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Forse di cultura non si vive, ma senza si è già morti

postato il 16 Agosto 2011

“Qualcuno spieghi al governo che l’Accademia della Crusca non è una scuola professionale per mugnai” .

Questi e altri sono i messaggi di sdegno, a volte sarcastici, sono rimbalzati in questi giorni su twitter. Si, perché in una placida serata agostana di falò sulle spiagge, accordi di chitarre e barbecue si è levata anche piano piano la voce di malessere di un’importante accademia italiana. Non un’istituzione qualunque, ma il baluardo della lingua italiana nel mondo. Tutto a causa di un paragrafo della recente manovra finanziaria che ordina, senza alcuna discriminazione, la chiusura di tutti gli enti e le fondazioni culturali con meno di 70 dipendenti. Una manovra scritta dallo stesso ministro che nell’ottobre 2010, in vista dei pesanti tagli alla cultura, aveva pontificato :” Di cultura non si vive. Adesso vado alla buvette a farmi un bel panino alla cultura e inizio dalla Divina Commedia”. Parole saccenti e arroganti non degne di rivolgersi alla cultura italiana.

L’Accademia della Crusca nasce a Firenze 428 anni fa, nel 1583, grazie ad alcuni rinomati filologi dell’epoca che chiedevano maggiore indipendenza dall’Accademia Fiorentina del potente Cosimo de’ Medici. Fu Lionello Salviati a darle il nome scegliendo la simbologia della farina con l’intento di studiare e separare il fior di farina (la buona lingua) dalla volgare crusca. Furono loro a stampare nel 1612 il primo vocabolario della lingua italiana, un’inestimabile testimonianza della lingua fiorentina trecentesca e un modello lessicografico considerato e stimato da tutte le altre accademie europee. Ma questa storia illustre non basta a salvarla dalle fauci affamate del “pecunia non olet”, i soldi non puzzano, anzi profumano in periodo di crisi.

E’ vero, ministro Tremonti, le do pienamente ragione, di cultura non si vive. E lo dimostrano ampiamente tutti i giovani cervelli in fuga all’estero che non trovano né considerazione del loro merito né gli strumenti necessari per portare avanti le loro ricerche in Italia. Di cultura non si vive. Lo dimostra la stazione Anton Dohrn di Napoli, il più grande centro di ricerca europea di biologia marina. Ma lei probabilmente ribatterà con aria sussiegosa che non ci importa di pesci e molluschi quando dobbiamo salvare i conti dell’Italia. Le ultime ricerche del centro Dorhn riguardano una molecola organica, un isomero del decadienale prodotto da alcune alghe unicellulari, le diatomee, che potrebbe rivelarsi un’arma potenziale contro la cura dei tumori perché in grado di distruggere le cellule proliferanti e non differenziate, come appunto quelle tumorali. Ringraziamo il presidente della Repubblica Napolitano che l’ha supplicata l’anno scorso di togliere la stazione Anton Dohrn dai tagli alla cultura. E’ vero, ministro Tremonti, di cultura non si vive. Lo dimostrano i ricercatori della Fondazione Ebri di Rita Levi Montalcini, uno dei più prestigiosi centri di ricerca neurologica mondiale che ogni hanno rischia la chiusura per la mancanza di fondi e sostegno, miracolosamente salvato quest’anno da un miliardario cinese e dalla passione di tanti giovani che continuano nelle loro ricerche e nel loro lavoro nonostante per mesi e mesi non recepiscono lo stipendio. Pensi che addirittura c’è un dottore, il Dr. Campanella, che ha abbandonato l’University College di Londra e un prestigioso stipendio per venire a gestire la fondazione Ebri. Ma forse per i suoi criteri di giudizio essi sono solo dei sognatori o mal che vada degli imbecilli testardi che si ostinano sulla loro strada. E’ probabile. Guardi Ministro Tremonti, non c’è l’ho con lei a cui tra l’altro le mie righe non giungeranno mai e che sicuramente non la farebbero una piega, penso che già il marchese di Sade, in viaggio in Italia nel 1775 si metteva le mani nei capelli e imprecava contro il popolo italiano custode di un patrimonio culturale immenso ma incapace di amare e preservare; eppure me lo immagino con il sussiego che la contraddistingue ribattere al mio scritto con:” credo sia logico e preferibile avere un tetto sulle spalle da analfabeti che acculturati sotto i ponti”.

E’ vero, ministro Tremonti, di cultura non si vive. Ma senza si è già morti.

Leggo proprio ora che ho finito di scrivere l’articolo che il ministro Galan ha alzato la voce e l’Accademia della Crusca non chiuderà. E’ una buona cosa, ma il succo del discorso non cambia.

