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Caro Cav., serve un po’ di fosforo?

postato il 6 Novembre 2010

Come capita ormai da molti mesi il Cav. alterna alle polemiche con l’opposizione ed in particolare con l’UDC, inviti ad entrare in maggioranza. Per fare il punto su questo e chiarirci un pò le idee è necessario fare un passo indietro, al 2008, e ricordare in che clima, alla vigilia delle elezioni politiche, era vissuta la vicenda politica italiana.
Vi cito alcuni titoli dei giornali di allora:
La RepubblicaVotare l’U.D.C. è votare Veltroni, Berlusconi attacca l’ex alleato” marzo 2008;
Il Giornale“Sondaggio: l’U.D.C.da sola si ferma al 2,9 % Marzo 2008;
La Repubblica“Berlusconi non fa sconti all’U.D.C.: Venga nel P.D.L., non ha storia 13/02/2008;
Il Sole 24 ore: “Scudo crociato con il P.D.L., U.D.C.: E’ una truffa” febbraio 2008;
L’Unità: “L’ordine è: Distruggere l’U.D.C.” 02/03/2008;
La Stampa: “Berlusconi: Sicilia presa e l’U.D.C. non farà il quorum” 07/04/2008;
Ma la chicca finale è questa:
Il Giornale“Berlusconi: Vinceremo e stavolta senza l’U.D.C. sarà un’altra musica,  04/04/2008.
Come si può notare la ricerca ha spaziato tra testate giornalistiche di varia area politica, ma basta ascoltare anche come la pensava in occasione delle scorse regionali.
Venendo al dunque, mi chiedo: chi abbiamo come Presidente del Consiglio?
Sicuramente abbiamo a che fare con uno smemorato.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Paolo D’Addario

ps: lasciate tra i commenti altre segnalazioni di ottima memoria.

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A voi la rassegna stampa, buona lettura!

postato il 5 Novembre 2010

Cari lettori,

avrete sicuramente notato che da qualche settimana a questa parte il nostro blog si è arricchito di una “nuova” rassegna stampa quotidiana: ogni giorno, infatti, potrete trovare una miscellanea degli articoli più interessanti e utili tratti dai giornali cartacei o online. Politica, attualità, economia, tecnologia e società: tutto ciò che serve per farsi un’idea e un’opinione di quello che accade intorno a noi.

Ovviamente, il tutto è ancora in fase sperimentale: ci perdonerete quindi piccoli errori o sviste iniziali. Vi promettiamo che faremo di tutto per migliorarci, giorno dopo giorno, con il vostro aiuto: aspettiamo (numerosi) i vostri commenti e i vostri consigli (e perché no, anche i vostri appunti!). E mi raccomando, sotto ogni post troverete i tasti di sharing: facciamo girare su Internet la nostra rassegna stampa “ragionata”! Leggete, commentate e condividete! Do you like it?

Giuseppe Portonera

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Geopolitica: La Tigre ed il Dragone.

postato il 4 Novembre 2010

Il nuovo secolo molto probabilmente aprirà una pagina inedita nella storia dell’Umanità. Per la prima volta infatti, l’epicentro politico, economico e militare di un mondo dove i confini sono sempre più labili, non si troverà in una capitale europea o nordamericana, ma in Asia. E’ arrivato il momento degli astri nascenti orientali.

I presupposti per una leadership indo-cinese si stanno manifestando tutti, proporzionalmente allo sviluppo dei due colossi. Entrambi i paesi possiedono l’arma atomica: la Cina dal 1964 mentre l’India nel 1974. Mentre la Bomba cinese traeva la propria origine dalla logica imposta dalla Guerra Fredda, in qualità di alleata di Mosca, l’atomica indiana traeva la propria legittimazione dapprima dalla volontà di supremazia strategica, in seguito nella mera deterrenza del confinante Pakistan.

L’India, infatti, si dotò di armi atomiche prima del Pakistan con l’intento strategico di imporre al paese confinante una sfera di influenza coperta dal proprio ombrello atomico. Ma il programma atomico segreto pakistano mandò all’aria i piani di Delhi, poiché già nel 1982 il Pakistan possedeva cinque testate atomiche. La supremazia indiana si trasformò in deterrenza.

Lo sviluppo atomico cinese fu dettato da esigenze diverse: nei tardi anni ’50 la Cina era ancora in stretti rapporti con l’Unione Sovietica. I rapporti andarono progressivamente deteriorandosi, sino alla rottura definitiva tra maoismo e comunismo sovietico. E’ in un’ottica di affermazione della propria sfera geopolitica che nasce il programma nucleare cinese.

Oggi, la capacità atomica dei due paesi a confronto è ben differente: la Cina ha sviluppato circa 400 testate nucleari, contro le “modeste” 65 indiane; ciò peraltro riflette le differenti necessità per cui sono state sviluppate dei rispettivi governi. La convivenza dei due colossi non è stata sempre pacifica, e, a dire il vero, considerarla tale anche al giorno d’oggi è un errore.

