Tutti i post della categoria: Giustizia

RIFORME: GIUSTIZIA OLTRE GLI ARRESTI

postato il 30 Aprile 2021

Questo Governo di larghissima coalizione non può abdicare alle sue responsabilità, non solo in campo economico ma anche sul fronte giudiziario, perché il funzionamento della giustizia concorre in maniera determinante alla competitività del sistema Paese. Superare la legge Bonafede, misurare il rendimento dei pm, rafforzare i poteri del Capo dello Stato, offrire alternative alla norma anti prescrizione. È il momento di osare.

La lettera scritta a quattro mani dal Sen. Pier Ferdinando Casini, già presidente della Camera dei Deputati, e da Michele Vietti, già vice presidente del Csm, pubblicata su Il Foglio.

 

 

 

L’impraticabilità di una “riforma della giustizia”, di cui si parla in modo inversamente proporzionale a quanto si fa, sembrava dover ricevere una decisa smentita dal cd. “caso Palamara”.
Lo scorso 26 maggio proprio sul Foglio uno di noi scriveva, citando il Vangelo, “oportet ut scandala eveniant”, intendendo che dallo scandalo possono derivare effetti positivi in termini di reazione ed auspicando un soprassalto della politica che, approfittando di un mutato rapporto di forza nell’atavico braccio di ferro con i magistrati, intervenisse finalmente a raddrizzare le storture del sistema giudiziario, troppo lamentate e mai curate.
Sono passati ben 11 mesi e non è stato fatto niente! Palamara è diventato la star delle librerie e della TV; il CSM si trascina in condizioni di assoluta delegittimazione; i processi civili e penali, complice il COVID, continuano a mantenere i non invidiati primati europei di lunghezza; il corto circuito mediatico-giudiziario continua a consegnare all’opinione pubblica condannati in anticipo che, al termine di un calvario personale, spesso vengono assolti con la sentenza definitiva; la curiosità pruriginosa dei lettori continua ad essere alimentata da intercettazioni sempre più sofisticate che per lo più parlano di questioni penalmente irrilevanti e di terzi estranei all’indagine.
Verrebbe da dire che se neanche il disvelamento del “Sistema”, con il suo strascico di indignazioni, prese di distanza, promesse di abbandonare quelle logiche, ha prodotto risultati, l’irredimibilità della nostra giustizia può dirsi ormai acclarata.
Eppure, da convinti sostenitori della “politique d’abord” (motto coniato da Maurras ma adottato da Nenni!), non riusciamo a rassegnarci a registrare una sconfitta, ma pensiamo che questo Governo di larghissima coalizione non possa abdicare alle sue responsabilità, non solo in campo economico ma anche sul fronte giudiziario, perché il funzionamento della giustizia concorre in maniera determinante alla competitività del sistema Paese.
Purtroppo, le cose da fare sono sempre le stesse, dal momento che non sono mai state messe in opera riforme che ovviassero a mali antichi, conosciuti e curabili con rimedi ampiamente condivisi. Fior fiore di Commissioni ministeriali, di convegni, di pubblicistica, di dibattiti parlamentari e universitari hanno sviscerato le criticità e individuato le soluzioni. Non è più il tempo dello studio ma dell’azione.

Proviamo a rassegnare una breve lista degli interventi più urgenti, a promemoria per i pubblici decisori e a scarico della nostra coscienza. [Continua a leggere]

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Non condivido Orlando su immunità, no a invasioni campo

postato il 4 Agosto 2015

Ai microfoni del Tg5, rispondo alle domande di Simonetta di Pillo

Rispetto l’idea di Orlando, ma non la condivido. Ci sono principi del costituzionalismo moderno che sono sanciti nella nostra Carta a garanzia dell’equilibrio tra i poteri.
L’articolo 107, ad esempio, tutela l’inamovibilità dei magistrati, così come l’articolo 68 garantisce le prerogative dei parlamentari.
Ciascuno continui a fare il proprio dovere, senza invasioni di campo: l’intromissione della Consulta sull’immunità parlamentare sarebbe impropria per la natura stessa della Corte.

