Tutti i post della categoria: In evidenza

Libero WiFi sì o no? Cerchiamo di capire

postato il 2 Febbraio 2011

Allora, la notizia è questa: dopo un tira e molla estenuante, il Governo si è deciso ad abolire il medievale Decreto Pisanu, il più grande freno allo sviluppo libero della Rete in Italia. Ora, dati i tempi biblici che ci contraddistinguono, gli effetti di questa abolizione tardano ad arrivare, ok: abbiamo pazientato tanto, pazienteremo un altro po’. Il problema è un altro, ed è stato sollevato da Massimo Mantellini, che sul suo blog si è reso conto di alcuni emendamenti presentati dal senatore del Pdl, Lucio Malan, al quanto preoccupanti; scrive infatti Mantellini: “Come qualcuno aveva immaginato la liberazione del wi-fi contenuta nel decreto Milleproroghe, attualmente in discussione, sarà subordinata ad un decreto del Viminale che stabilirà quando e come si dovranno identificare gli accessi alle reti senza fili. La modifica che affida al Ministro Maroni ampia facoltà in materia, è stata proposta in Commissione Affari costituzionali dal senatore del PdL Lucio Malan”. Sulla questione è tornato anche Guido Scorza, che spiega come solo “in primavera l’Italia potrebbe scoprire cosa il gestore di un bar che voglia condividere le proprie risorse Wifi con i propri clienti debba fare per mettersi in regola. Il problema non è di contenuti, ma di metodo: dopo cinque anni non si abroga una norma che, invece, si intende sostituire e, soprattutto, dopo che la si è abrogata, non si propone di sostituirla attraverso ulteriori norme, la definizione del contenuto delle quali si rinvia ad un momento successivo”.

Il tutto è stato condito da una semi-smentita (o replica, fate voi) del senatore chiamato in causa, Malan, il quale sostiene, in un commento pubblicato sul blog di Mantellini, che “il testo del decreto proroghe che liberalizza il Wi Fi, per quanto sta a me, che sono il relatore del provvedimento al Senato, resterà così com’è. Perciò, niente decreto del ministro, niente braghettoni. Sarebbe giusto ricordare che quella fatta dal governo – e già in vigore perché è un decreto legge – è l’unica modifica al decreto Pisanu in cinque anni e mezzo dalla sua emanazione. E non abbiamo governato soltanto noi. Gli emendamenti presentati a mia firmati li ho ritirati ed erano stati concepiti come da applicare alla legge in vigore prima del 29 dicembre: in quel caso si sarebbe trattato di un superamento parziale del decreto Pisanu. Oggi costituirebbero un passo indietro: per questo li ho ritirati”. Una posizione ragionevole, per carità. Eppure un po’ ambigua.

Pare quindi che il rischio dell’ennesimo stop alla libertà del Wi-fi sia stato scongiurato. Eppure è chiaro a tutti che qui c’è qualcosa che non quadra: l’incertezza, la confusione e la titubanza con cui si stanno affrontando questo momento, rischiano di essere la pietra tombale sulla strada del progresso e dell’innovazione e, di questo passo, prima che il nostro Paese si metta in linea con il resto d’Europa passeranno decenni. Se non intere generazioni.

 

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

4 Commenti

Schizofrenie berlusconiane

postato il 2 Febbraio 2011

E’ successo tutto in tre giorni.

La settimana è iniziata con un Berlusconi conciliante che dalle pagine del Corriere della Sera tendeva la mano al segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, per intraprendere un percorso di riforme condivise. Bersani, che vede nella proposta del Premier solo un modo di tirarsi fuori dall’angolo, rimanda al mittente l’offerta berlusconiana scatenando però le ire del grande Capo che, bollato il leader del Pd come “insolente”, raduna una specie di consiglio di guerra per scatenare una strafexpedition contro le opposizioni e le toghe rosse la cui organizzazione viene demandata a Daniela Santanchè e Michela Vittoria Brambilla.