I due paesi sono pervenuti ad una guerra aperta nel 1962, passata alla Storia come Guerra Sino-Indiana, per la demarcazione di confini ereditati dall’Impero Britannico e mai definitivamente consolidati, complice anche l’aspro territorio che separa i due stati. Le ostilità scoppiarono per il controllo dell’Aksai Chin, un altopiano desertico sito a 7000 metri d’altezza e praticamente disabitato. In ballo c’era però ben altro: lo stato federato indiano dell’Arunachal Pradesh, che confina con la Cina e che i cinesi considerano come Tibet meridionale.

La pace non è mai stata siglata, si è giunti solo ad un armistizio. Dal 2004 i cinesi hanno ripreso a premere sulla frontiera indiana di nord-est, complice anche il ritrovato feeling tra Nuova Delhi e Washington nella Guerra al terrorismo voluta dalla presidenza Bush.

Cina ed India, hanno storicamente esercitato una influenza determinante sugli innumerevoli stati di piccole dimensioni che li attorniavano. Il Paese del Drago, estende più o meno direttamente la propria influenza su tutta l’area dell’Estremo Oriente. Il caso più eclatante di questa influenza è rappresentato dalla Corea del Nord, il regime comunista al potere nel paese dal 1948, è il più fedele alleato di Pechino. Isolato dalla comunità internazionale, con un’economia al collasso ed una popolazione che risente ancora della carestia che dal 1995 ha messo il paese in ginocchio, la Cina rappresenta una sorta di “fratello maggiore” per la nomenklatura ed il popolo nord-coreano. La scheletrica economia nordcoreana si basa praticamente solo sugli aiuti che pervengono dall’estero, principalmente da Pechino. Sono proprio questi aiuti che permettono all’establishment politico, militare e burocratico di reggersi in piedi a fronte di una situazione interna che Amnesty International ed Human Right Watch giudicano tra le peggiori al mondo. In cambio, il regime nordcoreano garantisce una lealtà unica al Fratello Maggiore, arrivando a modellare il proprio interesse nazionale su quello cinese.

Altri paesi che risentono dell’espansione cinese sono quelli che storicamente si ponevano come baluardo occidentale in Estremo Oriente: Giappone, Taiwan e Corea del Sud. Il Paese del Sol Levante ha negli ultimi anni iniziato un lento ma inesorabile riavvicinamento alla Cina. Nonostante dallo scorso settembre i rapporti tra i due paesi si siano raffreddati a seguito di un incidente in acque contese, il Giappone prosegue nella direzione di voler migliorare i rapporti tra due giganti economici, affrancandosi progressivamente dall’influenza statunitense che nell’ultimo mezzo secolo ha garantito ai nipponici uno sviluppo economico a cifre doppie apparentemente inarrestabile, al prezzo di una limitazione effettiva della propria presenza geopolitica nell’area.

Con la Corea del Sud e Taiwan i rapporti restano invece più complessi: la prima infatti non ha mai siglato la pace con la Corea del Nord, mentre Taiwan (ufficialmente Repubblica di Cina), non è riconosciuta dalla Repubblica Popolare Cinese come uno stato indipendente, ma come una mera provincia ribelle. Taiwan, al termine della Lunga Marcia che portò i comunisti al potere in tutta la Cina continentale, divenne il rifugio dei nazionalisti. Sotto la protezione occidentale, ed in particolare statunitense, il governo nazionalista cinese si proclamò come unico legittimo, aprendo una crisi che prende le mosse dal 1949.

La tensione giunse al culmine allorquando i cinesi comunisti tentarono di forzare militarmente Taiwan nel 1958, non vi riuscirono, grazie in particolar modo all’aiuto militare americano.

Nel 1970, tuttavia, la Cina registrò una importante vittoria: il seggio di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sino ad allora ricoperto da Taiwan, le fu ceduto. Oggi, sono pochi gli stati al mondo che intrattengono relazioni diplomatiche con la Cina insulare: la quasi totalità della comunità internazionale riconosce ormai come legittimo interlocutore Pechino. E’ importante però notare come gli ultimi paesi in ordine cronologico a discostarsi da Taiwan, chiudendo le relazioni diplomatiche, siano paesi in via di sviluppo, dove l’interesse per i capitali cinesi è così forte da spingere a questa scelta.

La sfera d’influenza indiana invece sembra concentrarsi sui propri confini: stati himalayani come il Nepal o il Bhutan, sono perfettamente incastonati nella corona montuosa di Nuova Delhi. Il Bhutan, piccolo regno montuoso, deve il 37% del proprio PIL agli aiuti economici indiani.

A sud, principale punto di focalizzazione dell’interesse politico è lo Sri Lanka. Dilaniato da anni di lotte civili che vedevano da una parte il governo e dall’altra i guerriglieri socialisti indipendentisti conosciuti come Tigri Tamil, il conflitto, iniziato nel 1970, è terminato con la vittoria governativa nel 2009, dopo una violenta offensiva militare che ha posto fine al controllo delle Tigri nel nord dell’isola. E’ impensabile che ciò sia potuto accadere senza un tacito accordo indiano, che vede nella guerriglia maoista particolarmente forte nello stato del Bengala Occidentale, uno dei peggiori nemici alla stabilità del paese.