Riceviamo e pubblichiamo Jakob Panzeri

 

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Il contrappasso del Cavaliere: più tasse per tutti

postato il 15 Agosto 2011

Cominciamo dagli elementi di contorno di tutta la vicenda. Gli aspetti emotivi, per esempio: Berlusconi ha affermato che ha il cuore che “gronda sangue”. E possiamo anche credergli, visto che il suo leitmotiv dal 1994 ad oggi è stato “non metteremo le mani nelle tasche degli italiani”, uno slogan che riecheggiava nei salotti televisivi come nelle adunate di partito e campeggiava sui manifesti 6×3 delle varie campagne elettorali, come sui titoloni dei giornali dei tanti anni di governo Berlusconi. Stiamo assistendo a un passaggio epocale: la cura da cavallo contenuta nella manovra correttiva varata dal consiglio dei ministri mette una definitiva pietra sopra a tutte le belle intenzioni contenute nel libro dei sogni dei berlusconiani. Si volevano ridurre le tasse, oggi in buona sostanza aumentano.

Dunque il cuore della maggioranza sanguina per il dolore provocato da queste misure imposte e non volute. Ma gronda, e tanto, anche quello dei cittadini contribuenti che in tanti anni non hanno mai avuto un’incertezza, e hanno sempre pagato le tasse per sostenere una politica economica che restituiva in termini di servizi la metà di quello che si prendeva. I cari contribuenti italiani, lavoratori dipendenti, onesti autonomi che dichiarano il proprio reddito e famiglie in difficoltà che vedranno ridotti servizi e assistenza offerta dagli enti locali sono le prime vittime della mazzata di ferragosto.

Il decreto che fa piangere il cuore pretende un “contributo di solidarietà” sulla quota eccedente dei redditi superiori a 90mila euro (5 per cento) e 150mila euro (10 per cento) dei dipendenti del settore privato. Ovvero quelli che da sempre pagano le imposte sul proprio lavoro visto che le tasse vengono trattenute dalla busta paga. Per i furbi vedremo cosa fare, intanto per ora vessiamo gli onesti. Oltretutto un poco rischioso, questo prelievo dallo stipendio dei lavoratori, gabella camuffata con l’edulcorato eufemismo di “contributo di solidarietà”, rischioso perché non si guarda al di là della tempesta: una volta che la fase di emergenza passerà, riprenderanno i consumi, ma i lavoratori con meno soldi in tasca quali consumi potranno rilanciare? Si toglie soldi a chi può spenderli, l’economia ringrazia.

Ma anche le fasce più basse, quelle che in busta paga non hanno 90mila euro ma fanno fatica a organizzare le spese, avendo a carico figli, magari piccoli, magari in età scolare, anche costoro piangono per la manovrona del governo. In maniera indiretta, ma accusano il colpo. Un colpo che sentiranno bene in autunno, quando le famigerate spese si riaffacceranno sui bilanci familiari: il governo ha tagliato qualcosa come 9,5 miliardi di euro in due anni a province, comuni, regioni (ma non si voleva dare più potere agli enti locali?). Concentriamoci sui comuni: le amministrazioni si trovano con meno soldi perché i trasferimenti vengono ridotti (praticamente lo Stato si tiene tutto per sé) e dove rivolgeranno le loro preoccupate attenzioni per sopravvivere? Certamente sui servizi offerti alla popolazione: asili nido, buoni mense, trasporto pubblico, tassa rifiuti, e si colpiranno presumibilmente quelle fasce che ancora oggi possono godere di qualche agevolazione, e allora parliamo di famiglie numerose che non vivono nell’abbondanza, pensionati che non hanno pensioni da ex-dirigenti di banca e studenti che vedranno gli abbonamenti dei bus aumentare o diranno addio ai prezzi convenzionati di ristorazione, cultura, spettacoli. Una manovra che chiede sacrifici a chi di sacrifici ne ha già fatti, mentre gli intoccabili rimangono intoccabili. Il sistema, insomma, non cambia.

Sì, perché chi non paga le tasse continuerà a non pagare le tasse. Chi dà lavoro in nero continuerà a dare lavoro in nero. Chi deposita i denari nelle cassette di sicurezza di Zurigo o Lugano continuerà a depositare. L’evasione fiscale per il governo è qualcosa di cui non dobbiamo preoccuparci, qualcosa che non ci riguarda. Del resto Berlusconi anni orsono andava in giro a dire che qualche volta l’evasione è giustificata se lo Stato ti chiede troppo. E tutti a dirgli che lo Stato ti chiede troppo perché ci sono cittadini che non danno niente, tante primavere sono passate ma siamo ancora al punto di prima. Gramellini, vicedirettore della Stampa, ha scritto un editoriale bellissimo in cui scandisce queste parole:  “Gli Irrintracciabili. Scommettiamo che il più facoltoso di loro dichiarerà al fisco 89.999 euro? Li disprezzo”. E come non sottoscrivere? Un governo serio e consapevole del fatto che giustizia sociale significa che tutti i cittadini proporzionalmente alle proprie possibilità si sobbarcano il carico fiscale complessivo mette la lotta all’evasione al primo posto, forma una guardia di finanza incorruttibile e non al soldo dei faccendieri e stana tutti i disonesti, da Nord a Sud. Un impegno di questo genere non avrebbe portato alle misure di oggi che infieriscono in modo odioso e ingiusto su quelli che pagano sempre, e magari anche volentieri perché sanno che questo significa far andare avanti un Paese.

