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Caro Ricolfi, dietro l’agenda Monti c’è solo voglia di fare

postato il 5 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In riferimento all’articolo apparso sul quotidiano La Stampa dal titolo “Chi si nasconde dietro l’agenda Monti”, l’on.le Galletti ha affermato “pensiamo di aver contribuito, certamente più di altri, alla nascita e al percorso del governo Monti creando prima le condizioni per la sua nascita e sostenendolo poi con le nostre proposte in tema di liberalizzazioni, riforma del lavoro, spending
review e riforma della giustizia, solo per citare alcuni esempi” e poi ha continuato ricordando che l’Udc non vuole assistenzialismo statale né per il Sud, né per il Nord.

Premesso che l’articolo in questione è firmato da Luca Ricolfi, personaggio che stimo, nonostante in un suo libro (Dossier italia) abbia difeso il “contratto con gli italiani” stipulato da Berlusconi affermando che in fondo era stato realizzato (almeno per la maggior parte), posso serenamente dire che l’articolo sembra essere stato scritto da un marziano o da una persona che ignora parecchie cose, in particolare sulla posizione dell’Udc.

Ricolfi porta avanti una analisi politica tagliata con l’accetta e, soprattuto, incentrata su uno schematismo vecchio e pieno di preconcetti: a destra abbiamo una politica conservatrice, al centro una politica statalista, a sinistra una politica che non saprei definire. Il punto è che Ricolfi non si è minimamente documentato, altrimenti avrebbe visto non solo le proposte enumerate dall’on.le Galletti, ma soprattutto avrebbe visto che l’Udc aveva proposto ben prima di tanti altri, una robusta agenda per abbattere il digital divide e sviluppare Internet a banda larga (ricordiamo che questo ci porterebbe ad un aumento del PIL di circa 70 miliardi di euro). Già questo ci fa capire che l’Udc una sua agenda ce l’ha, come anche degli obiettivi: risanare i conti non è un target secondario, perché senza il risanamento non possiamo fare investimenti.

Ma al di là delle proposte presentate nel passato, il punto di fondo è che non si può e non si deve parlare di statalismo secondo vecchi schemi: la spesa statale può essere tagliata, e, soprattutto, deve essere indirizzata meglio e la prova si trova quando ho scritto dei fondi comunitari usati per progetti del valore medio di 5.000 euro. Questi progetti non migliorano il PIL, non creano occupazione o opportunità, sono solo una scorciatoia presa da alcuni che vedono nello Stato una mucca da macellare senza pensare al domani. L’Udc vuole sostituire a questa miriade di progetti, pochi progetti che creino le infrastrutture e le condizioni necessarie perché si possa esplicare al meglio la libera iniziativa imprenditoriale.

Propugnare un Monti-bis, come ad esempio fa Casini, non equivale a sostenere la “mucca da macellare”, bensì è un modo rendere produttiva la mucca. Tutto ciò però presuppone libertà d’azione. La vera forza di Monti è stata proprio quella di essere al di fuori del sistema politico e in quanto tale non essere inscatolato nei rigidi schematismi che hanno condizionato la vita politica italiana degli ultimi 20 anni e che proprio Ricolfi riconosce come uno dei mali della Seconda Repubblica.

Liberi dalle contrapposizioni rigide e schematiche, ci si è concentrati sulle riforme e sugli interventi normativi per rilanciare l’Italia dopo avere evitato per un soffio il disastro ereditato dal precedente governo: da quanti anni si aspettava un provvedimento per ridurre le auto blu o le province? Eppure il precedente governo ha avuto 4 anni di tempo, ma non lo ha potuto fare perché avviluppato in un continuo battibecco improduttivo sia al suo interno (si veda anche ora cosa sta accadendo all’interno del PDl dopo il caso del Lazio) che al suo esterno (pensiamo alla guerra continua avviata da berlusconi contro la magistratura e contro gli altri politici). Monti forma il suo governo  a Novmebre 2011 e a giugno 2012 (dopo 7 mesi) presenta il disegno di legge per dimezzare le province e dimezzare le auto blu. Sette mesi per un risultato concreto, contro 4 anni di chiacchiere inutili (quantunque supportate dall’agenda politica tanto cara a Ricolfi).

Sostenere Monti, significa sostenere la centralità della politica, scindendola dalle chiacchiere di cortile e dai gossip (quante pagine di giornali dedicati al bunga bunga o alla Minetti che sfila in costume da bagno?), e questo non è forse quello che si chiede a chi ci governa?

Vogliamo parlare di agenda, come chiede Ricolfi? Facciamolo, ma dobbiamo essere coscienti che è un falso problema, perché sappiamo cosa serve: svecchiare il mondo del lavoro in Italia garantendo i lavoratori, ma senza che questo si trasformi in rigidità contrattuale; serve rivedere il sistema fiscale; serve combattere l’evasione fiscale; serve incoraggiare gli investimenti. Tutti sanno cosa serve, ma il problema vero è “come fare queste cose” e questa è la vera forza di chi sostiene Monti, perché non ci si perde in chiacchiere da bar consci che il mondo moderno fugge le perdite di tempo e l’eccessiva rigidità, mentre richiede rapidità di esecuzione e massima flessibilità, perché il mondo è in continua evoluzione, anzi, citando Baumann, potremmo dire che siamo in “costante mutamento in una realtà liquida e multiforme”.