Le tensioni interne che si manifestano regolarmente tanto in India quanto in Cina non sono altro che il prezzo di una crescita economica forsennata che crea inevitabilmente terribili squilibri sociali. La Cina, il cui tasso di crescita si attesta intorno al 9%, riesce ad arginare le tensioni sociali a patto che riesca a garantire una crescita annua notevole.

Ma un altro tipo di tensione cova sotto la cenere, quella etnica. Sono trascorsi due anni dall’esplosione di violenza in Tibet, seguita da quella nello Xinjiang ad opera della minoranza uigura. Pechino teme che il riconoscimento troppo ampio di culture estranee a quella Han, la maggioritaria, possa provocare un indebolimento inarrestabile del potere centrale del Partito.

In India invece, la situazione è diversa. La millenaria cultura indiana prevede una divisione sociale rigidissima, per caste. L’odierna democrazia indiana, ha acquisito questo elemento, integrandolo. Il voto è ancora diviso per caste, ma oggi, nonostante permanga la struttura, il sistema si è evoluto. La Costituzione indiana, pur tutelando fortemente i diritti delle classi più deboli, come i dalit (o intoccabili), prevedendo quote riservate ad essi in materie come l’istruzione, il lavoro ed i seggi parlamentari, ad oggi non è pienamente applicata.

Anche l’India, inoltre, non è esente da tensioni etniche e religiose: tra queste vale la pena ricordare la lotta dei seguaci sikh che ha portato all’assassinio del primo ministro Indira Ghandi nel 1984 come rappresaglia per l’operazione condotta dall’esercito indiano contro i militanti asserragliati nel luogo più sacro a questa confessione: il Tempio d’Oro. Da non dimenticare infine, le conseguenze della crescita economica. Le stime danno il PIL indiano in crescita tra il 2010 ed il 2011 dell’ 8,5%. Per alimentare una macchina che brucia tanta energia, sono necessarie enormi quantità di materie prime.

La devastazione ambientale, che ha messo in ginocchio intere popolazioni, sommandosi ai fenomeni di squilibrio sociale tipico delle economie in ascesa, hanno dato vita a tensioni in molti stati indiani. Gli slums, quartieri composti di baracche che si estendono a perdita d’occhio nelle periferie delle megalopoli indiane, sono la cicatrice che lo sviluppo incontrollato lascia sulla faccia dell’India. A poche decine di chilometri, i centri di sviluppo delle maggiori aziende hi-tech mondiali, che in questo paese trovano giovani laureati competenti ed un costo del lavoro competitivo.

Ecco il grande motore dell’India: accanto alla onnipresente Tata, che oltre a fabbricare auto, investe con l’aiuto del governo in comparti strategici come l’energia, ci sono le ditte occidentali e l’hi-tech.

Oggi, sembra che Cina ed India stiano vivendo uno sviluppo senza controllo né direzione. Vale la pena ricordare che i due paesi rappresentano 1/3 della popolazione mondiale e che si stanno affacciando alla ribalta di un mondo mai così globalizzato prima d’ora. La penetrazione cinese in Africa è la dimostrazione di quanto la necessità di approvvigionarsi di materie prime unitamente a quella di trovare nuovi mercati alternativi ad un Occidente sempre più coperto dai debiti, spingeranno i due colossi ad una gara senza tregua.

Il potenziale militare, oggi ancora secondario, assumerà presto una valenza primaria, concentrando definitivamente l’egemonia economica e militare in mano a dei paesi geograficamente e culturalmente lontani da quello che da quasi due millenni è stato considerato il centro del mondo: l’Europa. C’è da giurare che la Tigre ed il Dragone tireranno fuori di nuovo le zanne, una volta che il mondo sarà diventato troppo piccolo per contenerle entrambe.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Federico Poggianti

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Abbiamo voluto dar vita ad una serie di post riguardanti la politica estera. I motivi di questa volontà di approfondimento li trovate qui, nel post introduttivo.

Allego alcuni siti internet che trattano di politica internazionale e di geopolitica in maniera completa, affinché i lettori possano approfondire:

In lingua italiana, uno dei più completi:

http://temi.repubblica.it/limes/

In lingua inglese, si tratta di due periodici statunitensi specializzati in geopolitica.

Entrambi estremamente interessanti e completi:

http://www.foreignaffairs.com/

http://www.foreignpolicy.com/

Sempre in lingua inglese, il settimanale britannico di economia più famoso al mondo.

Con un occhio di riguardo allo sviluppo delle potenze emergenti:

http://www.economist.com/

In lingua francese, mensile di geopolitica del giornale Le Monde.

Si tratta di un giornale di sinistra, ma che propone sempre spunti di riflessione interessanti e profondi:

http://www.monde-diplomatique.fr/

Buona lettura!

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Addio Università, verso la cancellazione delle borse di studio

postato il 3 Novembre 2010

Aula Informatica di peppedilupoNel mondo del XXI secolo, globalizzato, dove le barriere tra i paesi sono ormai quasi inesistenti, dove il mondo è a portata di click e soprattutto dove la veloce circolazione dei mezzi, degli uomini e della conoscenza ha permesso all’umanità di fare passi da gigante, ma al contempo nello stesso mondo che combatte ormai da anni contro una crisi economica devastante, che lotta contro le emergenze umanitarie e che si batte per una ripresa rapida e duratura, sembra strano il torpore, quasi voluto, in cui si trova l’Italia. Torpore non solo economico ma soprattutto culturale.

La notizia dei tagli alle borse di studio operati dal ministro Gelmini nel penultimo consiglio dei ministri evidenza una sostanziale miopia nel focalizzare le priorità di un paese alla deriva. Dal prossimo anno verranno ridotti di oltre l’85% i finanziamenti erogati agli studenti che, rientrando per merito e situazione economica familiare, potrebbero accederne. Potrebbero perché da quando il pensiero forte dell’esecutivo è indirizzato alla carestia economica e al rigoroso controllo dei conti pubblici attraverso minacciosi tagli, coloro che ne fanno le spese sono sempre i meno abbienti.

La riflessione è doverosa quando il tema della discussione non sono opinabili visioni dell’economia ma la formazione culturale e professionale.

Il diritto allo studio del cittadino e il dovere dello stato a provvedere ad un’adeguata istruzione non entrano in conflitto con l’economia ma ne sono essi stessi volano di sviluppo nelle società mature. L’istruzione non è uno spreco sterile di denaro ma un investimento sicuro con la più importante rendita: la cultura.

L’investimento, soprattutto se cospicuo, nelle scuole, nelle università e nella ricerca consente ad un paese come il nostro, povero di materie prime e con una economia sempre più precaria, di poter sopravvivere puntando sull’innovazione, sulla qualità ma soprattutto sulla competenza.

La formazione di personale qualificato, di docenti preparati e di ricercatori floridi di idee porta con sé diversi ritorni, tra questi il ritorno culturale e quello economico, strettamente legati l’uno all’altro. Il ritorno culturale è di gran lunga il più prezioso. Attraverso lo sviluppo delle competenze si sviluppa di pari passo la qualità e con essa l’economia. La paura è che la cecità di chi governa non solo tarpi le ali ai giovani ma uccida la creazione di coscienze mature e soprattutto dia la spinta definitiva al nostro paese a cadere in un baratro senza possibilità di appello.

Qui non si parla di rifiuti, di ricostruzioni o di temi eticamente sensibili, dove ognuno, legittimamente, ha una personale opinione. Qui si parla di istruzione, di cultura, di crescita, e l’opinione dovrebbe essere uguale per tutti. Non dovrebbe esistere chi ritiene superfluo l’insegnamento. Può esistere, e deve esistere, chi lo ritiene inadeguato o superficiale ma a ciò si deve accompagnare un atteggiamento propositivo per il cambiamento in meglio dello stato attuale. Costruire un paese senza puntare fortemente nell’istruzione equivale a costruire nel vuoto o meglio a non costruire affatto.

La riduzione delle borse di studio taglia fuori migliaia di studenti che meritatamente hanno investito il loro tempo nella loro formazione per costruire non solo il loro futuro.

Dispiace che i ministri Tremonti e Gelmini non comprendano che l’istruzione universale, la formazione di figure altamente qualificate, il know-how (come lo chiamano gli inglesi) sono le reali risorse fin qui inesaurite del nostro paese. Attraverso l’apprendimento si concedono gli strumenti ad un paese per eccellere. Attraverso l’apprendimento si concedono gli strumenti ad un paese per vivere.

Certamente il problema richiede ulteriori e più approfondite analisi, da un lato l’assenza di reale meritocrazia paralizza il sistema, dall’altro la qualità dell’insegnamento spesso non è adeguata alle aspettative di un paese, ma non ci si può nascondere dietro fantomatiche scuse, sempre più improbabili e sempre meno credibili.

Come si può pretendere l’eccellenza se non si forniscono gli strumenti adatti nemmeno alla sufficienza?

Di certo le borse di studio da sole non risolvono né risolveranno il problema, ma sicuramente garantiscono a tanti studenti per nulla facoltosi di poter accedere a delle risorse fondamentali per garantirsi un’istruzione il più possibile adeguata, e soprattutto garantiscono ai più meritevoli di continuare gli studi indipendentemente dal censo. E chissà se tra i tanti studenti che dall’anno prossimo non beneficeranno più della borsa di studio, e che saranno costretti a rinunciare o a ritardare gli studi per ovvi motivi economici, non ci sia un futuro premio nobel.

Siamo disposti noi oggi ad assumerci questa responsabilità?

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonio Cannatà

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L’alluvione del nord-est ed il disinteresse dei media nazionali

postato il 3 Novembre 2010

“Siamo in ginocchio, l’acqua ha invaso tutto”, questo l’sms che mi è giunto poche ore fa da una amica di Casalserugo(PD),uno dei comuni della provincia di Padova maggiormente colpiti dall’alluvione che in queste ore sta flagellando il nostro territorio.

La situazione peggiore si registra nelle provincie di Vicenza e Verona dove si continua a monitorare il livello dei fiumi,a lavorare incessantemente per evitare che la situazione peggiori e nei posti in cui il livello dell’acqua inizia a diminuire si lavora per rimuovere il fango.

I numeri parlano chiaro: 2 morti, 10.000 sfollati e i danni per ora ammontano a 1 miliardo di euro.

Ma alla disperazione della popolazione si aggiunge la rabbia per come la notizia di questo tragico evento sia passata in secondo piano nei TG e nei giornali nazionali: la gente vive questa mancanza di considerazione come una profonda ingiustizia, ripetendo che quando c’è bisogno di dare una mano la nostra Regione è sempre al primo posto, ma quando abbiamo bisogno di essere aiutati rimaniamo in balia di noi stessi e dobbiamo arrangiarci con i mezzi di cui disponiamo.

Intanto nei media nazionali avanti con gli scandali, avanti con le escort! tutto passa come se nel Nord-Est non fosse accaduto niente di grave…una semplice pioggia più intensa del previsto.

Fortunatamente la nostra popolazione sa rimboccarsi le maniche nel momento del bisogno e di certo non resta ad aspettare che arrivino gli aiuti dall’alto; tuttavia come è accaduto in altre tragedie nazionali, c’è bisogno dell’aiuto di tutti, compresi i mass media nazionali, per far fronte a questa emergenza che ha una portata eccezionale, promuovendo ad esempio raccolte fondi e iniziative di solidarietà.

Solidarietà che ha sempre contraddistinto la popolazione di questa terra in eventi drammatici come il terremoto dell’Aquila. Solo così il cento cinquantenario dell’Unità d’Italia non sarà puro esercizio di alta retorica povera di contenuti, ma un ideale che affonda le sue radici nella concretezza delle azioni.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Ricco e Enrico Rossetto

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Concorso Notai: una storia di professioni e mancate liberalizzazioni

postato il 2 Novembre 2010

oniric notary vision di ste 71Il Concorso per notai tenutosi, o meglio dovremmo dire non tenutosi, recentemente, offre l’opportunità di fare alcune riflessioni.

Vorrei tuttavia evitare quella più scontata, inerente i fatti specifici che hanno portato alla decisione di annullare il concorso perchè, su questo, si concentreanno sia la politica parlamentare, col Ministro che immagino dovrà riferire in Parlamento, sia, probabilmente, la magistratura. Perché, come ha detto l’on. Roberto Rao si è data l’idea di non tutelare il diritto, il merito ed i giovani.

Preferirei quindi soffermare il ragionamento su alcuni aspetti piu generali che non interessino esclusivamente l’episodio del concorso o la professione notarile.

In primo luogo vale la pena ricordare come questo ministro non sia stato particolarmente fortunato con i concorsi. Il Concorso per magistrati tenutosi a novembre 2008 ebbe un epilogo molto simile: in quel caso non furono le tracce ad essere contestate ma il fatto che alcuni candidati furono amessi a sostenere gli scritti con dei codici commentati, contro il regolamento previsto dal bando, con conseguenti ed ovvie contestazioni delgli altri. Insomma, come si suol dire, se un indizio non fa una prova, due iniziano a farsi sentire. Se a questi poi volessimo sommare le frequenti problematiche che sorgono negli esami di abilitazione per la professione forense, sempre di competenza ministeriale, la prova, quantomeno che nel sistema attuale vi siano pesanti lacune, pare assodata.

Forse tuttavia vale la pena porsi una domanda ancora piu radicale:vale veramente la pena mantenere un sistema rigidamente chiuso in cui anche le semplici abilitazioni professionali vengono gestite come veri e propri concorsi, dove si vive sempre con la sensazione che interessi diversi dal puro merito aleggino in queste sedi d’esame, vale la pena avere una nobilitas come la classe notarile che svolge funzioni pubbliche ritenute strettamente necessarie, con le caratteristiche della libera professione, anzi di una delle meglio retribuite fra le libere professioni?

Ha senso alimentare il business dei corsi di preparazione ai vari esami o concorsi che costringono i candidati a pagare ingenti cifre perlopiù sulla presunzione che gli organizzatori possano in qualche modo avere notizie in anticipo sulle prove concorsuali, cosa che, a quanto pare, a volte accade realmente? Non sarebbe invece il caso di puntare parte del rilancio del paese su una politica seria di liberalizzazioni accompagnata da una altrettanto seria riforme universitaria che consenta ad un laureato di conoscere realmente le basi della professione che andrà a svolgere?

Mi piacerebbe che l’occasione consentisse di affrontare seriamente queste domande e, soprattutto che la politica si occupasse di dare le risposte, possibilmente con l’obiettività e la terzietà dagli ordini professionali che le è fin qui mancata.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Alberto Evangelisti

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Chi sta in galera è migliore di loro, nelle carceri italiane è in corso una mattanza

postato il 30 Ottobre 2010

Le prime pagine dei giornali, come le trasmissioni televisive di pseudo informazione, sono veramente nauseanti. Dopo le morbosità sul caso della piccola Sarah Scazzi si ricomincia con i festini del Premier e la sua corte di compagni di merende, lenoni e signorine di facili costumi. E come in una tragedia greca non manca mai il coro, così nelle assurde vicende del Bel Paese non manca mai il coro degli indignati che si indignano e si disgustano dalla mattina alla sera sulle pagine dei giornali e nei salotti televisivi e magari dietro le quinte si fanno quattro risate sul “bunga bunga”.

Premesso che lo stile di vita del Presidente del Consiglio è esecrabile, sembra altrettanto discutibile e a dire il vero incredibile che giornali, tv ed anche illustri commentatori si agitino e si strappino le vesti per storie insulse come queste mentre, ad esempio, nelle carceri italiane si sta consumando una vera e propria mattanza. Non vi affannate a cercare nei quotidiani e nei loro siti, sotto le foto ammiccanti della prosperosa Ruby troverete forse qualche richiamo alla terribile storia di Simone La Penna che è stato lasciato morire in galera, ma non troverete quasi niente sui 54 morti in carcere dall’inizio dell’anno, di cui tiene la triste contabilità il blog Metilparaben, perché in questo Paese ci si occupa del carcere e dei suoi problemi quando mancano le “notizie”.

Le condizioni disumane dei carceri e le tragedie che dentro quelle mura si consumano, in un Paese civile sarebbero la prima notizia. Giornalisti, opinionisti e indignati di professione dovrebbero fare a gare per denunciare una situazione indegna per una democrazia occidentale, per far pressione sulla politica perché si occupi delle carceri e faccia rispettare la Costituzione e il suo articolo 27:  ”Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Nulla di tutto ciò, in questo disgraziato Paese siamo condannati ad occuparci dei festini di Berlusconi, Fede e Lele Mora narrati da protagoniste disinibite dalle cui labbra carnose piene di rossetto pendono fior fiore di giornalisti e i loro lettori; siamo condannati a sapere di tutto e di più su questi personaggi viscidi e tristi mentre non sappiamo nulla delle vite degli sventurati che si spengono tra le squallide mura di un carcere italiano.

Suona così tristemente lontano il monito di uno che la galera la conobbe da vicino, Sandro Pertini: “ricordatevi, quando avete a che fare con un detenuto, che molte volte avete davanti una persona migliore di quanto non lo siete voi”. E considerato chi sta sulle prime pagine, probabilmente un inquilino di San Vittore o Rebibbia è davvero migliore e meritevole di maggiore attenzione e rispetto.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Pisa, il Comune dimentica le domande di bonus dei cittadini meno agiati

postato il 29 Ottobre 2010

lampadina di caramellamentaIl caso esplode in modo pubblico solo in questo mese. Migliaia di cittadini si sono presentati agli sportelli del comune facendo la domanda per il bonus gas e luce. La domanda scadeva il 30 aprile del 2010. L’URP acquisiva le domande ma, si sa solo ora, non le inviava alla Sgate, società nazionale che si occupa della gestione dei bonus. Il comune non aveva né attivato la procedura d’inserimento delle domande né stipulato con CAF alcun accordo in merito.

Cosa fare allora? La giunta comunale in maggio, a tempi scaduti, riesce a passare la patata bollente all’Ufficio UC Alta Marginalità della Società della Salute, che non si sa per quale “generosità” abbia accettato un simile incarico. Il detto ufficio ha un’altra trovata. Il 14 ottobre invia una lettera (circa 6 mesi di ritardo) dal titolo: Pratica incompleta “Bonus tariffe Energetiche”.  Ma di incompleto non c’era niente se non quello che ha combinato il Comune. Si giustifica dicendo che è scaduto l’ISEE: ovvio si risponde, se lo tieni sei mesi nel cassetto!
La lettera della Società della Salute invitava a presentarsi a uno dei nove CAF che hanno stipulato la convenzione con la pratica detta “incompleta”. Telefonando alla maggioranza di questi CAF, si riceve in genere l’indicazione di un altro numero da chiamare, che poi non risponde, o che la persona incaricata è fuori. Uno di questi ha un orario settimanale di solo 15 ore, un’altro di 6: praticamente irraggiungibili con l’orario di lavoro di molti cittadini.

