postato il 24 Febbraio 2025 | in "Esteri, Rassegna stampa"

Ucraina: «Putin ha violato le regole, ha occupato Donbass e Crimea. Ora garanzie per l’Europa»

«No a capovolgere la realtà, è stata la Russia ad occupare il Donbass e la Crimea. Meloni? Utilizzi il rapporto con Trump per difendere le ragioni Ue»

L’intervista di Mario Ajello pubblicata sul Messaggero

Pier Ferdinando Casini, la guerra in Ucraina dura da tre anni. E ora come uscirne?

«Questa è una guerra che non doveva mai essere fatta. Sono caduti sul terreno migliaia e migliaia di morti, mandati allo sbaraglio dagli uni e dagli altri. Ma il responsabile di questo massacro è uno solo e si chiama Putin».

Non sembra questa però la lettura prevalente oggi. Ha visto che Trump sostiene che ha scatenato tutto Zelensky?

«È Putin che ha violato le regole della legalità internazionale, è lui che ha occupato il Donbass e la Crimea, ed è lui che s’illudeva di prendere l’intera Ucraina nel giro di qualche giorno».

Perché questa evidenza non è riconosciuta da tutti?

«Perché è in corso un gigantesco capovolgimento della verità».

Zelensky non ha qualche colpa?

«Sì, la più grande è quella, per i suoi detrattori, di non aver accettato di scappare. Per me, questo è stato un merito e la storia gliene renderà atto».

Ha appena detto il presidente ucraino che è pronto a dimettersi «immediatamente», se il suo Paese viene fatto entrare nella Nato. Lei che cosa pensa di questa mossa?

«Penso che, in un momento in cui tutti giocano, Zelensky fa benissimo a stare al gioco. E soprattutto, considerando che i territori persi non saranno mai riconquistati, il problema è lo status futuro dell’Ucraina. Perché noi abbiamo il diritto, come europei, di essere garantiti sul fatto che tra qualche anno, una volta accettata la tregua, Putin non ricominci prendendo di mira qualche altro territorio ai confini con la Russia. Il tema è quello delle garanzie per la sicurezza futura dell’Ucraina ed è questo il tema che riguarda noi europei da vicino».

Lei vede in Europa una mollezza o un’incoscienza modello Monaco 1938?

«Io vedo che tra qualche giorno, per qualcuno, la narrativa sarà quella secondo cui Zelensky ha invaso la Russia e Putin si sta difendendo: una vergogna assoluta, che contraddice tutti i valori dell’Occidente, almeno quelli per cui si è spesa la mia generazione».

L’Ue, rispetto all’Ucraina, ha fatto o non ha fatto ciò che ci si aspettava facesse?

«Ha compiuto il suo dovere. Più di così, non poteva fare. E ha agito in termini economici, come sostegno al Paese aggredito, più degli Stati Uniti. Il problema è che l’Europa è affetta da nanismo politico. Ed è singolare che, a rimproverarglielo, siano proprio quei sovranisti che rifiutano di delegare potere all’Unione europea».

Non le sembra che Meloni sia diventata più tiepida, tre anni dopo, nei confronti dell’Ucraina?

«Constato un imbarazzo crescente del governo. Per fortuna l’altro giorno, alla convention dei conservatori americani, la premier ha avuto la dignità di dire che l’Ucraina va difesa. Per qualcuno, questo è il minimo che Meloni dovesse fare. Per altri, come il sottoscritto, non era così scontato, visto che il clima che si respirava in quella convention. Mi auguro che Meloni utilizzi il suo rapporto con Trump per difendere le ragioni dell’Europa e non per assecondare l’onda che rischia travolgere l’Occidente».

Guardi però che Meloni ha condiviso il discorso anti-europeo di Vance.

«Il vice-presidente americano ha detto che dobbiamo difendere la nostra identità cristiana: lo dice anche Putin. La questione non è questa. È quella di difendere l’idea di una democrazia liberale in cui chi vince non è il padrone e deve accettare i pesi e contrappesi. Qui c’è una insofferenza verso ogni forma di controllo democratico che è preoccupante».

Non le sembra che anche Schlein non si stia più immolando alla causa ucraina?