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La gravità del fenomeno ‘derivati’

postato il 3 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Luca Guastini

Nel grande discorso programmatico con cui ha chiuso la festa di Chianciano 2012, Pier Ferdinando Casini ha evidenziato la necessità di agire con determinazione sul problema dei “titoli tossici” che pesano sui bilanci degli enti locali.

A cosa si riferiva? Prima di tutto e soprattutto ai contratti di finanza derivata, i famigerati “derivati”, che a partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso hanno iniziato ad ammorbare le finanze pubbliche.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza in una materia di estrema complessità tecnica, partendo da un esempio concreto che chi scrive ha avuto occasione di studiare in modo approfondito: il Comune di Torino.

Senza addentrarci troppo nei dettagli, merita sottolineare che negli anni a cavallo del 2000 l’amministrazione comunale ha sottoscritto molti contratti derivati su tassi di interessi, successivamente rinegoziati in parte nel 2006-2007, di cui ben 23 risultano tuttora in essere.

Sono interest rate swap, cioè contratti con i quali si dovrebbe gestire il rischio di innalzamento del tasso di interesse: se ho un debito a lunga scadenza (un mutuo) soggetto ad interessi al tasso variabile (Euribor), rischio che l’aumento del tasso di riferimento accresca il mio debito oltre la mia capacità di farvi fronte. Attraverso un derivato opportunamente configurato, posso recuperare dal prodotto finanziario una parte di quanto ho pagato in più di interessi sul mutuo.

Tuttavia, se il prodotto è mal configurato, per errore o per scelta, invece di avere un effetto di copertura dal rischio ottengo una vera e propria speculazione o, in altri casi, un finanziamento immediato (e mascherato) con ribaltamento degli oneri molto in là nel tempo, anche di un paio di generazioni.

Nel caso di Torino, alcuni contratti hanno quale tasso di riferimento il Libor Us$ (il tasso dell’area dollaro rilavato sulla piazza di Londra), nonostante il Comune non risulti affatto indebitato a quel tasso; altri, invece, sono congegnati in modo tale che il Comune ha incassato alcuni milioni di euro nei primi due anni, salvo poi restituirne cinque o sei volte di più nei successivi trent’anni, tra l’altro con “rate” di importo folle negli ultimi due.

La Corte dei Conti è intervenuta a più riprese, stigmatizzando l’aggravarsi della situazione e chiedendo che l’amministrazione prendesse provvedimenti seri ed immediati. Provvedimenti che, invece, non sono ancora stati assunti.

Le cifre in gioco sono impressionanti, tanto più in un momento di crisi economica e di tagli profondi ai servizi per i cittadini: oltre 150 milioni di euro nei prossimi vent’anni, con un impatto annuo attuale di circa 10 milioni, che il Comune di Torino dovrà pagare alle banche coinvolte. Ma se si considera l’intera vita dei prodotti derivati in essere, la somma supera i 250 milioni, a cui vanno aggiunti quelli pagati a fronte dei contratti estinti e di cui non vi è più traccia.

La gravità del fenomeno derivati è ancor più dirompente se si pensa che esso non riguarda soltanto le Regioni, le Province i grandi comuni come Torino o Milano, ma esso interessa anche comuni più piccoli come Aqui Terme (AL), e addirittura piccolissimi centri come Omegna (VB), Gozzano (NO), Valledoria (SS), solo per citarne alcuni.

Da qui l’iniziativa del nuovo Comitato regionale piemontese, guidato da Marco Balagna, che ha fatto propria la proposta del sottoscritto: i consiglieri provinciali e comunali dell’Udc in Piemonte presenteranno nelle prossime settimane presso i rispettivi consigli un’interpellanza con la quale si chiede se siano in essere contratti derivati e quale sia la relativa esposizione dell’ente.

Lo scopo è duplice: da un lato, realizzare una mappatura del fenomeno sul territorio e dall’altro offrire un supporto concreto alle amministrazioni che vorranno affrontare il problema.

Auspichiamo che l’iniziativa produca buoni risultati e che magari sia estesa ad altre Regioni.

 

 

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Il futuro da scegliere

postato il 21 Settembre 2012

di Vincenzo Pezzuto

Decisamente in sintonia con l’esigenza di un futuro più sicuro e responsabile (più che di una politica responsabile) appare l’analisi di Fabbrini su “Il Sole 24 di Ore”. Parlare di scollamento tra l’establishment del Paese (che teme il ritorno ad una competizione politica irresponsabile) e la politica, significa parlare di due visioni che trasversalmente attraversano (come ha precisato il capogruppo Udc alla camera, Galletti) la società e la classe politica: chi considera Monti tecnocrazia e chi invece crede che stia lavorando per il bene dell’Italia.
Un quadro simile mal si concilia con la precaria situazione economica italiana (secondo debito pubblico di Europa e tra i più alti al mondo), che impone serietà e senso di protezione finanziaria.
La ricetta per risanare tali fratture potrebbe essere quella (come propone Fabbrini) di individuare quattro doveri che i partiti dovranno rispettare, con la consapevolezza che un clima di tensione e di politica urlata avrà pesanti ripercussioni sul Paese.
A farsi avanti per proporre la lista degli ingredienti è stato Pier Ferdinando Casini:

Si attendono i dettagli della proposta, ma possiamo affermare già di averli e sono frutto della politica responsabile di questi ultimi mesi. Perchè gli impegni e le proposte nei confronti del futuro di un Paese non si improvvisano dalla sera alla mattina, ma si elaborano con consapevolezza ed un pizzico di lungimiranza.

