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La Bielorussia di Lukashenko

postato il 22 Dicembre 2010

Il voto in Bielorussia ed il ruolo del Paese nello scacchiere Euro-russo.

Domenica 19 dicembre, in un paese di fatto europeo, ma che in pratica sembra rimanere un antico relitto di era sovietica, si sono svolte le elezioni per il rinnovo del mandato presidenziale.

La Bielorussia (detta anche Russia Bianca), è uno stato abitato da poco meno di 10 milioni di persone, che per la propria posizione geopolitica, ricopre un interesse particolare tanto nelle cancellerie europee quanto al Cremlino. Ad uscire vincitore da questa tornata elettorale è l’intramontabile presidente Lukashenko, in carica ininterrottamente dal 1994 e giunto, con questa discussa rielezione, al suo 4 mandato.

I dati sulla vittoria sembrerebbero schiaccianti: il presidente uscente avrebbe ottenuto l’80% dei voti, con un’affluenza alle urne intorno al 90% degli aventi diritto. Cifre e percentuali plebiscitarie, che hanno fatto sorgere fortissimo il sospetto negli osservatori internazionali (Organizzazione per la Cooperazione e Sicurezza in Europa – O.C.S.E. – in testa) di pesanti brogli nella regolarità delle elezioni. Sospetto corroborato dall’esplosione di violenza seguita alla dichiarazione dei risultati nella serata del 20 dicembre. Nel corso dei tumulti di piazza sarebbero state arrestate circa 600 persone. Fonti giornalistiche affermano che tra i feriti vi sarebbe anche il leader dell’opposizione, Niklajev, trasportato in ospedale. Un giro di vite sull’opposizione denunciato anche da Amnesty International.

La principale differenza tra queste e le precedenti consultazioni elettorali si fermano sostanzialmente al numero dei candidati: ben nove sfidanti, cui è stato persino concesso qualche spazio televisivo. La Bielorussia rimane lontana anni luce dagli standard minimi di democrazia europei. Nonostante ciò, i rapporti con i paesi dell’Eurozona si sono progressivamente distesi nel corso degli anni, nel corso degli anni ’90 infatti, il regime bielorusso arrivò ad espellere i diplomatici europei e statunitensi in un crescendo di tensione che pose fine per quasi un decennio ai rapporti diplomatici.

Il ritorno della Russia al suo antico splendore neo-imperiale, ha imposto ai paesi europei un approccio informato ad una linea di politica estera realista anche perché il paese si trova in uno snodo energetico e militare strategico.

I rapporti col vicino russo sono ottimi, salvo sporadici incidenti dettati dalla volontà di Lukashenko di affrancarsi dalla invadente influenza del potente confinante, l’economia bielorussa rimane a tutt’oggi legata a doppio filo con Mosca. L’industria nazionale, eredità sovietica, posta sotto il controllo dello stato, si basa quasi esclusivamente sulle materie prime e sulle commesse russe. Il paese dipende totalmente dal vicino per le importazioni di gas, che viene raffinato in loco per poi essere rivenduto ai paesi dell’Unione Europea, garantendo un buon margine di profitto.

Il sistema difensivo russo e bielorusso sono profondamente integrati; gran parte delle forniture militari provengono da interscambi tra i due paesi, che si dimostrano essere solidi alleati. Mosca tuttavia non perde mai occasione di ribadire la propria supremazia all’interno dell’alleanza ogniqualvolta il piccolo cugino si allontani dagli schemi.

Lukashenko ha infatti compreso la valenza strategica del suo paese, aprendosi ai leader europei. Le risposte sono state formalmente molto timide: l’unico a far visita all’ultimo dittatore rimasto in Europa, nel 2009, è stato il nostro Presidente del Consiglio, che proprio in quell’occasione ha ribadito di essere sbalordito da quanto i bielorussi amino il proprio leader. Un commento troppo generoso, come riconferma l’odierna situazione politica del paese; certamente fuori luogo, se non proprio preoccupante, quando a pronunciarlo è un leader di una democrazia occidentale.

Berlusconi ha cercato di utilizzare come canale la tanto millantata amicizia personale con Putin per favorire il passaggio della Bielorussia dell’odierno isolamento ad una prospettiva più europeista, mantenendo sempre un occhio di riguardo agli interessi russi nel paese. Il Cremlino, tuttavia, non si è dimostrato molto disponibile nel consentire una progressiva apertura dell’alleato alle potenze europee. La partita resta aperta, con i paesi dell’U.E. che incentivano maggiore collaborazione, anche sul piano dei diritti umani, garantendo come contropartita aiuti economici.