A Palazzo Grazioli i falchi hanno fatto il nido ed è servita tutta la bravura di Giuliano Ferrara per riportare Berlusconi a più miti consigli. La “moral suasion” di Ferrara ha la meglio sulle strategie aggressive delle amazzoni pidielline e il Cavaliere sembra tornare ragionevole e dialogante soprattutto quando nella mattinata di mercoledì arriva il richiamo del Presidente della Repubblica per placare le sterili contrapposizioni. Una nota di Palazzo Chigi attesta il Premier sulla linea del Capo dello Stato, ma è sufficiente qualche ora per trovarsi Silvio Berlusconi al Tg1 sparare a zero sulle “vecchie forze che vogliono tassare gli italiani”.

Forse Giuliano Ferrara non l’ha ancora avvertito che il Capo del Governo è lui. Come ha notato giustamente il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa lo statista Berlusconi è durato appena cinque ore. Cosa ci riserverà il fine settimana? Quale Berlusconi avremo davanti: lo statista o il capo popolo, il riformatore o il lider maximo?

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

2 Commenti

Egitto: un faraone in fuga?

postato il 1 Febbraio 2011

Dopo la Tunisia, l’Egitto. E dopo l’Egitto? Questa sembra essere una delle domande più ricorrenti nei dibattiti che coinvolgono gli scienziati politici ma anche sul web. Occorre subito sgomberare il campo da possibili malintesi: l’Egitto non è la Tunisia.

Nonostante la “rivolta dei gelsomini” e il “movimento 6 aprile” abbiano per certi versi delle radici comuni (disoccupazione, carovita, corruzione ….), ben diverse saranno le conseguenze nonché lo scenario politico e strategico che potrebbe delinearsi con un cambio di regime. Il peso specifico dell’Egitto nello scacchiere mediorientale appare sicuramente più determinante nelle relazioni internazionali e il ruolo geopolitico del paese più popoloso del mondo arabo è molto importante per la “stabilità della zona”.

Il rimpasto di governo voluto da Mubarak il 28 gennaio potrebbe rappresentare l’ultimo atto politico del presidente in carica dal 1981. Sulla scia di quanto già accaduto in Tunisia, Mubarak ha nominato un nuovo primo ministro: A. Shafix, un ex militare già a capo dell’aviazione, e un vicepresidente, O. Suleiman, ex-capo dei servizi segreti egiziani. Questa seconda nomina rappresenta una novità nella storia recente dell’Egitto poiché per la prima volta un presidente nomina un suo vice. In ogni caso, questa mossa potrebbe rappresentare un auto-golpe per l’ottantaduenne presidente egiziano: l’esercito infatti comincia a solidarizzare con il popolo e, stando alle ultime dichiarazioni ufficiali, si rifiuterà di sparare sulla folla durante lo sciopero generale indetto per oggi.

Il ruolo dei militari, oltre che della polizia sarà dunque fondamentale per un’eventuale fuga del “faraone” proprio come lo era stato nel caso di Ben Ali in Tunisia. Il bilancio provvisorio parla di 150 morti in tutto il paese a distanza di una settimana dall’inizio delle proteste, ma il popolo egiziano non sembra intenzionato a indietreggiare davanti alle timide aperture e chiede a gran voce la fine del regime di Mubarak del suo partito, il Partito nazionale democratico che domina la scena politica da trent’anni.

Ancora una volta internet è stato il mezzo della rivolta: Twitter, Facebook e i social network fungono da ripetitori della rabbia e alla piazza. Su Facebook è stata creata la Rete Rasd che da voce alla rivolta e serve ad organizzare la protesta: una sorta di “osservatorio della rivoluzione” (rasd in arabo significa, infatti, “monitoraggio”) che trasmetteva notizie fresche e in diretta dalla piazza, minuto dopo minuto, grazie all’uso della rete e dei cellulari.

L’Europa e gli Stati Uniti guardano con interesse e preoccupazione le rivolte in Egitto e dopo le prime dichiarazioni di circostanza e appoggio al presidente Mubarak (Mubarak “amico dell’Occidente”, “garanzia contro il fondamentalismo islamico” e “elemento di stabilità regionale”) mostrano i primi segnali di apertura e chiedono un dialogo con l’opposizione in modo da portare il paese ad elezioni pacifiche attraverso un periodo di transizione. L’Egitto di Mubarak è infatti, da trent’anni, uno stretto alleato degli Stati Uniti (così come lo era stata la presidenza di Sadat dopo la guerra del Kippur). Gli USA hanno sempre spalleggiato l’alleato mediorientale in grado di assicurare la stabilità nella regione e di tenere lontano eventuali rigurgiti fondamentalisti. Perché gli Stati Uniti non sono mai intervenuti, o perché non hanno mai condannato pubblicamente il regime di Mubarak? E perché condannano con così tanta insistenza il regime iraniano mentre hanno taciuto per trent’anni nel caso dell’Egitto? (è interessante a tal proposito l’articolo apparso su Nouvelle d’Orient dal titolo “Egitto-Iran”, due pesi due misure). C’è da considerare il ruolo nevralgico per l’economia globale che l’Egitto ha rivestito, con il passaggio del Canale di Suez, sempre garantito da Mubarak.