Berlusconi dice che questa manovra gli è stata imposta e non ha potuto farci niente. Ma signor Presidente, di grazia, il capo del governo è lei o un gabelliere medievale che tasserebbe anche l’aria che respiriamo? Se i responsabili di questa stangata (che tra l’altro è la tomba del federalismo) stanno piangendo per la durezza di queste misure guardino al passato recente e riconoscano di non aver fatto nulla per evitare che si arrivasse a questo. E si facciano promotori di una lotta all’evasione senza sconti. È tutta l’Italia onesta che lo chiede.

Riceviamo e pubblichiamo Stefano Barbero

 

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Ferragosto in carcere, una battaglia di civiltà

postato il 15 Agosto 2011

Ferragosto è una festa per l’uomo. Sacro e profano si intrecciano, falò in spiaggia e pontificali in cattedrale in fondo hanno un comun denominatore: lo splendore della vita umana che nella gioia e nel riposo del giorno festivo viene oggi vissuto e che viene celebrato nella festa della Dormizione della Madre di Dio come sconfitta della morte. Ma questa giornata così bella e luminosa, questa celebrazione dell’umanità splendente viene offuscata dal dramma che si consuma nelle carceri italiane. Forse non è un caso che ogni anno nel giorno di Ferragosto i riflettori si accendano, anche se per un momento fugace, sulle carceri italiane e sulle condizioni di coloro che lì vivono e purtroppo anche muoiono. Negli istituti penitenziari italiani in molti casi non c’è vita, nel senso che tra le spesse mura delle celle, i chiavistelli e le grate la vita muore lentamente per mancanza di spazio, di attenzione, di rispetto delle più elementari regole di civiltà. Ci sono fiumi di inchiostro sull’emergenza carceri ma c’è soprattutto l’impegno dei radicali di Marco Pannella che ogni anno rompono con coraggio la spensieratezza di questa giornata per ispezionare un carcere, per confortare e denunciare, per portare avanti una battaglia di civiltà che è cominciata nel lontano 1976, quando i quattro radicali eletti per la prima volta in Parlamento e i loro supplenti, Franco De Cataldo, Roberto Cicciomessere, suor Marisa Galli e Angelo Pezzana, cominciarono ad andare su e giù per carceri. Dal 1976 non ci sono Natale, Capodanno o Ferragosto senza che i radicali non facciano visita alla “massa dannata” che sopravvive nelle discariche del nostro sistema giudiziario e il loro impegno ha fatto scuola se anche oggi 2mila persone aderiscono alla loro protesta pacifica e se c’è una nuova sensibilità tra i politici su questo problema. Ne è consapevole il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini che oggi visiterà il carcere di Lecce ma che ieri ha sentito anche la necessità di ringraziare i Radicali Italiani e Marco Pannella. Occorre però che la politica non si limiti alla compassione, che fa piacere ma di cui la varia umanità detenuta se ne fa ben poco, ma è necessario che finalmente intraprenda azioni significative e condivise per porre fine al dramma delle nostre carceri. Ha ragione Roberto Rao (Udc) quando afferma che “la politica e’ chiamata a restituire dignità a chi sconta la pena nelle carceri italiane (dove quasi la metà dei detenuti e’ in attesa di giudizio definitivo) e a chi vi opera in condizioni estreme, con grande professionalità ed umanità e spesso ben oltre quelli che sono i propri compiti”. Oggi è il giorno delle visite, della protesta non violenta, del digiuno e della riflessione personale e collettiva, ma domani dovrà essere il giorno della responsabilità; è il momento dell’impegno perché ogni giorno della vita sia una festa per l’uomo e dell’uomo, perché viva la sua vita pienamente e in dignità, anche in carcere.

Riceviamo e pubblichiamo Adriano Frinchi

 

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Una manovra che non convince

postato il 14 Agosto 2011

Dopo ben due conferenze stampa, la seconda per spiegare la prima, la nebbie misteriose che avvolgevano i palazzi del governo si sono diradate lasciando intravedere i contorni della manovra “d’urgenza” con cui l’Italia commissariata cercherà di dare convincenti risposte alle preoccupazioni della BCE.

Quello che emerge è uno scenario tutt’altro che rassicurante in quanto si tratta di una manovra ammontante ad oltre 45 miliardi di euro, aggiuntiva a quella del mese scorso e composta in grandissima parte di tagli e nuove tasse, senza alcuna misura di rilancio economico.

