postato il 30 Luglio 2024 | in "Esteri, Rassegna stampa"

Venezuela: «Risultato poco credibile. Evitiamo che finisca in un bagno di sangue»

«Il governo acconsenta a un’indagine Onu»

L’intervista di Mario Ajello pubblicata sul Messaggero

Presidente Casini, il Venezuela ancora nelle mani di Maduro è una buona o una cattiva notizia per quel Paese e per il mondo?
«La notizia era largamente prevedibile. Soltanto gli sprovveduti potevano pensare che Maduro lasciasse spontaneamente il potere. D’altronde, il fatto che sulla regolarità del processo elettorale ci siano tanti dubbi è dimostrato dal rifiuto di Maduro di avere osservatori internazionali indipendenti per il voto. Questa è una cosa molto triste, perché il Venezuela necessita di un po’ di tranquillità e di pace».
Come si possono avere queste condizioni di tranquillità e di pace?
«L’unico modo per dimostrare la buona fede il governo l’avrebbe. Ed è questo: acconsentire a un’indagine internazionale sotto l’egida dell’Onu e a un controllo di tutto il materiale elettorale».

E lei crede che Maduro possa avere questo senso di responsabilità?
«In queste ore, il presidente da un lato sta parlando di una riconciliazione nazionale, e dall’altro denuncia complotti e tentativi di ucciderlo. Evidentemente avverte l’enormità di ciò che è avvenuto. Maduro tutto sommato sarebbe il primo a essere interessato a una transizione pacifica. Io, prima delle elezioni, avevo detto che chiunque avesse vinto non poteva aprire una stagione di vendette. E’ necessario anche a chi eventualmente perde il potere dare delle garanzie o addirittura garantire un’immunità. So che in termini teorici questa strada potrebbe non essere giusta. Ma, come dice il proverbio, delle migliori intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno».

Lei sta ipotizzando una pacificazione modello Sud Africa post-apartheid?
«Io lavoro perché non si finisca in un bagno di sangue. Se chi lascia il potere non riceve le necessarie garanzie, è interessato a tenerlo a qualsiasi costo. Ciò vale per Maduro, per i vertici del Paese e per l’esercito: del resto, la cautela della comunità internazionale nel commentare ciò che sta accadendo in Venezuela è proprio finalizzata a esorcizzare questo pericolo di caos e di violenze».
Ma insomma, i dati del voto sono giusti o manipolati?
«I dati affluiti nelle urne, secondo l’opposizione, corrispondevano ai sondaggi pre-elettorali. Si fa fatica a credere alla veridicità di questo risultato».

Si fa meno fatica a constatare che Iran, Cuba e Putin hanno subito gioito per l’esito del voto e si stanno complimentando con Maduro?
«Questo non mi fa impressione, perché conosco il Venezuela e so che quei Paesi che lei ha citato sono la testa di ponte degli Stati canaglia in Sud America. La drammatica situazione internazionale, tra guerra in Ucraina e conflitto in Medio Oriente, paradossalmente avvantaggia Maduro. Perché, da un lato, distrae la comunità internazionale dalla vicenda venezuelana e, dall’altro lato, rende tutti esitanti ad aprire un altro fronte».

Gli Stati Uniti però sembrano duri contro il presidente venezuelano.
«Il segretario di Stato americano, Blinken, e i governi europei hanno fotografato la situazione. Il problema vero è che è difficile trovare una via d’uscita. Perché nessuno, a cominciare dal sottoscritto, vuole un bagno di sangue. Tutti auspicano una soluzione pacifica. Ma per averla, serve la disponibilità degli attori in gioco. E’ stato molto significativo anche che gli esponenti dell’opposizione, che pure hanno una posizione di avversione totale a Maduro, si erano detti disponibili a dare le garanzie per un trapasso ordinato, nel caso avessero vinto loro. Ma evidentemente, un passaggio come questo è quasi proibitivo per un gruppo dirigente che tiene in ostaggio il Paese e che ormai nella comunità internazionale tutti conoscono».