L’economia bielorussa, nonostante un progressivo incremento negli ultimi anni, resta ben lontana dagli standard europei. Il sistema è in gran parte controllato dallo Stato. La stabilità del paese, come in molti regimi illiberali, rimane ancorata allo sviluppo economico. Questo è tuttavia messo a dura prova dall’accerchiamento strategico in cui il paese rischia di trovarsi, stretto tra un’Europa che corteggia l’ultimo dittatore pur non volendo avere nulla a che fare con la disapprovazione che questo rapporto innesca in ogni paese democratico, ed una Russia che cinge il braccio intorno al collo dell’amico ed alleato Lukashenko, sussurrandogli all’orecchio che in fondo, come i cugini russi sono artefici della sua fortuna, alla stessa maniera ne possono decretare la fine.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Federico Poggianti

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Giovani, università, futuro: una pagina di Don Milani ci salverà

postato il 20 Dicembre 2010

Migliaia di giovani sono riuniti nelle scuole e nelle università occupate per progettare e pianificare la protesta contro la riforma del ministro Gelmini. Questi giovani sono guardati talvolta con occhio benevolo, specie da chi condivide la maledetta precarietà, ma il più delle volte con biasimo paternalista se non con esplicito disprezzo da chi in questo momento detiene il potere e più in generale da quel mondo degli adulti che è ampiamente responsabile del furto di speranze e futuro.

A questi giovani che si appassionano, che vogliono urlare la loro rabbia contro i ladri di futuro vorrei potesse tornare a parlare don Lorenzo Milani. Il Priore di Barbiana se fosse vivo, si scrollerebbe di dosso l’inutile aureola veltroniana e con la sua tonaca consunta si presenterebbe in un’aula per dire una parola ferma e chiara ai giovani e per dare un sorriso paterno che sa di Dio. Prima di dire qualcosa don Milani appenderebbe alla parete dell’aula il famoso cartello con il motto dei giovani americani “I care” per ricordare a tutti  nella scuola, nell’università e nella vita che è necessario interessarsi, appassionarsi, prendere a cuore. Poi direbbe a questi giovani che “dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole)”  e che “quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siamo cambiate”. Gli ricorderebbe anche che la Costituzione offre loro due leve per cambiare le cose cioè il voto e lo sciopero, ma che faranno cosa ancora più grande se con la parola e l’esempio riusciranno a far cambiare idea a tanti. Prima di lasciarli partire per la piazza farebbe l’ultima raccomandazione ricordando a ciascuno di loro che sono tutti sovrani e che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto, e con una benedizione nel cuore e lo sguardo di un padre gli direbbe che la vita è un bel dono di Dio non va buttata via e buttarla via è peccato.

Purtroppo in queste ore nelle aule dove gli studenti sono riuniti in assemblea non entrerà nessun don Milani per ascoltarli e dialogare con loro e resteranno soli a rimestare gli insulti di La Russa e le farneticazioni di Gasparri, e poi sarà ancora piazza, sarà scontro, sarà un urlare più forte contro chi non vuole nemmeno sentire, nella speranza che l’Italia, che già piange il dialogo, non debba versare le proprie lacrime sul sangue di uno studente o di un poliziotto.

Cari studenti, in queste notti passate a scuola o all’università trovate il tempo per leggere una pagina di don Milani, fatevi scuotere da quel prete-maestro di montagna che ha ancora da dirci qualcosa sulla politica, sulla scuola e sulla vita; e alla manifestazioni brillerete di luce diversa perché non sarete una vile teppaglia ma cittadini sovrani che reclamano futuro, giustizia e libertà.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Giù le mani dai nostri sogni

postato il 16 Dicembre 2010

La sera del 7 dicembre viene trasmesso in prima serata su rai 1 l’imperdibile classico Disney “Cenerentola”. Conclusa la romantica scena del ballo fra Cenerentola e il suo principe, la storia viene interrotta dalla pubblicità, che inizia con quella del programma di Bruno Vespa “Porta a Porta”: sullo sfondo, in formato gigante, ci sono le foto di Sarah e Yara; sopra di loro una scritta a caratteri cubitali “Come difendere i nostri figli?”; in primo piano Bruno Vespa e le sue parole: “Molte ragazzine si saranno commosse davanti a fiabe come quella di Cenerentola ma poi la loro vita è stata spezzata, come successo nei recenti casi di cronaca…”. Tutto questo davanti a più di 7 milioni di telespettatori, fra i quali bambini, adolescenti, giovani, adulti e famiglie.