Questa manovra, almeno così come appare allo stato attuale, si basa sostanzialmente su due pilastri fondamentali: nuove tasse a carico di lavoratori dipendenti ed ulteriori tagli agli enti locali. Del tutto assenti gli strumenti di lotta alla grande evasione ed elusione fiscale, giacché il negoziante che non emette lo scontrino fiscale (cosa comunque sbagliata) solitamente non possiede uno yacht ormeggiato a Montecarlo con bandiera di qualche stato caraibico.

Ancora una volta, non vi è traccia nei provvedimenti di questo governo di una minima considerazione del quoziente famigliare del percettore del reddito, perseverando quindi nell’errore di penalizzare le famiglie e le persone con necessità speciali o disabilità, facendo loro scendere un altro gradino sulla scala del benessere.

Se possibile più preoccupante si presenta la parte relativa ai tagli agli enti locali, che avranno come immediata conseguenza una drastica riduzione dei servizi che gli enti stessi garantiscono ai cittadini: trasporto pubblico, scuole, politiche sociali, contributi a famiglie ed imprese verranno ridotti all’osso se non eliminati completamente. Per tentare di mantenere i servizi, gli enti locali dovranno necessariamente agire attraverso l’innalzamento delle tasse locali andando così ad appesantire ulteriormente l’impatto economico della crisi.

Emblematico in questo senso è il provvedimento di soppressione dei Comuni con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti (una buona parte dei quali si trova nelle zone montane del Paese), provvedimento su cui merito si sarebbe ben potuto discutere in seno ai lavori preparatori della Carta delle Autonomie. Il risparmio che asseritamene ne deriverebbe è in realtà un falso clamoroso in quanto, come ben sanno gli amministratori locali, i Comuni di quella dimensione sono sovente gestiti da autentici “volontari” visto che i sindaci e gli assessori rinunciano alle indennità previste per la carica o si accontentano di rimborsi figurativi di poche centinaia di euro annue.

Ma queste situazioni non possono essere a conoscenza di molti esponenti di governo a cui manca quel “cursus honorum” che la tanto vituperata Prima Repubblica rendeva di fatto obbligatorio per chi si avvicinava alla politica attiva. Oggi si diventa ministri per meriti televisivi, o peggio, senza essere mai stati seduti sui banchi di un consiglio comunale o aver passato le notti ad attaccare manifesti: tutti nominati dal principe di turno.

Gravissimo poi che si vada a far cassa anticipando la riduzione dei F.A.S. (Fondi per le Aree Sottosviluppate) e di fatto azzerando ogni previsione di spesa, ad esempio, per interventi di tutela del territorio o per la diffusione della “banda larga”; segnali che dimostrano ancora una volta ed inequivocabilmente come si tratti di una manovra priva di prospettive rivolte al futuro ed unicamente diretta al mero saldo aritmetico.

Si tratta, in buona sostanza, di una serie di provvedimenti eterogenei e privi di un disegno organico, a scopo solo pubblicitario quando non apertamente dannosi che hanno l’unico risultato di far pagare di più chi già sta pagando e lasciare indisturbati gli evasori fiscali ed i grandi patrimoni.

Oggi il “cuore che gronda sangue” per davvero è quello dei lavoratori dipendenti e dei pensionati!

Riceviamo e pubblichiamo Roberto Dal Pan

 

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C’era un muro a Berlino

postato il 13 Agosto 2011

La mattina del 13 agosto 1961 l’immaginaria cortina di ferro di Churchill diventava una terribile realtà per i cittadini di Berlino: tre metri di cemento deturpavano l’ex capitale della Germania unita e la sventravano nei pressi della Porta di Brandeburgo. La “Barriera di protezione antifascista”, questo il surreale nome del muro di Berlino secondo i capi della RDT, era in realtà il muro di una prigione grande quanto la Germania Est il cui fine era evitare che il popolo della Germania socialista potesse scappare nel mondo libero. Ventotto anni dopo, nel novembre del 1989, questo monumento alla tirannia comunista venne travolto dalla storia ma le sue pareti, nel frattempo,  si bagnarono del sangue di almeno 136 persone. Sulla tomba di fantasia del muro una mano berlinese scrisse: “1961-1989, nacque, si bagnò di sangue, morì”.

Adriano Frinchi

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Una manovra non strutturale, infarcita di tasse e balzelli

postato il 13 Agosto 2011

La bozza della manovra varata dal governo  prevede molti punti, alcuni già anticipati nel corso della giornata, ma dando un primo sguardo la manovra non è affatto soddisfacente, perché non è la riforma del sistema Italia che da più parti era stata richiesta.

Il commento dell’on. Galletti è anche più duro: “Questa manovra si presenta priva di elementi strutturali e infarcita di tasse e balzelli che colpiranno in particolare i ceti medi e le famiglie italiane. Saremo responsabili, come sempre, ma la nostra preoccupazione è altissima”.

Perché questo giudizio così duro?