Ad ogni modo i primi cittadini che sono riusciti a recarsi a uno dei nove CAF si sono sentiti rispondere, dopo aver aspettato giorni per avere l’appuntamento, di andare ad un altro CAF perché non sanno come portare avanti la pratica (evitiamo di fare nomi per rispetto umano). Una raccomandazione: non fidatevi di quei CAF che reinseriranno la vostra domanda come nuova. La Sgate respingerebbe e perdereste i bonus.
I Caf dovranno inviate la digitalizzazione che avete ricevuto indietro dall’Ufficio Alta Marginalità. Alcuni CAF sostengono addirittura che l’Ufficio Alta Marginalità abbia negato l’accesso al portale dello Sgate unica via per poter inviare queste vecchie domande. Si prospetta così il serio rischio che le famiglie meno abbiente di Pisa perdano circa 150 euro in un anno. Grazie a chi? Il Comune di Pisa sembra essere stato un caso unico in Italia. Una cosa non la sappiamo. Ma chi è stato il responsabile di tutto ciò? Chi è l’Assessore di competenza? Il Comune non dovrebbe indennizzare tutti quelli che si sono dovuti recare di nuovo o agli sportelli, o tutti quelli che in un CAF convenzionato abbiano ricevuto una procedura che ha fatto bocciare la richiesta di bonus? Una vicenda che ricorda tanto un altro “governo del fare”.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Simone Matteoli

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Condono edilizio e il flop del Piano Casa

postato il 29 Ottobre 2010

Condono Edilizio ovo-sodoPer Berlusconi il Piano Casa è un successo che fa ripartire l’economia, ma dai dati che circolano, si dovrebbe dare ragione a Fitto (ministro PDL per i Rapporti con il Parlamento), il quale ha definito un flop il Piano Casa.

Eppure per Berlusconi questo famigerato provvedimento varato nel 2009 doveva rilanciare l’economia e l’edilizia privata, insomma doveva essere un toccasana, che non sarebbe costato un solo euro alle casse dello Stato.

Ma cosa prevedeva questo Piano Casa? Prevedeva la possibilità per i cittadini di aumentare la cubatura della propria casa. Il permesso di costruire, invece che dagli uffici preposti, era sostituito con una perizia firmata dal progettista, inoltre era possibile aumentare del 25% la volumetria degli edifici esistenti oppure abbattere case con più di vent’anni di vita e ricostruirle con dimensioni più ampie del 35%, in caso di utilizzo di materiali ecologici. Inoltre si prevedeva di costruire 100.000 nuovi alloggi popolari in 5 anni e la vendita di case popolari, per finanziare altre opere di edilizia pubblica.

Un Piano stupendo, ma in realtà il tutto è rimasto lettera morta, come ha ammesso lo stesso Berlusconi alcuni mesi fa. Spenti i riflettori, finite le speranze, tanto che il Governo ha scaricato la responsabilità sulle Regione e sugli enti locali, i quali hanno fatto però rilevare che le norme antisismiche che dovevano essere inserite nell’ambito del piano casa per le nuove abitazioni non sono mai arrivate dal Parlamento, e manca la legge sulla semplificazione normativa che permetterebbe di lanciare l’intera iniziativa.

Intanto registriamo che in un anno e mezzo, in tutta Italia solo 2700 famiglie hanno presentato le richieste per ingrandire le proprie abitazioni, e nessuna di queste riguarda case da abbatere e ricostruire, mentre gli altri provvedimenti riguardanti la vendita e la costruzione di case popolari sono nel limbo e non si hanno più notizie in merito. Se invece si va a valutare Regione per Regione ci si accorge che la vendita deve ancora iniziare, e le domande sono pochissime, a Napoli, come nel Friuli Venezia Giulia, come in Veneto e così via. Quindi oserei dire che il Piano Casa, è un fallimento su tutta la linea.

Di contro possiamo dire che il Governo sta vincendo, anche se lentamente, la sua battaglia per fare un nuovo condono edilizio.

Avevamo già parlato dell’ipotesi di un condono edilizio, e di come fosse stato bocciato. Ma il Governo non si è dato per vinto e sfoderando le sue migliori risorse (che potevano essere utilizzate meglio nel concepire una manovra a vantaggio delle famiglie e della crescita e non solo di tagli indiscriminati) ha concepito un piano in due mosse per portare avanti un condono edilizio totale, che riguardi anche le case costruite in zone poste sotto vincolo paesaggistico e ambientale.

Quali sono queste due mosse?

La prima fare rientrare il condono nell’ambito della lotta all’evasione ed elusione fiscale: tramite fotografie aeree i catasti dei vari comuni si è accertare l’esistenza di varie unità abitative che non erano mai state dichiarate o che sono più ampie di quanto risulta al catasto. In queste settimane, vari cittadini italiani si vedono recapitare lettere da parte dei comuni, che li invitano a mettersi in regola pagando una multa (molto minore rispetto al valore del bene da condonare, parliamo di 1000 o 2000 euro per condonare una villa da 100-150 metri quadrati). L’obiettivo è fare emergere unità abitative nascoste sulle quali poi i comuni potranno imporre il pagamento dei tributi locali nell’ottica dei provvedimenti per il federalismo fiscale varati questa estate. Questo provvedimento, si inquadra non solo nel federalismo fiscale, ma anche in una più ampia politica di lotta all’evasione e non può non ricevere plauso e appoggio, anche se il risultato sarà che molte case saranno regolarizzate con il pagamento di una semplice multa (in deroga alla legge attuale che prevede multa e abbattiimento, in molti casi, del bene abusivo).