1) Quale Europa sarà necessario avere in mente? Quale futuro per la moneta unica?
L’Europa che gli europei hanno in mente è la stessa che propone l’Udc: gli Stati Uniti d’Europa. Non si può prescindere dal rilancio della crescita e degli investimenti, dalla creazione di posti di lavoro, dalla sussidiarietà e dal mutualismo reciproco. A fare da collante dovrà esserci un elemento cardine, la maggiore unità politica. Questo è il quadro che dovrà interessare l’UE e chi lo rispetta (come l’Udc) ha votato con convinzione il pareggio di bilancio in Costituzione e il fiscal compact). Occorre stare alla larga da chi pone a repentaglio il futuro dell’assetto comunitario (e soprattutto dei cittadini e milioni di lavoratori europei) riproponendo vecchie trovate populistiche dagli effetti catastrofici.

2) Quali le priorità da soddisfare (con copertura finanziaria)?
Combattere il populismo significa essere chiari nei confronti degli elettori. Significa individuare delle priorità da soddisfare. Il fine ultimo non dovrà essere quello di riempire paginone di programmi utili solo al proprio tornaconto elettorale. Significa individuare dei punti realizzabili con mezzi e risorse finanziarie realmente disponibili e nel rispetto dei vincoli finanziari esterni. La differenza rispetto al passato consterà nella bravura di certa classe politica nella ricerca non di facili consensi (grazie alle solite furbizie) ma promettendo dei sacrifici e misure per la crescita (ma veramente realizzabili). Non è plausibile sentir parlare ancora di abolizione dell’Imu da chi non ha mai fornito giustificazioni finanziarie sull’abolizione dell’Ici (con i risultati che tutti sappiamo). Ai pacchetti (anzi “pacchi”) programmatici preconfezionati ad arte non crede più nessuno ed in particolar modo i mercati.

3) Posizione in merito a mercato del lavoro, pensioni, evasione fiscale?
La strada è in salita (e lo si sapeva) ma è già delineata e collaudata dai fatti (del resto l’Italia non ha fatto la fine di Grecia e Spagna): continuità con l’Agenda Monti e le riforme. Riforme che interessano il lavoro, le pensioni e i giovani non si votano perchè proposte da un Governo tecnico o perchè imposte dallo stato di emergenza. Si attuano perchè sono le uniche in grado di dare riposte alle prospettive dei giovani. In questi restanti mesi di Governo e dal 2013 è e sarà doveroso puntare: – alla riduzione dell’Irpef per le famiglie con redditi bassi ed in base al numero dei figli (compatibilmente con le coperture finanziarie); – alla sburocratizzazione del sistema amministrativo ed all’approvazione della riforma della Giustizia in modo da rendere appetibile il mercato italiano agli investitori nazionali ed esteri; a rendere operativa l’Agenda Digitale, che potrà dare un contributo del 5% alla crescita del Pil da qui al 2020; – alla redazione di un piano strategico per il rilancio del mezzogiorno (si badi: in netta antitesi con le disattese promesse del passato); – ad ulteriori fasi della spending review; – a combattere chi vive alle spalle della gente onesta che giornalmente contribuisce al mantenimento della cosa pubblica (e che potremmo definire “ladro” né più né meno di chi prende tangenti nella Pubblica amministrazione – come già dichiarato dal leader Udc).

4) Commissione esterna di esperti per la valutazione delle proposte?
Affinche la prossima competizione elettorale non si trasformi in un gioco al massacro dove a pagare saranno sempre i soliti, la commissione paventata da Fabbrini potrà svolgere un ruolo interessante. A patto che si tratti unicamente di una valutazione connessa alla disponibilità finanziaria delle proposte partitiche. Il giudizio di valore spetta ai cittadini e dovrà rispondere al grado di soddisfacimento del loro benessere.

Occorre, in definitiva, “ricucire” il Paese e l’Europa, puntare con forza alla crescita, continuare con forza sulla strada del Governo Monti per il bene dell’Italia. Occorre mettere da parte i personalismi, le furbizie, la demagogia e le trovate populistiche. Più senso di responsabilità. Più proposte efficaci. Più futuro. Più Italia.

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I finanziamenti pubblici ci sono, ma gli italiani non sanno usarli

postato il 19 Settembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Se dico “Liberi Tutti” pensate al gioco del nascondino. Sbagliato. Se pensiamo che l’Italia è in crisi, diciamo “non ci sono investimenti pubblici”. Sbagliato. Cosa hanno in comune i due punti sopra riportati? Tutto. Perché “Liberi Tutti” è un progetto finanziato con soldi pubblici nel comune di Cortemilia (comune che ha finanziato anche il progetto definito “alla Rinsfusa”, nessun errore è proprio così) in provincia di Cuneo con lo scopo di “sviluppare politiche e servizi per l’anticipazione e gestione dei cambiamenti, promuovere la competitività e l’imprenditorialità”.

Ma non è finita qui. Il giornalista Marco Esposito, in un suo lungo articolo intitolato “Bici e orchestre, l’Italia dei Bonus” pubblicato sul mensile Linus, ci fornisce un interessante visuale sui progetti finanziati con fondi pubblici, dopo avere spulciato tutti i numeri, che sono ufficiali e resi pubblici dal ministro Barca sul sito: http://opencoesione.gov.it/.

E così ho saputo che la Scuola agraria del Parco di Monza ha ottenuto fondi per il verde pensile.

Siete stupiti?

Non stupitevi, perché Esposito ci informa con puntualità che: un paesello in provincia di Genova, chiamato Rondandina, che ha 78 abitanti, ha procurato 90.000 euro per abitante tramite finanziamenti pubblici spesi quasi tutti per la ristrutturazione della villa Sauli Podestà del Parco del Basilico. Siete stupiti? Coraggio, ora si ride. Come possiamo prendere la notizia che le tecniche di tatuaggio artistico sono state finanziate con fondi pubblici? Sono costate 1483 euro alla UE, 1953 euro allo stato italiano e 498 euro al Friuli Venezia Giulia. Io ho appreso questa notizia con una risata.

In provincia di Verona, nel comune di Dolcè hanno costruito una pista ciclabile per collegare i percorsi ciclabili già esistenti tra Dolcè e Avio. Costo del progetto? Uno sproposito, più di un milione di euro, suddivisi così: 622.000 euro di soldi UE, 650.000 euro di soldi dello stato e 80.000 euro di soldi della regione veneta

La motivazione? Qui siamo al Nobel della fantasia: “aumento della collaborazione, della condivisione e della cooperazione tra gli enti locali al fine di armonizzare le aspettative di sviluppo e di eliminare i fenomeni di disgregazione sociale”.

Tutto questo per dire “facciamo una pista ciclabile”.

L’obiezione è: ma i lavori non sono stati appaltati con una gara? Certo. Il punto, però, è che questi progetti che impatto hanno sul PIL? Nullo.

Che impatto ha un progetto sui tatuaggi artistici? Cosa produrrà in seguito questo progetto?

Un progetto, per impattare sull’economia, deve dare vita ad una attività che perduri autonomamente nel tempo; il finanziamento pubblico deve agevolare o fungere da avvio, ma poi ci uvole un progetto che vada avanti da solo: una start up; una azienda, una strada che agevoli il commercio.

Inoltre, molti di questi progetti hanno un importo talmente basso che sfuggono ai controlli della Corte dei Conti e così abbiamo “lo studio personale in funzione dell’esecusione orchestrale”, che è costato 4.839 di fondi ue, più 8070 di fondi nazionali, più 80 euro della regione liguria e 3000 euro di un soggetto privato. Totale 16.000 euro, dati per un progetto iniziato il 27 dicembre 2011 e finito il 31 dicembre 2011, ovvero 4 giorni, per 16.000 euro.

E a Caino, in provincia di brescia, hanno finanziato con 9675 euro il “tirocinio di un individuo”. Che tirocinio era? Chi lo ha fatto? E dopo è stato assunto? Non si sa. Intanto a Bologna hanno creato un progetto (30 milioni dei quali 11 della UE e 19 dello stato), per erogare assegni formativi e nell’operoso Trentino gli assegni formativi sono erogati per “lavori di abbellimento” a Storo e Briolo. Tutti questi progetti sono stati finanziati con i fondi UE stanziati per il periodo che va dal 2007 al 2013. Siamo quasi alla fine di questo periodo, e io vorrei sapere, quante attività produttive che hanno un impatto sull’economia sono state finanziate e quanti sono i progetti inutili. Il totale dei progetti finanziati è astronomico: 467.257 progetti, di cui 339.167 sono tutti nel Nord Italia. Il bello è che questi fondi dovevano servire per le politiche europee di coesione e dovevano riguardare soprattutto il Sud e le aree svantaggiate dell’Italia. Invece, contrariamente a quello che hano affermato i leghisti per anni, chi se ne è avvantaggiato e se ne avvantaggia è prorpio il nord che mette in campo progetti “ridicoli”. La Lombardia è la regione con il maggior umero di progetti finanziati. Voi pensate all’operosità lombarda, vero? Sbagliato. Perch+è tra il 2007 e il 2013, la Lombardia ha messo in campo 194.420 progetti per un importo medio di meno di 5000 euro. Quale attività produttiva fai con 5000 euro? Allora ammettiamolo. I fondi ci sono, ma noi italiani siamo malati di assistenzialismo, preferiamo chiedere pochi soldi per un progettino con una motivazione ridicola, prendere poche migliaia di euro sapendo che non avremo controlli, visto l’importo e stop. Non pensiamo a chiedere magari più soldi per realizzare progetti che creino davvero economia e lavoro.