Perché questa manovra è solo una manovra contabile, che in prospettiva rischia di diventare estremamente recessiva per l’economia italiana.

E’ previsto un taglio di 6 miliardi ai ministeri previsti nella manovra correttiva che arriverebbero attraverso la riduzione dei fondi Fas. Da quanto si apprende, infatti, sarebbero contenuti nella bozza tagli alla banda larga per quanto riguarda il ministero dello Sviluppo economico, meno risorse per la prevenzione di rischi di dissesto idrogeologico per quanto riguarda il ministero dell’Ambiente, e tagli all’edilizia scolastica e carceraria per quanto concerne i ministeri dell’Istruzione e della Giustizia. E questi tagli sono gravissimi: intanto abbiamo un enorme gap tecnologico nella banda larga rispetto alle altre nazioni, ma soprattutto ci siamo scordati dell’anno scorso, quando bastarono alcune piogge un po’ più violente del normale per generare morti e danni per svariate diecine di milioni di euro mentre la Liguria e il Veneto erano sotto l’acqua?

Vi è poi un aumento di tasse per le imprese che operano nel settore delle energie rinnovabili e il Governo starebbe valutando di equiparare il livello dell’imposizione sui profitti delle aziende che operano nelle rinnovabili ai livelli di imposizione sui guadagni di chi opere nelle fonti energetiche tradizionali. Allo stato attuale per le imprese operanti nel settore delle rinnovabili si applica una imposizione minore del 3% rispetto al settore delle energie tradizionali, inoltre si prevede il taglio del 30% agli incentivi per le fonti rinnovabili.

Con il prezzo del petrolio alle stelle, con l’energia nucleare bloccata dal referendum, mettere i bastoni fra le ruote alle fonti energetiche rinnovabili è da sconsiderati se consideriamo il peso nel PIL italiano raggiunto da questo settore produttivo.

Ovviamente, i lavoratori pubblici saranno toccati pesantemente, infatti si prevede il pagamento con due anni di ritardo dell’indennità di buonuscita, mentre per gli autonomi si prospetta un aumento della quota Irpef forse a partire dall’attuale 41% per i redditi oltre i 55.000 euro e aumento al 20% della tassazione per tutte le rendite finanziarie, esclusi i titoli di stato che restano al 12,5%.

E’ una manovra di tagli e tasse, senza che vi sia nulla per la crescita e francamente trovo irrispettoso Berlusconi quando dice che “il cuore gli sanguina” quando fino a pochi mesi prima aveva detto che il “peggio era alle spalle”.

Oggi abbiamo tagli ai ministeri, agli enti locali (che ovviamente si rifaranno sui cittadini), alle aziende del futuro, e tasse e soprattutto la possibilità per i dipendenti statali di non avere la tredicesima se non risponderanno a certi requisiti di produttività.

Non è una manovra per la crescita, ma solo una manovra per tirare a campare e questo è, francamente, inaccettabile.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Perché Londra brucia

postato il 12 Agosto 2011

Londra brucia. Tutto ha inizio giovedì 4 agosto nel quartiere di Tottenham, il ventinovenne tassista Mark Duggan, membro di una gang locale e presunto spacciatore di droga, rimane ucciso in un conflitto a fuoco con Scotland Yard durante un tentativo di fuga. La notte successiva Londra brucia: giovani del quartiere nero di Tottenham saccheggiano negozi, incendiano auto, spaccano vetri, assaltano agenti con bottiglie, pietre, spazzatura, molotov artigianali. Subito i principali commentatori associano queste immagini alle rivolte delle banlieau di due anni fa nei quartieri ghetti di Parigi e la colpa delle violenze ricade sul disagio sociale e sull’incapacità di integrare culture diverse. L’intellettuale Roger Scruton, professore di filosofia alla Boston University e autore de “Il manifesto del conservatorismo contemporaneo” subito muove il dito contro il fallimento del multiculturalismo e la sua incapacità di preservare le vere identità culturale annacquandole insieme in un unico meticciato mentre Damian Thompson, editorialista del Daily Telegraph, si esprime con parole durissime :” “Abbiamo creato una cultura della gang violenta, sessista omofobica e razzista; è una vergogna che cadrà sui multiculturalisti bianchi veri responsabile di questo disastro”. I giorni passano, vengono contagiati anche i quartieri di Brixton, Peckam, Islington, Lewisham e Oxford City e il tumulto raggiunge infine anche Liverpool e Manchester spargendosi a macchia d’olio in tutta l’Inghilterra. Più si guarda da vicino queste rivolte più ci si accorge della superficialità e dei gravi errori del primo giudizio: dai tribunali aperti 24 ore su 24 e in cui vengono portate più di 1.200 persone emergono storie incredibili e raccapriccianti: giovani studenti, mamme single, padri di famiglia disoccupati, poveri e non, delinquetelli comuni, gente di ogni etnia, età, origine sociale. La storia più sconvolgente è sicuramente la testimonianza riportata su “Il Corriere della Sera”da Fabio Cavalera della signora Onelia Giannattano, parrucchiera italiana emigrata a Londra: ““Sembrava un angelo, un angelo col caschetto di capelli rossi. Avrà avuto quindici o sedici anni, una ragazzina bellissima. Poi l’angelo è diventata una strega. Era con alcuni giovani, suoi amici, che all’improvviso si sono scatenati. Hanno sfasciato senza una ragione le mie vetrine e razziato ogni cosa. E lei se la rideva tranquilla e mi prendeva in giro: te la fai sotto eh? Quegli occhi, quelle parole di sfida non li dimenticherò mai”.