«Sono reduce dalla manifestazione degli ucraini a Roma. Dove il Pd ha detto parole inequivocabili. Il resto è un processo alle intenzioni».

Renzi sul Messaggero ha minimizzato a proposito delle divisioni tra Pd e M5S sull’Ucraina e sostiene che per fare una coalizione non bisogna fossilizzarsi troppo sulle differenze in politica estera. Condivide?

«Ho una visione diversa. La politica internazionale è determinante. Non si può essere credibili, nel fare un programma di governo, senza una considerazione condivisa su ciò che accade nel mondo e su quale debba essere il nostro ruolo nello scenario globale».

Ultima questione: che cosa si aspetta dalla Germania di Merz?

«Credo che una Germania più stabile sia essenziale all’Europa e possa renderla più forte sul fronte ucraino».

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postato il 20 Gennaio 2025 da redazione | in "Politica, Rassegna stampa"

«Bettino è stato un innovatore. Svelò il sistema, pagò per tutti»

«Finita la Dc non si può rifare un partito cattolico. Schlein ha rilanciato il Pd, è a metà dell’opera. I finanziamenti illeciti hanno riguardato tutte le forze politiche. Difese la sovranità italiana a Sigonella sfidando gli Stati Uniti»

L’intervista di Antonella Coppari pubblicata sul Resto del Carlino

Nell’ormai lontano 2003, Pier Ferdinando Casini – da presidente della Camera – fu il primo rappresentante delle istituzioni del nostro Paese a recarsi sulla tomba di Craxi ad Hammamet. A soli tre anni dalla sua scomparsa, in molti storsero il naso. Ora l’omaggio non fa scandalo: crea invece perplessità la scelta di non aver agevolato il ritorno del leader socialista per offrirgli le cure necessarie in Italia.

Presidente, come giudica il fatto che Craxi i non si sia potuto curare nel suo Paese?

«Oggi mi sembra orribile, lo era anche ieri ma la vigliaccheria ha fatto mettere a tanti politici al primo posto l’idea che fosse meglio non sfidare l’opinione pubblica – risponde il senatore, eletto come indipendente nelle liste del Pd -. D’altronde, la mancanza di umanità per garantire a Craxi le cure sanitarie migliori coincide con la mancanza di dignità che ebbe il Parlamento quando il leader del Psi fece il famoso discorso sul finanziamento illecito dei partiti, concluso con la chiamata di corresponsabilità e la sfida, a chi volesse smentirlo, a sbugiardarlo in Aula. Tutti rimasero in silenzio».

Visto il clima che c’era all’epoca, perché lei decise di sfidare l’opinione pubblica?

«Mi sembrava giusto riconoscere la dimensione politico-istituzionale di Craxi. La politica non è un pranzo di gala. A volte significa scelte dolorose. È stato giusto liberare un cittadino iraniano per avere Sala indietro? In termini etici forse no, ma in termini politici mi sarei comportato come il governo italiano. Craxi è stato un politico: non era un santo, ma neanche un diavolo. Venticinque anni dopo, la solennità del messaggio del Capo dello Stato mette le cose a posto».

Perché Craxi ha pagato per tutti?

«Perché era un elemento cardine del sistema e perché ha sfidato i giudici ed è diventato l’avversario emblematico. Ma non è stato l’unico: ricordo un galan­tuomo come Forlani condannato ai servizi sociali, Andreotti ac­cusato di essere il mandante di un omicidio con un percorso giudiziario   infinito e, fuori dall’Italia, il più grande statista dell’Europa contemporanea, Kohl, condannato per gli stessi motivi di Craxi. Il clima era giustizialista, però in Italia il sistema si reggeva sul finanziamento illecito. E valeva per tutti: partiti di maggioranza e di opposizione».

Le tangenti non servivano solo per il finanziamento della politica: c’erano anche gli interessi più privati

«C’erano quelli che si arricchivano, ma Craxi non era tra questi».

Come ha cambiato la politica italiana Craxi?

