Tutti i post della categoria: Riceviamo e pubblichiamo

Il processo è breve ma la notte è lunga

postato il 7 Aprile 2011

Tanti italiani sono abituati a lavorare fino a tardi o addirittura a svolgere il proprio lavoro in notturna, a volte con turni massacranti ma sempre per racimolare quanto è necessario per arrivare alla fine del mese. In questi giorni i deputati saranno impegnati ad oltranza, sfruttando quindi le ore della notte, per stare in aula a discutere e votare. “Finalmente” dirà qualcuno, sperando di vedere finalmente un Parlamento che lavoro giorno e notte per il Paese, ma purtroppo le sedute in notturna della Camera dei Deputati sono una richiesta della maggioranza per evitare l’ostruzionismo dell’opposizione e approvare nel più breve tempo possibile la legge sul processo breve.

Sembra incredibile: mentre c’è una guerra in fase di stallo, mentre il canale di Sicilia si riempie di cadaveri e l’emergenza immigrazione spacca l’Italia e l’Europa, i deputati sono costretti dagli strateghi del Presidente del Consiglio agli straordinari per varare una legge che ha l’unico obiettivo di salvare il Premier dai suoi guai giudiziari. Come se non bastasse i ministri di questo governo, che dovrebbero in queste gravi situazioni adoperarsi per risolvere problemi ben più grandi, essendo deputati sono costretti a stare incollati al loro scranno parlamentare per evitare al Governo una nuova Caporetto in materia di giustizia. C’è un evidente scollamento tra il Paese reale, che si affanna e soffre,  e una classe politica impantanata in un dibattito sterile e peggio ancora nella difesa dei privilegi e delle malefatte di pochi. La seduta notturna della Camera per approvare l’ennesima legge ad personam, non è solo una triste cartolina da Montecitorio ma è una metafora della situazione politica: le tenebre nella letteratura di ogni tempo sono anche  il tempo degli operatori di iniquità, il tempo di quanti si nascondo e mettono in atto ogni genere di azione cattiva. Approvare una legge, questo tipo di legge, di notte mentre la gran parte del popolo italiano dorme è una conferma che siamo purtroppo ancora una volta alla “notte della Repubblica”. Se Federico Fellini fosse vivo direbbe nuovamente che “adesso c’è soltanto il sentimento di un buio in cui stiamo sprofondando”. E’ notte, una lunga notte, ma istintivamente tutti noi cerchiamo un po’ di luce.

Adriano Frinchi

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Uno sguardo di insieme alla Cassa depositi e Prestiti

postato il 6 Aprile 2011

In questi giorni si fa un gran parlare della possibilità per la Cassa Depositi e Prestiti di intervenire direttamente nella compagine azionaria di Parmalat e di eventuali altre società.

Premesso che questa non è una novità, in quanto la CDP ha già grosse partecipazioni in Enel, ENI, terna, Finmeccanica, le Poste italiane e così via, mi chiedo se sia necessari ol’intervento della CDP su Parmalat.

Più in generale bisogna chiedersi quale debba essere il ruolo della CDP.

Tremonti vagheggia una nuova IRI, ma al di là degli indubbi meriti che ha avuto l’IRI nell’economia italiana, dobbiamo anche ricordare i grossi problemi che ha generato la commistione di politica ed economia: le crisi bancarie del 1893 che quasi cancellarono il Banco di Roma, le crisi industriali del periodo giolittiano, e, restando ad esempi molto vicini, la gestione allegra di Tirrenia, Alitalia, e così via.

Questi sono dati di fatto, se vogliamo creare una struttura similare, dobbiamo avere chiaro in mente che a governare tale struttura non deve essere un politico o un tecnico nominato dalla politica, ma che questa nuova creatura deve avere uno scopo chiaramente di tipo economico: fare investimenti che incoraggino l’economia italiana e che generino rendimenti e ritorni. Non deve elargire denaro per mantenere in vita centri di potere politico, ma deve fornire denaro per rendere concreti progetti di sviluppo economico.

Se invece si mira ad una commistione tra politica ed economia, presto o tardi osserveremmo un contrasto insanabile tra queste due anime: tipico esempio è il contrasto che stanno vivendo le Generali, dove, notizia di oggi, Geronzi, manager che è stato criticato per “l’uso politico” che ha fatto della sua carica di guida delle Assicurazioni Generalisi è dovuto dimettere perchè gli altri consiglieri e soci di Generali non potevano più tollerare questa invasione della politica.