E allora ci si accorge che il malumore della periferia e dell’integrazione sono solo la miccia, la punta dell’iceberg che cela al di sotto un quadro molto più preoccupante. E’ un’intera società a ribellarsi e a scatenare un incendio di violenza le cui fiamme sono la carenza di desiderio e l’inconsapevolezza del domani.

E tutto ciò mentre è a rischio l’intero modello economico (e non solo) occidentale.

Mala tempora currunt: Londra brucia e noi insieme a lei.

Riceviamo e pubblichiamo Jakob Panzeri

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La confusione di Tremonti e la concretezza di Casini

postato il 11 Agosto 2011

Nonostante l’assolata giornata estiva, una fitta coltre di nubi gravava sull’aula parlamentare dove si sono riunite le commissioni congiunte Affari Costituzionali e Bilancio di Camera e senato per ascoltare le comunicazioni del Ministro dell’Economia Giulio Tremonti.

Dopo aver parlato per tre quarti d’ora, il ministro ha sostanzialmente lasciato dietro di sé solo una fumosa cortina di buone intenzioni e confuse ricette sui modi e sui tempi necessari per tentare di uscire dalle pericolose secche in cui si trova incagliata l’economia del Paese.

La sensazione di una maggioranza di governo in piena confusione è stata poi confermata dagli interventi del segretario politico del PDL Angelino Alfano e dal Capogruppo della Lega Nord alla Camera Marco Reguzzoni; i loro interventi, lungi dal chiarire le intenzioni del Governo, hanno invece confermato le distanze tra diverse correnti anche all’interno della stessa formazione politica.

Ancora una volta, l’unico intervento chiaro e comprensibile è stato quello tenuto da Pier Ferdinando Casini a nome dei gruppi parlamentari dell’Unione di Centro. Nel suo discorso ha dapprima stigmatizzato la tendenza, che continua tuttora, della attuale compagine governativa a voler minimizzare e banalizzare la situazione italiana perché, se è verso che esiste una crisi che coinvolge l’intero continente europeo e molte altre economie mondiali, è anche vero che nascondere le specificità della crisi italiana non aiuta a trovare vie d’uscita percorribili.

Dopo aver ricordato come, di fatto, la BCE abbia “commissariato” la politica italiana con la sua lettera, Casini ha anche avvertito che il commissariamento deve intendersi rivolto all’intero sistema politico italiano, non alla sola maggioranza di governo. In merito alle proposte di riforme istituzionali, il leader dell’Unione di Centro ha bocciato duramente la proposta di modifica dell’art. 41 della Costituzione in materia di libertà economiche definendola puramente demagogica; diversamente ha concordato sulla possibilità di studiare modifiche all’articolo 81 della Carta al fine di introdurvi l’obbligo del pareggio di bilancio, pur con le dovute garanzie.

Passando a temi più rapidamente concretizzabili, Casini ha ricordato come il prolungarsi dell’indecisione sulle misure da prendere rischi di far arrivare il Paese al 2012 con la necessità di nuovi e pesanti tagli lineari che andrebbero ancora una volta a danneggiare le famiglie, le disabilità ed i lavoratori dipendenti più svantaggiati. Per scongiurare questo pericolo, la ricetta dell’Unione di Centro si basa quindi su almeno cinque ingredienti di base: costi della politica, riforma del fisco,liberalizzazioni, riforma delle pensioni e del mercato del lavoro.

Per il capitolo sui costi della politica la proposta verte sull’accorpamento dei piccoli Comuni e l’abolizione delle province con attribuzione delle relative funzioni ai Comuni, anche in forma consorziata; inoltre graduale dismissione delle partecipazioni nelle aziende municipalizzate.

Per quanto riguarda il sistema fiscale, Casini si è detto favorevole alla tassazione delle rendite finanziare, ad eccezione di BOT e CCT, e ad una seria riflessione sull’ICI la cui abolizione ha messo molti Comuni in una situazione di grave dissesto. Disco verde anche ad un contributo di solidarietà da parte dei redditi più alti con strumenti che tengano conto però della composizione famigliare del percettore.

