nazione del mondo, e le motivazioni le abbiamo menzionate: non è efficace, e appesantisce la burocrazia.

La terza considerazione, molto importante, è che a questo punto, proponendo in sede apposita la cancellazione, lo scopo, assolutamente corretto a mio avviso, è quello di porre l’accento sulla necessità di realizzare una normativa sul settore, che sia da un lato a tutela del cittadino e della sua sicurezza e dall’altro possa rilanciare il settore del Wi Fi in Italia fortemente penalizzato da una mancanza di prospettiva, e che potrebbe essere un interessantissimo volano per lo sviluppo economico e per la creazione di nuovi posti di lavoro oltre che di maggiori servizi per il cittadino.

Per effetto della legge Pisanu nessuna biblioteca, azienda pubblica o privata può dare accesso alla propria rete se prima non ha acquisito i dati dell’utente, si è attrezzata per controllare gli accessi alle singole postazioni e i software utilizzati dagli utenti, con la conseguenza di negare di fatto la possibilità di utilizzo libero della rete Wi-fi, con un aumento spropositato dei costi per il gestore.

Ovviamente il settore necessita di una regolamentazione, e proprio per questo si sta provando ad accelerare l’iter scardinando alla base la norma, in modo da avere una corsia preferenziale per la calendarizzazione alla Camera e avviare una proficua discussione nelle sedi competenti.

Sinceramente mi sembra una buona notizia.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Dopo il “Sono Porci Questi Romani”, polenta e vaccinara all’ombra di Montecitorio

postato il 6 Ottobre 2010

coda alla vaccinara di alyssaxwuDopo SPQR, “Sono Porci Questi Romani”, Bossi si deve essere reso conto di averla fatta proprio grossa. A parte Pontida e qualche enclave padana, tutta la nazione italiana si era ribellata a questo indegno trattamento e così il Senatur ha scelto di correre ai ripari. Certo, uscire da questo pantano era proprio difficile, praticamente impossibile.

Per una delle sue “solite” “battute” si era addirittura visto recapitare una mozione di sfiducia dalle opposizioni e – udite, udite – stavolta la possibilità che andasse a buon segno c’era davvero: i lumbard si sono improvvisamente sentiti accerchiati e il timore di rimanere fregati stavolta li ha sul serio terrorizzati. “E come ne usciamo stavolta?” si saranno detti. “Con le ossa rotte!” rispondereste voi. E invece no. Perché l’aiuto insperato ai professionisti dell’insulto (perché di questo si tratta) è venuto niente meno di che dagli “insultati” di professione (o di vocazione?): dai politici di Roma “ladrona”. Che, per un giorno, ha preferito diventare la Roma del Magna-Magna: un Circo, nel vero senso della parola.

In allegra atmosfera da sagra di Paese, c’erano Gasparri che rimescolava un calderone di polenta (o era la pozione magica di Asterix e Obelix?); la Polverini che ha “imboccato” il Senatur (sotto gli sguardi un po’ stralunati della Martini e di Rosy Mauro); la polenta, i maccheroni, la pajata, la coda alla vaccinara e (ovviamente) tanti tarallucci e tanto buon vino; di nuovo la Polverini che ha mangiato soddisfatta accanto a un cuoco che indossava un camice con scritto – a lettere cubitali – “orgoglio padano” (contenta lei); c’era Alemanno che accende il sigaro a Bossi, mentre Cota mangiucchiava qualcosa (ma a proposito, Cota lì cosa ci faceva?); sventolavano ovunque le bandiere d’Italia e della Padania (sì, avete capito bene: quasi fosse già uno stato a sé). E c’era, però, soprattutto lo sfondo di Montecitorio, ridotto per un giorno a diventare il set di un gigantesco banchetto di “riappacificazione”.