La giornalista di Al Jazeera, R. Jordan, riferisce che la Clinton avrebbe esortato Mubarak a considerare l’opportunità di elezioni libere e democratiche ma allo stesso tempo l’avrebbe messo in guardia davanti alla possibilità che si possa creare una situazione simile a quella iraniana.

Il peggiore scenario possibile per gli Stati Uniti sarebbe infatti un governo islamico alleato dell’Iran, ma realmente esiste la possibilità che il fanatismo islamico arrivi al potere in Egitto? Le piazze da una settimana sono gremite di persone di ogni estrazione sociale e religiosa, ricchi e poveri, laici e religiosi, ma soprattutto si tratta di donne e uomini liberi che vogliono riappropriarsi del loro paese. All’interno della società civile emergono poi diversi movimenti che, dal basso, chiedono una rottura con il regime e un cambiamento forte e radicale. I Fratelli Musulmani, il maggiore gruppo di opposizione, e considerati alla stregua dei terroristi, sono rimasti dietro le quinte della protesta.

El Baradei, autorevole personaggio di livello internazionale ed ex presidente dell’AIEA, tornato in patria durante la rivolta, invoca l’intifada fino alla cacciata di Mubarak. Si è unito inoltre alla protesta anche Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba, e considerato come un altro possibile traghettatore verso elezioni democratiche.

Le possibilità che gli integralisti islamici prendano il controllo del paese sono molto scarse (preoccupazioni intensificate dopo gli intensificati attacchi ai cristiani, il 15% della popolazione) ma in Israele prendono piede preoccupazioni legate anche a questo eventuale ipotetico scenario. La stabilità nella zona sarebbe infatti a forte rischio così come l’alleanza strategica tra i due paesi dopo la pax degli accordi di Camp David. Israele, nonostante possieda l’esercito meglio preparato del Medio oriente, non vorrebbe arrivare ad uno scontro frontale con l’Egitto ma potrebbe sentirsi minacciato e accerchiato. E se simili rivolte e la stessa ventata di democratizzazione dovesse ripetersi in tutto il Medio Oriente e in Maghreb?

Gideon Levy, sulle colonne di Ha’Aretz, dice che poi verrà il tempo non solamente di Damasco, di Amman, di Tripoli e di Rabat, ma anche di Ramallah e di Gaza. Sono scenari ipotetici che non possono non preoccupare Israele.

Anche l’Europa dovrebbe imparare la lezione, cambiando le sue strategie verso il regime egiziano e il mondo arabo in generale, prima che sia troppo tardi.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Shardana

Altri link:

Independent – Robert Fisk: A people defies its dictator, and a nation’s future is in the balance

Liberation – L’armée juge «légitimes» les revendications du peuple égyptien

Della Tunisia avevamo parlato qui ed anche qui.
3 Commenti

Net neutrality a rischio: Facebook, Youtube, mail e Skype a pagamento?