Per dare nuova linfa all’economia del Paese, via libera anche ad un cospicuo pacchetto di liberalizzazioni che riguardino i servizi pubblici locali, le farmacie, le banche nonché le reti energetiche e le professioni. Sul punto il leader dell’Unione di Centro ha ricordato a Tremonti che l’input deve necessariamente partire proprio dal Governo che deve dimostrarsi libero dalle pressioni delle lobby parlamentari.

Sul tema della riforma delle pensioni, via libera all’agganciamento dell’età pensionabile con quello della durata della vita media ma anche in questo caso l’Unione di Centro si dichiara intransigente rispetto all’introduzione di una sorta di quoziente famigliare che consenta di differenziare il trattamento a favore dei nuclei famigliari che più di altri anno sofferto le scelte economiche fatte da questo governo negli ultimi tempi.

Ultimo punto è la riforma del mercato del lavoro, che deve partire da un concetto semplice: più flessibilità in uscita e maggiori garanzie al precariato giovane, con agevolazioni fiscali alle imprese che incentivino la trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato perché il tema della precarietà sta diventando una emergenza devastante per i giovani ed il loro futuro.

Vedremo nei prossimi giorni se questi suggerimenti concreti, saggi e socialmente giusti sapranno essere raccolti e valutati da chi ha il compito di governare questo nostro Paese.

Riceviamo e pubblichiamo Roberto Dal Pan

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Basta chiacchere, servono soluzioni. Il Nocash day?

postato il 11 Agosto 2011

Ieri il Governo ha parlato con le parti sociali, le quali al termine dell’incontro hanno dichiarato che il Governo non ha comunicato nulla enunciando solo generiche prese di posizione. Quasi contemporaneamente vi erano nuovi crolli in tutta Europa e a Milano le banche nel loro complessivo avevano una capitalizzazione di 50 miliardi di euro (di cui 37 erano quelle di Banca Intesa e Unicredit, seguite da Monte Paschi di Siena che vale 5 miliardi). Tutta l’Europa in questi giorni ha avuto cali vistosi, in particolare ieri, complice una voce, subito smentita, di un downgrade (ovvero di un peggioramento del giudizio di affidabilità) per l’economia francese. Tutto ciò è la testimonianza di un forte nervosismo che serpeggia tra gli investitori sia europei che americani, basti pensare che la banca Societè Generale ha perso ieri circa il 20%.

Il problema è principalmente legato alle incertezze dei politici che non hanno il coraggio di prendere decisioni forti, anche impopolari, preoccupati del consenso, delle elezioni, dei sondaggi, eppure dovrebbe essere chiaro a tutti che l’immobilità sta peggiorando la situazione. Personalmente sono convinto che la gente possa accettare sacrifici, ma solo se vi è un obbiettivo chiaro.

Ricordiamo tutti che nel 1992 Amato fece un prelievo forzoso per risollevare la crisi italiana; e quando Prodi fu eletto la prima volta, chiese ed ottenne una tassa una tantum per entrare nella UE. Sono due esempi di come, se si pongono obbiettivi chiari e si parla con sincerità alla gente, si ottiene una risposta positiva dalle persone. E’ inutile fare le battute, o dire che tutto va bene, perché non è così. Continuando a comportarsi in questo modo, il Governo è percepito in maniera negativa, anzi gli Italiani si sentono presi in giro. Non è il momento delle promesse vuote o delle prese di posizione ideologiche. Bisogna invece portare avanti proposte concrete, realistiche e spiegarle alla gente. Dire alla gente cosa si vuole ottenere, perché e come. Solo così la gente sarà disposta a nuovi sacrifici.

Bisogna combattere ferocemente l’evasione fiscale che in un anno è pari a 120 miliardi di euro (e non la si combatte di certo con i condoni e i colpi di spugna); se vi aggiungiamo lavoro nero, economia sommersa, riciclaggio arriviamo alla cifra di 560 miliardi di euro annui. Eppure non si riesce a scalfire questo “monte” di illegalità.

Ma non è l’unico problema, perché vi è anche l’inefficienza della macchina burocratica: prendiamo il caso di Equitalia Giustizia, costola dell’Agenzia delle entrate che dovrebbe gestire il patrimonio di beni confiscati ai malavitosi, multe milionarie ai truffatori, patteggiamenti, automobili sequestrate, beni immobili pignorati. Questi attivi si limitano a finanziare le intercettazioni: circa 268 milioni nel 2009, mentre tra il 2008 e il 2010 sono stati recuperati 4 miliardi di euro. Ebbene questo denaro finisce in depositi postali pressoché infruttiferi invece di essere rimesso in circolo per finanziare la disastrata amministrazione della macchina della Giustizia. Perché non si sbloccano questi 4 miliardi? A causa di cambi di governo, e difficoltà regolamentari, questo “tesoretto” non può essere usato.