Lei, qualche anno fa, ha negoziato direttamente con Maduro il rilascio dei parlamentari d’origine italiana trattenuti nella nostra ambasciata. Come fu il suo rapporto con il dittatore sudamericano?
«Io mi sono mosso secondo un principio di realismo. Solo Maduro poteva consentire un’uscita tranquilla per i due colleghi, Mariela Magallanes e Americo Di Grazia, e con lui, dopo aver informato l’opposizione, ho negoziato. Con me è stato corretto ed evidentemente attento a cercare di salvaguardare un suo rapporto con l’Italia e con la comunità dei nostri residenti. Ha anche trovato il tempo, per esibire un ottimo italiano, imparato nel quartiere di Caracas più popolato dai nostri connazionali e per dichiarare il suo amore per la Juventus».

E i suoi oppositori lei li conosce?
«Conosco bene la leader dell’opposizione, Maria Corina Machado: una donna di grande coraggio e di una fede incrollabile verso la democrazia. Non mi meraviglio che in queste ore la indaghino per frode elettorale: è lei la vera nemica da abbattere».

Ha visto che il presidente argentino, Milei, consiglia all’esercito di ribellarsi contro Maduro?
«Milei dice tante cose. Ma dimentica che tra l’esercito e Maduro c’è un patto di complicità e non credo che per scardinarlo basti una dichiarazione di un Capo di Stato straniero. La realtà è che tutti parlano del Venezuela ma nessuno ha la chiave della soluzione. Non ce l’ha nemmeno Lula, il quale si è segnalato nei giorni scorsi come uno di quelli che detto le cose più giuste. Ha detto che Maduro deve imparare questa regola: quando si vince, si resta; quando si perde, si va via e ci si prepara a un’altra elezione. Dobbiamo dire che Lula questa regola la conosce bene, come dimostra la sua parabola di vittorie e sconfitte».

In un mondo già incendiatissimo, mancava solo il Venezuela?
«Purtroppo il Venezuela è un problema drammaticamente aperto da tempo: si è trasformato uno dei Paesi più ricchi del mondo in una terra che spinge milioni di cittadini all’espatrio. E’ una tragedia che riguarda un’intera generazione e che non a caso ha visto più volte il santo padre, Francesco, prodigarsi per trovare una soluzione. La Chiesa, bisogna riconoscerlo, è rimasta un baluardo di difesa dei diritti di quel popolo».

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postato il 4 Luglio 2024 da redazione | in "Politica, Rassegna stampa"

Senza i moderati il centrosinistra non vince. Marina Berlusconi ha capito che la ricetta è la pluralità

Il Fronte popolare non può essere un modello per l’Italia, consegnerebbe il Paese a Meloni. Il mondo cattolico ora è il grande assente

L’intervista di C. Vecchio pubblicata su Repubblica

Pier Ferdinando Casini, come finisce in Francia?

«Mi auguro per l’Italia, e per Giorgia Meloni, che Marine Le Pen non faccia cappotto. E che si crei la possibilità di formare una coalizione repubblicana».

Perché se lo augura anche per Meloni?

«Perché una vittoria delle destre finirebbe per spingerla verso derive lepeniste. Penso che la prima ad augurarsi che non finisca così è lei stessa».

Quindi vede con favore il Fronte popolare?

«Lo vedo con terrore autentico».

Ah, e perché?

«La desistenza in Francia è obbligatoria. Ma non prenderei il Fronte a modello per l’Italia, perché significherebbe consegnare il Paese alla Meloni per altri dieci anni».

È una mossa difensiva?

«È la pars destruens. Noi dobbiamo puntare alla pars costruens. Il modello dev’essere la Gran Bretagna, non la Francia, dove gli esponenti del Fronte fanno il pugno chiuso davanti al Parlamento».

Come la immagina l’alternativa credibile alla destra?

«Senza l’inclusione di un’area moderata convincente nel centrosinistra non si vince».

Ma Renzi e Calenda non hanno dato una mano.

«Il bipolarismo rende inutile il centro autonomo, mentre non lo è affatto se si ragiona in termini di coalizione».

Il Pd è andato bene alle Europee.

«Benissimo, non bene. Ma non è autosufficiente».

Lei vede un leader?

«Si vota tra tre anni. Non impicchiamoci al toto nomi. È necessario avere chiaro il problema. Poi in politica vince chi si prende gli spazi: se c’è qualcuno che se la sente si faccia avanti».

Qual è l’errore da non fare?

