Addio Università, verso la cancellazione delle borse di studio
Nel mondo del XXI secolo, globalizzato, dove le barriere tra i paesi sono ormai quasi inesistenti, dove il mondo è a portata di click e soprattutto dove la veloce circolazione dei mezzi, degli uomini e della conoscenza ha permesso all’umanità di fare passi da gigante, ma al contempo nello stesso mondo che combatte ormai da anni contro una crisi economica devastante, che lotta contro le emergenze umanitarie e che si batte per una ripresa rapida e duratura, sembra strano il torpore, quasi voluto, in cui si trova l’Italia. Torpore non solo economico ma soprattutto culturale.
La notizia dei tagli alle borse di studio operati dal ministro Gelmini nel penultimo consiglio dei ministri evidenza una sostanziale miopia nel focalizzare le priorità di un paese alla deriva. Dal prossimo anno verranno ridotti di oltre l’85% i finanziamenti erogati agli studenti che, rientrando per merito e situazione economica familiare, potrebbero accederne. Potrebbero perché da quando il pensiero forte dell’esecutivo è indirizzato alla carestia economica e al rigoroso controllo dei conti pubblici attraverso minacciosi tagli, coloro che ne fanno le spese sono sempre i meno abbienti.
La riflessione è doverosa quando il tema della discussione non sono opinabili visioni dell’economia ma la formazione culturale e professionale.
Il diritto allo studio del cittadino e il dovere dello stato a provvedere ad un’adeguata istruzione non entrano in conflitto con l’economia ma ne sono essi stessi volano di sviluppo nelle società mature. L’istruzione non è uno spreco sterile di denaro ma un investimento sicuro con la più importante rendita: la cultura.
L’investimento, soprattutto se cospicuo, nelle scuole, nelle università e nella ricerca consente ad un paese come il nostro, povero di materie prime e con una economia sempre più precaria, di poter sopravvivere puntando sull’innovazione, sulla qualità ma soprattutto sulla competenza.
La formazione di personale qualificato, di docenti preparati e di ricercatori floridi di idee porta con sé diversi ritorni, tra questi il ritorno culturale e quello economico, strettamente legati l’uno all’altro. Il ritorno culturale è di gran lunga il più prezioso. Attraverso lo sviluppo delle competenze si sviluppa di pari passo la qualità e con essa l’economia. La paura è che la cecità di chi governa non solo tarpi le ali ai giovani ma uccida la creazione di coscienze mature e soprattutto dia la spinta definitiva al nostro paese a cadere in un baratro senza possibilità di appello.
Qui non si parla di rifiuti, di ricostruzioni o di temi eticamente sensibili, dove ognuno, legittimamente, ha una personale opinione. Qui si parla di istruzione, di cultura, di crescita, e l’opinione dovrebbe essere uguale per tutti. Non dovrebbe esistere chi ritiene superfluo l’insegnamento. Può esistere, e deve esistere, chi lo ritiene inadeguato o superficiale ma a ciò si deve accompagnare un atteggiamento propositivo per il cambiamento in meglio dello stato attuale. Costruire un paese senza puntare fortemente nell’istruzione equivale a costruire nel vuoto o meglio a non costruire affatto.
La riduzione delle borse di studio taglia fuori migliaia di studenti che meritatamente hanno investito il loro tempo nella loro formazione per costruire non solo il loro futuro.
Dispiace che i ministri Tremonti e Gelmini non comprendano che l’istruzione universale, la formazione di figure altamente qualificate, il know-how (come lo chiamano gli inglesi) sono le reali risorse fin qui inesaurite del nostro paese. Attraverso l’apprendimento si concedono gli strumenti ad un paese per eccellere. Attraverso l’apprendimento si concedono gli strumenti ad un paese per vivere.
Certamente il problema richiede ulteriori e più approfondite analisi, da un lato l’assenza di reale meritocrazia paralizza il sistema, dall’altro la qualità dell’insegnamento spesso non è adeguata alle aspettative di un paese, ma non ci si può nascondere dietro fantomatiche scuse, sempre più improbabili e sempre meno credibili.
Come si può pretendere l’eccellenza se non si forniscono gli strumenti adatti nemmeno alla sufficienza?
Di certo le borse di studio da sole non risolvono né risolveranno il problema, ma sicuramente garantiscono a tanti studenti per nulla facoltosi di poter accedere a delle risorse fondamentali per garantirsi un’istruzione il più possibile adeguata, e soprattutto garantiscono ai più meritevoli di continuare gli studi indipendentemente dal censo. E chissà se tra i tanti studenti che dall’anno prossimo non beneficeranno più della borsa di studio, e che saranno costretti a rinunciare o a ritardare gli studi per ovvi motivi economici, non ci sia un futuro premio nobel.
Siamo disposti noi oggi ad assumerci questa responsabilità?
“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonio Cannatà
Mi congratulo pubblicamente con l’amico Cannatà. Noi cattolici democratici dobbiamo saperci indignare al cospetto di questi cinici governanti che tentano di blindare il consenso mediante l’omologazione.
Buongiorno, presidente
Mi pare impossibile che lei non abbia ancora capito la filosofia politica di un partito con il quale è stato alleato per tanto tempo! Se lo ricorda lei quando il cav. diceva che ognuno doveva fare il mestiere del padre? Non aveva capito allora che si stavano creando le barriere per consentire a soli pochi eletti di accedere a determiante funzioni?
Se non l’aveva capito, allora gliela spiego io questa filosofia, alla mia maniera, “‘a fimminina”! (Lei sa che scherzo, vero?)
La filosofia del cav. e del partito che ha voluto creare e che tante speranze aveva suscitato negli animi di tanta gente improvvida, è stata sempre una: uno solo l’eletto; una corte di sostenitori/claques pronti ad osannarlo (anche lei ed i suoi compagni di partito siete stati tra questi); un folto nugolo di “nemici” contro cui aizzare, urlando, i cani; dopo… la massa da trattare come un bambino sprovveduto (e ci è riuscito benisssimo). Per poter mantenere questo numero limitato di “eletti”, pian piano doveva andare chiudendo i cancelli di accesso, per impedire che “il figlio dell’operaio” si arrogasse il diritto di partecipare alla lauta mensa… e siamo arrivati a questo punto… a poco a poco si aboliscono le università pubbliche, già abbastanza costose per il figlio dell’operaio, aumentano a dismisura le università private e di gran lunga più esose, ma che danno la garanzia della “vendita” di un pezzo di carta. Oggi, con l’eliminazione delle borse di studio, i cancelli per accedere ad una forma di vita più elevata e consapevole attraverso lo studio, per il figlio dell’operaio, sono definitivamente chiusi. Si faranno strada i vari “trota”.
E lei questa filofia non l’aveva capito fin dall’inizio? Come dice l’esimio avvocato Ghedini: “Ma va là!”
Perdoni l’amara ironia.
Con simpatia, una citoyenne