«È stato un innovatore sul piano istituzionale ma anche rispetto alla linea politica del Psi che aveva una tradizione di subalternità al Pci – basti pensare alla sfida ai sindacati con il referendum sulla scala mobile – e soprattutto è stato sublime sul piano della politica estera. Penso alla difesa della sovranità italiana a Sigonella dove ha sfidato gli Stati Uniti, alla consapevolezza che il movimento di liberazione palestinese dovesse essere costituzionalizzato e accettato dalla comunità internazionale come controparte per l’idea di due popoli e due Stati o all’aiuto ai movimenti di liberazione del Sudamerica dalle dittature militari».

Perché l’Italia non ha finito di fare i conti con il craxismo?

«Figuriamoci: l’Italia non ha fatto i conti con la propria storia. Per dire, non abbiamo fatto i conti nemmeno con la Dc, il grande partito della Nazione. Quando sento Meloni dire che finalmente l’Italia ha ripreso il suo posto nel mondo grazie al suo governo mi viene da sorridere. È comprensibile che voglia rivendicare una sua specificità, ma nella globalizzazione l’Italia oggi potrebbe perderlo il suo posto.  Rischiamo l’irrilevanza, nonostante il ruolo della presidente del Consiglio».

Con la fine della Dc si è chiusa per sempre l’esperienza dei cattolici in politica con un loro partito?

«Già negli ultimi anni di vita della Dc non c’era più l’unità dei cattolici attorno al partito, figuriamoci se si può ricreare oggi in condizioni diverse. Chi rappresenta i cattolici? Forse nemmeno il Papa… I cattolici sono una comunità di persone e votano per tutti i partiti, a destra come a sinistra».

Dal progetto di Ernesto Maria Ruffini, lanciato sabato a Milano, può nascere un partito non cattolico ma centrista?

«Mi sembra che sia Prodi che Delrio lo abbiano smentito. Del resto sembra difficile immaginarli fuori dal Pd. Comunque, trovo legittima l’esigenza di allargare la riflessione interna al partito».

Tanto basta per riequilibrare lo sbilanciamento della coalizione a sinistra?

«Bonino, Calenda e Renzi risponderebbero legittimamente di no»

Molti ritengono che questa opposizione non sia in grado di impensierire la maggioranza. È davvero così?

«In effetti, c’è il rischio che l’opposizione di oggi sia un’opposizione di sua maestà: fa il suo lavoro nelle aule parlamentari con grande serietà, ma senza la reale prospettiva di un’alternati­va vincente».

Cosa manca al centrosinistra?

«Schlein ha rivitalizzato il Pd interrompendo la deriva verso una progressiva marginalizzazione. Ma essendo una donna intelligente non può non capire che è solo a metà dell’opera. E senza un disegno credibile che coinvolga settori più ampi e meno omologabili alla sinistra tradizionale non vincerà mai».

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postato il 20 Gennaio 2025 da redazione | in "Politica, Rassegna stampa"

«Craxi, una pagina importante della nostra storia. Ora il coraggio della verità»

«Un gigante in politica estera, rinnovò le istituzioni nazionali. I protagonisti della Prima Repubblica non erano santi né demoni»

L’intervista di Mario Ajello pubblicata sul Messaggero

Presidente Casini, Mattarella descrive Craxi come un gigante in politica estera e una figura controversa in Italia. È così, secondo lei?

«Diciamo anzitutto una cosa. Dall’ambigua ma visti i tempi comprensibile offerta dei funerali di Stato, respinta giustamente dalla figlia Stefania, si arriva, dopo un percorso tortuoso, al messaggio di Mattarella in queste ore. È un percorso caratterizzato da tanti momenti di omaggio e riflessione sulla figura di Craxi. Io andai nel 2003 da presidente della Camera al cimitero di Hammamet. Il presidente Napolitano a più riprese ha detto cose importanti. E così ora La Russa e Tajani, ma ci sono stati tra i loro predecessori altri momenti di ricordo. È chiaro che il percorso è travagliato, perché le condanne giudiziarie a Craxi erano in via definitiva. Non è che le autorità dello Stato potessero far finta di niente. E pur tuttavia, il tempo ha provveduto a contestualizzare tutto».

E con il tempo che immagine di Craxi è emersa?

«È uscita un’immagine del leader socialista come un gigante in politica estera e un rinnovatore nelle scelte istituzionali».

Si riferisce alla Grande Riforma che egli lanciò il 28 settembre 1979 in un editoriale sull’Avanti?