«Pensare che con la discriminante ideologica si vincano le elezioni. C’è un’ampia fetta di antifascisti che ha votato per Meloni alle ultime elezioni».

Non è una discriminante l’antifascismo?

«Assolutamente sì. E lo dice uno che lo ha ribadito come valore costitutivo della Repubblica nel suo discorso di insediamento da presidente della Camera. Ma non è una condizione sufficiente. Le pregiudiziali ideologiche sono cadute».

Non si rischia una prospettiva qualunquista?

«No, perché anche nel mio collegio, Bologna, più si va in periferia più i ceti popolari votano per i sovranisti perché si sentono abbandonati. Non li riconquisti con l’antifascismo».

Insomma, la foto di gruppo all’Anpi non le piace?

«Le foto, da quella di Vasto in poi, portano una grandissima sfortuna: è più facile farle che costruire cose serie».

Dentro Forza Italia comincia a farsi largo un’area liberal.

«E va salutata con favore. Del resto Berlusconi aveva radicato il suo partito nel Ppe. Ho trovato molto significativa l’uscita di Marina Berlusconi sui diritti: un avviso a non scivolare nell’oscurantismo».

Marina Berlusconi ha un progetto?

«No. È troppo intelligente per coltivare un disegno politico. Però ha capito che la pluralità fa vincere. Ed è esattamente quel che servirebbe al centrosinistra».

Cosa suggerisce esattamente?

«Di essere concreti nell’opposizione, offrendo alternative senza furori ideologici. Smascherare l’Autonomia differenziata come una riforma pericolosa e pasticciata. Denunciare le inefficienze della sanità, per fare due esempi. E unità sulla politica estera».

Tipo?

«L’Ucraina va difesa senza se e senza ma. E bisogna stare accanto a Israele, lavorando allo stesso tempo affinché si arrivi a uno Stato palestinese. E alzando la propria voce contro la politica di Netanyahu che ha moltiplicato gli insediamenti illegali».

Lei è in campo?

«Sono in Parlamento. E nessuno più di me è interessato alla qualità della democrazia. Ma come diceva il saggio: le città si difendono con le lance dei giovani e i consigli degli anziani. Io al massimo posso offrire qualche consiglio se me lo chiedono».

I cattolici dove sono finiti?

«Il mondo cattolico è il grande assente. Ma se i cattolici si pongono alla sinistra del Pd allora il loro contributo non ha molto senso».

Perché sono scomparsi?

«In parte perché la Chiesa ha chiesto di svolgere un ruolo diverso, e poi perché non sono emerse figure nuove. I tempi sono molto cambiati da quelli di Papa Wojtyla».

Come finirà col premierato?

«Ho fatto un sogno. Che Meloni riponga la riforma nel cassetto».

Pensa che possa perdere il referendum?

«Non c’è il quorum a differenza dell’Autonomia differenziata. Basta quindi votare no se la si vuole mandare a casa. Non penso che sia così autolesionista».

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postato il 29 Maggio 2024 da redazione | in "Spunti di riflessione"

Ucraina: Investire sulla difesa comune significa consolidare la pace, tutto il resto sono chiacchiere

Una campagna elettorale desolante che trascura i contenuti. Uscire dalla Nato? Una follia

La mia intervista su Il Messaggero, a cura di Andrea Bulleri

Pier Ferdinando Casini, senatore indipendente eletto col Pd, hanno ragione Borrell e Stoltenberg? Kiev deve poter usare armi occidentali contro Mosca?

«Prima di biasimare Borrell e Stoltenberg bisognerebbe capire cosa sta capitando nel mondo. C’è un’assoluta mancanza di consapevolezza dei rischi che corre l’Occidente. È ovvio che certe frasi potrebbero essere più equilibrate, ma il problema è che l’insufficienza di aiuti all’Ucraina sta facendo pendere la bilancia a favore di Putin e della sua arroganza».

Vede un rischio escalation?

«La domanda è: che mondo vogliamo lasciare ai nostri figli? Uno in cui la pace si consolida attraverso l’affermazione del multilateralismo, o uno in cui vince chi usa la forza? Alle tante anime belle che chiedono la pace, facendo finta di non vedere che tutti noi vorremmo la pace ma stiamo subendo la guerra, chiedo: qual è la ricetta miracolosa che custodiscono? Io non la conosco. Vedo solo una grande potenza che ha invaso uno Stato libero. E per fortuna l’Italia, sia con Draghi che con Meloni, sta dalla parte di coloro che resistono perché vogliono essere artefici del loro destino. Tutto il resto è una fuga dalla realtà. O peggio, una mistificazione».