postato il 31 Gennaio 2011

Oramai è chiaro anche agli osservatori meno esperti e più disattenti: la cosiddetta “new economy” è un giungla di soggetti più o meno monopolisti che, una volta raggiunta la propria posizione dominante, invocando un distorto principio di “libero mercato”, fanno di tutto per mantenerla in vita.
In questo, tra le grandi lobby del XIX e del XX secolo ed i vari Steve Jobs, Bill Gates, Larry Page Sergey Brin, la differenza che passa è sul serio minima.
Tale atteggiamento “imperialista”, che vede quindi tra i protagonisti anche e forse soprattuto quelli che da sempre sono i simboli del “free-share” ed al contempo dell’innovazione tecnologica come Google ed Apple, colpisce naturalmente le sempre più vuote tasche del consumatore.
Oltre ai colossi americani, però, ci sono anche i giganti nostrani ed europei pronti a dar libero sfogo alla propria avidità e a tartassare gli utenti di internet costringendoli a pagare servizi ed accessi ai portali che fino ad oggi sono stati (giustamente) gratuiti.
Per fare un esempio concreto e riferendosi al nuovo regime di mercato che i grandi ISP americani come Comcast, Verizon e AT&T vorrebbero introdurre, nei prossimi anni l’accesso a facebook, youtube, skype, e-mail, netfix ecc potrebbe essere a pagamento. In altri termini, oltre a richiedere l’attuale canone mensile per concedere la connessione e l’accesso al web, i fornitori di telefonia mobile e fissa, intendono applicare tariffe aggiuntive per fornire ai propri utenti “pacchetti specifici”. Es: canone di 19,99 euro al mese per un abbonamento internet flat da 4mb e, in aggiunta, altri 30 euro al mese per poter navigare illimitatamente su Facebook, Youtube, le caselle e-mail e per accedere a Skype.
In pratica una vera e propria inversione della filosofia internettiana; con tanti piccoli “oboli” da far pagare ai net-surfer a seconda dei servizi da loro utilizzati. Il pericolo di impennata dei prezzi e di social network, mail e chat a pagamento esiste anche per il nostro paese ed è confermato dall’ultimo discorso tenuto da Nicola D’Angelo; membro dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom).
Alla presentazione del libro bianco sui contenuti, D’Angelo ha difatti annunciato:”Lanceremo a breve un’indagine conoscitiva sulla neutralita’ tecnologica della rete fissa”. La cosiddetta “Net neutrality”, sta ad indicare il trattamento non discriminatorio da parte dei fornitori di linee telefoniche (Isp) e servizi web. In pratica, quando si parla di “neutralità della rete”, ci si riferisce al fatto che Telecom, Libero, Vodafone ecc non chiedano tariffe aggiuntive per accedere a servizi come e-mail, chat, social network, portali video ecc..
Secondo l’Agcom, la volontà di far crollare la net neutrality “nasce dai conflitti sempre piu’ frequenti tra l’accesso libero e senza limiti ai contenuti e l’esigenza manifestata dagli operatori di rete di gestire il traffico internet sulla propria infrastruttura per evitarne la congestione”. In particolare, nella relazione presentata nel libro bianco si legge:”Il problema della ‘network neutrality’ evidenzia un profilo tecnico, la cui soluzione e’ connessa all’individuazione del giusto equilibrio tra la parte di banda e di rete da dedicare a servizi che necessitano di una gestione e la parte di banda che deve continuare a garantire l’accesso a internet sulla base del principio del ‘best effort’. Tale equilibrio – si legge ancora – riveste particolare rilevanza sotto due aspetti: la tutela del consumatore nella sua liberta’ di accedere ai contenuti leciti su internet senza restrizioni; e la tutela degli operatori ad ottenere una remunerazione per i servizi offerti in rete ai quali si contrappongono due interessi: quelli degli Isp (Internet service provider) o dei fornitori di contenuti di garantire la massima veicolazione dei propri contenuti per raggiungere il maggior numero di utenti, e quello degli operatori di rete di restringere la parte di rete destinata a ‘best effort’ perche’ e’ sulla rete ‘managed’ che si offrono i servizi remunerativi”.
In conclusione, la nota poi precisa che: “Alla base del principio di neutralita’ tecnologica  risiede la necessita’ di favorire il benessere dei consumatori, cioe’ la possibilita’ da parte degli stessi di avere accesso ai contenuti senza discriminazione tra le reti di trasmissione. E questo principio puo’ essere pertanto riferito alla rete quanto al servizio”.
Il discorso sulla net neutrality è aperto da diversi anni ed è molto accesso soprattutto nell’America del Nord. Senza tale “regime” imposto alle compagnie telefoniche ed ai fornitori di servizi, questi soggetti potranno ridurre o aumentare la banda concessa ai propri utenti a seconda della tariffa pagata da questi ultimi. La filosofia sarà dunque semplice: più si paga, più velocemente si naviga e a maggiori portali/servizi si può accedere. In tal modo, il web garantirà un accesso totale e rapido solo a chi potrà permettersi costi medio-alti per gli abbonamenti. Non solo: data la posizione monopolista di alcuni colossi internazionali e delle compagnie telefoniche (abiutate da sempre a fare cartello per ridurre al minimo la concorrenza), i prezzi delle connessioni potranno salire proprio come accade, ad esempio, per la benzina.
Al momento, fortunatamente, quest’ultima ipotesi appare abbastanza lontana e difficile da realizzarsi concretamente nel breve periodo ma, al contempo, il rischio di rinunciare a spicchi sempre maggiori di neutralità della rete è da tenere in seria considerazione. Qui potrete visualizzare un video (in inglese) nel quale si spiega il concetto di net neutrality in maniera rapida ed elementare. Per avere un’idea ancora più chiara, potete inoltre visitare questa pagina che partito-pirata.it ha dedicato al delicato ed importante argomento.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Germano Milite