Di contro, la seconda mossa per portare avanti il condono edilizio, è la riproposizione del condono anche per le aree sotto tutela paesaggistica. E come si può riproporre un provvedimento che neanche era arrivato al Parlamento a causa delle numerose critiche? Qui, si vede la genialità del governo: è stato cambiato nome al provvedimento ed è stato hanno mandato in Commissione Ambiente da cui si aspetta il giudizio definitivo. E quale è il nuovo nome? A dir poco stupendo, e credo che abbia impegnato i migliori pubblicitari d’Italia, infatti il provvedimento si chiama: “disposizioni per accelerare la definizione delle pratiche di condono edilizio al fine di contribuire alla ripresa economica”.

Bisogna riconoscere che l’inserimento finale delle due parole “ripresa economica”, rende il provvedimento irrifiutabile: quale politico, con l’Italia e il Mondo in piena crisi, rifiuterebbe di aiutare l’economia?

Però, quello che dovrebbe spiegare il senatore Tancredi (PDL), uno dei firmatari di questa proposta, è come aiuta la ripresa economica il sanare un bene che è già stato realizzato. Se vogliamo che l’economia cresca, dovremmo produrre cose nuove, le vecchie case, anche se abusive, non portano nuovo lavoro, sono già state realizzate!

All’interno di questa proposta, vi è poi la beffa suprema, perchè si prevede che “il proprietario di un immobile abusivo ha il diritto di prelazione quando questo viene acquisito e messo all’asta dal Comune”.
Ciò vuol dire che
le case costruite abusivamente vengono trattenute dal Comune, che invece di abbatterle le mette all’asta, dopo averle sanate e accatastate, dando al proprietario abusivo la possibilità di acquistarle. A questo punto basta mandare deserta l’asta e la casa che doveva essere abbattuta viene comprata ad un prezzo irrisorio.

Tra l’altro i termini sono molto stringenti: entro 6 mesi occorre sistemare tutti gli iarretrati delle sanatore del 1985, del 1994 e del 2003-2004, e poco importa se si parla di milioni di istanze da esaminare.

E quindi svelato il nuovo inganno del governo: tutto si giustifica, basta fare cassa e tirare a campare, sancendo, di fatto, che se si hanno soldi in questa Italia seguire la legge diventa un optional. Ma a questo punto, io mi chiedo se, invece di provvedimenti tampone e di giustificazioni pur di fare cassa, non sarebbe meglio fare una manovra organica per la crescita economica dell’Italia, piuttosto che giustificare l’ingiustificabile.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

1 Commento

Che fine ha fatto il ddl anticorruzione?!?

postato il 29 Ottobre 2010

anticorruzione di g_uLo scorso 19 febbraio veniva annunciata in pompa magna dal Ministro della Giustizia Angelino Alfano la prossima adozione di un atto fondamentale: il ddl anticorruzione. Il ddl è stato sbandierato dagli organi di governo per diversi mesi, ovviamente ripreso per settimane dalla stampa. Poi più nulla.

A partire da questa estate, sembra che il disegno di legge sia scomparso dalla cronaca politica, scomparso dall’ordine dei lavori. La cosa certa è che non è stato approvato.

Qualcuno porebbe essere indotto a pensare che un simile progetto possa passare in secondo piano rispetto ad altri, magari di più immediata preoccupazione; non sarebbe nulla di strano, in fondo esiste sempre una scala di priorità in cui bisogna operare per gradi.

Eppure, proprio in questi giorni, è uscita una classifica stilata da Trasparency International sulla corruzione che viene percepita da manager, impreditori, uomini d’affari e analisti politici: in una scala crescente, l’Italia si posiziona al 67/mo posto dopo paesi come il Ruanda e solo una posizione prima rispetto la Georgia. Una posizione a dir poco preoccupante e che dovrebbe indurre alla riflessione sullo stato attuale delle cose, soprattutto per un paese che vorebbe definirsi democratico e civile.

Tale riflessione, tuttavia, non sembra essere ritenuta abbastanza impostante da tutti. La concentrazione è mantenuta su ben altri obiettivi, ritenuti vitali e di maggior importanza, ma che forse assorbono eccessive energie dal dibattito politico, prosciugando il tempo e sottraendo lo spazio per altre iniziative.

Al momento il ddl anticorruzione risulta fermo nelle commisioni apposite, senza compiere i progressi necessari ad un problema di stringente attualità. Viene naturale domandarsi per quanto ancora potremo e dovremo aspettare perchè il giusto iter venga ripreso, con i tempi più giusti: quelli più rapidi e più produttivi.

Naturale è anche domandarsi se abbiamo il lusso di poter sprecare tempo in questo modo, senza che nulla sia fatto, o se maggiore è il tempo di attesa, maggiori sono i danni a cui rimediare. I dati sulla operosita della Camere sono noti a tutti… e parlano chiaro.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Andrea Santacaterina

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