Salvini però ha definito Borrell un “bombarolo”, per Tajani la sua linea non è la nostra.

«Salvini non mi sorprende: è coerente a modo suo, sulla stessa linea di Orban. I sovranisti europei sono i principali alleati della Russia. Tajani invece si muove in un solco di ragionevolezza: anche se ha ritenuto non appropriate certe parole, sa da che parte stare».

Parlava di “anime belle”: Marco Tarquinio, candidato pd alle Europee, ha parlato di sciogliere la Nato e ha equiparato il suo presidente a Putin. Che ne pensa?

«Per fortuna il Pd non è su questa posizione. Stimo Tarquinio, ma sono molto sorpreso che si possa fare un’equazione tra Stoltenberg e Putin e personalmente la rifiuto con forza. Così come l’ipotesi di uscire dalla Nato: una follia».

Una linea compatibile col Pd?

«Una posizione che purtroppo sta prendendo piede nel Paese. Anche perché la classe politica si limita a usare toni da campagna elettorale desolante invece di spiegare cosa accade. Tutti vogliamo la pace, ma la pace come si determina? Quando la vecchia Dc e i partiti della cosiddetta Prima Repubblica installarono gli euromissili in risposta agli ss20 dell’Urss fecero una scelta di pace o di guerra? Col metro di oggi dovremmo dire di guerra. Invece quella scelta ha prodotto il più lungo periodo di pace in Europa. E se le trattative sul disarmo sono andate avanti fu anche per quella decisione».

Una realtà ignorata dai tanti che si appellano allo stop alle armi?

«I Paesi democratici possono usare la forza per offendere o per dissuadere da offendere. Rispetto i giovani che sventolano le bandiere della pace, sono la parte migliore della società. Ma va spiegato loro che il modo per garantirla, a volte, è quello di assumersi responsabilità».

C’è chi agita lo spettro della terza guerra mondiale.

«Alla guerra rischiamo che si vada davvero se lasciamo campo libero alla prepotenza: sulla prevaricazione non si è mai costruito qualcosa di giusto nella storia».

La difesa europea è la risposta?

«Sì. È così che si consolida la pace: il resto sono chiacchiere. Ma serve un’operazione verità: dire che vogliamo la difesa europea significa riconoscere che nel breve periodo le spese militari saranno destinate ad aumentare, non a diminuire. Usciamo da questa fase di infantilismo politico istituzionale in cui preferiamo che siano altri a difenderci senza assumerci le nostre responsabilità come ci hanno chiesto tutti, da Obama a Trump. Agli elettori va chiesto: vogliamo giocare un ruolo o continuare a essere irrilevanti?».

La prossima legislatura Ue sarà quella buona per la riforma dei trattati?

«Sono ottimista. Le più importanti svolte storiche sono avvenute quando c’erano momenti di grande difficoltà. Mi auguro che dal male nasca il bene: una spinta su quella politica estera e di sicurezza comune che De Gasperi chiedeva già 70 anni fa. E mi auguro anche che le forze politiche più rappresentative si occupino di contenuti, invece che di alleanze. Che senso ha ipotizzare un asse di destra in Europa? Per tenere quale posizione sulla Russia? Magari quella che fino a poco fa aveva Le Pen? Io dico no, grazie».

Sulla crisi a Rafah condivide le parole di Crosetto? Israele rischia di seminare odio?

«Le condivido. Tra le pagine più belle della mia vita ricordo il discorso alla Knesset coi leader israeliani, da presidente dell’Unione interparlamentare. E tra le pagine altrettanto belle, ricordo quando con un consenso quasi unanime proposi e ottenni che la Palestina entrasse a pieno titolo nell’UIP. Chi è davvero amico di Israele e deve riconoscere che la politica di Netanyahu è deleteria per quello Stato, mai tanto isolato come oggi, ed è funzionale ad Hamas. La nostra condanna di certe derive estremiste dev’essere senza riserve».

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