2 Commenti

Onorevoli rispettate la legge: la strana storia delle quote latte

postato il 30 Gennaio 2011

“Ancora una volta, purtroppo, avevamo ragione noi: il disegno della Lega era chiaro e ora si sta confermando come una colossale truffa ai danni di tutti gli italiani”. Mauro Libè, deputato e responsabile Enti locali dell’Udc, commenta così all’agenzia ANSA  il tentativo della Lega Nord di inserire nel cosiddetto “decreto milleproroghe” una nuova sospensione al pagamento delle multe per le quote latte.

La questione era già stata abbondantemente dibattuta in passato ed allora come adesso si era levata forte la voce del fronte contrario a tale iniziativa: fronte che comprendeva sia le organizzazioni del mondo agricolo che lo stesso Ministro dell’Agricoltura Galan oltre ovviamente allo schieramento di opposizione. Nessuna particolare obiezione era ed è  invece pervenuta dal solitamente rigido custode della finanza pubblica e cioè il Ministro Tremonti.

Ed è davvero curioso e paradossale chiedersi il perché di questo accanimento leghista nel volere a tutti i costi difendere uno sparuto gruppetto di qualche decina di allevatori padani che consapevolmente hanno infranto le regole, danneggiando la maggioranza dei loro colleghi che infatti sono unanimemente schierati contro ogni proroga dei pagamenti.

Per chiarirci le idee, o forse complicarcele ulteriormente, può allora essere utile rileggere un articolo pubblicato nel luglio scorso sul blog “Finanza e Potere” del giornalista de “Il Sole 24 Ore” Giuseppe Oddo in cui si pone in esplicito riferimento la questione delle”quote latte” con quella ben più spinosa della fallita banca padana CrediEuroNord, che doveva essere la testa di ponte leghista nella conquista del sistema bancario italiano.

Singolare poi risulta l’appello del Ministro Galan che dice: “Mi rivolgo ai parlamentari di maggioranza ed opposizione perché venga bocciato l’emendamento leghista al decreto legge Milleproroghe che prevede lo slittamento a giugno del pagamento delle quote latte.  Accoglierlo non sarebbe né legale né etico: le leggi vanno rispettate”; singolare dicevo perché dovrebbe essere superfluo e finanche offensivo il richiamo ai parlamentari affinché rispettino le leggi, visto che ne dovrebbero essere gli estensori!

Rimane l’ultima amara considerazione e cioè che il tutto si svolge lucrando sulle spalle dei moltissimi agricoltori onesti che, tra grandi sacrifici, continuano a portare avanti la loro opera in questo settore fondamentale per l’economia nazionale e nei fatti spesso dimenticato o quanto meno sottovalutato.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

3 Commenti

C’è voglia di buona politica nella rete

postato il 30 Gennaio 2011

C’è grande entusiasmo intorno al nuovo Polo per l’Italia, un entusiasmo che è stato palpabile a Todi dove si sono riuniti i parlamentari di Udc, Fli, Api, Mpa, liberali e Repubblicani ma che traspare anche dai commenti degli internauti. Sul palco di Todi tutti gli oratori che si sono succeduti non hanno portato soltanto il loro contributo politico e programmatico ma hanno trasmesso anche la loro grinta per una nuova avventura e si è percepita la bellezza di percorsi e contributi diversi espressi di volta in volta da Italo Bocchino, Rocco Buttiglione, Bruno Tabacci.