Ma non è l’unico caso. Esistono oltre 450 miliardi di imposte accertate negli ultimi dieci anni che sarebbero “solamente” da esigere. Ma la raccolta prosegue con il contagocce: nel 2010 ne hanno recuperati circa 10 miliardi. E gli altri soldi? La lentezza della macchina burocratica, le leggi che cambiano e spesso sono retroattive (si vedano i vari condoni fiscali), le leggi di favore (vi ricordate quando parlammo delle somme perse con il condono fiscale perché le cifre accertate non furono mai richieste dallo Stato in quanto vi era una norma che “favoriva” l’evasore che pagava un anticipo?? Questo blog ne parlò esattamente un anno fa. E intanto questo tesoro di 450 miliardi si eleva al ritmo di circa 120 miliardi di euro annui, ma potrebbero essere molti di più, infatti secondo i dati 2010 del ministero dell’Economia, la metà dei contribuenti dichiara un reddito inferiore ai 15mila euro, due terzi non più di 20mila, l’1% più di 100mila, cioè 77mila persone in tutto. E per le piccole imprese e i professionisti c’è un altro dato: secondo Bankitalia è stato sottratto fra il 2005 e il 2008 il 30% della base imponibile dell’Iva, pari a 30 miliardi l’anno, come dire due punti di Pil ogni 12 mesi.
Il problema, dicono i magistrati, è che si sta andando indietro in tanti settori, dalla lotta all’evasione fino a quella alla criminalità economica vera e propria. Ancora una volta, le farraginosità dell’amministrazione pubblica (alimentate dal sospetto che una vera lotta al malaffare non convenga a tanti) fanno abbondantemente la loro parte. Il governo in carica, con la motivazione dei tagli al bilancio, ha cancellato con un colpo di penna prima la commissione anticontraffazione e poi addirittura l’Alto commissariato anticorruzione come entità indipendente (con 120 persone di staff). Al posto dell’Alto commissariato è stato insediato un miniorganismo con 20 dipendenti fra cui solo 3 magistrati, con la sede in tre stanzette in un sottoscala, alle dipendenze del ministero della Funzione pubblica che però sarebbe uno degli organismi da controllare.

Eppure le soluzioni ci sarebbero, ad esempio la tracciabilità dei flussi di denaro e in questa direzione va il Nocash day inventato dal manager Geronimo Emili, che dice: «Uno sconcertante 52,1% dei cittadini, ad un nostro sondaggio, ha risposto che usa il contante solo per mancanza di abitudine all’uso della moneta elettronica». L’iniziativa ha avuto la sponsorizzazione della MasterCard, ma anche l’appoggio di Abi e Confcommercio. Il vantaggio della moneta elettronica è la assoluta tracciabilità degli scambi di denaro e quindi l’emersione dei pagamenti in nero.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati.

2 Commenti

Non è più il tempo del bue muto

postato il 10 Agosto 2011

Le voci su un downgrade della Francia, poi smentite formalmente dal governo francese, hanno  scatenato il panico e una spaventosa ondata ribassista che ha travolto Wall Street e le borse europee. Record negativo per Piazza Affari con gli indici Ftse Mib e Ftse It All Share che cedono rispettivamente il 6,25% e il 5,43 per cento. Un mercoledì terribile dunque che ha spinto il governo francese ad intervenire tempestivamente per smentire le voci incontrollate le voci di un declassamento del debito sovrano del paese, con perdita della tripla A. Non c’è da stupirsi per l’intervento immediato del governo francese: solo una presa di posizione ferma e chiara poteva fermare i rumors e ridare quel minimo di fiducia necessaria per evitare il crollo totale. Continua a stupire invece il silenzio del Premier Berlusconi che dal discorso al Parlamento sulla crisi economica non ha sentito la necessità di rassicurare ulteriormente il Paese e i mercati. Berlusconi è ormai un “bue muto” che non trasmette più l’innata sicurezza di un tempo, anzi il suo silenzio unito ad un generale incupimento, notato anche dai fedelissimi, risulta assolutamente controproducente. Di certo Berlusconi non risolverebbe niente con un sorriso o con una delle sue battute, ma potrebbe invece essere utile quanto suggerito dal Terzo Polo che, in una nota congiunta firmata da Pier Ferdinando Casini, Italo Bocchino e Francesco Rutelli, ha auspicato che in deroga alla normale prassi, sia lo stesso Presidente del Consiglio, unitamente al ministro dell’Economia, a rendere l’informativa presso le commissioni riunite. L’Italia, ed anche i mercati, non hanno bisogno di un bue muto ma sperano ardentemente che anche per Berlusconi si avveri la profezia che Alberto Magno fece su Tommaso d’Aquino (il vero bue muto): “un giorno muggirà così forte che lo sentiranno in tutto il mondo civile”. Al momento ci accontentiamo di molto meno di un muggito, magari di un discorso onesto, franco e soprattutto concreto che infonda fiducia e sicurezza e che detti, finalmente, una rotta.

Riceviamo e pubblichiamo Adriano Frinchi

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