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I Pm non decidano le primarie

postato il 11 Settembre 2014

Pier Ferdinando CasiniI Dem devono sostenere quei candidati

L’intervista di Francesco Bei a Pier Ferdinando Casini pubblicata su La Repubblica

ROMA. Emiliano d’Appennino, bolognese d’adozione, Pier Ferdinando Casini guarda con preoccupazione al terremoto politico-giudiziario che sta scuotendo il Pd nella sua regione.


Le primarie forse saltano, i candidati vengono inchiodati uno dopo l’altro. Che sta succedendo?

«Succede che i nodi sono venuti al pettine e la politica deve assumersi la responsabilità di decidere. Altrimenti tanto vale andare alla procura della Repubblica e chiedere a loro il nome del candidato alla presidenza della Regione. Non possiamo accettare l’idea che – dalle candidature alla politica industriale – siano i magistrati a determinare tutto».

Lei guarda il dito ma dimentica la luna: la corruzione dei politici. Che cosa dovrebbero fare i pm a questo punto, voltarsi dall’altra parte?
«La colpa non è dei magistrati, è nostra: abbiamo trasformato lo Stato di diritto in una gogna mediatica. Andando avanti di questo passo le persone perbene non faranno più politica. Se il tritacarne mediatico-giudiziario continua ad avere mano libera e basta un avviso di garanzia a trasformarti in un mostro, tanto vale alzare tutti le mani in alto».

In Emilia è un’intera classe dirigente a essere finita sotto accusa. Come è potuto accadere, come è stato possibile secondo lei?
«Appunto, l’Emilia. Qualche anno fa la Finanza fece irruzione a casa di Guazzaloca, uomo della massima correttezza, che poi è stato del tutto scagionato. Intanto ci ha rimesso la salute. Vogliamo parlare della sinistra? Errani è stato assolto in primo grado e poi, condannato in appello, si è visto costretto a lasciare. Ed è unanimemente considerato una persona specchiata. Ora, proprio nel momento della consegna delle firme per le primarie, arriva quest’altra ondata».

Anche lei con la giustizia ad orologeria? [Continua a leggere]

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L’immunità è garanzia di indipendenza non un privilegio

postato il 23 Giugno 2014

Evita interferenze del potere giudiziario
Pier Ferdinando CasiniL’intervista di Amedeo La Mattina a Pier Ferdinando Casini pubblicata su “la Stampa”

”Dopo la riforma della Costituzione è arrivato il momento di porre il problema della giustizia. Credo che oggi, con il governo Renzi, ci siano le condizioni giuste”.

Onorevole Casini ha visto quante polemiche sta sollevando l’immunità per i nuovi senatori? In generale il testo in discussione continua  ad avere diversi oppositori.
“Come diceva Mao, la strada è a zig zag ma il futuro è luminoso. Il testo in discussione è migliorato e non merita indignazioni fuori luoghi della serie ‘è un attentato alla Costituzione’. Naturalmente permangono delle contraddizioni, ma io sono fiducioso che possano essere risolte. Ma vorrei far presente che, dopo anni che si parla di riforma, Renzi è riuscito a passare dalle parole ai fatti. La sua volontà al limite della sfrontatezza è servita a raggiungere l’obiettivo, il premier ha seguito un metodo buono: ha tenuto la barra dritta sul coinvolgimento dell’opposizione e soprattutto di Fi”.

Lei difende l’immunità a ogni costo?
”L’immunità non è un privilegio ma una garanzia finalizzata a un corretto ed equilibrato rapporto tra diversi poteri dello Stato. I costituenti non avevano in mente di tutelare una casta di privilegiati ma sapevano che l’autonomia del legislatore va salvaguardata dalle interferenze del potere giudiziario. Ora sorge un problema oggettivo che riguarda l’amministratore eletto senatore dotato di immunità e tutti gli altri amministratori. In realtà il problema sarebbe risolto se il Senato fosse composto senza questi automatismi da cittadini scelti dai consigli regionali e comunali”. [Continua a leggere]

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Errore affrettare i tempi decidiamo su un caso straordinario

postato il 27 Agosto 2013

Il leader dell’Udc respinge laminaccia dei falchi Pdl ma invita anche il Pd a rivedere la sua linea

Pier Ferdinando CasiniL’intervista pubblicata oggi su ‘la Repubblica’ di Francesco Bei

«Gettare il paese nel caos con una crisi al buio sarebbe un atto folle di autolesionismo: sono convinto che, dopo una meditazione approfondita, Berlusconi per primo capirà che le sue convenienze personali coincidono con quelle del paese». Pier Ferdinando Casini lavora sottotraccia, da giorni, per evitare la crisi del governo Letta e la fine delle larghe intese. Ed è molto, molto preoccupato dall’ipotesi che nel Pdl prevalga la linea dei falchi alla Santanché.