Tornado al ruolo della CDP, mi sorprende che si stia spingendo la CDP a intervenire in Parmalat, e non altrettanto si stia facendo per un intervento in Fondiaria SAI, società che potrebbe vedere grossi acquisti da parte dei francesi di Groupama. Per altro, Fondiaria SAI, gestita da Ligresti, sta avendo grossissimi problemi di liquidità e solidità patrimoniale, tanto che senza l’intervento pesante di Unicredit nel fornire liquidità, Ligresti avrebbe dovuto attivare le procedure di chiusura per la società.
Perchè la CDP non interviene in questo caso? Anzi, perchè la politica non parla della possibilità che Groupama, francese, entri pesantemente nell’impero di Ligresti?

Altro punto da considerare: oggi il Portogallo ha proceduto ad una asta di titoli di Stato. Avevo già parlato della possibilità di “svenarsi” per quei paesi a rischio di solvibilità, anche in relazione ad un possibile aumento dei tassi da parte della BCE, e all’epoca avevo detto che Bini Smaghi sbagliava a giustificare l’aumento dei tassi. Ebbene oggi, il Portogallo bussa alla porta del mercato dei capitali: raccoglie denaro a breve termine ma si svena. Lisbona ha emesso 455 milioni di euro in titoli di stato a 12 mesi pagando il 5,90% di interessi annui, nella precedente asta dello scorso 16 marzo, quando aveva raccolto 1 miliardo a un anno, il costo dell’operazione era stato pari al 4,33% all’anno. In appena 20 giorni, il mercato, per prestare soldi per 12 mesi al Portogallo, chiede interessi piu’ alti dell’1,57%, una vera enormità. Emessi anche 550 milioni di titoli a sei mesi a un costo elevatissimo pari al 5,11% all’anno. Cosa accadrebbe se una cosa similare avvenisse alla prossima asta di titoli di stato italiano?

E allora forse è meglio che la CDP sia pronta ad intervenire in quel caso per evitare che gli interessi pagati dallo Stato italiano vadano fuori controllo.

Come si vede i fronti sono tantissimi e a mio avviso, focalizzarsi solo su Parmalat e su una possibile rinascita dell’IRI senza un chiaro piano di intervento, è non solo velleitario, ma anche pericoloso.

Le decisioni che coinvolgono il denaro dei cittadini devono essere prese in una logica di tipo economico e non in una logica politica guardando alle scadenze elettorali.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Quella strana attrazione leghista per le uniformi militari

postato il 4 Aprile 2011

Dopo la pagliacciata delle ronde, fallite miseramente perché respinte dalla stessa società civile, invece di perdere tempo con queste ’boutade’, il Carroccio pensi a governare e a sostenere seriamente le Forze dell’Ordine, che per colpa degli ingenti tagli del governo non hanno le risorse e i mezzi necessari per difendere i cittadini”. Questo il duro commento del Segretario Nazionale dell’Unione di Centro On. Lorenzo Cesa in merito alla Proposta di Legge n. 4174, primo firmatario l’on. Gidoni della Lega Nord, che propone l’istituzione del “Corpo dei volontari militari per la mobilitazione”, in buona sostanza una specie di milizia regionale con compiti di protezione civile e concorso al mantenimento dell’ordine pubblico.

La proposta di una forza paramilitare ad ordinamento regionale, in verità, fa parte della preistoria leghista in quanto il primo a parlare di regionalizzazione dell’Esercito mi pare sia stato il sen. Franco Rocchetta nel lontano 1992; da allora si sono succedute varie ipotesi di lavoro sullo stesso tema, dalla regionalizzazione del Corpo Forestale dello Stato, alla Guardia Nazionale Padana fino a giungere alle famigerate ronde. Lo stesso on. Gidoni qualche giorno addietro si era fatto promotore di una ulteriore iniziativa legislativa volta ad incentivare l’arruolamento dei giovani del nord Italia nelle Truppe Alpine, allo scopo di contrastare il fatto che “nei reparti alpini il personale proveniente dalle regioni settentrionali si attesta intorno al 9 per cento(virgolettato tratto dal resoconto dell’intervento in aula sul p.d.l.).

Tralasciando ogni altra considerazione in merito alla questione, mi pare il caso di segnalare il fatto che il proponente indichi quale motivo della sua iniziativa legislativa la scarsità di personale a disposizione per i compiti connessi con la gestione delle emergenze in senso lato; orbene, ciò è singolare se analizziamo i freddi numeri forniti dalle statistiche ufficiali dove si riporta come in Italia vi sia il più alto numero di appartenenti alle Forze di Polizia di tutta Europa, pari a ben 325.000 unità senza contare le forze di polizia ad ordinamento locale. Ad essi vanno aggiunti i circa 30.000 effettivi del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco ed i circa 190.000 uomini e donne delle tre Forze Armate fino a raggiungere un totale di circa 550.000 persone impiegate nei settori della sicurezza e difesa nazionale; quasi un addetto ogni 100 abitanti!

Di sicuro, gli appartenenti alle forze di polizia e forze armate gradirebbero che gli esponenti di questa maggioranza di governo dedicassero almeno parte delle loro energie a tentare di risolvere i molteplici problemi che affliggono il comparto sicurezza e difesa, in primo luogo la perdurante carenza di stanziamenti economici necessari all’espletamento dei livelli minimi di servizio. Una forte maggioranza di questo mezzo milione di donne ed uomini in uniforme ha dato fiducia alle ultime elezioni alle formazioni di centro-destra, fidandosi delle promesse che ad ogni piè sospinto venivano rivolte loro dai massimi rappresentanti di quella parte politica. Ora a questi servitori dello Stato non rimane che stringere i denti e continuare a fare, come sempre, il loro dovere ma con la certezza di essere stati ingannati e presi in giro con parole quali “specificità” che in realtà nascondevano tagli agli stipendi, penalizzazioni previdenziali e compressione dei diritti costituzionali.

Un’ultima preghiera: per non mortificare ulteriormente quanti ogni giorno mettono a repentaglio la loro vita per garantire la sicurezza degli altri cittadini, lasciamo perdere questa sottospecie di Milizia Volontaria per la Sicurezza … Regionale. Altrimenti, come scrive Metilparaben, finiremo alle milizie condominiali.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

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Lo slancio di Casini per governare Torino e l’Italia

postato il 4 Aprile 2011

Nella splendida cornice del teatro Carignano, gioiello sabaudo nel centro di Torino, l’UDC si è data appuntamento per tirare le somme della sua azione politica e sostenere il candidato del Polo per l’Italia al comune di Torino, il liberale Alberto Musy, espressione di quella viva e operosa società civile che in tempi migliori ha contribuito in modo determinante alla crescita del Paese. A Torino si riparte da lui, un avvocato, un professionista di quella borghesia cattolica, liberale e riformista che da Giolitti in poi ha operato in vista di quel “bene comune” che oggi sembra scomparso dal vocabolario concettuale della politica. Il volto giusto per il nostro progetto, le bandiere dei nostri partiti sventolano orgogliosamente ma il capofila è un uomo “senza tessera”, potremmo dire, l’ideale per una città che prima della forma bada alla sostanza.

Pier Ferdinando Casini ha voluto ribadire tutto questo nel suo appassionato intervento, spaziando dall’attualità politica nazionale, immigrazione in testa, al ruolo che il Nuovo Polo per l’Italia deve avere nelle amministrazioni, a partire da quelle metropolitane che andranno al voto a maggio. “L’alternativa, finalmente” è lo slogan semplice e azzeccato che caratterizza la campagna elettorale del nostro candidato ed è da questo slogan che hanno preso spunto i vari oratori che si sono alternati sul palco di un teatro Carignano affollatissimo di giovani, dirigenti e gente comune. Il senso di questa alternativa è stata ribadito dallo stesso Casini: il bipolarismo è sul viale del tramonto, Berlusconi le sue riforme le deve contrattare con i nuovi alleati, e così si vive alla giornata senza un disegno generale di robusto e convinto rilancio.

Dall’altra il Pd continua a non decidere il suo futuro: troppo debole da solo per affrancarsi da Di Pietro e troppo timido per concepire nuovi progetti per l’Italia, sfiancato al suo interno dalle varie correnti che ogni giorno demoliscono senza troppi complimenti la linea dettata dal segretario.

Casini ha poi inorgoglito tutta la platea quando ha ricordato che l’opposizione a Prodi come oggi quella a Berlusconi è la prova della lontananza dalle poltrone e dall’opportunismo che pervade la politica. Sulla scorta di questo passato, della dura lotta per difendere l’indipendenza dai “padroni del voto”, della battaglia per restituire ai cittadini il diritto a scegliersi i propri rappresentanti, possiamo dire con forza che destra e sinistra sono due facce della stessa medaglia mentre il progetto del Nuovo Polo è una breccia sul futuro, l’alternativa a questo stato di cose che non ha migliorato il Paese e, anzi, l’ha fatto regredire.

Bisogna cambiare, inutile star lì coi tatticismi dei leader di una volta, poco inclini alla chiarezza. Tatticismo, questa parola evocativa di un brutto modo di fare politica, che non deve assolutamente caratterizzare il Nuovo Polo. Casini lo ha affermato riferendosi al “convitato di pietra” del Terzo Polo, colui di cui si parla sempre, quello di cui si vocifera l’ingresso in politica: Luca Cordero di Montezemolo. Se decide di partecipare in prima persona, è il benvenuto, perché c’è bisogno di persone nuove e di spessore capaci di interpretare le istanze della società civile, ma è bene che  “dai politici non erediti il brutto vizio dei tatticismi”.

Sabato è stata l’occasione per tirare le somme, per confrontarsi con il presente, con i problemi di questa Italia, stufa di vedere il Parlamento inattivo ma pronto a legiferare per mettere in salvo il premier. Le priorità sono state sottolineate con forza: lavoro, famiglia, giustizia, provvedimenti che rispondono a precise esigenze della gente, lontana anni luce dai tempi e dalle forme della politica di oggi che non trova di meglio da fare che scontrarsi in aula.

Si è respirata aria di grande entusiasmo, il progetto va avanti. A Torino è stata messa in campo una valida candidatura che rappresenta appieno la voglia di nuovo, la voglia di interpretare il cambiamento. E il successo si coglie facilmente: tra gli intervenuti spiccava un nuovo arrivo, il deputato Marco Calgaro che aderisce all’UDC.

Lo slancio dato dal discorso di Casini è un incoraggiamento a procedere su questa strada, non dimenticando mai che l’imperativo è distinguersi, interpretare il buonsenso e la responsabilità e stare saldamente ancorati alla realtà, ai problemi di tutti i giorni, concedendoci qualche piccola grande ambizione: governare questo Paese.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

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La diversità, vera ricchezza delle donne

postato il 2 Aprile 2011

“Non rinunciate a nulla, neppure a una briciola della vostra identità femminile, del vostro amore per i bambini, della vostra cura per i malati, della vostra gentilezza, del vostro dominio su voi stesse, della vostra fedeltà alla coscienza e al senso del dovere, perché la politica ha un enorme bisogno di tutte queste cose”.
Nel leggere queste parole di Millicent Garrett Fawcett mi stupisco di quanto queste parole siano attuali. Eppure sono state scritte nel 1894 da una suffragetta, ai tempi in cui le donne non avevano neppure il diritto di voto. Da quel tempo molte cose sono cambiate, e adesso le donne possono finalmente dire di aver raggiunto una piena parità di diritti nel lavoro e nella politica. Ma ne siamo davvero sicuri? E soprattutto, a quale prezzo?
Di sicuro oggi una donna può studiare in qualsiasi campo, può aspirare ad una ottima carriera lavorativa, può impegnarsi in politica, può addirittura fare il soldato. Ma allora come mai ancora troppe donne occupano i vertici delle aziende o ricoprono importanti incarichi pubblici, nonostante le statistiche indichino che le donne a scuola e all’università conseguono risultati migliori degli uomini?
Credo che la risposta sia da ricercare nella frase che ho ricordato. Noi donne abbiamo lottato e ottenuto di poterci affermare nel lavoro e nella politica, ma credo che nel farlo abbiamo dimenticato chi siamo realmente. Ci siamo trasformate in quegli “uomini mancati” di cui parlava Rousseau quando diceva: «educate le donne come gli uomini e quanto più rassomiglieranno al nostro sesso, tanto minore sarà il potere che avranno su di noi». Se ci pensate, noi facciamo tutto quello che fanno gli uomini, abbiamo gli stessi orari di lavoro, perseguiamo gli stessi obiettivi e manteniamo gli stessi ritmi. Con la colossale differenza che noi, a differenza loro, torniamo a casa la sera tardi, stremate, col pensiero di: frigo da riempire, bambini da andare a ritirare (manco fossero pacchi postali!), cena da preparare, camicie da stirare (poche di noi hanno chi gliele stira), casa da rendere presentabile (pulire è una parola grossa!), genitori anziani di cui quantomeno interessarsi, compiti dei bambini da controllare… E la lista potrebbe essere infinita. Ovvio che, con questi ritmi, poche riescono ad affermarsi e sempre troppe devono scegliere fra carriera e famiglia. Una volta laureate, passiamo un’eternità fra un contratto a progetto e l’altro, senza diritti, pagate con stipendi da fame; comprare casa è un’utopia, fare un figlio poi, ma siete matti? Con la lettera di dimissione in bianco firmata da noi e pronta all’uso nel cassetto del capo? E anche chi ha avuto la fortuna di non arrivare a questi eccessi (tutt’altro che rari), credete che una volta incominciata la gravidanza si vedrà rinnovato il contratto? E quelle mosche bianche che hanno un contratto a tempo indeterminato, come faranno a produrre quanto o più di prima, con quel che costano gli asili nido (quelli aziendali sono molto spesso un’utopia e in quelli comunali non c’è mai posto) e con tutti gli imprevisti che possono portare una mamma ad allontanarsi da lavoro? Ci sforziamo di ricoprire un ruolo che non è tagliato sulla nostra pelle, quello della macchina da lavoro che non guarda il cuore dei propri dipendenti o le sue esigenze, ma che pretende produttività, quasi fossero macchine inanimate, e che fino a sera tardi resta in ufficio perché quella è la sua unica preoccupazione. Ma noi siamo questo? Io dico di no. Le donne in politica finora non ci aiutano molto: se qualcuna solleva il problema delle lavoratrici madri, portando in parlamento la sua neonata, da un’altra ci si sente addirittura dire che quei tre mesi in cui ci viene concesso di costruire un rapporto con nostro figlio appena nato (e qualunque mamma sa che tre mesi non sono nulla) sono un privilegio e che una donna deve saper fare dei sacrifici (come se non ne facessimo abbastanza…)
E perché tutto questo? Perché le nostre madri, che per i nostri diritti hanno lottato, ci hanno insegnato la contrapposizione con gli uomini, ai quali dovevamo dimostrare a tutti i costi di essere migliori di loro; ci hanno fatto credere che la parità fosse essere uguali agli uomini, fare tutto ciò che prima facevano gli uomini, nello stesso modo. Ma noi non siamo uguali e neppure migliori o peggiori, noi siamo diverse. Non siamo uomini, siamo donne.
A questa affermazione di Rousseau Mary Wollstonecraft rispondeva : “io non mi auguro che (le donne) abbiano potere sugli uomini, ma su se stesse.” La natura ci ha creato differenti dagli uomini e questa differenza la urla il nostro corpo innanzitutto, ma anche la nostra anima. Noi siamo fatte di sentimenti, di gentilezze, di maternità, di comprensione che non ha bisogno di parole. La maternità, vissuta o potenziale, è scritta nel nostro Dna, e allora perché ce ne siamo dimenticate? Perché non ci ribelliamo a un sistema che vuole che ci si vergogni di voler crescere i propri figli ma non per questo rinunciare alla realizzazione lavorativa? Perché le donne che ci hanno preceduto si sono battute per l’aborto e per il divorzio ma non si sono battute in una società dove hai il tempo per la condivisione con tuo marito e dove una gravidanza non viene accolta con angoscia? Perché le donne che ci rappresentano oggi non costruiscono un mondo dove le donne riescono a essere presenti nella vita dei propri figli senza rischiare il posto di lavoro?
Noi siamo diverse, e dobbiamo con tutte le nostre forze far si che il nostro essere donne debba costituire un punto di forza per la società, e non un impiccio contro la produttività. A chi dice il contrario, ricordo che i nostri figli che crescono senza dei genitori per quasi tutto il giorno, e quindi senza regole e senza l’amore e il punto di riferimento che solo i genitori sanno dare, saranno i cittadini di domani; un paese che non cresce, perché le donne non ce la fanno a mettere al mondo dei figli, è un paese destinato a morire.
Se noi donne non smettiamo di demandare agli uomini la tutela delle nostre esigenze e non iniziamo noi a costruire un mondo che tenga conto della nostro essere, ne gioverà negativamente tutta la società. La politica e l’Italia in generale ha bisogno di donne vere, che vivano il proprio essere donna come una ricchezza da tutelare e valorizzare per il bene di tutti.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

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La Russa, Alfano e il cosiddetto decoro delle istituzioni

postato il 31 Marzo 2011

Le ultime convulse giornate parlamentari saranno ricordate come l’ennesimo colpo di mano del Presidente del Consiglio per liberarsi, una volta per tutte, del famigerato “processo Mills” ma possono essere utili per capire l’idea delle istituzioni e della politica di molti esponenti dell’attuale maggioranza. Sorvoliamo sul consueto “abuso di maggioranza” e la continua prevaricazione delle prerogative del Parlamento, che già basterebbero a classificare un certo modo di fare politica, e consideriamo alcuni comportamenti di ministri e deputati. Ha aperto questa galleria degli orrori il ministro Ignazio La Russa che abbiamo visto sbraitare in aula contro il presidente dei deputati del Pd Franceschini e rivolgersi con un sonoro “vaffanculo” al Presidente della Camera. La Russa probabilmente era nervoso per le dure contestazioni ricevute fuori da Montecitorio con tanto di lancio di monetine, e qui però ci sarebbe da chiedere al Ministro dell’Interno Maroni come hanno fatto dei manifestanti ad arrivare così prossimi al portone della Camera dei Deputati  tanto da ostacolare l’ingresso di un parlamentare. Purtroppo La Russa non è stato il solo ministro a rendersi protagonista di scene pietose, si sono infatti uniti a lui i ministri Alfano, Prestigiacomo, Romano, Gelmini e Romani che hanno precipitosamente abbandonato il Consiglio dei Ministri – dove si discuteva di Libia ed emergenza immigrati – per correre a votare un verbale d’aula. Sotto lo sguardo divertito di molti deputati e di molti giornalisti si è assistito ad una corsa dal sapore fantozziano con tanto di difficoltà ad inserire la scheda per votare: “mi si sono intrecciati i diti” avrebbe detto il ragioniere Fantozzi. Non contento della prestazione l’enfant prodige berlusconiano Angelino Alfano ha scagliato la sua tessera contro i deputati dell’Italia dei Valori che poi con fare poliziesco Di Pietro ha mostrato ai giornalisti come se stringesse in mano il corpo del reato. C’e da dire che anche i deputati della maggioranza, forse invidiosi delle prodezze dei propri ministri, hanno cercato di adeguarsi al famoso “decoro delle istituzioni”. Così un deputato (siamo ansiosi di scoprirne il nome) ha colpito il Presidente Fini alle spalle scagliandogli contro un giornale mentre Osvaldo Napoli del Pdl ha pensato bene che in questa situazione era meglio impedire all’assistente della deputata Ileana Argentin (Pd) di applaudire. Peccato che l’on. Argentin abbia bisogno del suo assistente per fare un applauso. Non si vuol fare la morale a nessuno perché può capitare a tutti di perdere le staffe, ma qui siamo davanti a reiterati comportamenti che sono rivelativi di una idea degenere della politica e di uno scarso senso delle istituzioni. I nostri deputati ci tengono a farsi chiamare “onorevole”, abbiano quindi almeno la decenza di far corrispondere a questo appellativo un comportamento consono al ruolo che ricoprono.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Processo breve, giù le maschere

postato il 31 Marzo 2011

Se fosse ancora in edicola il settimanale satirico “Cuore”  molto probabilmente  rispolvererebbe un suo  storico titolo: “hanno la faccia come il culo”. Non sarebbe solo una battuta, ma una serena analisi della situazione che si è venuta a creare nella convulsa giornata parlamentare di ieri nella quale Pdl, Lega e Responsabili hanno deciso di forzare i tempi, modificando con un blitz parlamentare  l’ordine del giorno, per approvare il cosiddetto “processo breve”. L’indignazione non è solamente per  una norma che manderebbe in prescrizione migliaia di processi,  liberando e lasciando impuniti criminali di ogni specie, ma anche verso gli abusi perpetrati dalla maggioranza, spacciati per strategia politica, e la presa in giro nei confronti dell’opposizione e del Paese intero. Ma è quest’ultimo elemento che rende la vicenda assolutamente vergognosa:  dopo settimane in cui il ministro Alfano ha dichiarato pubblicamente e ripetutamente di voler discutere in Parlamento una “epocale” riforma della giustizia mettendo da parte provvedimenti minimali e chiaramente riconducibili ai problemi giudiziari del Presidente del Consiglio, si assiste in queste ore ad un drammatico e insensato dietrofront che riporta in primo piano esclusivamente l’interesse del Premier. Di epocale in questo momento c’è solo l’inganno perpetrato da questo governo nei confronti dell’opposizione e dell’intero Paese, ed è  grave che i membri del governo e della maggioranza non abbiano il benché minimo rossore in volto nel prevaricare il ruolo del Parlamento e nel presentare una palese legge ad personam come un provvedimento chiave di una inesistente riforma della giustizia.

Dov’è finita la riforma per gli italiani? Dov’è finita la riforma condivisa con le opposizioni? Tutto sparito in 24 ore grazie all’ordine di scuderia giunto da Lampedusa dove il principale interessato a questa presunta riforma teneva un altro dei suoi show nel tentativo di sviare l’attenzione dal colpo di mano parlamentare dei suoi.  Tuttavia la triste giornata di ieri, finita peraltro in un ancor più triste vortice di insulti e monetine, ha avuto il merito di mostrare la realtà di un governo dove non ci sono né statisti né riformatori ma solo portaborse e fedeli esecutori di un Presidente del Consiglio che persegue esclusivamente in suo interesse personale e che, come ha ben scritto Massimo Cacciari, non fa altro che precipitare la democrazia in demagogia e populismo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Tariffe regionali sull’acqua minerale

postato il 31 Marzo 2011

Legambiente e Altreconomia hanno stilato un dossier sul business delle acque minerali e sull’impatto che ha sull’ambiente e sulla tasca del cittadino. La situazione attuale è grave: molte regioni regolano la materia con norme emanate dal re d’Italia, come Molise e Sardegna, e altre con leggi degli anni ’70 come la Liguria. Disposizioni di legge non più capaci di regolare efficacemente un settore dinamico e ricco come quelle delle acque imbottigliate. C’è una legge nazionale del 2006 che prevede determinati criteri di tassazione per lo sfruttamento delle risorse idriche regionali, ma poche regioni si sono allineate, altre hanno peggiorato la propria legislazione e altre restano immobili.

La legge nazionale prevede tre regimi di tassazione: almeno 30 euro per ettaro o frazione di superficie concessa; da 1 a 2,5 euro per metro cubo o frazione di acqua imbottigliata; da 0,5 a 2 euro per metro cubo o frazione di acqua utilizzata. Basandoci su questi parametri, possiamo dire quale regione si è allineata a dei parametri più o meno equi. Negli ultimi 5 anni, 13 regioni hanno approvato nuove discipline in merito. Legambiente e Altreconomia bocciano, a causa del loro criterio di pagamento ad ettaro, le regioni Liguria, Molise, Emilia Romagna, Sardegna, Puglia. In più bocciano la Basilicata, il Piemonte e la Campania perché applicano canoni in funzione dei volumi d’acqua imbottigliati, che sono però inferiori ad un euro a metro cubo. L’associazione ambientalista e la rivista chiedono essenzialmente: una revisione al rialzo, almeno fino ai livelli stabiliti dalla legge nazionale del 2006, dei canoni di concessione e una doppia imposizione, sia in base alla superficie sia in base ai metri cubi prelevati.

Qualche dato potrebbe aiutarci a capire meglio: nel 2009 le sorgenti italiane hanno prodotto 12,4 miliardi di litri di acqua, pari a 2,3 miliardi di euro di giro d’affari. Per imbottigliare questa marea d’acqua occorrono 350 mila tonnellate di plastica, cioè circa 700 mila tonnellate di petrolio per un’emissione totale di 1 milione di tonnellate di CO2. Non tutta l’acqua è imbottigliata in plastica, ma all’incirca il 78%, di cui solo un terzo viene riciclato. In più, l’85% dell’acqua minerale imbottigliata viaggia su gomma, con il conseguente inquinamento, e solo il restante 15% viaggia su rotaia.

Aumentando le tariffe diminuirebbe la produzione di acqua minerale, il conseguente aumento dei prezzi al consumo e una diminuzione della domanda che porterebbe a quattro principali benefici: un minor utilizzo di bottiglie di plastica, minori camion addetti al trasporto delle casse d’acqua dal nord al sud e dal sud al nord Italia, un minor sfruttamento della falde sotterranee con un conseguente riequilibrio del sistema e un maggior introito per le casse regionali.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonio Di Matteo

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Media e libertà: siamo una democrazia “fortissimi”

postato il 29 Marzo 2011

“Una democrazia è forte quando ha media liberi” così si legge, accanto al faccione sorridente del Presidente del Consiglio,  nella nuova campagna pubblicitaria ideata dall’agenzia Serviceplan e lanciata dalle emittenti pubbliche tedesche ARD e ZDF. Ma i tedeschi non sono i soli a pensare che i media italiani siano poco liberi, a loro si aggiunge il quotidiano spagnolo El Mundo che commentando la campagna pubblicitaria tedesca dice senza remore che l’Italia berlusconiana è “l’antitesi della libertà e dell’indipendenza dei media”. Un attacco durissimo che non colpisce solo il Premier ma anche l’immagine del Paese. Tedeschi e spagnoli avrebbero potuto facilmente ricredersi vedendo una puntata di Forum dove una semplice cittadina ha potuto ringraziare il governo per avere ricostruito L’Aquila dopo il terremoto, ma probabilmente anche in questo caso si sarebbero attaccati al fatto che questa signora non è proprio aquilana, e forse neanche terremotata, però in compenso è stata pagata bene.

Sicuramente poi i detrattori europei non sanno che il governo e la maggioranza stanno facendo di tutto per rendere davvero democratico il servizio pubblico: in vista delle elezioni amministrative gli esponenti di Pdl, Lega e Responsabili hanno presentato un emendamento in commissione di Vigilanza Rai per equiparare i talk show alle tribune politiche, una bella estensione della “par condicio” che consentirà a tutti i candidati a sindaco e presidente di provincia di poter spiegare le proprie ragioni in prima serata, magari ad Annozero di Michele Santoro. Poco importa se Santoro, Floris e Vespa non sono in grado di far parlare tutti, possono anche spegnere i loro microfoni ma una vera democrazia deve consentire ai candidati a sindaco di Pozzo d’Adda di potersi confrontare a Porta a Porta o a Ballarò. Checco Zalone direbbe che siamo veramente una democrazia “fortissimi”. A questo punto la domanda su media e democrazia dovrebbe ribaltarsi: sono democrazie forti quelle dove i capi di governo non possiedono nemmeno il giornalino della parrocchia? Sono paesi con media liberi quelli che non fanno parlare in tv e in prima serata i candidati a sindaco di un paesino sperduto dell’Extremadura o della Baviera? Dall’alto (o dal basso considerata la statura del Cavaliere) della nostra libertà possiamo dire: meno male che Silvio c’è.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Messina città di frontiera

postato il 29 Marzo 2011

Mentre in Italia si parla di “alta velocità”, ciò che consente il trasporto di persone e di mezzi per giungere sulla sponda calabra partendo da Messina non si potrebbe definire esattamente così. Nello specifico sono a disposizione: traghetti RFI (Rete Ferroviaria Italiana) e traghetti privati.

I primi partono dalla stazione marittima e risultano poco convenienti da usare in quanto hanno una frequenza che supera abbondantemente l’ora;  i secondi invece partono dalla rada di S. Francesco, e ciò obbliga chi viene dal centro della città a percorrere il Viale della Libertà in direzione nord, incappando spesso nel traffico causato anche dalla carreggiata ristretta dalla linea ferrata del tram. I traghetti privati hanno una frequenza di 40 minuti e collegano Messina con Villa San Giovanni (RC).

I prezzi per coloro che intendono attraversare lo Stretto sono aumentati negli ultimi anni in maniera consistente fino a raggiungere la cifra di Euro 2,50 e conseguentemente per fare andata e ritorno si spende ben Euro 5 che in tempi di crisi sono una bella cifra, soprattutto considerando che l’attraversamento dello Stretto dura solo 20 minuti e copre una distanza di circa 3km.

Attraversare lo Stretto oggi a differenza di un tempo, quando c’erano molti più traghetti, richiede 60 minuti: partenze ogni quaranta minuti e venti minuti di traversata.

Fa riflettere la totale assenza di concorrenza su una tratta sicuramente produttiva, ogni traghetto trasporta centinaia di mezzi e di persone, il monopolio che si è venuto a creare in questi ultimi anni ha portato alla libertà da parte dell’attuale gestore privato, di far crescere i prezzi oltre misura, eppure nel passato qualche altro piccolo imprenditore aveva le sue navi che consentivano la traversata! Un’autentica involuzione per quanto riguarda il libero mercato!

La tratta Messina – Villa San Giovanni è piuttosto redditizia in quanto molta gente quotidianamente, per studio o per lavoro, si sposta nella sponda opposta, per non parlare poi del periodo delle vacanze estive durante il quale il flusso dei turisti porta al tutto esaurito, in tutto ciò è strano che alcun altro imprenditore, anche non messinese, non si sia interessato a fare affari nella città dello Stretto.

I maligni sostengono che questo aumento considerevole dei prezzi, spesso dovuto alla assenza di concorrenza, e anche alla dismissione dei traghetti statali, abbia un secondo fine: servirebbe, in vista della realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, ad influenzare l’opinione pubblica e a convincere coloro che si oppongono alla realizzazione di tale struttura. In questo modo si diffonde tra la gente l’idea che col Ponte in “cinque minuti” si potrà raggiungere la costa calabra o quella siciliana. La propaganda dimentica però di dire che ci saranno dei caselli che creeranno inevitabilmente  lunghe code di auto e nasconde l’inevitabile  pedaggio per l’attraversamento del Ponte, che in molti dubitano sia sufficiente per potere ripagare un’opera colossale in tempi ragionevoli.

Messina è una città di frontiera, non con un paese straniero, con la propria madrepatria. E’ una città costretta a dovere pagare un prezzo troppo alto per l’attraversamento dello Stretto ed è una città a cui si vuol far credere che il Ponte rappresenti l’unica salvezza.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonino Ingegnere

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