Così, dopo “Sono Porci Questi Romani”, oggi abbiamo scoperto che SPQR può anche significare “Sono Pochi Questi Rigatoni”. Che tristezza. Gli eredi di Roma Caput Mundi ben contenti non solo di sopportare le battutacce dei Padani (eredi dei Celti sconfitti) ma anche a riderci su, ad annuire, o addirittura a stare in silenzio, come semplici camerieri. Il ruolo da prima donna, da super star è stato riservato solo a Bossi: sì all’Italia federale, un po’ meno a quella unita; no categorico (con colorito intercalare) al GP di Roma; evocazione di nuove elezioni (zero fantasia, comunque!).

E Alemanno? Impeccabile, sul serio. Sempre accanto al Senatur, ha dato l’impressione di essere solamente una comparsa in una sceneggiatura già scritta. Per carità, una brava comparsa: sempre con il sorriso sulle labbra, sempre pronto a correggere il tiro delle sparate di Bossi (seppur solo con deboli sussurri), ma pur sempre una comparsa.

Eppure, sapete cos’è la cosa che mi ha terrorizzato più di tutto in questa assurda giornata? Che l’ingrato ruolo che oggi è toccato al Sindaco di Roma, un giorno possa diventare anche il nostro, di tutti gli Italiani, sacrificati sull’altare delle alleanze di questo centrodestra snaturato, che si fonda su un’innaturale asse antinazionale e antiunitario. Già mi ci vedo: con la livrea, il vassoio d’argento e l’aplomb anglosassone mentre servo nei nuovi salotti del potere, nei sacri Palazzi della politica. Che non sono più quelli romani, statene certi.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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Le sfide della geopolitica tricolore

postato il 6 Ottobre 2010

Earth in the water drop di 5348 Franco ON/OFFTroppo spesso la riflessione politica tende a restare chiusa nel guscio di quel che succede nel “proprio giardino”. Si dimentica che viviamo in una società in cui globale e locale si intrecciano, e ciò che succede fuori dai confini nazionali non è meno importante degli avvenimenti che ci riguardano da vicino. Basti pensare a due fatti recenti: l’espulsione dei rom da parte del presidente Sarkozy in Francia; la condanna alla lapidazione prima, all’impiccagione poi per Sakineh in Iran. Temi, entrambi, che ci hanno toccato da vicino, che ci hanno fatto riflettere.

Non è la prima volta e non sarà certo l’ultima.

Per questo motivo abbiamo deciso di promuovere sul blog un ciclo di approfondimenti di geopolitica. Si tratterà di articoli scritti da giovani, studenti e non, con l’obiettivo di stimolare un dibattito costruttivo tra cittadini, e riscoprire il gusto di capire ciò che accade attorno a sé.

Oggi pubblichiamo un articolo di introduzione. Buona lettura.

Le Sfide della geopolitica tricolore

Ci troviamo in un mondo in repentino cambiamento. Viviamo infatti in un’epoca in cui tutto ciò che i nostri padri hanno contribuito a costruire sta rapidamente mutando. Il sogno del mondo unipolare al termine di sessant’anni di Guerra Fredda si è rivelato una chimera: gli Stati Uniti, benchè usciti vincitori dal formidabile confronto ideologico, non sono riusciti a consolidare questa vittoria. Essi hanno infatti solo guidato la transizione da un bipolarismo ad un multipolarismo ben più complesso ed articolato del vecchio ordine, aprendo scenari nuovi, in cui si scontrano molteplici interessi ed equilibri geopolitici. Sono emersi nuovi attori, mentre altri hanno reclamato a gran voce la propria presenza al tavolo della Storia, dopo lunghi decenni, o addirittura secoli, di oblio.