«Sì, ma mi riferisco anche al referendum sulla scala mobile. E diciamo che i due contendenti di allora, Craxi e De Mita, capirono entrambi che le istituzioni così com’erano organizzate non riuscivano più a reggere e identificarono – ma questo fa parte del gioco della politica – strade diverse per rinnovarle».

Però Craxi è morto, abbandonato da tutti, fuori dall’Italia. Non poteva avere qualche riconoscimento in più da vivo?

«Certamente, sì. La crudeltà dell’epilogo che gli è toccato è sotto gli occhi di tutti. Così come l’inadeguatezza delle strutture sanitarie a cui era stato affidato. Non facciamo una classifica dei calvari, ma vorrei sommessamente ricordare l’odissea giudiziaria di Andreotti, addirittura accusato di essere il mandante di omicidi; la condanna di Forlani, da lui accettata veramente con spirito cristiano; e guardando oltre l’Italia la condanna subita da Helmut Kohl, che è stata la figura simbolo dell’Europa contemporanea, per finanziamenti illeciti».

Sta dicendo che non c’è solo Craxi ad aver pagato duramente?

«Sto dicendo che c’è stato un periodo in cui il giustizialismo ha prevalso sulla ricerca della verità. Bisogna riconoscere che la pratica del finanziamento illecito era ampiamente diffusa in tutta l’Europa. Se si vuole ricostruire la storia, non si può pensare che essa sia stata una fiaba. Purtroppo, ci sono pagine oscure che abbiamo vissuto e che vanno collocate nella giusta dimensione».

Lei è proprio un innocentista?

«Io non ho mai pensato che i protagonisti della Prima Repubblica fossero dei santi ma non sono stati i demoni che venivano dipinti. Questo vale anche per chi ha ricevuto dall’Unione Sovietica i finanziamenti illeciti. Quella era la realtà della contrapposizione ideologica e di un mondo diviso da un muro. Ciò non significa che non ci siano stati casi di arricchimento personale illecito. Ma chi ha visto la casa di Hammamet e il livello di vita di Craxi negli anni tunisini capisce immediatamente che lui non fu tra quelli che si arricchirono personalmente».

Se si rivaluta la figura di Craxi non si deve anche rivedere, molto criticamente, l’operazione Mani Pulite e tutto ciò che ne è derivato?

«Occorre rivedere con spirito di verità e senza faziosità l’azione giudiziaria di quel periodo ma vanno anche criticati i comportamenti dei partiti sul finire della Prima Repubblica. Perché al di là del finanziamento illecito, una degenerazione complessiva dei costumi c’era stata».

Quindi non aveva torto Berlinguer a insistere sulla questione morale?

«Come Craxi, Berlinguer ha avuto meriti straordinari. Ne cito due. Il primo: impegnare il Pci in una lotta dura contro il terrorismo, mentre certi intellettuali dicevano né con lo Stato né con le Brigate Rosse. Il secondo: la rottura con l’Unione Sovietica. Di Berlinguer non condivido affatto l’idea che la sinistra potesse ergersi a maestra di superiorità morale».

Ha qualche ricordo personale che la lega a Craxi? «Una volta Forlani mi mandò da lui in Parlamento per chiedergli una certa cosa, si parlava di televisione e io mi occupavo di stampa e propaganda nella Dc, e Craxi davanti a tutti mi investì con una raffica di offese irriferibili. Però poi – davanti alla mia stupefatta risposta: “Se questa è la sua opinione, è inutile discutere” – mi prese sotto braccio e mi portò in Transatlantico a passeggiare parlandomi con un’amabilità che ricordo come una delle mie più belle esperienze politiche. La cosa buffa è che i colleghi giornalisti, alcuni dei quali oggi sono diventati mostri sacri dell’informazione, si chiedevano che cosa mai di tanto importante avesse da dire Craxi per mezz’ora a me che non ero il segretario della Dc. Per giorni tutti mi chiedevano: ma che cosa vi siete detti? Craxi era fatto così. E questa è la ragione per cui sono amico di Stefania e di Bobo da tanti anni. E non mi offendo se la mia amica senatrice inveisce, perché ne conosco i cromosomi familiari e le voglio bene».

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