Personalmente, sono senza parole. Come si fa a trattenere così violentemente i piedi per terra a chi riesce a volare con i sogni e la fantasia semplicemente guardando una fiaba del genere? Con quello spot il ritorno alla realtà sarà stato immediato. L’interruzione pubblicitaria già distoglie l’attenzione e il coinvolgimento emotivo dalla storia, le parole di Vespa, poi, hanno praticamente messo a confronto sogni e realtà, speranza e realismo, ottimismo e cinismo, serenità e dolore… fiducia e paura. Ma noi abbiamo già i tg, i giornali, i cinici, i pessimisti che ci convincono ogni giorno che le difficoltà nella vita sono infinite, che il mondo fa schifo, che non vale la pena combattere, che tragedie e drammi sono sempre in agguato dietro l’angolo, che i sogni sono per i sciocchi. Quello che ci manca, è qualcuno che ci ricordi che vale sempre la pena di lottare, che credere in noi stessi e nelle nostra capacità è fondamentale, che la vita oltre al dolore ci riserba sempre sorprese e gioie… che un sogno si realizza solo se ci crediamo. Ebbene, mi stupisco sempre della quantità di messaggi positivi e di valori che un cartone animato riesce a trasmettere (molto più di molti film per adulti), ma se anche questi vengono rovinati da chi continua a riportare la nostra attenzione sul lato del mondo più brutto e crudele, come facciamo a continuare a sognare?

Ricordiamoci e soprattutto convinciamoci che “Quando desideri qualcosa, tutto l’Universo cospira affinché tu realizzi il tuo desiderio” (Paulo Coelho) e mettiamo in pratica questo verso di una canzone di Eros Ramazzotti: “Segui il passo di un sogno che hai, chi lo sa dove può arrivare…”. I sogni non sono la realtà nel presente, ma possono esserlo nel futuro, se noi ci crediamo. Dunque chiedo rispetto: giù le mani dai nostri sogni!

“Riceviamo e pubblichiamo” di Chiara Cudini

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Per l’OCSE la pressione fiscale sale e per i giovani non ci sono buone notizie

postato il 16 Dicembre 2010

L’OCSE ha pubblicato uno studio dal quale si evince che la pressione fiscale in Italia è elevatissima, pari al 43,5% del PIL (l’anno precedente era al 43,3%), che ci colloca al terzo posto nel mondo. Questo rapporto contraddice palesemente quanto era stato promesso dal governo, ovvero diminuire la pressione fiscale.

A giugno di questo stesso anno, avevamo denunciato che la pressione fiscale in Italia andava aumentando e non certo diminuendo come vuole fare credere certa propaganda, e lo avevamo fatto citando fatti e non parole vuote. Già all’inizio dell’estate, infatti, avevamo dato grande attenzione agli studi del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, i quali avevano rilevato che eravamo primi per la pressione fiscale come affermava Claudio Siciliotti, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, andando ben oltre i valori rilevati dall’OCSE, infatti, se consideriamo la pressione fiscale sulla sola componente del Pil che le imposte le paga per davvero, ossia sulla componente depurata della quota stimata di economia sommersa, si vede chiaramente come la pressione fiscale ”reale” in Italia sia superiore: 51,6% nel 2009 rispetto al 50,8% nel 2008, e quindi ben al di sopra del risultato rilevato dall’OCSE (pari al 43,5%).

Come mai questa divergenza tra i dati dell’OCSE e i dati del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti?

Questa differenza è legata alla componente di economia sommersa stimata in Italia, che e’ percentualmente piu’ rilevante di quella di tutti gli altri Paesi europei, esclusa la sola Grecia; in concreto significa che a causa dell’evasione e del sommerso i lavoratori onesti pagano molto di più, e l’indice della pressione fiscale ”reale” cresce significativamente di piu’ di quello che accade con riferimento ad altri Paesi.

A conferma di quanto affermato, possiamo anche citare uno studio della CGIA di Mestre che affermava la stessa cosa e che quantificava il sommerso in Italia pari a 250 miliardi di euro nel 2009.

Quando abbiamo dato grande risalto a questi dati, all’inizio dell’estate, ci augurammo che il governo non li sottovalutasse, ma anzi intervenisse al più presto, purtroppo la nostra speranza è stata disattesa. Oggi non solo vediamo confermati i nostri timori dallo studio dell’OCSE, ma questo stesso studio getta una luce sinsitra sul futuro dell’Italia, perchè denuncia la situazione gravissima in cui versano i giovani e il mondo del lavoro: l’Italia è al penultimo posto tra i 33 Paesi membri per quanto riguarda il tasso dell’occupazione giovanile. Se guardiamo le cifre, osserviamo che in Italia solo il 21,7% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è occupato, contro una media Ocse del 40,2%.

E non è tutto, perchè l’Italia ha anche il minor tasso di occupati tra i giovani laureati e la maggior percentuale di giovani «falsi autonomi»: infatti nel 2008 circa il 10% dei giovani occupati italiani risultava autonomo ma senza dipendenti, contro una media del 3% nell’Ue. Che significa “falso autonomo”? Sostanzialmente che è sempre più diffuso il caso in cui aziende assumono giovani ma li costringono ad aprirsi la partita iva, in tal modo l’azienda non ha obblighi verso il giovane, ma anzi può scaricarlo in ogni momento. Tra gli occupati inoltre, riporta ancora lo studio, il 44,4% ha un impiego precario, e il 18,8% lavora part time.

Sono cifre allarmanti, che ci fanno temere per il futuro dell’Italia: sia perchè i giovani sono il futuro, sia perchè se non si da una scossa al mondo del lavoro, sono a rischio anche i conti pubblici dell’Italia stessa. Serve quindi che il governo adesso agisca, proponendo delle riforme concrete e una seria e credibile politica economica e del lavoro.

Flessibilità e svecchiare il mondo del lavoro si, ma senza che questo diventi sfruttamento.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Caterina Catanese

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Berlusconi scherzi con i suoi fanti, ma lasci stare i santi

postato il 15 Dicembre 2010

Nel convulso giorno del voto di fiducia è sfuggita ai più una incredibile dichiarazione attribuita al Presidente del Consiglio: “Anche il Vaticano si è chiesto come mai l’Udc non dia l’appoggio esterno al mio governo”. Non volendo neanche prendere in considerazione l’idea che Oltretevere la prima preoccupazione sia quella di vedere l’Udc alla corte del Cavaliere, restano le parole gravissime, e non smentite, del Premier.

Perché sono gravissime? Non certo perché si esautora Padre Lombardi del ruolo di portavoce della Santa Sede, ma perché  da questa affermazione traspare la concezione utilitaristica che Berlusconi ha della Chiesa e dei cattolici. Il Presidente del Consiglio crede con generici impegni sui valori, con provvedimenti a favore delle famiglie (mai attuati) e cospicui finanziamenti a parrocchie e scuole private di poter fare della Chiesa cattolica un instrumentum regni e di trattarla come una delle azienda di famiglia. No, caro Presidente, lei potrà “convincere” tutti i deputati che vuole, potrà compiacere anche qualche prete e qualche vescovo ma non può tirare nel fango di una insulsa battaglia politica la Sede Apostolica e la Chiesa di Gesù Cristo che, nonostante le umane debolezze, hanno pensieri più importanti del salvare politicamente lei e il suo governo.

E’ triste anche il ricorso da parte di un capo di governo a termini generici e giornalistici come “Vaticano” , un termine che il più delle volte indica la Santa Sede esclusivamente come centro di potere temporale. Vaticano è il nome del luogo dove la tradizione vuole sia stato sepolto San Pietro dopo essere stato martirizzato durante la persecuzione di Nerone, il luogo dunque dove riposa un pescatore galileo che disse il suo no chiaro ai potenti del tempo. Un nome quello di Vaticano che meriterebbe maggior rispetto specie da chi si professa paladino dei valori cattolici.

Presidente, anche se siamo alle comiche finali risparmi la Santa Sede da questo teatrino segua quell’antico e sano principio proprio della saggezza popolare che vuole il profano separato dal sacro e che si concretizza nel celebre detto: “scherza coi fanti ma lascia stare i santi”. I santi si scomodano solo per le grazie importanti, per salvare un governo bastano i fanti a poco prezzo che si possono racimolare alla Camera.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Da disabile vi dico: occupiamoci della politica

postato il 13 Dicembre 2010

La mia vita in questi anni è ruotata intorno ad una vasca con acqua e cloro e una serie sterminata di lettere e viaggi che hanno rappresentato il mio personale impegno per portare voce di chi non ha voce, o di coloro che sono stanchi di essere sempre indicati come soggetti passivi della Comunità.

Da disabile, non mi vergogno di dirlo, ho lottato per dimostrare con i fatti che l’impegno incessante e martellante premia. Questo impegno può essere profuso nello sport o nella cultura non importa, ciò che importa è crederci. E così sono arrivati i successi sportivi, la rappresentativa nazionale, i records e le qualificazioni mondiali in competizioni ritenute impossibili per un atleta con diversa abilità, ma c’è anche un record ancora più difficile da raggiungere, ed è quello di riuscire a parlare ad una politica sorda, troppo impegnata nei giochi di potere, nei salotti e nella compravendita di parlamentari.

Ho incontrato quasi tutti, da Veltroni al portavoce del Pdl e numerosi parlamentari che addirittura mi hanno fatto visita a bordo vasca. Purtroppo quando prospettavo la mia voglia di impegnarmi per gli altri proponendo soluzioni semplici, ecco apparire le solite scuse: “è complesso”, “ci sono iter da seguire lunghi” oppure “il Paese attraversa un momento difficile”. Ad un certo punto ho trovato sulla mia strada l’Udc e il suo leader Pierferdinando Casini che per ben 45 minuti ( tempo che per un politico di rango nazionale è riservato solo alle persone importanti) mi ascolta. Resto però di stucco quando l’on. Casini mi chiede di andare a Todi per parlare di diritti, di diversità, di aspettative e di progetti. E’ stato un invito che ho accettato molto volentieri e che mi ha dato la possibilità di parlare a tanti parlamentari nazionali, di riscuotere consenso unanime e di far aprire una discussione alla commissione trasporti della Camera sulla gratuità delle strisce blu per i “veri” disabili ad oggi vessati in molti Comuni.

Purtroppo nonostante la proposta dell’Udc sia rimasta ferma per la mancanza di numeri in Parlamento, la fiducia in Pierferdinando non è venuta meno: non dimenticherò mai la fiducia che lui ha dato ad un ragazzo appena conosciuto, un insolito fondista impegnato in politica.

Questa fiducia e stima reciproca mi hanno portato a intervenire a Chianciano Terme alla convention dell’Udc. Da allora tantissimi continuano a chiedere un mio impegno personale in politica. Personalmente resto convinto che la chiave di lettura di un possibile impegno politico sia ancora quella “chiacchierata” con il Presidente Casini. Forse non bastano le associazioni che compiono quotidianamente sul territorio un’azione capillare e di vicinanza ai nostri problemi, ma occorre un nuovo impegno per dare concretezza a quel “ricuciamo l’Italia”, che non è solo uno slogan ma un vero e proprio programma che rappresenta un partito fatto di persone che credono ancora in valori importanti come la solidarietà e la democrazia.

Molti leggendo le mie parole penseranno che io sia un militante dell’Udc, ma non è così. Sono solo un campione di nuoto paralimpico che sta spendendo la sua vita per gli altri, e che si sente libero di testimoniare l’impegno di chi cerca di mettere a disposizione il proprio tempo e la propria azione politica per una causa giusta.

In questi mesi sono impegnato nella preparazione per gli Europei di fondo di Berlino, giornate intere trascorse tra palestra e piscina, ma anche quando nuoto il mio pensiero va all’impegno per sensibilizzare la Politica su temi che interessano a tutti noi.

Questa mio intervento spero  rappresenti un inizio, spero di far conoscere un po’ la mia storia, spero soprattutto di testimoniare l’impegno di questo Partito per quelle persone che si sentono sole e abbandonate.

Sono certo che leggerete ancora di me e di una serie di iniziative che proporrò ai Parlamentari UDC.

Grazie

Gianluca Attanasio

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Rifiuto la democrazia bovina, non tutti hanno un prezzo

postato il 11 Dicembre 2010

In principio fu la pecora.  Forse la prima volta che gli animali da allevamento entrarono nel vocabolario della politica italiana fu grazie al missino Teodoro Buontempo che i suoi chiamavano familiarmente “er pecora”. In tempi più recenti si sono fatte strada le capre e i maiali, anzi i porci, grazie a Vittorio Sgarbi e Umberto Bossi, ma nella seconda repubblica a dominare incontrastati sono i bovini.

Da più di vent’anni l’ambito semantico bovino segna la politica italiana: si usano verbi come “mungere” e “foraggiare” e la stessa classe politica si è avviata ad una singolare omologazione con la specie bovina tanto da mutuarne comportamenti come la transumanza. Gli esperti politico-bovini hanno definito transumanza l’abitudine di gruppi di parlamentari  raccolti in gregge-partito che in tempi propizi lasciavano le irte zone dell’opposizione per i pianeggianti pascoli governativi. Come non ricordare le bucoliche transumanze mastelliane? In tempi in cui l’economia trionfa, si è affermato con successo il famigerato mercato delle vacche: prima delle elezioni pastori e allevatori (anche di Montenero di Bisaccia) riempiono le loro stalle di capi pregiatissimi che mandano a pascolare a Montecitorio, e quando i tempi si fanno difficili queste vacche floride diventano oggetto di intensa e provvidenziale compravendita, addirittura alcuni esemplari sono così intelligenti che si offrono da soli al miglior acquirente. Inutile dire che Il Cavaliere in questo campo è davvero esperto, non per niente ad Arcore aveva uno stalliere.

Anche se le battute e le ironie su questa democrazia bovina sono fin troppo facili alla fine resta una certa amarezza davanti a queste giornate convulse dove figure assolutamente mediocri e modeste pretendono, con la compiacenza di tv e giornali, di fare la storia della Repubblica. Ma potevamo aspettarci di meglio da un Parlamento di nominati? Evidentemente no. In questo quadro così desolante spiccano Pierferdinando Casini e i parlamentari dell’Udc. Attenzione non c’è nessuna intenzione di fare una banale peana del leader dell’Udc, ma è un dato di fatto che i presunti “poltronari” dell’Udc, per dirla alla Bossi, siano gli unici che da due legislature se ne stanno tranquillamente all’opposizione di Prodi e Berlusconi senza nessuna intenzione di offrirsi e farsi comprare. Chapeau!

Purtroppo le buone intenzioni di Casini non ci salvano dal generale quadro desolante e così fino al 14 dicembre, e forse fino a quando la politica italiana non cambierà rotta, saremo costretti prima di dormire a continuare a contare le vacche parlamentari al posto delle classiche pecorelle. La democrazia è dunque bovina, ma il popolo è sempre più bue.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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C’era una volta il “pacchetto sicurezza”, i sindacati di Polizia in piazza a protestare

postato il 9 Dicembre 2010

Uno dei punti di forza del programma politico di questo Governo è stato il cosiddetto “pacchetto sicurezza”: soffiando sulle paure degli italiani, sulla loro insicurezza, il PDL e la Lega si sono presentati come gli unici in grado di garantire la sicurezza dei cittadini. Anzi, si sono posti come gli unici che avrebbero potenziato le forze di polizia, per tutelare i cittadini onesti.

Ebbene, dopo due anni di governo si può serenamente affermare che non è così: l’unica cosa che ha fatto il governo è stato provare a dare vita alle “ronde di cittadini” che sono state un clamoroso flop.

Oggi tutti i sindacati di Polizia erano in Piazza (Siulp, Siap, Sap, Silp-Cgil, Fns-Cisl e Ugl), il Sindacato Autonomo di Polizia, ha affermato che la sicurezza è “al collasso e gli uffici rischiano di non essere più in grado di garantire il lavoro ordinario”, secondo quanto affermato dal suo segretario, Nicola Tanzi, mentre i sindacati di polizia, corpo forestale, polizia penitenziaria e vigili del fuoco sono scesi in piazza in decine di province italiane per protestare contro il governo. ”Siamo pronti a fare sacrifici, ma non si può mettere un tetto alle indennità operative – prosegue Tanzi – Per questo entro il 12 gennaio dev’essere approvato l’emendamento presentato dalla maggioranza e poi ritirato nell’ambito della conversione in legge del pacchetto sicurezza”. Inoltre, i fondi promessi dal governo provengono dal Fondo Unico di Giustizia, ovvero dalle somme incassate dai sequestri, e non sono assolutamente dei fondi strutturali, quindi l’anno prossimo saremmo punto e a capo.

Oggi si porta a conoscenza di tutti che esiste un problema legato alla sicurezza e alle condizioni di lavoro delle forze dell’ordine, un problema che avevamo già sollevato e denunciato sia quando avevamo condannato l’ipotesi di tagli alla sicurezza e il taglio delle tredicesime dei poliziotti, sia quando avevamo espresso solidarietà a Pignatone che chiedeva più mezzi per la lotta alla ‘ndrangheta, e solo l’altro ieri avevamo chiesto che, qualunque governo ci sia, non si abbandonino le forze di polizia, perchè noi abbiamo bene in mente quali priorità e bisogni ha la gente, e preferiamo i fatti ai proclami.

Speriamo che il Governo prenda atto di questa protesta e decida di ascoltare la voce di chi ogni girono rischia la vita per la sicurezza nostra e delle aziende, per chi tutela noi e la nostra onestà, e sopratutto speriamo che il PDL e la Lega non decidano di tradire l’enessima promessa elettorale.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Caterina Catanese

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Caro Babbo Natale, spiegagli che internet non è la televisione

postato il 8 Dicembre 2010

Caro Babbo Natale,

Natale si avvicina, e come ogni anno ti scrivo per farti avere la lista delle cose che mi piacerebbe poter trovare sotto l’Albero. Avrei tante cose da chiederti, ma mi sa che in questo periodo di crisi così profonda (a proposito, risolta la vertenza sindacale con gli elfi?) dovrò limitare le mie richieste. Avevo già abbozzato qualcosina, ma purtroppo ho dovuto stracciare tutto, perché – temo – ci sono cose più importanti di quelle che avevo pensato. E sai perché? Perché il mio pomeriggio è stato guastato dalla consapevolezza che vivo in un’Italia per certi versi ancora così medioevale e retrograda da sembrare fissata ancora negli eterni e gloriosi anni 60. Non voglio tediarti con le mie lamentale, ma vista la tua millenaria saggezza, sono sicuro che saprai darmi una mano. Ti espongo, per rapidi punti, i fatti (qualora lì da te le notizie non siano già arrivate): è da un’Estate che si combatte, con tanta pazienza e decisione, per la difesa di alcuni elementari diritti liberali e per la modernizzazione di questo Paese. Da parte mia, con molta ma molta umiltà, ho cercato di offrire un piccolo contributo alla causa, che reputo nobile e alta, collezionando – di rimando – cocenti delusioni o profonde disillusioni. Ti faccio un esempio: qualche settimana fa ho esultato (povero illuso) sentendo che il Governo si era finalmente deciso, dopo mesi di tentennamenti inutili, ad abolire l’odioso e superato Decreto Pisanu, uno di quelle perle legislative tutte italiane che ha avuto il grande pregio di impedire alla nostra nazione di mettersi al pari con quelle sorelle. Grazie a questo decreto, in Italia abbiamo detto addio molto tempo fa al Wi-Fi libero e probabilmente non daremo mai il buongiorno al Wi-Max. Ma tant’è. L’annuncio del ministro Maroni (stop al Decreto Pisanu) mi aveva restituito una flebile speranza: forse, finalmente, si poteva mettere la parola fine a un tale abominio. E invece, come volevasi dimostrare, dopo più di un mese stiamo ancora aspettando questa paventata abrogazione che si è persa nei meandri del parlamentarismo e nella ben più importante (sic!) questione di (s)fiducia al Governo. Avevano voglia i sostenitori della libertà di Internet a sgolarsi: in Italia, in troppi si preoccupano ancora di mettere il giogo allo sviluppo di Internet, altroché. E nonostante gli annunci del Ministro Maroni, siamo ancora punto e accapo.

Al peggio non c’è mai fine, mi ripete sempre mia madre, caro Babbo Natale: avrai sentito sicuramente della vicenda di Julian Assange, il fondatore di Wikileaks. La situazione, secondo me, è assai paradossale: allora, c’è un uomo che un bel giorno entra in possesso di documenti riservatissimi che gli vengono passati da qualche gola profonda dell’amministrazione Usa; quest’uomo che – casualmente, sempre casualmente – ha un’agenzia che da sempre si occupa di liberalizzare i Segreti di Stato (diffondendoli via Internet) decide di fare quello che ha sempre fatto: pubblicarli. I Grandi della diplomazia mondiale si risentono, giudicando inaccettabile e addirittura pericoloso per gli equilibri del Pianeta il fatto che i molti conoscano ciò che i pochi pensano e decidono. Sarò un irresponsabile, ma io non ci vedo nulla di male (ma poi i fascicoli riservati sul tuo conto li hanno più pubblicati?): purtroppo il mio Governo (sì, sempre lui) non la pensa come me (non è un caso e me ne vanto) e per bocca del Ministro degli Esteri ha espresso una ferma condanna (e fin qui, ci poteva anche stare), arrivando però a definire questo Assange un “criminale”. E non contento di ciò, oggi era così soddisfatto dell’arresto del pericoloso bandito, da arrivare a dire che “per fortuna l’accerchiamento internazionale ha avuto successo”. Ma che bello, ti rendi conto?! Chi se ne frega di Bin Laden (ma tu che lo sai, esiste veramente? O è solo una bufala?), così vecchio e superato, ormai? I suoi messaggi di morte a milioni di cittadini fanno solo un baffo alle pericolosissime video-chat di Assange.

Al peggio non c’è mai fine: e infatti l’assoluta incomprensione e incompetenza del nostro Ministro sono solo funzionali a completare il grazioso quadretto di utilizzo di Internet da parte di vaste fasce di questo Centrodestra tutto italiano: altro che medioevale, qui siamo tornati ai temi del Soviet (ah, amata retorica del grande partito liberale di massa). Non ci credi, Babbo? Qualche tempo fa passavo dalle parti del sito internet del deputato Pdl Antonio Palmieri, responsabile internet e nuove tecnologie di questo partito. Un bel sito, non c’è che dire. Sai che mi sono detto? Quasi quasi glieli scrivo pure i miei complimenti. Vado quindi per commentare e che mi trovo davanti: Per fare in modo che la conversazione sia utile e proficua, tutti i commenti saranno letti ma saranno pubblicati quelli che porteranno un contributo effettivo al tema proposto dal post. Oddio, ma stiamo scherzando? La netiquette dei blog insegna che tutti i commenti, anche quelli più duri e meno graditi, vengano pubblicati, purché non siano gratuitamente volgari. In questo blog, la concezione è ribaltata: da una parte si assicura la lettura di tutti i commenti, ma dall’altra si mette in chiaro che il blogger si arrogherà il diritto di scegliere ciò che è buono e ciò che è sbagliato, ad esclusivo diritto delle sue convinzioni. Ognuno sia padrone nelle sue cose, va bene: ma a tutto c’è un limite. Chissà se a casa sua funziona pure così: tutti invitati, tutti ascoltati, ma possono parlare solo gli interpellati dal padrone di casa. Bene, molto bene.

Al peggio non c’è mai fine: mai parole furono più profetiche. E infatti, mio caro Babbo Natale, abbiamo la chicca della giornata. Qui in Italia esistono dei cosiddetti Promotori della Libertà (bel nome, eh?) che hanno il compito di difendere la grande rivoluzione liberale portata avanti da Berlusconi in 16 anni di politica (beati loro che riescono a vederla!). Ebbene, sappi che grazie a un amico ho avuto modo di leggere una lettera che la Presidente di questi Promotori, il ministro Michela Brambilla, ha inviato ai suoi soldati . Dopo tante formalità, il ministro annuncia che il Premier ha intenzione di diffondere un messaggio audio in occasione di una manifestazione di sostengo e chiede quindi “di tener conto della necessità di dotare le strutture di un impianto audio, proporzionato all’iniziativa, che possa efficacemente diffondere il messaggio del nostro Presidente Berlusconi”. Stop. Internet – nella sua visione – è solo un supporto efficace per veicolare un messaggio in modo esclusivamente verticale e acritico. Ora, dimmi tu se questi hanno capito cosa vuol dire usare correttamente la Rete. Negazione del confronto orizzontale, i metodi della tv portati su Internet, obbligo di diffondere pedissequamente il messaggio del leader, affinché “la sua voce e le sue argomentazioni possano arrivare direttamente alla gente”. Senza inutili intermediari o ancora più inutili dialoganti.