Ma l’entusiasmo per il nuovo Polo ha varcato anche la soglia dell’Hotel Bramante di Todi e grazie alla rete si è diffuso tra gli italiani. Ed è dalla rete che viene chiaramente l’indicazione di un forte interesse per questo progetto politico: in tanti si sono collegati al sito di Pier Ferdinando Casini e alla web Tv dell’Udc (grazie!) per avere notizie e informazioni su Todi che difficilmente hanno trovato spazio sui siti dei grandi quotidiani. Ma sono stati i social network il vero termometro di questo evento: su FacebookTwitter elettori, simpatizzanti e semplici curiosi hanno trovato materiale e notizie e hanno potuto esprimere il loro interesse, le loro proposte e le loro speranze. I “mi piace” e le “condivisioni” dei social network sono diventate incredibilmente le gambe del nuovo Polo che comincia subito a  correre veloce nella rete e conseguentemente anche nei cuori e nelle menti di tanti italiani ed italiane. Naturalmente ci sono anche le critiche, che terremo in considerazione!

La rete, come stanno dimostrando le “sollevazioni democratiche” che si stanno verificando nei paesi nordafricani, è veramente la nuova “agorà”, il luogo della democrazia e del cambiamento, una forza tranquilla che tiranni e politicanti di ogni specie – ai quali risulta molto scomoda, in quanto alla rete non si può tappare la bocca – vogliono fermare per preservare il loro potere. Essere protagonista nella rete, nei social network con le idee e i programmi non è solo un auspicio ma un dovere per il Polo per l’itala che si candida a rappresentare quegli italiani che vogliono un cambiamento radicale e che  nella rete trovano quello spazio di partecipazione politica che troppo spesso è negato dalla politica.

La Redazione

1 Commento

Bravo Galletti, insisti: ragioniamo d’economia

postato il 29 Gennaio 2011

E’ sconcertante, e per altri versi, esilarante, osservare ogni giorno in televisione, tanti politici arrampicarsi sugli specchi. Ultimamente però, il tutto è stato acuito dalle indagini che hanno interessato il Presidente del Consiglio dei Ministri. Ore e ore di programmazione televisiva a frignare su queste stupidaggini, parole e parole spese in attacchi e difese, scontri e battaglie, scaramucce e applausi.

L’altra sera, a “Porta a Porta” su Rai Uno, ho notato qualcuno, ormai stufo di blaterare su questi temi: era l’on. Gianluca Galletti, dell’Unione di Centro, che, invitato da Bruno Vespa a esporre la linea politica del suo partito in merito alle vicende personali di Berlusconi, cercava di portare la conversazione fuori tema, parlando di federalismo, di riforma economiche, di indebitamento dei Comuni, di attività delle aule parlamentari. Galletti, anche se per pochi minuti, riusciva a far parlare i suoi interlocutori, tra cui l’on. Fabrizio Cicchitto e l’on. Anna Maria Bernini, entrambi del Popolo della Libertà, di temi concreti e soprattutto economici, con un risvolto reale sulla vita degli italiani.

Ma Vespa, riusciva a riportarli sul tema per cui erano stati invitati, con l’aiuto degli infaticabili falchi Antonio Padellaro, direttore de “Il Fatto Quotidiano” e di Maurizio Belpietro, direttore di “Libero”, che di economia e riforme non ne volevano sapere affatto, intenti come erano a rinfacciarsi le cavolate che giravano sui giornali negli ultimi giorni e che facevano vendere migliaia di copie ai loro quotidiani.

Ma perché Galletti era l’unico che voleva parlare d’altro? Perché gli altri interlocutori trovavano difficoltà a seguirlo? Perché chiunque, in questo Paese, voglia parlare di cose serie, è sommerso dalle cavolate? Perché non si parla seriamente di federalismo, dei suoi pro e contro? Perché non si parla dei reali effetti di questa riforma, soprattutto sulla libertà dei Comuni e sulle penalizzazioni delle aree svantaggiate d’Italia? Perché Vespa preferisce parlare tanto delle sue amate escort e delle sue oscene inchieste sugli omicidi, invece di parlare della crisi economica in Italia, tasso di disoccupazione alle stelle, ecc. ecc.?

