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La pluralità dell’informazione: apologia dell’inno alla vita

postato il 25 Novembre 2010

Riceviamo e pubblichiamo
di Elisabetta Pontrelli*

Non dimenticherò mai la disperazione negli occhi di Piergiorgio Welby e Peppino Englaro. La disperazione di entrambi nell’evocare la morte come liberazione da una sofferenza atroce, ingiusta, insopportabile: all’inizio dell’anno scorso, nel gennaio 2009, Peppino la chiese per l’amata figlia Eluana, da diciassette anni in coma vegetativo dopo un incidente stradale; Piergiorgio l’aveva chiesta invece nel 2006 per se stesso, giunto ormai alla fase terminale della sua terribile malattia, la distrofia muscolare, che l’accompagnava da trenta anni.
La vita a volte è spietata, sembra non voler far sconti a nessuno, né a chi si trova a vivere come Eluana Englaro la dolce primavera dell’esistenza, né a chi è già preparato alla sofferenza come Piergiorgio Welby, che, conoscendo da diversi anni la sua “compagna di viaggio” scomoda, avrà certamente sperato più volte durante il suo percorso di vita che quest’ultima deponesse le armi di fronte all’eccezionale voglia di vivere che egli possedeva, che rinnovava in lui la voglia di lottare e combattere ogni qualvolta l’ostacolo diventava più difficile da superare.

In questa battaglia vissuta all’insegna del “continuare a vivere comunque” c’è stata sempre Mina, la sua supercompagna di vita: moglie, amante, amica, mamma, complice più di ogni altra persona, più di ogni altro tipo di persona che si possa immaginare accanto ad un malato. Ammiro assolutamente la forza d’animo di questa donna-coraggio, il suo super-coraggio, sicuramente scaturito dal suo super-amore per l’adorato marito, nel riuscire ad accettare la volontà di quest’ultimo, riuscendo a rimanere accanto a lui nell’adempimento stesso di quella volontà: l’eutanasia. Rispetto la scelta che lei e suo marito avranno sicuramente analizzato e ponderato, perché è doveroso portare SEMPRE rispetto, soprattutto lì dove non si condivide un’idea o non si ha la stessa visione su un tema così delicato come quello legato alla propria morte: io non ci sarei riuscita con mia mamma, e neanche Michele con sua moglie Marina.

Mia mamma, al secolo Maria Teresa Sanna, malata terminale di Sla, immobilizzata e tracheostomizzata esattamente come Piergiorgio Welby, e Marina, in coma vegetativo proprio come la dolce Eluana Englaro, ricoverata nella stanza accanto a quella di mia madre. Mia mamma e Marina, entrambe splendide donne, di quelle che a 68 anni ne dimostrano dieci di meno, perché amano ancora pittarsi i capelli, gli occhi, le labbra e le unghie, sorridendo così alla vita. Mia mamma e Marina, proprio come Piergiorgio ed Eluana: Michele ed io abbiamo fatto spesso questo paragone, perché chiaramente quello che stavamo vivendo “in diretta” ci rimandava con la memoria a loro. Per liberare mia mamma sarebbe stato sufficiente staccare la spina del respiratore, mentre per liberare Marina sarebbe bastato sospendere la nutrizione e l’idratazione, ma Michele ed io non siamo stati Peppino e Mina. Insieme abbiamo condiviso otto mesi di corsia al reparto neurologia donne del Policlinico Gemelli, esattamente un piano sotto rispetto a dove veniva ricoverato il nostro amato Papa Giovanni Paolo II, che a me personalmente ha fatto tanta compagnia grazie alla statua che era proprio sotto le nostre finestre, statua che lo raffigura aggrappato alla Croce. Soprattutto durante le tanti notti insonni trascorse lì, guardandolo aggrappato a quella Croce pensavo alla mia, condivisa con mio padre e mia sorella, alla quale la vita gliel’aveva già presentata tramite la figlia Eleonora, disabile al cento per cento fin dalla nascita; pensavo alla croce di Michele, il cui unico figlio era in America a lottare con la moglie contro il tumore al cervello di quest’ultima e mi veniva da pensare in generale a tutte le Croci sparse nel mondo e a come fa esso a non sprofondare sotto il loro peso.

Tante domande ovviamente al caro Karol Wojtyla. Unica risposta, osservandolo e ricordando il suo esempio sul campo, la vita è vita sempre e sempre è degna di essere vissuta. Il principio è lo stesso anche per le grandi religioni orientali, Buddismo e Induismo, che, pur parlando di reincarnazione, affermano che ogni vita merita di essere vissuta, in ogni modo possibile, se si intende per VITA la possibilità di LEZIONI DA IMPARARE (ed è chiaro che la vita sarebbe da intendere così, per chi crede). E questa è stata anche l’unica risposta possibile che Michele ed io ci siamo potuti dare, domandandoci quale senso avesse vivere così e il perché di tanta sofferenza, da noi razionalmente rifiutata; una sofferenza in bianco e nero che ha cominciato a farci accettare l’idea della MORTE COME LIBERAZIONE, perché UNICA SOLUZIONE nel nostro caso, ma mai l’avremmo potuta scegliere e mettere in atto per mano nostra, non ne avremmo avuto il coraggio e, sarà sciocco dirlo, abbiamo continuato a sperare fino all’ultimo, anche in ciò che sapevamo non sarebbe mai accaduto. Eppure posso garantire che finché il cuore continua a battere tu non puoi smettere di sperare. NON PUOI, perché è l’istinto innato di sopravvivenza che ognuno di noi possiede che te lo impedisce. La Ragione ti dice che tanta sofferenza atroce è ingiusta ed è vero, eppure il Cuore ti suggerisce che, nonostante tutto, è vita e quindi non puoi smettere di amarla: ed è così che fai, non smetti di amare, pregare e sperare. Pregare la morte come liberazione… sì, può essere, se è l’unica soluzione, ma mai per mano dell’uomo, ti viene da pregare.

La Sla (sclerosi laterale amiotrofica) non ha lo stesso esordio per tutti, non ha lo stesso decorso, gli stessi tempi ed evoluzione: i “pochi mesi” (diciotto) di strazio che ha vissuto mia mamma e molti altri non sono la
regola fissa, per fortuna!! C’è chi convive con questa disabilità terribile (la quale arriva a non farti più mangiare e respirare autonomamente, né a poterti muovere e a parlare) da diversi anni, ma non ha NESSUNA INTENZIONE DI MOLLARE. Basterebbe andare sul sito di Viva la Vita Onlus, per conoscere persone straordinarie come Salvatore Usala, Claudio Sabelli ed il braveheart dell’affaire Sla, il cuore impavido e straordinario del Dott. Mario Melazzini, Presidente dell’AISLA, che afferma con assoluta certezza che la preziosissima lezione di vita che egli ha appreso “grazie” alla Sla è che gli uomini nascono per essere collegati gli uni agli altri e Mario, proprio vivendo questa terribile malattia, ha finalmente imparato a fidarsi del suo prossimo, lui che ora dal suo prossimo totalmente dipende, lui che da “medico” non era mai riuscito a capire quel “volto umano”, quello che va oltre ciò che è visibile a chiunque; quello più vero che appartiene ad ognuno di noi, spesso celato ed umiliato dalla nostra voglia di sopraffazione degli altri, la nostra volontà di dimostrare che siamo migliori degli altri, il cui aiuto non ci serve. Da queste parole vigorose, piene di voglie di vivere con tutta la straziante disabilità, di vivere nonostante essa ed andare oltre, come dice sempre l’ex calciatore Stefano Borgonovo, se ne deduce che sia estremamente necessario e doveroso capire che i malati di Sla e tutti i malati non autosufficienti, come i malati tutti, non hanno gli stessi punti di vista rispetto al senso della vita e rispetto al legame della stessa con la morte e le decisioni eventualmente da prendere in merito.

Di qui la necessaria e doverosa rappresentazione di tutti i punti di vista, se veramente crediamo nel valore della pluralità dell’informazione. Io sono totalmente d’accordo con quanto sostenuto dall’On. Pier Ferdinando Casini, innanzi tutto perché sono convinta che una vera democrazia non possa non augurarsi la pluralità dell’informazione, poi perché anch’io in qualche modo sono stata malata di Sla, essendo stata accanto a mia mamma 24 ore al giorno per circa due anni, di cui uno trascorso in diversi ospedali tra Roma e Milano, dove ho respirato e condiviso un mondo di disabilità, fatto sì di tanta sofferenza, ma anche di tanto vero calore umano, che scaturisce dall’apprezzamento delle piccole-grandi cose che in genere chi gode di buona salute dà per scontato: il profumo delle rose appena sbocciate, il vento fresco che spettina i capelli facendoti sentire vivo o un caffè con un dolcino da assaporare insieme agli altri e non di fretta da soli.

L’anno scorso ho festeggiato il mio compleanno in ospedale insieme a tanti disabili, ovviamente insieme a mia mamma, e non credo di esagerare nell’essere assolutamente convinta che è stato e rimarrà tra i più bei compleanni della mia vita.

Se non c’è la pluralità d’informazione come gli Italiani sapranno mai che esiste un Mario Melazzini che ti può raccontare la sua importante lezione di vita imparata dalla Sla? E Claudio? E Salvatore? Le visioni della vita ed i fatti che ne conseguono sono molteplici: tutti degni di rispetto, tutti degni di essere raccontati nella loro unicità, l’unicità dell’esperienza di vita che ogni malato può e deve comunicare, trasmettendo emozioni diverse, giustamente condivise o meno, ma assolutamente dette.

Dopo che l’On. Casini ha giustamente constatato con rammarico che nella trasmissione Vieni via con me è mancato il contraddittorio che poteva essere degnamente sostenuto, per esempio, dal Dott. Melazzini, come al solito si sono sprecate le faziosità ed i presunti tatticismi che egli avrebbe adottato e che non sto qui ad elencare perché è cronaca di questi giorni e perché, tristemente, gli Italiani sapranno molto di più di questi veleni, che ci vogliono divisi in guelfi e ghibellini persino di fronte la Morte, anziché conoscere invece la testimonianza che continuamente Mario Melazzini porta ovunque viaggiando: la testimonianza di un altro modo di vivere la malattia, altrettanto degno di essere raccontato, per non farci dimenticare che le PARI OPPORTUNITÀ combattono le discriminazioni innanzitutto comunicando l’EGUAGLIANZA proprio NELL’ALTERITÀ. Non bisogna per forza schierarsi, pensando sia più giusta l’eutanasia rispetto al cosiddetto accanimento terapeutico, la cui soglia di percezione tra l’altro varia da individuo ad individuo.

Semplicemente è giusto ciò che ogni malato decida per sé, proprio perché ognuno di noi è portatore di una propria unicità nell’alterità, sia fisica che intellettiva. E’ offensivo sia per l’intelligenza di Casini sia per la sensibilità dei malati e dei loro familiari pensare che essere per il contraddittorio significhi subdolamente accattivarsi la simpatia dei “soliti elettori cattolici”: esattamente il 21 giugno u.s., Giornata Mondiale del Malato di Sla, Pier Ferdinando Casini è stato infatti l’unico parlamentare che si è sentito in dovere di “scendere” dalla sua poltrona comoda di Montecitorio per partecipare INSIEME ai malati tracheostomizzati, nella medesima piazza, al sit-in da loro organizzato tramite l’associazione che li rappresenta, Viva la Vita, il cui nome sintetizza quello che più vogliono fare, nonostante la loro condizione… perché, come dice sempre Erminia Manfredi, moglie del nostro Nino nazionale e magnifica testimonial dell’associazione, “i malati di Sla adorano la Vita più di noi e la conoscono più di noi che purtroppo diamo tutto per scontato”, quindi anche la nostra salute!

Dopo due giorni, il 23 giugno u.s., il nostro meraviglioso Presidente Casini, essendo l’unico che si è degnato di ascoltarci, ha fatto un’interrogazione parlamentare seria ed appassionata in merito. Ammiro Casini per la sua sensibilità ed è questa che gli consente di affermare ciò che io, come figlia di una malata di Sla, troppo presto deceduta come tanti altri, condivido assolutamente! Non credo che lo possa fare per un proprio tornaconto, ma perché capisce che su questo tema non ci si può soffermare alla spicciolata… Non si può sperare di INCULCARE L’EUTANASIA come fosse andare al market a comperare una fiorentina piuttosto che un’orata come avviene nello spot pubblicitario già mandato in onda in Lombardia, che trovo semplicemente disgustoso perché privo di qualsiasi vibrazione di rispetto ai malati ed ai loro familiari: il pericolo dello spot è quello di poter trasmettere una semplificazione di tutto ciò, con il rischio di contribuire a creare individui non più consapevoli ed autonomi, cioè pensanti con la propria testa, perfino lì dove occorrerebbe solo SILENZIO, SILENZIO, SILENZIO e rispetto per le DECISIONI TUTTE.

Se ogni opinione può essere discutibile e se tutto può essere opinabile, una cosa è certa: i valori non posso essere negoziabili e soprattutto l’idea della vita e della morte che ognuno di noi ha non può e non deve essere semplificata e catalogata in un’unica ISTRUZIONE PER L’USO valida per tutti. Così come si è giudicata infelice la frase “Eluana potrebbe procreare”, chi è intellettualmente onesto non potrà non riconoscere che è altrettanto triste, nonché profondamente ingiusto, volere a tutti i costi convincere gli altri che non ha senso vivere in un certo modo, lì dove il senso ce lo possono comunicare Mario Melazzini e Stefano Borgonovo, poiché quel senso lo cercano e lo trovano ogni ora di ogni giorno, vissuto intensamente come un giorno in più regalato dalla vita da non sprecare (un senso che forse tutti dovremmo riscoprire); un senso che Casini ha toccato con mano avendo condiviso del tempo con i malati di Sla ed è forse per questo motivo che è stato l’unico a reclamare il contraddittorio dell’inno alla vita: poiché bisogna essere altrettanto coraggiosi a voler continuare a vivere, sorridendo ed amando la vita, nelle condizioni di Mario, di Stefano, di Salvatore o di Claudio, né più né meno come nello scegliere l’eutanasia.

E altrettanto coraggiosi sono i familiari che continuano a lottare insieme a loro sorridendo, esattamente come chi coraggiosamente accetta di vedere andar via la persona amata e lo accompagna per l’ultima volta mentre se ne va dolcemente e via con essa se ne va anche un po’ di quell’amore riposto nella lotta insieme, quando un giorno si era pensato di potercela fare, di poter vincere. E sottolineo un po’ d’amore, perché paradossalmente la Morte, cercata o no, te ne lascia dentro più di quanto se ne porta via, te ne lascia sicuramente più di quanto ce ne fosse dentro di te all’inizio del primo atto della commedia. Se proprio abbiamo voglia di urlare il nostro sdegno rispetto a qualcosa, dialoghiamo piuttosto con la Chiesa affinché non possa accadere mai più che a un Piergiorgio Welby, vero Cristo in Croce, non venga concesso il funerale, celebrato invece a criminali e dittatori sanguinari.

*Figlia di Maria Teresa Sanna, malata di Sla deceduta, attaccatissima alla vita
Cagliari, 20 novembre 2010

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Don Mazzi affronta il disagio dei giovani “normali”

postato il 24 Novembre 2010

Tra tutti gli interventi importanti che abbiamo potuto ascoltare a Milano, ce ne è stato uno che secondo me si è staccato sugli altri; forse perché non era di un politico, non era di un militante, non era di un giovane: parlo dell’intervento di Don Mazzi.