La terribile crisi economica che ha messo in ginocchio le economie di tutti i paesi avanzati e costretto a mettere in discussione il modello di sviluppo che ha guidato il mondo dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti, ha tuttavia delineato uno scenario da cui usciranno le nazioni destinate ad essere considerate leader per il prossimo futuro. Nonostante tra i paesi che gli economisti già indicano con l’acronimo B.R.I.C. (Brasile, Russia, India e Cina), le reazioni alla tempesta siano state profondamente diverse, è indubbio che la straordinaria crescita della Cina, che le ultime stime attestano al 9% annuo, mentre per intenderci, l’Italia si aggira ad un modestissimo 0,4%, aiutano a comprendere quanto ormai il baricentro politico mondiale non si trovi più esclusivamente a Londra, Berlino o Washington. E’ importante poi aggiungere all’equazione che, Cina ed India, due stati confinanti, raccolgono all’interno dei propri confini un terzo della popolazione terrestre.

Tornando a scenari a noi più prossimi, alle porte d’Europa assistiamo al risveglio dal lungo letargo eltsiniano dell’Orso russo. La Russia ha vissuto la caduta del Muro di Berlino come una tragedia: l’era di Eltsin è per molti russi coincisa con l’adozione forzata, voluta dagli U.S.A., di un modello economico liberista, alieno e per decenni avversato dalla struttura stessa del potere sovietico il cui risultato è stato quello di portare la sfinita società russa al collasso.

Dai primi anni Duemila ad oggi, sotto la spinta del presidente Putin, lo Stato ha provveduto a centralizzare nuovamente, o in ogni caso a mantenere un controllo più o meno diretto mediante uomini di fiducia, la gran parte dei settori strategici nazionali, in primis quello energetico. E’ proprio in questa chiave che va letta l’incisività della penetrazione russa negli ex Paesi della Cortina di Ferro, forte dello status di maggior esportatore di gas in Europa. Sempre da questa considerazione parte il sabotaggio politico ad ogni gasdotto (non ultimo il caso del progetto “Nabucco”) che possa far venire meno la possibilità per la Russia di incidere in maniera fondamentale sull’approvvigionamento energetico europeo.

Un particolare riferimento va al Vicino ed al Medio Oriente, terre in cui storicamente la presenza italiana è stata permeante anche grazie alla posizione geografica della nostra Penisola, ed in cui, corre l’obbligo ricordarlo, sono impegnati in missioni multinazionali nostri militari in Libano con la missione U.N.I.F.I.L. – Leonte, ed in Afghanistan con I.S.A.F. . La maggiore partita strategica si gioca in Iran. Il regime degli Ayatollah si sta infatti progressivamente costruendo un rango di media potenza regionale ed il suo programma atomico ne è solo la manifestazione più rilevante. Ciò che infatti dovrebbe particolarmente preoccupare l’Occidente, non è solamente il perseguimento della “Bomba Sciita” (gli iraniani sono infatti musulmani di confessione Shīʿa), quanto la corsa all’arma atomica che si scatenerebbe nei vari stati del Golfo, in maggioranza di confessione sunnita e che porterebbe ad una proliferazione potenzialmente incontrollabile.

Oltre a questo, Teheran può contare in alcuni stati chiave nella geometria mediorientale, nella presenza di movimenti ritenuti amici: è il caso di Hamas nella Striscia di Gaza e di Hezbollah, particolarmente forte a sud del fiume Litani, in territorio libanese, dove operano tra i reparti multinazionali, anche nostri militari. Vi sono inoltre governi tradizionalmente amici come quello siriano ed altri che si avvicinano progressivamente alle posizioni iraniane, come sta accadendo nel caso della Turchia. Il quadro infine si complica ulteriormente se si considera che l’Italia è il terzo esportatore per volume d’affari nella Repubblica Islamica.

Si pone quindi la questione dell’attenzione che la nostra società rivolge al perseguimento dell’interesse nazionale italiano nel Mondo, in condizioni di crescente asimmetria geopolitica tra paesi sviluppati ed in via di sviluppo. Basti pensare alla poco nota presenza italiana in Africa, anche grazie ad aziende leader come l’E.N.I. ed alla sempre maggiore quota ricoperta dalle potenze emergenti (prima tra tutte proprio dalla Cina), nelle economie e nella crescita culturale e sociale dei paesi africani.

Innanzi a questa nuova forma di mercato e di equilibrio internazionale, dobbiamo prendere coscienza della grandiosità di ciò che accade al di là dei nostri ristretti confini, concentrandoci su eventi all’apparenza lontani, ma che la globalizzazione e la Storia fanno sì che si mostreranno terribilmente prossimi per approntare le giuste risposte ad una sfida che si svolgerà per i prossimi decenni.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Federico Poggianti

Il primo approfondimento: La tigre ed il dragone.

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Quale giustizia possibile?

postato il 5 Ottobre 2010

Quale giustizia possibile? Questa è una delle tante domande che rimbombano tra le menti frastornate degli italiani, troppo intontite da slogan e attacchi quotidiani a chicchessia.

Da ormai molti mesi, per non dire da molti molti anni, il tema della riforma della giustizia è una priorità nell’agenda governativa. Il problema principale però è che nonostante le infinite discussioni non si riesce a capire quale giustizia sia possibile.

Non credo il problema riguardi l’etimologia del termine o il suo senso più alto, il nodo invece rimane sempre sull’uso che se ne fa della giustizia.

Ultimamente la discussione politica è stata improntata allo smantellamento dell’attuale sistema giudiziario per porre le basi alla riedificazione di un sistema nuovo e possibilmente migliore. Nelle intenzioni nulla da eccepire. Ma si sa che tra le intenzioni, ritenute buone, e l’azione passa inevitabilmente la mente dell’uomo.

Il corpo giudiziario è composto da uomini che per definizione possono commettere degli errori, hanno dei desideri, vogliono crescere professionalmente, e che purtroppo qualche volta non hanno scrupoli ad abusare di ciò che hanno per le mani pur di farsi un po’ di pubblicità. Ne sono prove inequivocabili molti degli innumerevoli processi che negli ultimi 20 anni hanno colpito il mondo politico e non solo. Le assoluzioni piene arrivate spesso troppo tardi hanno però dimostrato la buona fede degli imputati, e la cattiva fede di qualche magistrato che pur di un titolo sul giornale era disposto a ergersi, e lo fa tuttora, a bandiera del giustizialismo, la peggiore degenerazione della giustizia.

Per ovviare a questo e per salvaguardare il buon nome dell’Italia anche e soprattutto all’estero, negli ultimi tempi ritorna sempre più insistentemente il cosiddetto lodo Alfano. È chiaro che, come affermato dallo stesso Casini poco tempo fa, lo scudo per le più alte cariche dello stato è un elemento imprescindibile oggi per impedire l’ingerenza in politica di un potere diverso da quello esecutivo o legislativo, ed è chiaro che chi in un preciso momento rappresenta l’Italia nella comunità internazionale non deve essere turbato da problemi giudiziari spesso ingigantiti o montati ad hoc. Ma in una democrazia “matura”, come vorrebbe essere la nostra, l’imposizione di un codice etico in politica dovrebbe elidere la possibilità di utilizzo dello stesso.

Troppo spesso il problema si cerca di risolverlo a valle, mentre si dovrebbe andare sempre più alla radice. La necessità di un “lodo costituzionale” nasce dal fatto che guardando la composizione del parlamento una gran parte si è macchiata di reati, piccoli o grandi che siano, ma pur sempre reati. Questo si ovvierebbe a monte impedendo che chi è sottoposto a procedimenti giudiziari non possa essere candidabile. Ma questo purtroppo non è.

E perciò ormai troppo spesso si utilizza la politica come scudo per evitare di essere processati, adducendo ancor più spesso, motivazioni ridicole di fronte all’opinione pubblica volontariamente inerte a queste affermazioni.

Se delle intercettazioni sono realmente irrilevanti, perché non dare l’autorizzazione all’utilizzo da parte della magistratura? Se tutti i processi intentati sono solo bolle di sapone, perché allora non affrontare tutti i gradi di giudizio per arrivare finalmente ad una sentenza definitiva?