È palese che Berlusconi fa l’agenda politica italiana, decide lui di cosa parlare e cosa nascondere. Ecco perché bisogna riportare al centro del discorso politico italiano i temi economici, imitando quel “kamikaze” mediatico di Galletti, che cercava in tutti i modi di farsi ascoltare. I politici responsabili devono riunirsi per programmare un futuro all’Italia e fare in modo che si parli d’altro. Solo così si spiazzeranno i millantatori di destra e di sinistra, capaci solo di ripetere a pappagallo i comunicati stampa diramati da Palazzo Chigi.

Parliamo di energia, di competitività, di made in Italy, di lavoro, di giovani, di turismo, di dissesto idrogeologico, di investimenti, di patrimonio artistico da valorizzare, di esportazioni, di imprese, di sburocratizzazione, di quote latte, di ambiente ed agricoltura, e dopo aver parlato, tema per tema, si dà una propria possibile soluzione al problema. In questo dovremmo imitare i tedeschi, che con pragmatismo hanno già recuperato le perdite dovute alla crisi finanziaria e ora continuano a crescere, sfruttando il volano delle riforme, della ricerca e delle esportazioni.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonio Di Matteo

Commenti disabilitati su Bravo Galletti, insisti: ragioniamo d’economia

Quell’Italia diversa che spero per i miei figli

postato il 29 Gennaio 2011

Pubblichiamo un commento-appello di una madre che auspica un’Italia diversa per i propri figli.

Gentile Presidente Casini,

condivido la paura di tanti, non si era mai visto che un governo scendesse in piazza contro la magistratura, la politica nella prima Repubblica tanto disprezzata non è mai stata così: l’attentato a Togliatti invece di dividere il paese l’unì, grazie a un governo responsabile e democratico. Così è sempre è stato per l’italia, forti contrapposizioni tra partiti ma sempre tanto rispetto, la dignità di noi italiani non era mai stata calpestata. Ora mi sento offesa, violata come cittadina, come donna e come madre. Come non mai sto seguendo tutte le vicende del nostro premier, ma non per curiosità, per morbosità o per giudicare, ma solo perchè non riesco a comprendere tali comportamenti perversi. Pur non avendo mai condiviso la sua politica, ho cercato fino all’ultimo in questi giorni di credere nella sua innocenza, quello di cui viene accusato è troppo grave, mi vergogno di vivere in Italia, mi vergogno di fare vedere questo squallido spettacolo ai miei figli. Io che dai miei genitori, e ancora di più dai miei nonni, ho ricevuto una educazione di rispetto verso le istituzioni, verso quella democrazia e unità che è costata sangue e sacrifici ai nostri nonni. Credo fermamente in questo Nuovo Polo, ma vi prego fate qualcosa, anche voi avete dei figli.

Patrizia

3 Commenti

Pier Ferdinando: diamo rappresentanza ai moderati

postato il 28 Gennaio 2011

Il Polo per l’Italia sarà una “forza tranquilla”. E’ questa l’immagine che usa Pier Ferdinando Casini per parlare della nuova creatura politica che vede la luce a Todi. Ed è questa “forza tranquilla” che pervade l’intervento di Casini davanti al conclave terzopolista, un intervento, quello del leader dell’Udc, chiaro, pacato ma che non rinuncia ad alcune stoccate. Casini rileva il fallimento di una fase politica la cui liquidazione, avverte, non può essere affidata ai magistrati; ecco perché rivendica per il nuovo Polo il compito gravoso di chiudere questa stagione politica con il coraggio della verità, con il coraggio di dire in faccia a Berlusconi che “lui non ha più voglia di governare questo Paese”.

E’ un Casini che incalza senza esitazione il Premier sulla questione morale denunciando le cosiddette armi di distrazione di massa, come le accuse a Gianfranco Fini, ma evitando ogni deriva giustizialista che faccia degenerare la questione morale in un banale moralismo. Ma non c’è solo l’attualità politica nell’intervento del leader dell’Unione di Centro, c’è anche abbondante spazio per riprendere gli importanti spunti programmatici forniti dagli interventi mattutini di Adornato, Baldassarri, Lanzillotta e Reina: una politica economica diversa da quella di Tremonti, l’attenzione per il Mezzogiorno e per i giovani, il problema sociale e la tassazione delle rendite finanziarie, la chiarezza sui temi eticamente rilevanti.