Il Pdl minaccia la crisi: lo spread risale e la Borsa di Milano affonda. Gli speculatori già fiutano il sangue?
«L’economia reale sta dando segni, seppur lievi, di ripresa. Il governo sta lavorando bene sulla Pubblica amministrazione, sull’Imu, sull’Iva e su tante altre cose. Io comprendo il dramma di Berlusconi e rispetto il travaglio di un partito che rappresenta milioni di elettori. Ma rigettare il paese nell’instabilità sarebbe un atto che gli italiani farebbero pagare a chi lo ha provocato».

Allora come se ne esce?
«La minaccia dei falchi del Pdl è inaccettabile, non si può dire “o votate così oppure salta tutto”, non siamo ai saldi dello Stato di diritto. Detto questo, proprio a garanzia di un percorso serio, è giusto pretendere che la giunta del Senato non sia un plotone d’esecuzione».

Si dovrebbe concedere più tempo per esaminare la presunta non retroattività della legge Severino?
«Mi meraviglio che ci sia nel Pd chi vuole fare in fretta senza prendere in considerazione le opinioni di Onida, Capotesti, Violante, D’Onofrio. Personalità diverse, ma di sicuro non berlusconiani, che ritengono che la giunta, in sede giurisdizionale, possa investire la Consulta della questione. Più il Pd mostrerà di affrontare questo argomento con serietà e senza pregiudizi e più sarà libero di decidere quando si arriverà al voto». [Continua a leggere]

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Una riforma della Giustizia seria, a misura di cittadino

postato il 7 Febbraio 2013

di Giuseppe Portonera

L’Italia è stata, a lungo, culla della civiltà giuridica: qui è nato il diritto privato, qui ha mosso i primi passi quello penale, qui Cesare Beccaria ha insegnato al mondo intero il valore della rieducazione del condannato, del suo recupero nella società. Oggi, l’Italia è diventata il regno dell’incertezza del diritto, proprio quando la globalizzazione dell’economia ha posto la necessità di regole certe, chiare, agili per attrarre investimenti e vincere la sfida sui mercati mondiali.

L’inefficienza del settore giustizia, infatti, costa ogni anno un punto di pil di mancata crescita. Le cifre del disastro sono sotto gli occhi di tutti: in Italia pendono 5,4 milioni di cause civili e 3,3 milioni di processi penali. Un processo civile oggi è destinato a durare in media 845 giorni in primo grado e 1032 in appello. Oltre 5 anni. A cui bisogna aggiungerne altri 4 circa per ottenere il giudizio della Cassazione, che in caso di rinvio in appello rimette in moto ulteriormente il meccanismo. Un processo penale tra inizio delle indagini e sentenza d’appello dura mediamente quattro anni. Sono numeri che ci collocano al 160° posto su 185 nelle graduatorie stilate dalla Banca Mondiale. A questi ritardi va poi aggiunta la cosiddetta emergenza carceri, che rappresenta lo sfregio e la vergogna più grande della nostra “civiltà” giuridica: i detenuti sono oltre 66 mila, di cui 24 mila stranieri, contro una capienza dei 206 istituti di pena presenti sul territorio nazionale di 45 mila posti.  Il 40,2% della popolazione penitenziaria, peraltro, è costituito da persone in attesa di sentenza definitiva. Ed il numero dei suicidi e dei tentativi di suicidio rappresenta un altro sintomo inequivocabile di una situazione insostenibile, di tradimento del principio posto dall’art. 27 della nostra Costituzione. Il risultato è l’esposizione del Paese ad un numero crescente di condanne da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Archiviati il bipolarismo rissoso e le vagheggiate riforme epocali, è giunto il momento di intervenire sul servizio giustizia in Italia con alcuni chirurgici – ma non per questo meno rilevanti – interventi sui veri gangli inceppati del sistema.