Di contro, esiste anche una realtà di italiani che scelgono di impegnarsi: a Mussomeli, paesino quasi al centro della Sicilia, sono fiorite moltissime attività produttive come aziende produttrici di pannelli fotovoltaici e di energie verdi; a Brolo sono sorte molte piccole realtà dell’agroalimentare; Napoli finanzia per metà con i propri fondi, la metropolitana di prossima costruzione (importo totale 1,4 miliardi di euro) e solo in minima parte con fondi UE e statali.

E altri esempi troviamo anche nel Nord Italia e nel centro. Questo per dire che forse la realtà italiana è più complessa di quello che certi slogan semplicistici vorrebbero farci credere, e che, se vogliamo uscire dalla crisi, la prima cosa da fare è che noi italiani ci impegniamo per primi, senza aspettare interventi dall’alto o scorciatoie.

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Germania baluardo UE, da oggi tutti più forti

postato il 12 Settembre 2012

La Corte tedesca ha dato il via al Fondo Salva Stati. E’ la dimostrazione che possiamo fidarci della Germania e contare sui tedeschi. Abbiamo sempre pensato che la Germania non fosse un ostacolo ma il principale baluardo per l’Europa. Da oggi siamo tutti un po’ piu’ forti.

Pier Ferdinando

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Alle parole seguono i fatti: pagamenti alle imprese e Agenda Digitale

postato il 8 Settembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Lo scorso inverno, il Premier Monti ha annunciato un piano per Agenda Digitale e ha spiegato di voler accorciare i tempi di pagamento da parte della pubblica amministrazione verso i fornitori privati e le aziende in genere.
Ora, finalmente, alle parole seguono i fatti.
Entro settembre sarà attivo il software che permetterà alla Pubblica Amministrazione l’unificazione dei debiti verso le imprese e il pagamento dei medesimi: si tratta di sbloccare la bellezza 95 miliardi di euro. Una boccata di ossigeno fondamentale per le aziende. E non è tutto. Entro il 14 ottobre il governo recepirà una direttiva comunitaria che impone di effettuare i pagamenti della PA alle aziende entro 30 gironi dalla fatturazione: un passo importante per rendere l’Italia  un paese più dinamico.
E se parliamo di dinamismo non possiamo dimenticare l’Agenda Digitale che entro settembre diverrà realtà, con obiettivi e tempi certi, oltre che finanziamenti per le start up e per abbattere il digital divide. Ricordo che abbattere il digital divide significa risparmiare 40 miliardi di risparmi per la pubblica amministrazione e un aumento del PIL di circa 70 miliardi.
Questi sono i fatti che seguono alle parole di un Governo che sta puntando sullo sviluppo, dopo avere evitato il baratro ereditato dal precedente Governo Berlusconi.

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Ecco il nuovo ISEE

postato il 4 Settembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

L’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) è stato creato nel 2002 per calcolare la situazione economica di un individuo o di un nucleo familiare, prendendo in considerazione reddito, patrimonio e caratteristiche della famiglia. Questo indicatore, fondamentalmente, permette al cittadino di accedere o meno a determinati servizi, esenzioni e agevolazioni statali o locali.

I criteri del suo calcolo stanno per essere modificati dal governo Monti per renderlo più equo e permettere che solo le famiglie realmente disagiate possano accedere ai servizi e alle agevolazioni garantite dall’ISEE.

Prima di tutto, si procederà ad una rivalutazione del valore degli immobili (come per l’IMU) e di conseguenza l’abitazione principale andrà a incidere per un 60% in più rispetto ad ora; a questo bisogna aggiungere che, probabilmente, verrà eliminata anche l’esenzione che copre attualmente quelle fino a 51mila euro di rendita catastale, a fronte però del fatto che questa stessa rendita sarà conteggiata solo al 75% e sarà al netto dell’eventuale mutuo ancora da pagare. Quindi se da un lato si procede alla rivalutazione degli immobili, questa rivalutazione rientrerà solo per ¾ e solo per la parte eccedente il mutuo da pagare. Facciamo un esempio pratico: la mia abitazione viene rivalutata e da un valore ipotetico di 100, passa a 160; ai fini ISEE dovrò calcolare prima il 75% di 160 (e quindi 120), e al valore dovrò togliere il mutuo da pagare (supponiamo che il mutuo sia pari a 70) e quindi dovrò inserire il valore di 50 (dato da 120 – 70) nell’ISEE. Questa modifica, se da un lato appesantisce il valore degli immobili nel calcolo ISEE, dall’altro permette di conteggiare i mutui e quindi di venire incontro soprattutto alle giovani coppie.

Per quanto riguarda la parte reddituale, invece, ai redditi Irpef si sommeranno anche i redditi esenti e le entrate tassate in altro modo, quindi nel calcolo rientreranno anche la cedolare sugli affitti, i premi di produttività, l’indennità di accompagnamento. Risultano esclusi dal conteggio la social card e i voucher.

Indubbiamente con queste inclusioni, il reddito lievita notevolmente, ma il governo ha pensato ad una serie di misure compensative tramite alcune detrazioni (quasi tutte con un limite massimo): si sottrarranno gli assegni al coniuge e ai figli, le spese per i disabili, il 20% del reddito da lavoro dipendente o della pensione, una quota degli affitti e una franchigia sull’abitazione di proprietà. Gli interessi maturati sugli investimenti finanziari avranno un tetto: finora erano parametrati al rendimento del Btp a 10 anni, ma senza alcun vincolo. Per i conti correnti non si dovrà più indicare il saldo al 31 dicembre, ma sarà presa in considerazione la situazione di un giorno scelto a caso negli ultimi tre mesi dell’anno (per aggirare provvidenziali “svuotamenti” dei conti stessi in prossimità della data di controllo). Cambieranno anche le metodologie per calcolare le altre rendite finanziarie e i patrimoni all’estero ai fini della definizione del valore ISEE.

Infine, verrà modificata la modalità stessa della compilazione della dichiarazione, che non verrà più redatta dal cittadino, ma saranno INPS e Agenzia delle Entrate a certificare i dati reddituali e patrimoniali già in loro possesso e il contribuente dovrà solo presentare le eventuali spese da sottrarre o correggere gli errori che dovesse riscontrare.
Queste modifiche, contrariamente a quanto affermato da certe strumentalizzazioni, non servono a “risparmiare” tagliando il Welfare agli italiani, ma servono, semmai, a fare emergere chi ha realmente bisogno, da chi invece usa questi servizi senza averne bisogno e quindi permettere una più attenta distribuzione dei servizi dello stato sociale, senza diminuirne l’entità.

Se, ad esempio, io non ho reddito da lavoro, ma ho delle rendite finanziarie per 100.000 euro annui, con il vecchio sistema, sarei stato ritenuto più meritevole di chi magari lavora per 1000 euro al mese e ha un conto corrente a 0. Invece con il nuovo sistema, viene giustamente preferito il lavoratore da 1000 euro al mese e conto corrente a 0.

Il risultato, sperato, è quello di scoprire i “falsi poveri”, o di chi aggira la legge: supponiamo una donna non sposata con due figli, che convive stabilmente con un uomo, attualmente ai fini ISEE risulta come ragazza madre monoreddito, con la quasi certezza di poter accedere a tutta una serie di risorse (come ad esempio la possibilità di mandare i suddetti figli a un asilo nido pubblico al costo minimo) a prescindere dal contributo che porta il convivente al reddito familiare (che può essere anche molto alto), di fatto “rubando” il servizio ad altre famiglie, magari più bisognose ma anche più oneste.

Sono esempi di casi limite che però sfociano nell’ingiustizia e nello spreco di risorse; lo scopo delle modifiche di questo governo è proprio evitare queste ingiustizie e dare i servizi a chi ne ha realmente bisogno.

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Spesa pubblica e produttività

postato il 3 Settembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Dire che il problema non è il deficit pubblico, come fanno alcuni, significa sviare il problema senza indagarne le cause. Il punto è: come è originato questo deficit? Che natura ha questo deficit? Se è un deficit per investimenti produttivi, ben venga. Ma se è un deficit per foraggiare rendite parassitarie, allora non ci sarà mai una vera ripresa.

Per alcuni Monti sta cercando una svalutazione del salario tramite disoccupazione, chi afferma ciò però sbaglia clamorosamente. L’intervento pubblico c’e stato in passato, c’è e ci sarà. In fondo quando Monti rilancia le infrastrutture usando i fondi FAS, non è forse intervento (e spesa) pubblico? Il punto è portare avanti le liberalizzazioni e semplificaziopni chieste da imprenditori e cittadini (e Monti lo sta facendo seppur tra mille problemi) e soprattutto riqualificare la spesa pubblica passando da una spesa improduttiva, ad una spesa produttiva. E qui il problema è enorme, perché bisogna cambiare la mentalità degli Italiani. In Italia il tempo dedicato al lavoro è visto come un sacrificio, come tempo rubato alla vita, come un sopruso perché altrimenti potremmo vivere una vita migliore e piena. Negli altri paesi, forse per l’influsso del pensiero calvinista e protestante, il concetto è diverso: il lavoro è visto come una benedizione, come tempo speso bene e in maniera produttiva, come qualcosa che ti rende orgoglioso di quello che fai e proprio per questo motivo sei stimolato a farlo al meglio.

In Italia, il punto non è il diritto al lavoro, che è sacrosanto, ma il diritto allo stipendio. Con questo non si vuole certo dire che dobbiamo lavorare gratis. Assolutamente no. Ma se noi parliamo di diritto al lavoro, noi parliamo di una attività per la quale riceviamo uno stipendio. In altre parole nel momento in cui parliamo di diritto al lavoro, in senso pieno, noi incentriamo il discorso sul fatto che riceviamo uno stipendio in cambio di una nostra controprestazione (il lavoro appunto) che deve essere svolta al meglio. Oggi molti parlano di diritto al lavoro, ma in realtà intendono diritto allo stipendio, senza considerare la controprestazione lavorativa, e quindi passiamo dal concetto di reddito a quello di rendita, ovvero, percepisco del denaro indipendentmente dalla mia attività lavorativa.

E questo non va.

Altro punto è la riqualificazione della spesa pubblica. E a tal proposito è interessante leggere un libro di circa 5 anni fa, scritto da Geminello Alvi e intitolato “una repubblica fondata sulle rendite”, dove è possibile trovare dati interessanti. Analizziamone qualcuno.

Nel 2004 in italia vi erano 17,5 milioni di lavoratori. Di questi, 3,5 milioni erano lavoratori statali. Restano 14 milioni di alvoratori. A questi rapportiamo una cifra: 16 milioni e trecentomila. Bel numero, vero? Ebbene, erano, nel 2004, i pensionati. Significa che per ogni lavoratore non statale, vi erano 1,2 pensionati con un ammontare medio lordo di 12.039 euro. Se noi togliamo i dipendenti statali vediamo che i pensionati, nel 2004, erano più dei lavoratori. Queste sono le cifre ufficiali. E non è finita qui. Di questi 16,3 milioni di pensionati, 4 milioni e novecentomila erano pensionati tra i 40 e i 64 anni (età che dovunque è considerata lavorativa,da noi invece già buona per la pensione) e questo porta ad un fatto: il tasso di occupazione della nostra economia nella fascia di età tra i 55 e i 64 anni arriva solo al 30,5% (dati del 2004), quello generale è di 17,1 punti al disotto dei danesi e di 2,1 punti inferiroe persino ai greci. Chi lavora? Al 90% lavoravano i maschi tra 35 e 54 anni, e meno della metà delle donne. Ma torniamo alle pensioni. Se togliamo 4,9 milioni da 16,3 milioni di pensionati e rapportiamo di nuovo i pensionati ai lavoratori non statali otteniamo 0,8 pensionati per lavoratore. Ovviamente la differenza tra ai contributi e le pensioni erogate, chi le pagava? Lo stato che nel 2004 trasferì all’INPS il 5,1% del PIL. Oltre ai contributi, insomma, gli attivi pagano agli inattivi, in rendite sussidiate, l’equivalente di 1.600.000 salari lordi, l’11% di tutti i salari produttivi.

Nei commenti passati  ho parlato di produttività: ebbene nel 2004 vi erano 5.370.000 occupati nell’industria. Ebbene questo numero era abnorme se lo paragoniamo a Francia e Inghilterra: avevamo circa il 25% de i lavoratori italiani impiegati nell’industria, mentre in Francia e Inghilterra tale percentuale scendeva al 20%, con una produzione quantitativa paragonabile alla nostra: significa che quella differenza del 5% era dovuta alla nostra minore produttività ed efficienza. Inefficienza, che riguarda anche altri settori: nel 2004 Germania, Francia e Gran Bretagna vedono che l’11% della popolazione lavorativa ha la partita iva; da noi la percentuale era del 25% (più che in Portogallo e Grecia); siamo il paese delle consulenze, soprattutto delle consulenze fornite al settore pubblico, ma non si sa per cosa (forse che tra 3,5 milioni di dipendenti statali non vi siano persone con competenze pari a questi consulenti esterni? Mistero). Questa differenza di produttività si vede nel confronto tra i profitti delle imprese: le grandi hanno profitti maggiori (pur pagando stipendi in media più alti) delle piccole, anzi per quantificare tale dislivello, si sappia che le prima hanno un profitto pari al 40,5% sul valore aggiunto, mentre le piccole imprese hanno il 20,5% e sono al di sotto della redditività media europea. La retorica politica, vuole che tra il 1992 e il 1998 si risanasse l’Italia. Tutte balle, perché il risanamento fu dovuto ad un notevole risparmio negli interessi pagati dallo Stato per le manovre che ci hanno portati nell’euro: da una spesa per interessi pari al 12,6% del PIL, si passa, nel 1998 all’8%, ovvero quasi 5 punti percentuali in meno. La spesa corrente era calata, invece, solo dell’1,4%

Passiamo allo Stato italiano, anzi ai dipendenti statali. Premetto che mia madre è una 71enne ex insegnate, in pensione e lo dico per togliere ogni dubbio: quello che dirò non è per pregiudizio. Ebbene prendiamo i dati del 1993 e quelli del 2004, osserviamo che la spesa per stipendi pubblici è rimasta inalterata al netto della inflazione e anzi i dipendenti pubblici sono cresciuti, mentre in altri settori come poste e telecomunicazioni si è provveduto a tagliare. Anzi se i dipendenti statali avessero seguito il percorso di Poste e telecomunicazioni, sarebbero dovuti calare di circa 700.000 unità, e invece aumentano di 100.000 unità. Il reddito da lavoro dipendente pubblico nel 1995 era maggiore del 16% rispetto al privato; nel 2003 il vantaggio sale al 37% (cioè, per dire, se il dipendente privato prende uno stipendio pari a 100, il dipendente pubblico prende, in media, 137).

Questi sono i mali dell’Italia e, dati ISTAT e internazionali alla mano, la realtà non è molto cambiata dal 2004 ad oggi, se non in peggio a causa della concorrenza internazionale.

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Governo si concentri su famiglie e giovani

postato il 31 Agosto 2012

Dall’ultimo Consiglio dei ministri sono arrivate molte proposte interessanti, ma sarebbe illusorio pensare che si possano attuare tutte. Il governo, di concerto con il ministro dell’Economia, stabilisca due o tre priorita’ su cui impegnarsi da qui alla fine della legislatura: ci dobbiamo concentrare sulle famiglie che non ce la fanno ad arrivare a fine mese e sui giovani perché  i dati della disoccupazione giovanile non sono mai stati così gravi negli ultimi 10 anni.