Troppo comodo bloccare la magistratura attendendo che scadano i tempi della prescrizione. Troppo comodo additare la magistratura come di parte. È vero, si riscontra una ideologia prevalente in certi ambiti, ma è pur sempre vero che se non si ha commesso nessun reato tutte le azioni intentate si risolveranno in una assoluzione piena.

Ma la realtà è che forse qualche scheletro nell’armadio lo si trova, e proprio grazie a questo risulta più facile a chi controlla mezzi di informazione o dall’altro lato a qualche magistrato troppo “furbo” montare un caso pur di screditare agli occhi dell’elettorato questo o quel politico. L’attività ignobile del dossieraggio ne è solo l’ultimo mezzo. L’utilizzo ormai dilagante del “metodo Boffo” ne è l’ultima conseguenza.

Per questo oggi la riforma della giustizia è imperativa. Bisogna riuscire a coniugare una riforma che garantisce al cittadino che si trova davanti ad un giudice di non invecchiare con questa spada di Damocle del processo, bisogna, dall’altro lato, separare le carriere di pubblici ministeri e giudici, ed impedire ad entrambi di farsi pubblicità sfruttando le indagini magari a carico di un cittadino illustre. A chi ha un procedimento in corso deve essere garantita la privacy, deve essere garantita la possibilità si svolgere serenamente il proprio lavoro fino a che la giustizia non abbia accertato la colpevolezza o l’innocenza del cittadino indagato. Ma ancor di più devono essere rispettati i principi fondamentali che la giustizia impone, quelli della certezza della pena e soprattutto dell’uguaglianza di fronte alla legge.

E proprio sull’uguaglianza che oggi la classe politica deve riflettere. L’uguaglianza impone una moralità di base imprescindibile per chi fa politica. Chi persegue il bene comune non può e non deve perseguirne il proprio. Perseguendo il bene comune non si commettono quegli errori che purtroppo oggi sono all’ordine del giorno. Non si vendono o comprano case, non si fanno “massaggi” in cambio di appalti, ma soprattutto non si utilizza la politica come mezzo per difendersi dal giudizio della legge e non si offende pubblicamente e quotidianamente la nazione impunemente, specialmente se si è un ministro della Repubblica.

Ancora una volta la politica deve interrogarsi sul motto ciceroniano “bisogna essere schiavi delle leggi per essere veramente liberi”. Libertà e giustizia sono sempre più un binomio inscindibile legato a doppio filo con la maturità della democrazia in cui si vive. Solo quando riusciremo ad essere una democrazia matura avremo una giustizia efficiente e solo quando avremo una giustizia efficiente potremo essere una democrazia matura.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonio Cannatà

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A chi gioverà la depenalizzazione del reato di banda armata

postato il 4 Ottobre 2010

Foto Venezia 2007 di Lega Nord PadaniaTra pochi giorni Berlusconi potrà ringraziare in maniera tangibile i suoi alleati leghisti tramite la depenalizzazione del reato di banda armata, un provvedimento che diverrà operativo il 9 ottobre.

Andiamo con ordine.

Intanto cosa è il reato di banda armata? Citiamo testualmente da Edizioni Giuridiche De Simone: “il reato di banda armata (che figura nel codice penale) è figura criminosa, consistente nel formare o partecipare ad una particolare associazione a delinquere con lo scopo di commettere uno o più tra i più gravi dei delitti contro la personalità dello Stato (art. 306 c.p.). Il reato si differenzia dall’associazione per delinquere per il diverso fine (la commissione di reati contro la personalità dello Stato) e per la presenza di armi che, a differenza della circostanza aggravante di scorrere in armi le campagne o le pubbliche vie prevista dall’art. 416 c.p., nel delitto di banda armata è elemento costitutivo del reato.