Nel nostro programma sono inseriti, per esempio: la depenalizzazione dei reati minori; la valorizzazione dell’operato della magistratura onoraria e dei Giudici di Pace; la modifica dell’istituto della prescrizione (che costa ogni anno un enorme spreco di risorse umane e materiali e un inaccettabile resa dello Stato di fronte alla domanda di giustizia dei cittadini) e del sistema di carcerazione preventiva (diventata un insopportabile abuso); una lotta senza quartiere al fenomeno della corruzione (che costa circa 60 miliardi l’anno, il triplo dell’IMU) e alla criminalità organizzata.

Una vera riforma della Giustizia, che metta da parte una volta per tutte leggi ad o contra personam, e che abbia come target di riferimento solo ed esclusivamente il cittadino e il consumatore: la nostra economia riparte anche da qui.

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Il grado di civiltà di una società si misura dalle sue prigioni

postato il 24 Novembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Vincenzo Massimo Pezzuto

Un tempo le prigioni, o meglio le carceri giudiziarie, erano luoghi dove espiare un qualcosa di ben definito, la risposta dello Stato verso chi commetteva dei reati. Il principio era prettamente retributivo, legittimo e doveroso era retribuire il male con il male. La pena era fine a se stessa, senza scopo alcuno al di fuori della realizzazione dell’idea di giustizia. Successivamente la funzione della pena si è collocata anche su un altro piano, quello della prevenzione, per cui la sanzione criminale ha la funzione di “prevenire” i delitti mediante l’efficacia intimidatoria che le è inerente.

Nella nostra “Mater Lex”, a dimostrazione che l’Italia (almeno sulla “carta”) possa essere considerato un Paese civile, afferma al 3° comma dell’art. 27 che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Sulla “carta”. Ebbene si. Sarà che il nostro ordinamento non ha ben compreso che il diritto penale è estrema ratio, ma nelle 206 carceri italiane di spazio proprio non ce n’è. Sono 21 mila i detenuti in più, rispetto ai posti letto disponibili nei penitenziari del nostro Paese: ovvero, 145 persone per 100 letti. La situazione degli istituti di pena (ad es. Poggioreale ha superato la sua capienza massima del 50%, con 2.600 detenuti), ha indotto il Capo dello Stato ad affermare che si tratti di “una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana – fino all’impulso a togliersi la vita – di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo”.

Il sovraffollamento, le pessime condizioni igienico-sanitarie, la carenza di fondi per la manutenzione ordinaria, sono tutti nodi che non sono venuti al pettine negli ultimi tempi, sono questioni di “civiltà” che ci trasciniamo sulle spalle da decenni. Quale rieducazione ai fini del reinserimento in società può esserci in queste condizioni? Dall’inizio dell’anno all’estate appena trascorsa, sono morte in carcere 89 persone, 31 delle quali per suicidio. Il fallimento della macchina “punitiva”, soprattutto di quella “rieducativa”, è sotto gli occhi di tutti. Basti pensare che secondo una statistica ben 7 detenuti su 10 ritornano a delinquere, quindi a rioccupare il proprio posto in cella. La soluzione al problema non può neanche essere costituita dal ricorso all’indulto, soprattutto perché nella nostra penisola tale strumento ha svilito l’esigenza di certezza della pena. Due soluzioni a basso costo potrebbero risolvere un problema così importante: lavoro per i detenuti e costruzione/ristrutturazione delle carceri. Quanto alla prima, è ormai acclarato che solo il 12% di coloro i quali, durante la detenzione in carcere, hanno avuto la possibilità di fare veri lavori per conto di imprese o cooperative, sono ritornati a delinquere. Tutto ciò è possibile grazie ad una legge del 2000 (Legge Muraglia) che prevede incentivi fiscali (516 euro di credito d’imposta per ogni detenuto) e contributivi (80% di riduzione) a favore delle aziende che decidono di cercare manodopera all’interno delle carceri. Dal 2000 la legge è stata rifinanziata sempre con gli stessi soldi: 4,6 mln euro all’anno, permettendo solo a 2.257 detenuti di poter entrare nel circuito lavorativo.