Caro Babbo Natale, ti avrò annoiato fin troppo, scusami. Purtroppo le cose da dire sarebbero ancora tante ma io non ti ho ancora chiesto cos’è che voglio per Natale. Per me non chiedo nulla: chiedo solo che la notte del cenone, gli esponenti del governo ricevano un manuale semplice semplice che gli spieghi che Internet non è male e che non è nemmeno la Televisione. Internet è libertà, è partecipazione, è il nostro patrimonio più prezioso. Ma se proprio riterrai questo impossibile, allora portami via con te: lavorerò come elfo o come folletto, mi va bene tutto. Accetto anche la paga minima salariale. Lo prometto.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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La sindrome del bunker

postato il 7 Dicembre 2010

E’ innegabile che stiamo assistendo alla fine di una lunga stagione politica segnata dalla figura di Silvio Berlusconi, e ogni tramonto acquista connotazioni particolari a secondo dei comportamenti di chi, nel bene e nel male, si avvia ad uscire di scena. Ci sono tramonti che sono delle onorevoli uscite di scena: uomini e donne che hanno servito il proprio paese che ad un certo punto intuiscono di aver concluso il proprio ciclo, e dopo aver dato il proprio contributo decidono di lasciare ad altri il compito gravoso di reggere le sorti della nazione. Penso in questo caso a politici del calibro di Winston Churchill, Margaret Thatcher o Josè Maria Aznar, ma penso anche a casi particolari come quello del dittatore spagnolo Francisco Franco che, al crepuscolo del franchismo, e della sua vita prese tutte le misure per favorire una transizione il più possibile indolore della Spagna verso un cambio di regime  riconsegnando la Spagna alla casa reale spagnola.

Ma ci sono anche stagioni politiche che non vogliono finire, ci sono uomini che non accettando la fine del proprio potere si abbarbicano alla loro poltrona costi quel che costi. Queste situazioni sono sempre drammatiche perché quasi sempre comportano dei fenomeni aberranti della normale dialettica politica e segnano delle profonde e feroci divisioni. I regimi totalitari che hanno funestato l’Europa del ‘900 sono degli esempi drammatici di queste agonie dei potenti, di questi crepuscoli degli dei, basti pensare a Hitler nel suo bunker o alla vicenda di  Nicolae Ceausescu in Romania.

Queste dinamiche deleterie sono state innescate proprio dall’atteggiamento di Silvio Berlusconi che rifiutandosi di riconoscere i problemi politici presenti all’interno della compagine governativa e della sua coalizione, e soprattutto rifiutando incredibilmente  l’idea di un dissenso politico interno al suo partito, ha preferito al dialogo e alla mediazione uno scontro aperto, un regolamento di conti che ricorda tanto il “muoia Sansone con tutti i filistei”. Così Berlusconi in vista dello scontro finale si è fatto prendere da una specie di “sindrome del bunker”: asserragliato a Palazzo Chigi programma vendette e brandisce l’arma del voto anticipato per spaventare gli assedianti sicuro di un consenso spropositato.

Questa sindrome del bunker di Berlusconi non è alimentata solamente dallo smisurato ego del Cavaliere ma anche dall’azione di pretoriani e fedelissimi che, tolti di mezzo i più saggi consiglieri del Premier, quotidianamente si preoccupano di surriscaldare il clima e di fare del voto di fiducia del 14 dicembre una specie di giorno del giudizio, una epica battaglia tra le forze del bene e del male. In questo contesto vanno inserite le parole di fuoco di Berlusconi e dei suoi fedelissimi, le liste di proscrizione di Libero, gli sproloqui sui traditori e il consueto mercato delle vacche, tutta la letteratura tipica della fine di un regime che è destinata purtroppo a crescere dopo un eventuale voto di sfiducia e in vista di un feroce scontro elettorale.

Le tinte di questo tramonto politico sono già fin troppo fosche ed è naturale chiedersi se è giusto in questo frangente così delicato della politica e dell’economia gettare l’Italia nel caos politico, nella spirale di fango e meschinità che si staglia minacciosa all’orizzonte. Berlusconi è ancora in tempo per uscire dal suo bunker e affrontare con buon senso i nodi politici irrisolti e avviare una stagione nuova, ma se così non sarà dovrà rassegnarsi ad un oscuro epilogo per lui e per il Paese perché dai bunker della storia nessuno, né uomini né nazioni, ne sono usciti indenni.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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