Il codice non definisce il concetto di banda armata in senso stretto, che viene pertanto rimesso all’interpretazione giurisprudenziale, secondo la quale consiste in un raggruppamento di persone dotato di un armamento idoneo al raggiungimento di specifici scopi delittuosi.

Il codice punisce tanto chi costituisce una banda armata, quanto chi vi partecipa, prevedendo, peraltro, una pena diversa. E la pena quale è? Per la costituzione di Banda armata la pena è la reclusione da 5 a 15 anni. Per la partecipazione la pena è la reclusione da 3 a 9 anni.”

Questa è la legge fino ad ora.

Cosa accade dal 9 ottobre? Che questo reato, di fatto, scompare. Come è possibile che nessuno se ne accorge?

Il governo è ricorso al solito trucco, che avevamo visto per il lodo Mondadori inserire provvedimenti “pesanti” o discutibili in mezzo a tanti altri di cui non importa nessuno. In questo caso, si tratta del Dl 15.3.2010 n. 66 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l’8 maggio col titolo “Codice dell’Ordinamento Militare”, un provvedimento comprendente l’abrogazione di ben 1085 norme tra cui la numero 297, che abolisce il “Dl 14.2.1948 n. 43”: quello che puniva col carcere da 1 a 10 anni “chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare, le quali perseguono, anche indirettamente, scopi politici” e si organizzano per compiere “azioni di violenza o minaccia”.


Capito il trucco? Si aboliscono migliaia di norme utili e in mezzo si aboliscono reati penali “pesanti”, soprattutto alla luce degli arresti di questi mesi per le BR e soprattutto della denuncia unanime del clima “pesante” che ormai si respira tra le fazioni più estremiste (un esempio è l’attentato, su cui tanto si discute, subito dal giornalista Belpietro) e che anzi fa paventare il ritorno al terrorismo come dice lo stesso ministro Maroni.

Ma su tutto questo, cosa c’entra la Lega? Perchè parlo esplicitamente di regalo alla Lega?

Perchè l’1 ottobre si doveva aprire un processo per il reato di banda armata, processo che si trascina dal 1996 e vede coinvolti 36 membri della Lega per la costituzione della struttura paramilitare denominata “Guardia Nazionale Padana” per la quale si parlava di tre reati gravissimi: attentato alla Costituzione, attentato all’unità e all’integrità dello Stato italiano, e la costituzione di Banda Armata. I primi due reati sono stati depenalizzati nel 2004, restava in ballo il terzo per il quale si attende il processo che vede imputati: il sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo e altri 35 esponenti della Lega nord, tra cui il deputato Matteo Bragantini, dell’ex primo cittadino di Milano Marco Formentini e del consigliere comunale di Verona Enzo Flego.

Perchè si attende ancora l’inizio del processo dopo 14 anni? Perché il procedimento è stato rallentato da richieste di autorizzazioni a procedere rivolte alla Camera e al Senato, perchè in questo processo, erano imputati anche Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori, Giancarlo Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli, usciti di scena a fine dicembre 2009 in virtù della dichiarazione di inammissibilità, pronunciata lo scorso luglio 2009 dalla Corte Costituzionale. Per gli otto, così come già avvenuto nell’aprile 2009 per i senatori Vito Gnutti e Francesco Speroni, il gup Caccamo ha quindi decretato a distanza di 13 anni e 2 mesi dai fatti contestati «il non luogo a procedere» motivandolo con la «mancanza della condizione di procedibilità» e quindi finalmente si era stabilita la data di 1 ottobre per l’inizio del processo.

Però nell’udienza preliminare svoltasi la settimana scorsa, l’avvocatessa Patrizia Esposito ha fatto rilevare che anche l’ultimo reato, dal 9 ottobre, cessava di esistere, con la conseguenza che il Tribunale non ha potuto fare altro che prenderne atto e aggiornarsi al 19 Novembre, data in cui il reato non sarà più esistente e quindi automaticamente i leader leghisti verranno salvati.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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