Un circuito che dati alla mano, sarebbe l’unico in grado di garantire una vera e propria riabilitazione ai fini di un corretto reinserimento di chi nella vita ha commesso qualche errore. Senza dimenticare che anche l’altra tipologia, seppur meno incisiva della prima, di lavoro carcerario ha subito forti tagli (spesini, scopini, scrivani, portavitto, gabellieri, manutentori…). Ogni punto percentuale di recidiva in meno significa restituire alla società circa 700 ex detenuti che non delinqueranno più, che non graveranno più sullo Stato con costi riguardanti i beni rubati, rapinati o danneggiati, le cure mediche per le ferite personali, la polizia, i magistrati, i cancellieri e tutta la macchina giudiziaria.

Ma c’è di più. Lo Stato risparmierebbe di botto 35 mln euro l’anno, considerando che le stime più contenute indicano 140 euro come costo giornaliero per ogni detenuto. E qui giungiamo alla seconda soluzione, strettamente legata alla prima. Dove reperire le risorse per l’ampliamento/costruzione delle carceri? Dalla riduzione della recidiva, grazie alla soluzione già proposta. Abbiamo a portata di mano lo strumento che ci permetterà di ottenere un contenimento dei costi, il raggiungimento dello scopo rieducativo della pena e la possibilità di riammodernare l’assetto infrastrutturale carcerario italiano. Ora tocca alla classe politica darvi atto.

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Giustizia: ma quanto ci costi?

postato il 9 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

La Giustizia italiana, purtroppo, è tra le più lente del mondo: ci vogliono addirittura (in media) 1120 giorni per risolvere una controversia giuridica. Più di tre anni per affrontare i tre gradi di giudizio, che portano, secondo le stime di Mario Draghi, presidente della BCE, alla perdita di quasi un punto percentuale di PIL. Per dirla in breve, a causa della lentezza della giustizia italiana, lo Stato perde circa 18 miliardi di euro, che invece potrebbero significare investimenti proficui e benefici enormi per l’economia.

Il risultato è questo: le aziende, italiane e soprattutto straniere, preferiscono investire altrove, lì dove non è necessario affrontare 41 passaggi prima di risolvere una controversia commerciale. Anche perché, una volta risolta, e magari vinta una causa, le aziende si accorgono di dover pagare più di un quarto del valore complessivo della disputa. Ebbene, non è certo una bella pubblicità per gli investimenti stranieri.

Ecco perché è più che necessario muoversi per modificare questo stato di cose: il sistema giuridico italiano è in una pericolosa fase di stallo, sono presenti meccanismi troppo vecchi, e le modalità impiegate ad oggi sono inefficienti e improduttive.

Le semplificazioni attuate dal Governo sono già importanti passi in avanti, ma si può fare di più, e sempre meglio. Magari, un grande aiuto potrebbe giungere dall’informatizzazione dei luoghi della giustizia, così da rendere immediate le comunicazioni di notifiche, utilizzando il metodo della PEC (Posta Elettronica Certificata).

Si tratta di un provvedimento basilare, che andrebbe a snellire i tempi delle cause, oltre che i costi per i tribunali. Piccole misure per la risoluzione di un problema così importante e  grandi vantaggi economici, per un Paese che necessita di investimenti, così come l’uomo necessita dell’aria per vivere.

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Venti anni fa

postato il 23 Maggio 2012

di Giovanni Villino

Sono passati venti anni. Quella sera è ancora viva e nitida nei colori e nei brividi che correvano lungo la schiena. Mi trovavo a casa dei nonni. Nella terrazza dei vicini si festeggiava un compleanno. Ad un certo punto ricordo lo squillo del telefono e la musica abbassarsi improvvisamente. Uno dei ragazzi, dopo aver parlato al telefono, tornando in terrazza dice: “Mario non può venire, c’è l’autostrada bloccata. Un attentato”. Corro in casa. Pochi istanti e la sigla del Tg1 “edizione straordinaria”.

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Su sicurezza e giustizia il governo sia determinato come sulle misure anticrisi

postato il 29 Marzo 2012

Sono preoccupato che il governo, che si e’ insediato con la mission prioritaria di affrontare la crisi economica, possa rassegnarsi alla ordinaria amministrazione su settori come sicurezza e giustizia.
Sarebbe un errore perché sono temi fortemente legati alla lotta contro la crisi economica e devono essere  affrontati da parte del governo con la stessa aggressività, forza e determinazione con cui si sta affrontando la crisi economica.

Pier Ferdinando

 

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