Pier Ferdinando

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Il piano del Governo per rilanciare l’occupazione e l’economia

postato il 27 Agosto 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Cosa ha partorito il consiglio dei ministri dopo 9 ore di riunione?

Sostanzialmente si tratta di una agenda che detta punto per punto i prossimi passi del governo e all’interno di questa, i punti, a mio avviso, più importanti sono quattro: le liberalizzazioni, le assunzioni nel mondo della scuola (per più di 30.000 nuovi lavoratori tra docenti e personale di vario genere), la pianificazione per l’utilizzo dei fondi europei dal 2014 al 2020 (con lo scopo di usare tutti i fondi destinati dalla Ue, per evitare che vengano poi ripresi dalla comunità europea medesima) che permetterà investimenti in infrastrutture fisiche e internet, la maggiore protezione del territorio da frane e alluvioni (le spese per riparare i danni sono molto maggiori delle spese necessarie per la messa in sicurezza e la prevenzione).

Andando più nello specifico osserviamo che molte delle misure indicate nel documento ufficiale erano già state anticipate nei giorni scorsi, come quelle che riguardano le semplificazioni, le infrastrutture e le start up, mentre, per ora, non è inserito quanto preannunciato dal ministro Fornero circa una riduzione del cuneo fiscale e contributivo per le aziende che investono in capitale umano.

Per quanto riguarda la scuola, come detto, vi sono tre decreti presidenziali che prevedono l’assunzione a tempo indeterminato già per l’anno scolastico 2012 – 2013 di personale docente, tecnico-amministrativo e di dirigenti amministrativi per un totale di più di 30mila unità (ripartite in 12.000 docenti, 1213 dirigenti scolastici, 21.112 unità di personale docente ed educativo a cui vanno sommati alcune diecine di assunzioni per docenti nelle Accademie e Conservatori di musica).

Rapportando questi numeri al numero dei disoccupati in Italia, si tratta di diminuire in un colpo solo del 1,5% la disoccupazione (attualmente poco sopra i 2,4 milioni di individui).

Per il resto, la strada del governo prosegue di fatto nella direzione già intrapresa, con l’obiettivo di “introdurre nel sistema economico italiano più efficienza, più produttività, più competitività, anche alla luce delle raccomandazioni rivolte all’Italia nel quadro del Semestre europeo”.
I punti cardine della strategia messa a punto dal governo, si legge nel comunicato stampa ufficiale, sono: “il recupero del gap infrastrutturale, anche attraverso l’attrazione di capitali privati; la spinta all’innovazione tecnologica e all’internazionalizzazione delle imprese; la creazione di un contesto favorevole alla nascita di start up, soprattutto da parte dei giovani; gli investimenti nel capitale umano promuovendo l’apprendimento permanente e valorizzando il merito; la riduzione degli oneri burocratici a favore di cittadini e imprese; l’attenzione a una crescita sostenibile ed eco-compatibile”. Ovviamente questo riguarderà anche le liberalizzazioni, infatti nel documento si legge «Occorre creare spazi nuovi per la crescita di autonome iniziative private, attualmente bloccate o rese interstiziali da una presenza pubblica invadente e – si precisa – spesso inefficiente (si pensi, a esempio, al settore postale; ai beni culturali e alla sanità)».

Altro provvedimento è quello che ha accolto la richiesta dell’UDC, ovvero prorogare al 30 novembre il pagamento delle tasse e dei tributi nelle aree terremotate.

E a proposito di aree terremotate, come detto si porterà avanti non solo la preparazione del programma 2014-2020 per l’uso dei fondi strutturali Ue, ma si tutelerà l’ambiente con la riduzione del Co2, e la gestione del suolo contrastando il dissesto idrogeologico.

Anche i siti archeologici hanno trovato spazio nell’agenda del governo, e a breve vi sarà la legge quadro per lo spettacolo e i progetti sui siti di maggior interesse culturale, come Pompei.

Infine uno sguardo alla famiglia, infatti si prevede di “rivedere le detrazioni fiscali a vantaggio della famiglia e favorire la natalità” a cui aggiungere il rifinanziamento per il 2013 della “carta acquisti” a sostegno delle famiglie colpite da disagio economico. A questo si dovrebbe aggiungere anche la riforma dell’ISEE per modificare i criteri di selezione dei soggetti da ammettere alle prestazioni sociali a condizioni agevolate.

Tutto questo, ovviamente, senza intaccare il rigore, ma anzi continuando sulla strada che ha permesso all’Italia di uscire dall’emergenza e di potere riprogramamre il futuro. Per fare questo è stata prevista da un lato il continuamento alla lotta all’erosione fiscale, all’evasione e all’elusione e, soprattutto, l’abbattimento del debito con il programma di Grilli per le dismissioni “attraverso fondi di investimento ai quali verranno conferite proprietà mobiliari ed immobiliari pubbliche” a cui aggiungere anche la cessione delle partecipazioni azionarie dello Stato in Sace, Fintecna e Simest.

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