Pochi minuti sono bastati a questo grande e, allo stesso tempo umile, uomo per far comprendere a tutti noi seduti in platea l’importanza di alcuni temi fondamentali quali educazione, scuola, giovani.

Mi ha particolarmente colpito il discorso fatto sui giovani, parlando non dei disagiati, dei più sfortunati, degli extracomunitari, ma di quelli “normali”, dei ragazzi italiani che crescono in una società priva di valori, in cui si pensa solo all’apparire e non all’essere, di cui forse troppe volte ci si dimentica.

Mi auguro e spero che i nostri rappresentanti nelle istituzioni prendano esempio da Don Mazzi, dalle sue parole, da quei valori e quelle idee che devono animare sempre più il nostro agire politico, indirizzato a quel bene comune, obiettivo massimo a cui tutti dobbiamo tendere.

Riceviamo e pubblichiamo” di Andrea Galimberti

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Tirrenia di Navigazione, gli sviluppi

postato il 23 Novembre 2010

La vicenda della Tirrenia e della sua privatizzazione si arrichisce di nuovi sviluppi e forse siamo arrivati alle battute finali. I conti della Tirrenia sono  in profondo rosso a causa della scriteriata gestione degli anni passati: abbiamo detto delle 6 navi  acquistate anni fa e mai messe in mare nonostante siano costate complessivamente 300 milioni di euro perchè o consumano troppo o addirittura hanno una navigazione difficile con mare agitato; abbiamo detto che chi acquistava Tirrenia lo faceva con la garanzia di  72,6 milioni di aiuti pubblici l’anno per otto anni per Tirrenia e 55,6 (per 12 anni) per Siremar (sempre del gruppo Tirrenia); abbiamo detto di come, al momento del bando di vendita, alla fine nessun acquirente avesse chiuso la trattativa con lo Stato.

Chiusa quindi il primo tentativo di vendita con un nulla di fatto, il governo italiano ha deciso di tentare nuovamente la vendita della Tirrenia, anche perchè obbligato dalla UE.

Di questo nuovo bando non si sa nulla, se non quello che è trapelato da qualche intervista fatta a chi vorrebbe partecipare. Ma andiamo con ordine.

Intanto per rendere il piatto più appetibile, il governo ha diviso Tirrenia Viaggi da Siremar di cui ha dichiarato lo stato di insolvenzaseppure il Governo avesse dichiarato che non ci sarebbe stato il famoso “spezzatino”,  la divisione delle società (magari facendo come con Alitalia, ovvero vendendo ai privati la parte buona, tenendo per lo Stato i debiti)riproponendo la vendita per la sola Tirrenia.

Il governo ha fatto partire la nuova procedura di vendita, affidandola alla banca d’affari Rotschild, la medesima che nel 2008 aveva valutato Alitalia.

Ovviamente in questo non c’è nulla di male, non sono molte le banche d’affari e gli advisor internazionali che possono gestire una operazione di queste dimensioni, ma suona strano che ti questa nuova vendita non si conosca nessun particolare o condizione di vendita, se non che le offerte dovranno pervenire a gennaio dopo 6 settimane durante le quali i possibili acquirenti potranno studiare i conti della Tirrenia.

Intanto l’armatore italo-svizzero Gianluigi Aponte, afferma che intende partecipare alla gara tramite la compagnia Grandi Navi Veloci, di cui ha appena acquisito il 50% con la MSC e darà vita al nuovo marchio Gnv-Snav. Aponte, assieme a ad altri due armatori italiani molto noti, Grimaldi e Onorato, darà vita ad una newco che sarà guidata dal manager Ettore Morace, e si chiamerà Compagnia Italiana e avrà lo scopo, tra le altre cose, di acquisire la Tirrenia.

Il nome della newco, richiama alla mente la CAI di Colaninno che ha rilevato la vecchia Alitalia. Sarà un caso, o forse no, che Aponte era inizialmente azionista della stessa CAI e poi è uscito dall’azionariato.

Aponte ha dichiarato che parteciperà alla gara per Tirrenia, perchè “i debiti statali se li accollerà lo Stato”.

Quindi, dalle parole di Aponte, si desume che la nuova vendita di Tirrenia potrebbe essere l’ennesimo regalo che il generosissimo governo Berlusconi sta facendo a spese degli italiani, perchè in pratica ai cittadini resterà da pagare il salatissimo conto dei debiti della Tirrenia, che ammontano a circa 3 miliardi di euro, mentre la parte profittevole verrà ceduta. Ovviamente a nostre spese.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzanti

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Albertini e la politica del fare “onestamente”

postato il 20 Novembre 2010

Parliamoci chiaramente: Gabriele Albertini, già sindaco di Milano per due mandati, era l’ospite d’onore della giornata d’oggi. L’europarlamentare, in rotta con il suo partito – il Pdl -, è accreditato come possibile guida di un Terzo Polo fondato sull’alleanza tra Udc, Api e Fli. Per questo, sicuramente, erano in molti quelli che speravano in una sua conferma dei sempre più numerosi rumors: io – non ve lo nascondo – ero uno di questi.

E, invece, nel discorso di Albertini non c’è stato né un passaggio, né un accenno a possibili nuove alleanze: probabilmente qualcuno ne sarà rimasto deluso. Io, invece, no. Perché, come si suol dire, “chi ha orecchie per intendere, intenda”: il discorso dell’ex Sindaco è stato impostato sui temi della concretezza e della Politica del Fare “Onestamente”, dai contorni fortemente riformisti e liberali, con un occhio alla precedente esperienza amministrativa e alle sfide del futuro. Albertini ha lanciato un appello alla ricostruzione di Milano da portare avanti insieme ai partiti più responsabili, a partire proprio dall’Udc, e a una rinnovata alleanza tra Politica e imprenditoria. Un’idea che condivido pienamente, nell’ottica riformatrice della nostra struttura statale: c’è chi si riempie la bocca tanto di federalismo ma non riconosce poi l’importanza di costruire un rapporto solido tra capitale pubblico e capitale privato. Il fatto che la Politica abbia smesso di parlare al mondo dell’imprenditoria e del sociale è sintomatico del fallimento della nostra classe dirigente. Ecco perché, dopo la Marcegaglia e Bonanni stamattina, sentire Albertini lanciare questo appello mi ha molto soddisfatto.

Un Polo riformatore e liberale non può dimenticare queste tematiche e il fatto di tenere la propria assemblea a Milano conferma che da parte nostra, l’attenzione è massima. Come è massima la voglia di dare voce alla “maggioranza silenziosa” del Nord, che è fatta di piccoli e medi imprenditori, di lavoratori autonomi, di impiegati statali, stanca di essere presa in giro ogni giorno da personaggi che urlano a Roma Ladrona e poi pensano solo a presidiare Banche e Fondazioni, Rai e Ministeri. Ma al popolo del Settentrione (e lo dico da meridionale che crede fortemente nell’Unità del nostro Paese) possono interessare questi populismi, queste demagogie? Ovvio che no, come non interessano noi del Sud.

Vorremmo che la Politica parlasse di impresa, di sviluppo, di lavoro, di federalismo solidale, di detassazione, di valorizzazione delle autonomie locali nell’ottica unitaria. Vorremmo una Politica che parli la lingua di Obama, di Cameron, della Merkel: la lingua della concretezza, del bene comune, del fare (ma di quello vero). Una Politica che sia innanzitutto giovane, fresca, pulita. Il nostro Paese è incapace di produrre nuova classe dirigente, nuovi leader, nella politica così come nell’economia o nel sociale. Siamo un Paese senza guida e quindi senza futuro. Un Paese che non pianifica più, che aspetta che gli eventi raggiungano il punto di non ritorno per darsi una mossa.

Dobbiamo dare una scossa a questo sistema malato: il discorso di Albertini è andato proprio in questa direzione (anche su altri temi quali il rapporto con l’Europa, per esempio). Vedremo come andrà a finire, ma di sicuro – viste le premesse – c’è da ben sperare. E che si tratti di Terzo Polo o no, beh, questo è assolutamente secondario.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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Marcegaglia e Bonanni dialogano all’Assemblea “-promesse +Nord” dell’UDC

postato il 20 Novembre 2010

I temi dell’economia tornano al centro del dibattito politico, rilanciati dai segnali davvero preoccupanti che provengono dal mondo produttivo: le imprese hanno il fiato corto, cala l’occupazione (380 mila unità in meno dal 2008 al 2009), gli investimenti crollano.

Nel pieno di una crisi che sta cambiando pelle ma che non ci ha ancora lasciato, il Nord produttivo del Paese soffre: con le sue aziende in liquidazione, le sue cattedrali della produzione della ricchezza costrette a tagliare dipendenti e forza lavoro. Dobbiamo constatare, seppur malvolentieri, che nessun territorio, nessuna comunità socioeconomica è immune dalla virulenza di questa crisi. A coloro che hanno a cuore la crescita del Paese preme che si riparta da qui: i centri produttivi del Nord, Milano, Torino, l’ex-locomotiva del Nord-Est hanno bisogno di risposte chiare, perché la “ripartenza” a cui si punta rappresenta a ben vedere la via d’uscita più convincente.

Responsabilità è la parola chiave. La rilancia in modo deciso il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che dialoga con il segretario della CISL Raffaele Bonanni, in un’affollatissima assemblea UDC dall’emblematico  titolo “-promesse, +Nord, per far ripartire l’Italia”, in corso in queste ore a Milano. Il leader degli industriali chiede alla politica un’attenzione puntuale alle questioni economiche, lasciando da parte l’interesse di facciata che tanta classe dirigente rivolge all’Italia che produce, in attesa di politiche economiche robuste.

Si parte dall’assunto che la politica ha un grande ruolo: può decidere le sorti della crescita di un Paese, legiferando pro o contro quella spina dorsale di piccole e medie imprese che ci  ha permesso di stare tra i grandi del mondo e che oggi si ritrova nella più grande incertezza, proprio nel momento più difficile. E l’incertezza si risolve con “un disegno politico serio”, per dirla con Emma Marcegaglia, e Raffaele Bonanni sottoscrive, soffermandosi sul ruolo del sindacato nei rapporti capitale-lavoro (il caso FIAT, rievocato dai due protagonisti dell’incontro, è emblematico, Bonanni critico, la Marcegaglia più comprensiva).