Nell’enumerare riforme e provvedimenti necessari per il Paese Pier Ferdinando Casini ha anche, a livello personale, espresso la convinzione che soltanto una grande coalizione potrebbe mettere in atto quelle scelte impopolari doverose che costano tanto in termini elettorali. L’intervento all’assemblea di Todi è stato anche l’occasione per mettere in chiaro, specie con i giornalisti, la presunta questione delle leadership del neonato Polo per l’Italia. Casini, che pure nel pomeriggio ha raccolto parole di riconoscimento da parte di Italo Bocchino, ha precisato con forza che il nuovo Polo non è una fotocopia di ciò che ha fatto Berlusconi, ma che la leadership appartiene unicamente a coloro che intendono combattere per cambiare il Paese. Il Polo per l’Italia, ha continuato Casini, è fatto da forze politiche che hanno sicuramente percorsi diversi ma che hanno in comune una sofferenza politica e un’idea di cambiamento.

La conclusione Casini la riserva a indicare la rotta: se elezioni anticipate ci saranno le responsabilità saranno chiare a tutti, ma il Polo per l’Italia sarà pronto a competere con i propri uomini e i propri programmi. Poi un consiglio ai suoi: “non cadiamo nella trappola delle risse”, e in una sorta di procedimento di inclusione richiama il concetto di “forza tranquilla” per marcare la differenza di stile tra il nuovo Polo per l’Italia e le urla e le minacce di Berlusconi.

Adriano Frinchi

1 Commento

“Bungen”, o dell’Italia di (serie) B.

postato il 28 Gennaio 2011

Sicuramente, il momento più simpatico (o tragico, forse) della giornata di oggi ce lo ha regalato Rocco Buttiglione, profondo conoscitore ed estimatore della lingua tedesca, che ha aggiornato il coordinamento del Nuovo polo per l’Italia sulla nascita di un nuovo verbo nel vocabolario dei tedeschi: bungen. Indovinate a cosa mai potrà riferirsi. Ma è ovvio, al bunga bunga di berlusconiana memoria! Buttiglione, difatti, ha anche spiegato che “dopo aver passato la vita a cercare di rassicurare i miei amici tedeschi che in fondo gli italiani sono gente seria, adesso ho quasi paura a tornare in Germania per le battute che mi faranno sugli scandali sessuali di Berlusconi”. È straordinario, no? Il Bunga-bunga adesso può addirittura vantare una coniugazione propria; avrà un singolare e un plurale, una prima, seconda e terza persona: ich bunge, wir bungen, sie bungen; e chi più ne ha più ne metta. I tedeschi ci giocheranno su, lanciandosi delle frecciatine tra amici: hai fatto bunga bunga ieri sera?, si chiederanno reciprocamente con il sorriso sulle labbra.

Gli Stati vicini, l’Europa, il Mondo intero ridono di noi. Ridono fragorosamente, con un ironia sprezzante e crudele, mista a una diffusa incomprensione (“ma come faranno mai questi Italiani a sopportarlo?”, si staranno chiedendo) e – ne sono sicuro – anche a un moto di pietà e compassione (“poveri loro, non poteva capitargli di peggio”). Beati loro che se la ridono. Perché noi invece, del berlusconismo, paghiamo e pagheremo le conseguenze, ne piangiamo e piangeremo. Il fatto che il Bunga bunga sia diventato un verbo, è l’espressione più chiara ed evidente della palude in cui siamo precipitati: qui non si fanno e non si vogliono fare facili moralismi. Qui si parla sulla base di inoppugnabili dati di fatto: mentre nei nostri Talk show i politici di Destra e di Sinistra ripetono come grammofoni impazziti lo stesso, stanco e stantio copione, il nostro livello di credibilità estera è crollato, sprofondato.

Bungen e il Bunga bunga sono il peggio che potesse capitarci. Il compito del Nuovo Polo per l’Italia, già ben espresso da Urso e Casini nei loro discorsi di oggi, è chiaro: dobbiamo tornare a insegnare (sì, proprio insegnare) ai cittadini il rispetto dell’etica privata, fornendo dei sani modelli comportamentali. Per ribadire – a chiare lettere – che con quest’Italia di (serie) B. noi non abbiamo nulla a che fare. E che al Bungen ci pensi chi non ha voglia e capacità di governare l’Italia.

Giuseppe Portonera

2 Commenti


Twitter


Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram