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Il Mediterraneo, tra Europa e Primavera Araba

postato il 10 Settembre 2011

Riceviamo e pubblichiamo di Jacob Panzeri

Il termine Mediterraneo deriva dalla parola latina Mediterraneus, che significa “in mezzo alle terre”. Vero e proprio ponte tra territori, è la culla di alcune tra le più antiche civiltà del pianeta e uno straordinario crocevia di genti e di culture. Ma da tempo le acque del Mediterraneo sono inquinate, e non solo per le 500 tonnellate di frammenti di plastica che vi galleggiano, ma per l’incapacità di creare una reale politica in grado di abbracciare  i popoli Mediterranei. Venire incontro all’inesauribile desiderio di libertà protagonista della primavera araba dovrebbe essere un diritto e un dovere per l’Europa, e non con il mero scopo di  preservare o rafforzare i propri accordi economici, ma per creare una vera realtà mediterranea. Un abbraccio in cui potenziarci a vicenda che si avvalga di una seria campagna immigratoria non propagandistica (il numero dei clandestini giunti in Italia tramite i famigerati barconi sono soltanto il 2-3% dei clandestini che per lo più si intrufolano ottenendo un permesso temporaneo, un visto turistico, per poi rendersi latitanti). Occorre una nuova prospettiva in cui guardare non solo alle braccia ma al cuore e al cervello, respingere con durezza chi non desidera davvero  migliorare la propria vita e rendere un servizio all’Italia e  allo stesso tempo accogliere con maggiore efficacia e umanità i giovani dei paesi mediterranei che potranno un giorno diventare protagonisti della vita del loro paese, migliorarlo e conseguentemente migliorare anche noi. Ecco perché è una prospettiva sbagliata quella condotta per oltre trent’anni e cioè avallare regimi con limitazione delle libertà personali e sociali che possono essere definite delle vere e proprie dittature in cambio della stabilità politica del territorio ed economica per i nostri interessi.

L’età media dell’Egitto è 22 anni, è un paese con un altissimo tasso giovanile che vuole sentirsi protagonista, è in contatto con tecnologie come internet che gli permettono di avere uno sguardo globale, sono giovani che non si fanno condizionare dai radicalismi islamici e desiderano una vita migliore di democrazia e libertà. E’ il caso di Abdu Azzab, giovane egiziano al terzo anno di economia dell’Università di Trento che ci ha reso una preziosa testimonianza del suo paese. I giovani egiziani sono stati 18 giorni in piazza Tahir a chiedere le dimissione del governo Mubarak e una nuova speranza per l’Egitto. Gli estremisti hanno tentato durante la rivolta a più riprese di prenderne la testa ad esempio con il tentativo di sabotaggio dell’ambasciata israeliana del Cairo ma venendo anch’essi sconfitti dalla sete di libertà dei giovani. Ci racconta Abdu che oggi Piazza Thair ha raggiunto per lui davvero un valore sacro e uno dei segni che più lo ha emozionato è stata la preghiera interreligiosa tra cristiani e musulmani. Oggi i principali esponenti del governo Mubarak sono agli arresti e l’Egitto è in attesa delle prime elezioni democratiche dopo trenta anni. Auguriamo all’Egitto e agli altri paesi oppressi di poter finalmente vedere la luce e a questi giovani di abbeverarsi continuamente alla loro speranza per costruire un futuro migliore. Insieme. Per un nuovo grande Mediterraneo.

 

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Da Chianciano arriva l’agenda per la crescita

postato il 10 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Cosa ci vuole per fare crescere l’Italia?

In una giornata nerissima per i mercati finanziari, funestata dalle dimissioni di Stark, membro tedesco del board della BCE , la domanda è attuale e assume ancora più importanza.

Stark era il membro tedesco nel board della BCE ed era sempre stato in aperto contrasto con i piani di intervento della BCE per sostenere i paesi a rischio, ovviamente le sue dimissioni pongono dei dubbi sulle politiche future della BCE e questo ci riguarda direttamente visti gli interventi dei gironi scorsi per sostenere i nostri titoli di Stato.

Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, durante il meeting di Chianciano ha riconosciuto che l’Italia è in pericolo, anzi ha detto testualmente: «O i problemi li diciamo chiaramente – ha aggiunto – o se li lasciamo fuori dal tavolo, se facciamo finta che non ci siano, facciamo un danno al Paese».
La Presidente di Confindustria ha anche richiamato l’attenzione su un cambiamento della percezione verso l’Italia da parte degli investitori esteri, e ha rilevato che “si sta allargando anche lo spread a nostro sfavore tra noi e la Spagna. Siamo considerati meno credibili della Spagna che aveva una situazione politica difficile, poi Zapatero ha detto “non ce la faccio più, non ho più la credibilità dei mercati, vado a elezioni”.

Eppure, la nostra economia, è più solida, basti pensare che la Spagna ha una disoccupazione ufficiale oltre il 20%, mentre noi siamo tra l’8 e il 9%, quindi noi dovremmo essere un investimento più appetibile rispetto la Spagna, eppure non lo siamo. Perché?
Perché il governo spagnolo ha avuto il coraggio di fare scelte difficili, guidate non dai sondaggi, ma da un alto senso etico e dello Stato: Zapatero ha preso atto dei problemi del suo paese, ha fatto approvare delle misure per il rilancio dell’economia spagnola e poi si è dimesso, con la conseguenza che la Spagna andrà ad elezioni anticipate questo autunno. Questa scelta non è stata vista come irresponsabile, ma anzi come una garanzia di solidità e affidabilità.

Noi invece abbiamo un serio problema di affidabilità, come ha rilevato la presidente di Confindustria che dice: «Abbiamo un problema di credibilità. O il governo, molto velocemente dimostra che è in grado di fare una grande operazione, in termini di quantità ma anche di equità, superando i veti, oppure penso che dovrebbe trarne le conseguenze perché non possiamo restare in questa incertezza».

La Marcegaglia ha criticato duramente la manovra perché «per il 60% è composta da nuove tasse. Passiamo a una pressione fiscale pari al 44,5%, cioè il massimo storico in Italia. È una manovra depressiva». Inoltre, ha insistito il presidente di Confindustria, «non contiene interventi strutturali: bisogna affrontare il nodo pensioni, fare le liberalizzazioni e le privatizzazioni».

Il capo degli industriali ritiene che si debba intervenire anche sui costi della politica «senza fare demagogia perché in un momento complicato come questo non bisogna accendere la miccia
dell’antipolitica». Ma per riuscire a tornare a crescere dobbiamo risolvere due problemi: le pensioni di anzianità, perché è inammissibile essere gli unici ad avere pensionati di 58 anni, e il lavoro femminile. Sono due problemi che devono essere risolti perché siamo molto distanti dall’Europa su questi due punti. “Quindi tutti facciano sacrifici a partire da chi ha di più: bisogna mettere insieme un sistema per cui abbassiamo le tasse su chi tiene in piedi il paese cioè i lavoratori e le imprese e alzarle sul resto: Iva, patrimoni, rendite, su tutto quello che è necessario”. Dobbiamo anche considerare i costi della politica ed è inaccettabile che con la fiducia sulla manovra il Governo abbia fatto sparire i tagli alle indennità parlamentari e agli enti inutili, mentre gli enti locali hanno circa 1 milione e duecentomila abitazioni di proprietà pubblica che costano il doppio di quanto rendono e che invece potrebbero essere usate per azzerare le situazioni debitorie degli enti locali e ridurre il debito dello Stato.

Da questo panorama emerge una cosa strana, cioè che, se dal panorama eliminiamo il fattore politico, osserviamo che in questi mesi abbiamo esportato tanto quanto la Germania e siamo il secondo paese manifatturiero europeo dopo i tedeschi, e siamo anche percepiti come partner affidabili. Quindi abbiamo un sistema economico vitale, che regge la concorrenza straniera, ma quando si guarda il “sistema Italia” inserendo nell’analisi anche la politica, diventiamo inaffidabili. E questo francamente non è accettabile, e quindi il Governo dovrebbe agire prendendo anche atto dei suoi fallimenti ed errori.

In questo solco si è inserito l’amministratore delegato di Banca Intesa, Corrado Passera, il quale ha affermato: “noi vogliamo salvarci da soli, e’ ora di finirla di pensare che l’Europa ci salvi, e’ una cosa mortificante. Abbiamo tutti i numeri per tenerci insieme e per ristrutturarci e per rilanciarci. Finché – ha detto ancora – saremo il Paese che deve essere salvato, con un membro Bce che getta la spugna e batte i pugni sul tavolo e se ne va, siamo un Paese che non conta più nulla”. Al contrario, ”se noi vogliamo essere parte della sala di regia dove siamo stati nel momento migliore dell’Europa, se vogliamo tornarci e non essere la Grecia 2 come stiamo diventando, noi dobbiamo metterci a posto da soli e possiamo farlo”.

Anche perché il nostro sistema bancario finora è stato tra i più solidi e affidabili dell’Europa, l’unico che finora ha superato tutti gli stress test, senza avere banche in crisi di liquidità, o che hanno avuto bisogno di aiuti statali o di ristrutturazioni. Le nostre banche sono, come tutto il nostro sistema economico, estremamente solide e oculate nei loro interventi e investimenti. E quando il tessuto bancario è solido, la gente ha un’arma in più, ovvero la fiducia che i loro risparmi sono al sicuro.

Passera ha ribadito che ”possiamo crescere, abbiamo i numeri per farlo, abbiamo le risorse”. Dunque, ha concluso il manager, ”dopo la manovra, che ha dei limiti, dobbiamo mettere in moto un piano ampio per salvarci da soli e tornare a essere protagonisti”.

Ma basta parlare di economia per capire un paese? Probabilmente no, e a tal proposito voglio chiudere ricordando le parole di Pezzotta che ha aperto il dibattito con una riflessione: bastano le privatizzazioni e le liberalizzazioni per la crescita di un paese? Basta il PIL a misurare la crescita di un paese? Evidentemente no, perché la crescita deve basarsi anche sull’etica e la formazione. Dobbiamo rilanciare la tradizione economica mediterranea rispetto all’economia di stampo anglosassone, dominata dall’ossessione del PIL. Il PIL è un metro di misura, ma non è l’unico, bisogna anche considerare la crescita morale, etica e culturale, ma ovviamente questi ultimi punti non devono essere usati per coprire leggerezze in politica economica.

Quindi, va bene usare il PIL come metro di misura, ma bisogna affiancarlo ad altre misure che tengano conto di altri aspetti “più umani” della vita sociale, senza che questi ultimi siano usati per giustificare l’irresponsabilità economica come è avvenuto in passato.

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A Chianciano si ragiona di economia e di futuro.

postato il 10 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Si è appena conclusa la tavola rotonda “L’Agenda per la Crescita”, incontro clou della giornata di oggi. Sul palco della nostra convention si sono confrontati – in una giornata nera per l’economia mondiale, con lo spread italiano arrivato a oltre quota 350 e con le dimissioni del commissario tedesco nel board BCE, Stark – ospiti d’eccezione, quali Emma Marcegaglia, Presidente di Confindustria, Raffaele Bonanni, segretario generale della CISL, Corrado Passera, Chief Executive Officer di Intesa Sanpaolo, Alberto Orioli, vicedirettore del Sole 24 Ore, e il nostro Savino Pezzotta, Presidente della Costituente di Centro. Si è ragionato di economia e di prospettive future, partendo dalle difficoltà della crisi che stiamo vivendo in questi mesi, in modo concreto e stimolante: in un periodo in cui il nostro Paese è sempre più teatro di lotte intestine, di incomprensioni, di scelte di campo eternamente divergenti (del resto, ieri Pisanu si è chiesto, sconsolato: “che razza di Paese siamo diventati? Non riusciamo più ad unirci nemmeno in questi casi!”), vedere i rappresentanti dell’Industria, delle Banche e dei Sindacati trovare un punto di interlocuzione comune e sviluppare una discussione comune, non è sicuramente un fatto da sottovalutare. E che ciò sia avvenuto proprio sul palco della nostra convention, altro non è che la riprova che i nostri appelli alle “responsabilità nazionale” e agli “sforzi comuni” non sono solo parole al vento: sono, piuttosto, il presupposto per poter cercare delle soluzioni coraggiose e strutturali ai nostri problemi. Perché, come ha ben detto Pezzotta, non si può pensare di trovare riparo in scorciatoie ed escamotage “tecnici”: la risposta deve venire dalla politica, ma da una politica che sappia – finalmente – diventare “responsabile” e, quindi, “istituzionale”.

In questi mesi, si è lungamente ragionato sui “limiti” della politica, che a detta di molti avrebbero rappresentato uno delle cause principali dell’esplosione dello strapotere dei mercati. Noi, da parte nostra, più che di “limiti” della politica, abbiamo sempre preferito parlare di “assenza di coraggio”, di incapacità di dettare la linea ai mercati, anziché farsela da loro dettare; ecco, perché i veri “limiti” della politica sono ben altri e ben più semplici (forse): sostanzialmente, ha ribadito Pezzotta, l’errore fondamentale sta nel fatto che i politici italiani hanno smarrito una visione di insieme e di futuro, dimenticando che la loro grande missione sta proprio in questo, nella capacità di saper interpretare i tempi e di guardare al momento di “crisi” non come una fase depressiva da domare, ma come un’occasione per fare quelle riforme strutturali ormai improrogabili per il nostro “sistema Paese”: “dobbiamo smetterla – ha tuonato il Presidente della Costituente – di scaricare le nostre colpe sui mercati. Il vero problema non è speculazione, ma  la cronica insufficienza del Governo!”. Sulla stessa linea d’onda anche gli altri intervenuti: la Marcegaglia, infatti, molto applaudita e gradita dalla nostra platea, ha impostato il suo discorso sulla necessità di un rilancio della crescita economica, da conseguire attraverso l’adozione di diversi provvedimenti in grado di contemperare le richieste di tutte le categorie sociali (per cui, sì anche alla patrimoniale, se questo volesse dire sgravi fiscali, liberalizzazioni e privatizzazioni): e, stuzzicata da una domanda del moderatore Orioli, non ha avuto problemi nel dire che se questo Governo dovesse continuare a percorrere, come ha fatto finora, la strada dell’indecisionismo,  un cambio di guida diventerà indispensabile e irrinunciabile (meraviglioso il passaggio: “noi, per salvare 158 mila pensionati 58enni padani, stiamo pagando un prezzo altissimo: è inaccettabile”). Ancora più esplicito e diretto è stato poi Corrado Passera, che ha battuto insistentemente su un punto fisso: l’Italia ha tutte le carte in regola per uscire dalla crisi da sola, non c’è bisogno di restare aggrappati all’ancora di salvataggio lanciataci dalla BCE e dalla UE. Per riuscirci, basta fare un ragionamento serio sulle priorità e sulle urgenze da risolvere, a partire dalla lotta all’evasione, che dovrebbe essere perseguita senza sconti e indulgenze per nessuno: è inaccettabile che, esclusi i dipendenti, siano pochissimi gli Italiani a dichiarare più di 100 mila euro l’anno. Interessante anche l’intervento di Raffaele Bonanni, che – pur sicuramente in una prospettiva diversa, ma non per questo antitetica da quella della Marcegaglia e di Passera – ha fatto leva sulla necessità di “modernizzare” l’Italia, facendo un esempio più che calzante: com’è pensabile che in Val di Susa, la Tav, un’opera che è già pronta da 4 anni in Francia e che ci chiede l’Europa, sia bloccata da un gruppo di facinorosi ed estremisti? Dov’è il decisionismo, la forza, l’autorità di chi governa? Magistrale a tal punto proprio l’intervento finale del presidente Marcegaglia che ha concluso la tavola rotonda: il compito che le forze responsabili del nostro Paese, in testa ovviamente l’Udc, deve essere quello di dare voce alla “maggioranza silenziosa” italiana che, al contrario di una “minoranza silenziosa”, si rifiuta di cedere al richiamo della demagogia e continua a sognare un Paese moderno. E, tutto sommato, normale.

 

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Quanti sistemi sanitari esistono in Italia?

postato il 9 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Il 39% delle donne del meridione effettua analisi di screening del tumore alla mammella contrariamente al 68%,con punte superiori al 70% del Nord Italia. Questo significa che una donna campana ha una probabilità doppia rispetto a una donna lombarda di ammalarsi. Quanti sistemi sanitari esistono in Italia? Ufficialmente uno solo, il servizio sanitario nazionale istituito nel 1978 da Carlo Donat Cattin, ma in realtà leggi e modifiche costituzionali come il titolo V della Costituzione sulla Sussidiarietà hanno spinto le regioni ad avere un peso determinante nella gestione sanitaria, tanto da poter contare all’interno dell’unico sistema nazionale 20 o 22 servizi sanitari diversi (considerando anche le province autonome di Trento e Bolzano).

E se questo aspetto ha giovato agli enti regionali che hanno saputo ben organizzare la gestione sanitaria, in altre ha contribuito a creare una disparità abissale nello sviluppo di tecnologie diagnostiche, farmaci innovativi, servizi offerti ai cittadini. E’ il caso dei viaggi della speranza che riguardano circa 1 milione di persone che ogni anno si muovono dal meridione verso il nord e in particolare verso gli ospedali della Lombardia per ottenere cure migliori. E’ il caso dell’ospedale San Gerardo di Monza, punta di eccellenza del sistema sanitario lombardo e italiano, in cui è avvenuto recentemente un eccezionale intervento chirurgico, un doppio trapianto di mani. L’ospedale San Gerardo si è anche reso responsabile, una delle strutture prime in Europa, nella conservazione dei cordoni ombelicali per la ricerca in cellule staminali etiche. Ogni regione ha la possibilità di organizzare la gestione sanitaria in modo indipendente, ad esempio nell’Emilia Romagna di Vasco Errani strutture private sono praticamente inesistenti mentre in Regione Lombardia il privato svolge un ruolo determinante ed è stata una priorità del governo regionale garantire la libertà di scelta nelle cure, aprendo alla mutua strutture ospedaliere come l’ospedale San Raffaele (che certo soffre problemi di cattiva gestione manageriale ma non pecca assolutamente nella fruizione dei servizi sanitari).

Ogni punto in più di miglioramento del servizio sanitario nazionale equivale a un incremento dello 0.25% del Prodotto Interno Lordo: le scienze della vita hanno un ruolo determinante non solo nella nostra vita ma anche nella nostra crescita e nel nostro futuro. Non mancano i punti negativi per cui andrebbero sviluppato nuove politiche: stime ministeriali affermano che 1/3 dei ricoveri ospedalieri sono inappropriati ed è in crescita da parte dei medici di base ed ambulatori la prescrizione di farmaci ad effetto placebo, cioè privi di un efficacia terapeutica ispirata ai principi attivi ma in grado di influenzare la psicologia e le attese dell’individuo. Per non parlare ahinoi di ogni forma di malasanità.

Ricordiamolo: le scienze della vita sono il nostro futuro, lavoriamo insieme per migliorare il nostro sistema sanitario nazionale.

 

 

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Tobin tax o Eurobond?

postato il 9 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Nei giorni scorsi si è dibattuto su Tobin Tax e su Eurobond come di due strumenti alternativi per cercare di sostenere l’Europa in questa crisi e anche oggi i ministri di Germani e Francia hanno nuovamente chiesto di introdurre questa tassa.

Personalmente sono contrario alla Tobin Tax e a favore degli Eurobond, perché la prima avrebbe un effetto depressivo per i mercati, mentre con i secondi si potrebbero reperire facilmente risorse da destinare agli investimenti in infrastrutture e per la crescita.

Ma effettivamente cosa sono?

La Tobin Tax prende il nome dal suo ideatore, l’economista James Tobin, e si configurava, al momento della sua ideazione, come una tassa da fare pagare agli operatori finanziari per ogni transazione sui mercati valutari, con lo scopo di rendere poco appetibili le speculazioni di brevissimo periodo che lucravano sui piccoli scarti tra una valuta e l’altra.

L’idea è piuttosto semplice: ad ogni cambio da una valuta ad un’altra, si preleverebbe una piccola tassa, di circa  mezzo punto percentuale del montante. In questa maniera, si scoraggerebbero gli speculatori, perché molti investitori piazzano a brevissimo termine i loro soldi nelle valute. Se questi soldi vengono improvvisamente prelevati, i paesi devono alzare drasticamente i tassi di interesse in modo da mantenere attraente la valuta. Tuttavia, alti interessi sono spesso disastrosi per l’economia locale.

I ricavi della tassa per Tobin erano solamente un sottoprodotto , come da lui affermato durante la sua ultima intervista rilasciata a Der Spiegel. Inoltre facendo diminuire gli scambi, diminuiscono anche gli introiti di questa tassa.

Sbaglia quindi chi pensa di potere avere introiti consistenti su questa tassa, soprattutto perché se non viene applicata a livello mondiale, i danni sono maggiori dei benefici, come dimostrato dall’esperienza svedese che aveva messo la Tobin Tax, ma ha dovuto toglierla perché i ricavati erano infinitesimali e quasi tutti gli scambi si erano spostati dalla borsa valori svedese a quella londinese, producendo una grande depressione per i mercati finanziari svedesi.

E’ logico pensare che, se si applicasse la Tobin Tax solo nell’Europa continentale, gli scambi si sposterebbero in mercati privi di questa tassa, e quindi il suo effetto sarebbe nullo come introiti, e anzi produrrebbe una grave crisi per gli operatori dei mercati finanziari, proprio per questo moltissime nazioni europee sono contrarie all’idea di imporre la Tobin Tax.

Discorso diverso per gli Eurobond, che sono delle obbligazioni emesse da tutta l’Europa e quindi godrebbero di un buon rating e di tassi di interesse abbastanza bassi, in quanto sarebbero garantiti da tutti i paesi europei (fenomeno detto risk pooling: ossia la trasformazione di rischi individuali in frazioni di rischio collettivo ).

I fondi ottenuti dagli Eurobond potrebbero poi essere usati, non solo per gli interventi della BCE e per gli Stati in crisi come la Grecia, ma soprattutto per finanziare investimenti in infrastrutture e il rilancio produttivo dell’Europa, stimolando la crescita e con effetti espansivi sui mercati.

Questo genererebbe un aumento del PIL europeo e quindi un aumento della ricchezza prodotta e del numero dei lavoratori occupati, diventando quindi uno strumento utile per il contrasto alla crisi attuale.

E’ chiaro che bisognerebbe strutturare bene gli Eurobond, soprattutto perché esistono varie tipologie: Stability Bond (Sb), UnionBond (Ub) e EuroBond (Eb) propriamente detti. Poi alcuni parlano anche di EuroUnionBond (Eub).

Gli UnionBond (Ub) furono proposti dal presidente della Commissione europea Jacques Delors nel “Libro bianco Crescita, competitività, occupazione” del 1993 e dovevano essere garantiti dal bilancio della Comunità europea per finanziare investimenti in grandi infrastrutture transeuropee i cui ricavi sarebbero andati ai promotori dei progetti medesimi (enti del settore pubblico e ditte private) onerati dagli interessi e dal rimborso degli Ub. Barroso e la Commissione Europea nel 2010 hanno sostenuto una variante degli Ub, ovvero i “projectbond” (Pb), per realizzare singole infrastrutture europee con finanziamenti nel partenariato pubblico-privato. I Pb andrebbero emessi da privati ma garantiti dal bilancio comunitario e dalla Bei. Ne esistono già alcuni varati dalla Bei e dal “Fondo Marguerite” operativo del 2008 con “core sponsors” costituiti dalle Casse depositi e prestiti (o forme affini) di Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna e dalla Bei. Si tratta di partecipazioni minoritarie in nuovi progetti di infrastrutture europee per trasporti, energia ed energie rinnovabili.

Gli EuroBond propriamente detti sono stati presentati come mezzo per ristrutturare i debiti pubblici nazionali degli Stati membri della UE e addirittura furono proposti nel 2010 da due ministri dell’economia: Jean-Claude Juncker (presidente dell’eurogruppo) e Giulio Tremonti.

Il vantaggio più grande degli Eurobond è che i titoli di Stato dei Paesi membri dell’euro rimangono attaccati e attaccabili, proprio perché il singolo stato ha un peso limitato sui mercati mondiali; cosa ben diversa sarebbero invece delle obbligazioni garantite da un intero continente.

Ovviamente i soldi ottenuti dagli Eurobond non dovrebbero servire a colmare i disavanzi dei vari paesi (come erroneamente ritengono molti), ma a finanziare la crescita e l’occupazione tramite investimenti produttivi, con il risultato che queste obbligazioni si ripagherebbero poi con gli introiti generati dagli investimenti.

 

 

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Pisanu: ripartire dallo spirito di Camaldoli

postato il 8 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carlo Lazzeroni

Dopo l’intervista a Repubblica in cui chiedeva a Berlusconi di fare un passo indietro per dare la possibilità di costruire un governo autorevole e bipartisan, dalla festa di Chianciano, Beppe Pisanu  lancia una vera e propria fase costituente, per il Paese e per i moderati. “Siamo di fronte ad una svolta nella Storia” ha detto  Pisanu che ha fatto un riferimento allo “spirito di Camaldoli”. A Camaldoli, nel 1943, si trovarono alcuni intellettuali cattolici per prepararsi a ricostruire il Paese, risollevandolo dalle macerie del nazifascismo: la loro preoccupazione fu di elaborare una visione ampia per poi poter governare l’Italia negli anni futuri. E da Camaldoli nacquero così le fondamenta della prima parte della nostra Costituzione e le scelte economiche che avrebbero contribuito a portare il nostro Paese fuori da una situazione disastrosa, gettando le basi del “miracolo economico”. Soprattutto, allora, nessuno si chiese se le cose dovessero essere di destra o di sinistra. Oggi, invece, come evidenziato da Pisanu, questo Paese è sempre troppo tentato dalle grandi semplificazioni: e nessuno capisce che le grandi soluzioni di parte sono superate e che Destra e Sinistra sono concetti superati.

Ma Pisanu non si limita a rilanciare l’idea di un governo di pacificazione: da Chianciano il Presidente della Commissione antimafia lancia anche una fase costituente per la costruzione di un nuovo partito che, riprendendo lo spirito di Camaldoli, metta al centro le idee, una visione d’insieme del Paese, partendo anche in questo caso dalle cose da fare. Un partito che riesca a superare gli steccati del passato, quelli creati dal falso bipolarismo. Di certo per costruire questo partito servirebbe il coraggio di liquidare un po’ di cose vecchie, e tra queste il bipolarismo, o almeno la sua brutta copia all’italiana.

È necessario che altri colgano l’importanza della proposta lanciata da Pisanu e si mobilitino in questo senso perché, per dirla con Borges: “c’è una cosa di cui non si pente mai nessuno nella vita: il coraggio”.

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Chianciano, ecco il programma della festa dell’Udc

postato il 8 Settembre 2011

di Giuseppe Portonera

Oggi, a Chianciano Terme, si aprirà la festa nazionale dell’Udc, in programma fino a domenica 11. Quest’anno si è scelto di dare al nostro consueto appuntamento un titolo un po’ inusuale – soprattutto per la lunghezza – per una festa di partito: “Quando gli Italiani si uniscono sono capaci di grandi imprese”. Più che uno slogan, infatti, si tratta di una “sintesi” delle analisi e dei progetti che hanno sempre animato il nostro dibattito e la nostra agenda (e che abbiamo analizzato in queste settimane nella nostra rassegna stampa): già fin da prima che la crisi ci stringesse nella sua morsa, l’Udc e il nostro leader Casini hanno spinto sempre molto sul tasto della “responsabilità nazionale” e sull’urgenza di unire le forze migliori del nostro Paese per fare le riforme strutturali ormai improrogabili. Del resto, ieri, Casini è stato intervistato da Carlo Fusi sul Messaggero e ha rilanciato proprio questa necessità: l’Italia si trova sull’orlo del baratro e per questo è indispensabile uno sforzo comune e nazionale; il problema, però, è che l’urgenza di coesione e unità sembra non essere compresa, visto che da un lato la sinistra si fa trascinare dalla Cgil per uno sciopero generale proclamato unilateralmente e dall’altro il governo cambia per l’ennesima volta la manovra e ci mette sopra la fiducia. E in mezzo la bufera economica che ancora una volta pone l’Italia nel mirino non fa che crescere. A questo panorama drammatico e sconfortante, quindi, si può rispondere quindi solo con un atteggiamento che riprenda il grande precetto del “consensus omnium bonorum” di ciceroniana memoria: gli uomini migliori, al di là del proprio colore politico e ideologico, hanno l’imperativo politico di dover collaborare per il bene per il Paese. È questo il concetto che fa da filo conduttore alle nostre giornate di confronto e di festa: si comincia, infatti, oggi – alle 17.30 – con un dialogo tra il Presidente Udc, Rocco Buttiglione, il Professor Ernesto Galli Della Loggia, editorialista del Corriere, e il senatore Beppe Pisanu sul “disturbo bipolare” – su quello “steccato”, cioè, che si è eretto tra i migliori dell’una e dell’altra parte.

Domani mattina, alle 11, dopo una “discussione generale”, si aprirà poi una tavola rotonda, moderata da Enzo Carra, che riprende proprio il titolo della festa e che vedrà confrontarsi l’europarlamentare Ciriaco De Mita, i professori Piero Craveri e Miguel Gotor, l’editorialista del Corsera Antonio Polito e il direttore della sede Rai di Napoli Francesco Pinto.  A seguire, alle ore 15, all’area Bianca, si discuterà di “Futuro: tra lavoro e previdenza”, con: gli onorevoli Nedo Poli e Salvatore Ruggieri; il ministro del Welfare e del Lavoro, Maurizio Sacconi; il presidente dell’INPS, Antonio Mastrapasqua; il prof. Luigino Bruni, docente di Economia alla Bicocca di Milano. Alle 17, all’area Bruco, il vicedirettore del Sole 24 Ore, Alberto Orioli, modera poi l’incontro “L’agenda per la crescita” – introdotto da Savino Pezzotta – e che vedrà confrontarsi ospiti d’eccezione: Emma Marcegaglia, Presidente di Confindustria; Corrado Passera,  Consigliere Delegato e Chief Executive Officer di Intesa Sanpaolo; Raffaele Bonanni, Segretario Generale della CISL. Sabato, alle 10.30, dopo l’intervento del presidente di Alleanza per l’Italia, Francesco Rutelli, si terrà la tavola rotonda sul tema “La Terza Repubblica… la Nuova Via”, moderata da Ferdinando Adornato, con la partecipazione: del sindaco di Roma, Gianni Alemanno; del deputato Pd Beppe Fioroni; del capogruppo di Fli alla Camera, Benedetto della Vedova; del capogruppo Udc al Senato, Gianpiero D’Alia. Alle 17, poi, l’intervento del nostro leader, Pier Ferdinando Casini: potete aspettarlo seguendo diversi, interessanti laboratori: da quello sulle pari opportunità (organizzato dal nostro movimento femminile, con la partecipazione del Direttore della Fondazione Adenaeur, Katie Plate) a quello sull’attualità del pensiero di De Gasperi (con Paolo Messa, direttore di Formiche, Calogero Mannino,  Giuseppe Gargani e Francesco D’Onofrio), a quello sul federalismo (con Galletti, Occhiuto e il Presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro).

Domenica, poi, conclusione della Festa: sempre in area Bruco e in successione, alle 9 trovate la Santa Messa, alle 10 la tavola rotonda “Entriamo nel merito. Un incontro tra le generazioni”, con la partecipazione dei componenti dell’Ufficio Politico Nazionale del nostro movimento giovanile; del Direttore Generale della Luiss, Pierluigi Celli; del commentatore televisivo, Andrea Zorzi; della giornalista Rai, Federica Gentile; dell’attore Alessio Di Clemente. Conclude i lavori, alle 11.30, il nostro segretario, Lorenzo Cesa.

Il programma completo della festa Udc di Chianciano

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Gli italiani protagonisti a Chianciano

postato il 8 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Io sono l’Italia. Doveva essere questa l’idea e la forza dei giovani lombardi, degli esuli polacchi, degli avventurieri ungheresi che hanno lottato nel Risorgimento al fianco di Mazzini e Garibaldi per la repubblica Romana. Gente che non parlava le stesse lingue né si riconosceva nelle stesse tradizioni se non in quella della libertà e unità che voleva donare all’Italia, gente morta per una nazione altrui e un popolo che non conosceva ma conservando nel cuore le parole “Io sono l’Italia”.

Oggi che abbiamo la fortuna di essere uno stato e ancor più una nazione, questo spirito non si percepisce più, il patriottismo non è più di moda. Paure e incomprensioni di un paese che sembra arroccato sulla mediocrazia, che è l’antitesi della meritocrazia, sulla gerontocrazia e sulla raccomandazione dominano la mente di molti giovani che non vedono una scheggia di luce o un bagliore di speranza nel loro futuro e desiderano fuggire dal paese a gambe levate . Localismi e provincialismi, ambizioni pur giuste se orientate alla valorizzazione degli enti locali e del principio di sussidiarietà ma da vivere sempre nell’idea di un unico tutto , portate avanti nel modo sbagliato ostacolano e soffocano il belpaese. Il patriottismo non è più di moda, mentre lo sono la sfiducia e l’individualismo quando siamo ancora fortunati e non si sentono risuonare il clamore delle armi della secessione.

Tutto questo succede perché ci dimentichiamo che l’Italia prima di tutto siamo noi, sì, ognuno di noi, con le nostre paure e sfiducie ma anche i nostri sogni e le nostre ambizioni.

Scriveva Giacomo Leopardi nella lettera ai compilatori della biblioteca italiana:

Io ringrazio di cuore il cielo di avermi fatto italiano né vorrei dar la mia patria per un regno, e non per il potere d’Italia, né per il suo clima e le sue belle città, ma per l’ingegno degli italiani”

Dov’è il nostro ingegno? Lo spirito che in ogni epoca ha fatto grande l’Italia? Orsù, ognuno di noi prenda i suoi mattoni e armati di calce e ingegno potremo costruire un nuovo edificio senza scartare la pietra angolare che è la nostra grandiosa tradizione italiana di cui andare fieri nel mondo.

Tutto ciò non significa negare l’esistenza dei gravi problemi che affliggono il nostro paese, significa invece affrontarli con un nuovo spirito e una nuova fiducia.

Facciamo giungere il nostro grido alle orecchie di chi ci considera un paese di serie B, sia esso un giovane disilluso e sfiduciato o chi per primo dovrebbe rappresentare e amare il nostro paese, il presidente del consiglio dei ministri.

Il futuro si costruisce. Ognuno di noi, tutti insieme. È questo lo spirito che mi auguro possa emergere dalla convention Udc di Chianciano Terme che si aprirà domani 8 settembre al Parco Fucoli con le parole dell’on. Rocco Buttiglione.

L’8 settembre del 1943 l’Italia proclamava l’armistizio firmato il 3 settembre a Cassibile (Siracusa) con le forze anglo-americane, erano tempi oscuri che l’Italia seppe sconfiggere con l’ardore e l’impegno dimostrati nel dopoguerra che ci vi hanno reso una delle sette potenze più grandi del mondo. Oggi, 8 settembre del 2011, non abbiamo grazie al cielo alle spalle una guerra e le sue terribili difficoltà ma un identico clima di sfiducia ci opprime, è necessario tirare fuori tutto il nostro coraggio, anche il sacrificio se necessario, e far volare la nostra speranza.

Perché… quando gli italiani si uniscono sono capaci di grandi cose!

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La manovra e i mercati finanziari: una crisi di fiducia contagiosa

postato il 6 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi giorni gli argomenti principe sui telegiornali sono essenzialmente due: la manovra finanziaria, e l’andamento dei mercati finanziari. Più volte abbiamo criticato questa manovra finanziaria e al contempo abbiamo ascritto la crisi attuale dei mercati finanziari ad una crisi di fiducia alla luce di un rallentamento dell’economia e posso affermare, senza tema di smentita, che i due fenomeni sono correlati.

Intendiamoci, è chiaro che anche altre economie stanno subendo un rallentamento, come la Germania e la Francia che hanno visto il loro PIL restare fermo nel secondo trimestre, o gli USA che non vedono miglioramenti sensibili nell’andamento della disoccupazione, ma in questi giorni il vero problema è l’Italia e le indecisioni che stanno accompagnando la manovra finanziaria.

Stiamo assistendo ad un balletto indecoroso, in cui ogni giorno la manovra finanziaria subisce una radicale revisione, segno di uno smarrimento di questo governo. Dobbiamo dirlo chiaramente, senza alcun timore.

Il governo cambia ogni giorno la manovra non solo perché non ha idee, ma perché ha sempre governato guardando ai sondaggi e sperando nei “miracoli”, senza sapere che in politica ed economia non esistono miracoli, ma solo il duro lavoro e il coraggio anche di prendere scelte difficili per il bene del Paese. E quando parliamo di “Paese”, ci riferiamo a tutti gli italiani e non solo ad una parte dell’elettorato: noi guardiamo a tutti e non solo agli agricoltori che sforano le quote latte come la Lega, o a coloro che hanno bisogno di un condono fiscale.

Questa indecisione sulla manovra finanziaria si sta traducendo in una crisi di fiducia non solo verso l’Italia, ma anche verso l’Europa, perché una manovra debole potrebbe costringere l’Italia ad una fine analoga a quella della Grecia e in quel caso, visto il peso dell’Italia nell’ambito della UE (contribuiamo per il 16% al PIL europeo e siamo la terza nazione dopo Francia e Germania per economia), difficilmente l’UE potrebbe salvarsi, perché causerebbe un effetto domino: Francia, Germania e Italia hanno interessi comuni e reciproci fortissimi, venendo a mancare un attore, viene a crollare tutto.

Purtroppo sembra che il governo non si renda conto di questo e intanto lo spread tra BTP e Bund tedeschi è salito a 370, mentre l’oro, bene rifugio per eccellenza, va alle stelle. All’estero hanno così poca fiducia in questo governo, che anche i titoli di stato spagnoli sono valutati più dei nostri, nonostante la Spagna abbia una disoccupazione al 20%, ben più alta di quella italiana.

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Ciao Mino e grazie ancora per la risposta

postato il 5 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Nel 1993 ero un ragazzino delle scuole medie che invece di pensare al calcio si interessava di politica e si dichiarava democristiano. Con la Dc ero cresciuto: papà era stato  segretario provinciale dei giovani dc, da piccolino mi divertivo alla Festa dell’Amicizia e prima delle elezioni c’era sempre il rito dei candidati a casa. Insomma la Dc era una persona di famiglia, veramente mamma Dc! Eppure capì già allora di vivere l’agonia della Dc, il decomporsi della Balena bianca e del suo potere  e percepivo il clima di fine impero. In quei giorni difficili di Tangentopoli e delle stragi di Mafia non era facile essere democristiani, figurarsi ragazzini democristiani. Ricordo le prese in giro dei compagni di scuola che pur non capendo molto di politica ripetevano parole e gesti dei genitori, e penso anche al naso storto di qualche professore che abbandonata la Dc per la Rete di Leoluca Orlando pensava che per me fosse l’ora di una “rieducazione”. Eppure in quella mestizia riuscì a trovare sicurezza e voglia di continuare grazie all’arrivo al vertice del partito di Piazza del Gesù del bresciano Mino Martinazzoli. Martinazzoli non era molto famoso, qualcuno lo considerava un po’ triste e menagramo, Forattini lo disegnava senza volto e con i soli nei in rilievo. Nonostante questa immagine pubblica piuttosto debole Martinazzoli portò coraggio e speranza in un partito che era impaurito e disorientato. Forse le sue scelte politiche non furono sempre giuste ma a lui si devono uno straordinario sforzo di rinnovamento  e un tentativo coraggioso di ripensare e riproporre la presenza politica dei cattolici. Martinazzoli seppe generare l’entusiasmo dei lontani dai centri di potere democristiano  mettendo fuori gioco i famosi “pacchetti” di tessere con i quali si vincevano i congressi a tavolino, parlando di commissione di inchiesta sulle ricchezze illecite dei politici, cercando di cancellare le code dei questuanti nelle anticamere di Piazza del Gesù, tirando la cinghia licenziano e vendendo le sedi del partito, proponendo addirittura un “codice etico per gli operatori di partito”. In un consiglio nazionale del partito Martinazzoli raccontò di aver visto piangere un suo amico, operaio e democristiano, a causa dei “ladro” gridati dai leghisti al suo indirizzo e di altri dc e da questo episodio trasse uno straordinario programma politico: “noi i democristiani non dobbiamo farli piangere più”. La Dc non si salvò dal crollo della Prima Repubblica eppure grazie a Martinazzoli molti democristiani non piansero più ma ritrovarono la voglia e il coraggio, seppur con modalità diverse, di impegnarsi in politica.

Anche io fui un giovane dc che non pianse più. Una volta dopo l’ennesimo arresto e dopo l’ennesima batosta elettorale scrissi una lettera al segretario della Dc, una sorta di piccolo sfogo e di incoraggiamento per la sua azione. Non mi aspettavo risposta eppure qualche giorno dopo mi giunse una lettera da Roma: era la risposta di Martinazzoli. Il segretario di una malandata Dc rispondeva ad un ragazzino delle scuole medie e lo ringrazia e lo incoraggiava.

La morte di Martinazzoli è una grande perdita per il Paese e per la politica italiana, ma se permettete è anche un dolore e personale:  se n’è andato uno strano pezzo importante della mia giovinezza.

Ciao Mino e grazie ancora per la risposta.

 

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