E parlando di lavoro è il tema della detassazione a tenere banco: il mondo sindacale ci ricorda che in Italia la pressione fiscale è ancora troppo pesante, mentre ancora libere da ogni imposizione sono le rendite finanziarie, come i guadagni in borsa. Contemperare le esigenze delle imprese e dei lavoratori per rilanciare la crescita è dunque la sfida che Confindustria e sindacati lanciano alla politica.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

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I giovani padani costretti alla “clandestinità”

postato il 20 Novembre 2010

In questo mondo globalizzato e sempre più straripante di terroni ed extracomunitari pronti ad invadere la paradisiaca ed eterea Padania, arriva la drammatica legge del contrappasso a punire quei ragazzotti nordici che adorano (adoravano?) il partito Leghista. Il forum ufficiale dei giovani padani, infatti, è stato oscurato in seguito alla mole considerevole di messaggi negativi comparsi nelle ultime settimane nei vari topic.

Critiche, asprissime, al sempre meno tollerato governo Berlusconi ed allo stesso Carroccio, hanno spinto gli admin del forum ed il coordinatore dell MGP Massimo Grimoldi a decidere per la chiusura dello spazio virtuale (senza alcun preavviso, nè spiegazione). Del resto “i panni sporchi si lavano in famiglia”: meglio evitare di apparire all’esterno come deboli e litigiosi; meglio censurare le critiche al buon Renzo “trota” Bossi ed alle escort del Premier.

E così, i giovani padani, infame ironia della sorte, sono passati essi stessi allo status di clandestini; costretti cioè ad “emigrare” su questo nuovo spazio web aperto tramite forumfree. Il tutto, ovviamente, per continuare ad essere “padroni a casa nostra”; come si sloganeggia gagliardamente sul sito dei giovani padani di Saronno (dotato di un trashissimo sottofondo midi che richiama melodie celtiche).

In ogni caso, dopo aver visto in rete il video che ritrae alcuni consiglieri leghisti mentre ruttano, dicono parolacce e bestemmiano mezzi ubriachi nella cattedrale di Monaco di Baviera, sorge automatico e pressante il dubbio che i giovani padani, pensando agli adulti che dirigono il partito, hanno molto più da censurare che da essere censurati.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Germano Milite

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Il governo latita e il cittadino ne paga le conseguenze: multe europee e aumento dei prezzi degli alimenti

postato il 19 Novembre 2010

Questo governo sofferente e moribondo sta calamitando tutta l’attenzione dei media italiani, che sembrano essersi dimenticati che le esigenze delle persone sono anche altre: la gente non ha solo bisogno di chiarezza politica, ma anche di qualcuno che risolva i problemi che si accavallano e che, se ignorati, si ingigantiscono.
Un esempio lampante di ciò è nelle multe che recentemente l’Unione Europea ha sanzionato al governo italiano, reo di non avere preso provvedimenti dopo gli avvisi e le comunicazioni inviate dalla UE medesima.
Le multe in questione sono due: la prima riguarda la mancata applicazione di una sentenza del 2004 riguardante tre discariche nei pressi di Milano nei Comuni di Rodano e Pioltello, e contenenti rifiuti industriali. Queste discariche contengono rifiuti pericolosi e costituiscono una minaccia per l’aria e le acque locali (come si legge dal provvedimento dell’UE), e le sanzioni richieste all’Italia ammontano ad una multa giornaliera di 195.840 euro a decorrere dalla data della seconda sentenza della Corte fino all’avvenuta applicazione della decisione, più una somma forfettaria che è pari a 21.420 euro per ogni giorno trascorso dalla data della prima sentenza della Corte (2004) fino alla seconda. Considerando che sono passati ormai 6 anni, la somma sarebbe davvero elevata, circa 440 milioni di euro, paragoniamoli ai 100 milioni messi a disposizione per le cure dei malati di Sla.
Per altro solo una delle tre discariche risulta bonificata (con l’asportazione di 35.000 tonnellate di rifiuti), mentre la seconda discarica non è ancora stata rimossa e la bonifica della terza discarica è appena cominciata, nonostante la vicenda del “Polo Chimico di Pioltello-Rodano” fosse nota dal 1986.
La maggiore responsabile del danno è la Sisas, Società Italiana Serie Acetica Sintetica, che nel frattempo è fallita, lasciando, ancora oggi, circa 280 mila tonnellate di rifiuti industriali da smaltire nelle vasche A e B. La bonifica era stata affidata, nel frattempo alla Tr Estate 2, società che faceva capo a Giuseppe Grossi, l’imprenditore arrestato nell’ambito dell’inchiesta Montecity-Santa Giulia assieme a Rosanna Gariboldi, assessore all’Organizzazione Interna e Relazioni Esterne della provincia di Pavia e moglie di Giancarlo Abelli, deputato del Pdl.

L’altra multa è stata comminata al governo italiano per non avere recuperato, come gli era stato imposto, fli aiuti di Stato concessi a imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico.
“La Commissione europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia per non aver eseguito una decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea che ordina il recupero di aiuti di Stato illegali e incompatibili da imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico”, dice la nota.
La sentenza risale al 2006 e, la cosa più incredibile è che, nonostante i progressi compiuti nel recupero, le autorità italiane non hanno notificato alla commissione l’avvenuto completamento di tale operazione. Trattandosi di un deferimento alla Corte per il mancato rispetto di una precedente sentenza della Corte, “la Commissione ha deciso di chiedere alla Corte di imporre il pagamento di una penalità di 65.280 euro per giorno di ritardo successivo alla seconda sentenza della Corte fino al giorno della regolarizzazione dell’infrazione e di una somma forfettaria di 7.140 euro al giorno per il periodo intercorso tra la sentenza della Corte del 2006 e la seconda sentenza della Corte”, come recita il comunicato UE.
In pratica, paghiamo questa multa, perché il governo italiano si è scordato di comunicare alla UE di avere adempiuto ad una sentenza; per avere scordato di spedire una lettera con annesso francobollo (se consideriamo una raccomandata, diciamo 5-10 euro), noi pagheremo alcuni milioni di euro.
In mezzo a tutto questo, suona strano e preoccupante il silenzio assordante del ministero delle politiche agricole, relativo al nuovo rapporto FAO che prevede un notevole aumento nei prezzi dei cereali e delle derrate alimentari, aumento di prezzo che verrà pagato dai cittadini. Concordo con chi chiede un rilancio del settore agricolo, considerando che sempre la FAO prevede che, per evitare tensioni, bisognerà raddoppiare la produzione mondiale a breve, invocando una politica agricola non velleitaria, ma concreta e pragmatica. Ma la cosa peggiore è che la FAO prevede che questo aumento riguarderà tutto il comparto alimentare, considerando, ad esempio, che il mercato ittico da alcuni mesi ha visto impennarsi i prezzi, come anche lo zucchero, la soia, i cereali e così via, mentre le scorte di cereali stanno diminuendo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Caterina Catanese

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Alluvione, l’ordine del giorno Udc per far ripartire il Veneto

postato il 18 Novembre 2010

Dopo l’alluvione che ha duramente messo alla prova la nostra Regione, dopo giorni di totale abbandono da parte delle istituzioni e dell’informazione nazionale, con una settimana di ritardo anche il Governo si è reso conto della gravità della situazione e ha deciso di intervenire.

Accolti tra le proteste sia a Verona che in prefettura a Padova, Berlusconi, Bossi (con figlio Renzo al seguito) e diversi ministri hanno visitato le zone maggiormente colpite e hanno promesso immediati stanziamenti di fondi.

Il clima di sfiducia è ampiamente giustificato, considerando che alcuni nostri comuni come quelli di Abano o di Albignasego, sempre in provincia di Padova, attendono già da tempo i rimborsi per i danni causati dalle trombe d’aria degli anni scorsi, rimborsi che però non sono mai arrivati!

Ma come avevo scritto nel precedente articolo, nonostante la capacità della popolazione veneta di rimboccarsi le maniche nel momento del bisogno sia proverbiale, questa volta questa volta la tenacia non basta: è necessario che alle promesse espresse dal Presidente del Consiglio e dai suoi ministri seguano fatti concreti. Per ripartire servono i “schei”(nel dialetto veneto sono i soldi) dello Stato.

L’ultimo appello per un immediato intervento da parte del Governo è stato sollevato proprio da un esponente del nostro partito, l’On. De Poli. Il Coordinatore regionale UDC del Veneto ha fatto esplicite richieste attraverso un ordine del giorno al ddl stabilità che propone di sospendere gli studi di settore, i pagamenti Ires e Irap di novembre e i contributi previdenziali per i contribuenti veneti.

“Ci aspettiamo” – ha detto Antonio De Poli- ”che la maggioranza lo voti per dare un segnale di concretezza alle solite promesse”.

Noi veneti ci aspettiamo che la risposta della maggioranza e del Governo sia nel segno dell’apertura e speriamo, inoltre, che in futuro possa esserci una più accurata gestione del territorio da parte degli amministratori sia locali che nazionali per evitare il ripetersi di queste tragedie.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Ricco

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Ma è solo un programma tv

postato il 18 Novembre 2010

“Vieni via con me” è sicuramente un evento televisivo, una buona trasmissione che viene premiata dai telespettatori con ascolti altissimi, eppure c’è in giro la volontà, nemmeno tanto velata, di trasformare questo programma in qualcos’altro. Da una parte c’è chi vede nella trasmissione di Fazio e Saviano una sorta di “25 aprile” televisivo che sconfigge le insulse trasmissioni del biscione e segna il trionfale ritorno di una certa intellighenzia, dall’altra c’è chi considera “Vieni via con me” qualcosa ai limiti dell’eversivo, una sorta di grimaldello televisivo delle sinistre per logorare un Berlusconi in difficoltà.

E’ necessario davanti a queste prese di posizione abnormi ricordare ai tanti che si affannano ad attaccare e difendere che ci troviamo di fronte ad una trasmissione televisiva, e che dunque Fazio e Saviano non sono né due coraggiosi capi partigiani né due pericolosi terroristi di sinistra. Se “Vieni via con me” rimane un programma televisivo allora si può decidere di guardarlo o non guardarlo, lo si può apprezzare o criticare senza correre il rischio di essere arruolati in una parte politica o di compiere azioni sacrileghe. Ci si può anche arrabbiare come il ministro Maroni e dissentire pubblicamente, senza però fare il diavolo a quattro, specie se si è il ministro dell’Interno e si ha qualche problema più grosso da gestire.

Fatta questa doverosa premessa si può tranquillamente dire che la trasmissione di Fazio e Saviano è un buon prodotto che giustamente spicca nella mediocrità televisiva, ma che corre il rischio, come ha ben scritto Marco Travaglio, di diventare il “perfetto presepe progressista”. A dire il vero è una specificità dei programmi di Fabio Fazio quella di squadernare nei programmi tv le introvabili figurine panini veltroniane davanti alle quali stupirsi e compiacersi, ma non bisogna avere la presunzione di presentare questo idilliaco quadretto come il Paese reale, perché l’Italia è assolutamente più complessa, grazie a Dio.

Così ci possiamo ritrovare nel talento di Benigni o nella denuncia delle mafie fatta da Saviano e contemporaneamente storcere il naso davanti ai valori della destra e della sinistra declinati non brillantemente da Fini e Bersani o al monologo sull’eutanasia con impennata anticlericale di Saviano che ha persino scomodato Giordano Bruno. Lunedì tornerò a guardare “Vieni via con me” e continuerò a fare l’elenco, come buona abitudine della trasmissione, delle cose che mi sono piaciute e di quelle che non mi sono piaciute senza la paura di commettere nessun sacrilegio o lesa maestà e alla fine andrò a letto né euforico né con travasi di bile alla Masi, consapevole di aver guardato un programma televisivo come tanti, anzi come pochi.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Trasporti: l’Italia che si muove a due velocità

postato il 15 Novembre 2010

Mentre sto scrivendo queste mie considerazioni, un velocissimo treno Frecciarossa sta correndo lungo la tratta Roma-Milano, a circa 300 km/h , per collegare le due città in quasi 3 ore.

Contemporaneamente, sta partendo da Melfi, cittadina di circa 15000 abitanti della Basilicata, un “modernissimo” ritrovato di tecnologia, un veicolo di trasporto che circola su rotaie ( non riesco proprio a definirlo “treno”!), sta muovendo alla volta di Potenza e, se non dovessero esserci ritardi o imprevisti di qualsiasi tipo, dovrebbe impiegarci poco più di un’ora.

Questa è l’immagine che più rispecchia l’Italia: si corre a due velocità.

Il nostro Paese è profondamente diviso, soprattutto se si parla di trasporti: da una parte, si viaggia abitualmente su treni ad alta velocità, da un’altra si spera quotidianamente che il treno con il quale viaggiare… semplicemente ci sia.

A volte, poi, può capitare che tu debba viaggiare su bus sostitutivi perché, a causa del maltempo, c’è una frana che interrompe la tratta che collega tra di loro due regioni.

E’ ciò che è successo nella mattina di martedì: dalle 10.40, infatti, il tratto ferroviario Battipaglia-Potenza è stato sospeso perché, a causa delle piogge degli ultimi giorni, si è riversata sui binari una frana, tra le stazioni di Contursi e Campagna.

In queste condizioni versano le ferrovie del Sud: chi è “colpevole” di viaggiare su mezzi pubblici, non deve soltanto sopportare quasi ogni giorno disagi e ritardi, ma, addirittura, può rischiare la propria vita. Ora capisco tutto: Trenitalia, sicuramente, avrà pensato a questo quando ha deciso di lasciare “a piedi” i siciliani che, tra qualche mese, non potranno raggiungere la propria regione in treno. Il tutto è stato fatto per salvaguardare la salute dei cittadini, per evitare loro spiacevoli episodi di questo tipo.

Ebbene, piuttosto che investire in innovazione e programmare l’ammodernamento delle infrastrutture in zone disagiate, si sceglie di eliminare alcune tratte, poco produttive perché quasi inutilizzabili.

La risposta a queste nostre perplessità, d’altronde, è stata ripetuta centinaia di volte: non ci sono soldi per portare avanti questo tipo di riforme, tanto che, in questi giorni, si è a lungo parlato di un aumento nelle tariffe dei treni regionaliquesto non è un Paese per pendolari!

Allora mi chiedo: che fine hanno fatto i fondi FAS? La loro funzione non era certo quella di fungere da “bancomat” del Governo, ma di fornire un aiuto a quelle regioni che necessitavano di una mano per mettersi al passo con il resto nella Nazione.

Quest’idea è stata tradita, e i meridionali, per di più, continuano ad essere trattati da piagnoni. Non credo che questo sia lamentarsi, ma far sentire la nostra voce e rivendicare ciò che politici, da troppi anni, promettono in campagna elettorale.

Dunque, se l’idea per cui nascono i fondi FAS, cioè di essere concretamente d’aiuto alle regioni che ne hanno bisogno, viene tradita, permettetemi di sentirmi offesa. Offesa non solo perché meridionale, ma soprattutto perché italiana.

“Riceviamo e pubblichiamo” da Marta Romano

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