Tutti i post della categoria: Economia

I primi frutti dell’austerità

postato il 16 Novembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi mesi vi sono state tante critiche alle scelte prese dal governo Monti, ma oggi, con il ddl Stabilità, si vedono i primi frutti. Certo, chi segue i mercati ha notato che oggi lo spread è stabilmente sotto i 400 punti, in netto miglioramento rispetto all’eredità lasciata dal precedente governo (spread a 550 punti), ma grazie al ddl di prossima votazione, anche le famiglie inizieranno a beneficiare di questi risultati.

A testimonianza di ciò, basta considerare alcuni numeri contenuti in questo disegno di legge.

Intanto chiariamo subito che i maggiori vantaggi li avranno i nuclei di famiglie numerose (quelli con 4 figli per intenderci) che vedono salire lo sconto per i redditi fino a 15mila euro fino a 1.693 euro, mentre con l’attuale normativa ci si fermava a circa 1350 euro (si parla, quindi di un maggiore vantaggio per le famiglie di poco più di 300 euro). Per essere precisi, se si hanno 4 figli la detrazione reale arriva a 3500 euro (+643 euro) sempre per la fascia di reddito di 15mila euro, mentre per una famiglia con reddito a 30mila euro, lo sconto è di 123 euro in presenza di un figlio e arriva fino a più 566 euro con 4 figli, se andiamo a considerare le famiglie con figli sotto i 3 anni di età la detrazione passa da 800 euro a 1080 euro.

Per quanto riguarda invece le piccole imprese e gli artigiani (che sono l’ossatura del sistema produttivo italiano), è stato previsto un apposito fondo per la riduzione dell’Irap. Questo fondo avrà una dotazione iniziale di 248 milioni nel 2014 e 292 l’anno dal 2015. Ovviamente siamo coscienti che questo fondo non può risolvere di colpo tutti i problemi delle PMI, ma sicuramente rappresenta un primo passo di attenzione verso il sistema produttivo, come anche un primo passo è rappresentato dall’emendamento Occhiuto che blocca l’aumento dei vitalizi spostando questi soldi agli esodati.

Anche in questo caso non pretendiamo di aver risolto d’un colpo problemi assai complessi, ma riteniamo di aver dato un segnale concreto.

Altro passo è stata la costituzione del Fondo Kyoto che permette di dare un notevole impulso alla green economy in Italia, come anche dare la possibilità di pagare l’Iva per cassa alle aziende con fatturato di 2 milioni di euro 8venendo incontro alle esigenze delle piccole aziende e degli artigiani).

Sono segnali, questi, che i sacrifici fatti non sono stati fatti invano e che stanno iniziando a dare i loro frutto.

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La politica ambientale in Italia e nel resto del mondo: numeri a confronto

postato il 9 Novembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

È indubbio che per potere attuare delle politiche ambientali bisogna non solo imporre normative contro l’inquinamento (e l’Europa in questi anni ha dato vita ad una normativa antiinquinamento tra le più rigide nel mondo), ma bisogna anche promuovere azioni tese all’utilizzo di carburanti ecologici, all’utilizzo di materiali per il risparmio energetico, il riciclaggio e sviluppare una “cultura verde” nei cittadini. Per fare tutto ciò, ovviamente, occorrono soldi, molti soldi e solamente uno Stato può permettersi di finanziare in maniera compiuta queste attività.

E qui sorge la domanda: come si comporta l’Italia rispetto ad altre nazioni?

È una domanda importante, perché questo settore non conviene solo per tematiche ambientali, ma anche per tematiche “economiche” in quanto può rappresentare un interessante traino per l’economia e il lavoro, basti pensare al mercato, che si è aperto solo negli ultimi due-tre anni, del riciclaggio delle terre rare (attualmente esportate solo dalla Cina e fondamentali per tutti i prodotti tecnologici che usiamo).

Uno dei provvedimenti recenti varato dal governo italiano è il “Fondo Kyoto” che è stato finanziato per 600 milioni di euro, e ha lo scopo di promuovere investimenti pubblici e privati per l’efficienza energetica nel settore edilizio e in quello industriale; diffondere piccoli impianti ad alta efficienza per la produzione di elettricità, calore e freddo; impiegare fonti rinnovabili in impianti di piccola taglia; la gestione sostenibile delle foreste; la promozione di tecnologie innovative nel settore energetico. Altro punto interessante è quello delle energie rinnovabili, soprattutto alla luce degli obblighi assunti dall’Italiaper arrivare a centrare il traguardo che l’Unione europea (e l’Italia) si è data con l’obiettivo 20-20-20, cioè entro il 2020 diminuire del 20% le emissioni di CO2, aumentare del 20% l’efficienza energetica e produrre il 20% dell’energia da fonti rinnovabili. Al di là degli obblighi assunti, dobbiamo considerare che il mondo delle energie rinnovabili è una risorsa da esplorare: i benefici netti delle rinnovabili stimati al 2030 sono pari 76 miliardi di euro, divisi fra maggiore occupazione (+130.000 posti di lavoro entro il 2030), diminuzione dell’importazione di combustibili fossili, export netto dell’industria e riduzione del prezzo di picco dell’energia, come è affermato da uno studio condotto dall’Osservatorio internazionale sull’industria e la finanza delle rinnovabili presieduto da Andrea Gilardoni, dell’Università Bocconi, e realizzato con il supporto di Anev, Aper ed Enel Green Power. A proposito di Enel Green Power, segnalo che entro il 2015 entrerà in funzione la prima centrale termodinamica al mondo con tecnologia a sali fusi, che avrà rendimenti doppi rispetto alle attuali centrali fotovoltaiche e senza i problemi legati allo smaltimento dei pannelli fotovoltaici (questa centrale e tutto il lavoro di ricerca e sviluppo dietro, è stato finanziato in parte da Enel Green Power e in parte dallo stato italiano). Nonostante questo primato osserviamo che nella classifica legata alla capacità diattrarre investimenti nel settore delle rinnovabili siamo solo sesti peggiorando la nostra posizione, visto che nel 2010 eravamo quinti, e questo grazie ad una generale riduzione dei finanziamenti statali in tutta Europa e in particolare in Italia.

Migliora, anche se non di molto, la classifica italiana se ristretta al comparto fotovoltaico: quarto posto per l’Italia nel segmento dell’energia solare. Al vertice delle classifiche la Cina, mentre il secondo posto del podio spetta agli USA (grazie alle notevoli detrazioni fiscali per i progetti sulle rinnovabili, che sono in scadenza per fine 2012). Quello che penalizza l’Italia è da un lato un quadro normativo che cambia ogni anno e il prospettato taglio agli incentivi nei prossimi anni. Di contro, nel resto d’Europa, per ovviare al taglio dei finanziamenti statali si procede con una politica “dal basso”, ovvero impianti posseduti e gestiti da piccole comunità locali. Ad esempio in Germania e Danimarca, abbiamo un gran numero di impianti eolici gestiti da piccole comunità locali che si apprestano a soppiantare i grandi impianti nazionali; nel Regno Unito si assiste allo sviluppo di un analogo fenomeno, aiutato anche dalle riduzioni fiscali previste dal Governo per i progetti che vedono coinvolti due o più comunità locali.

Fuori dall’Europa è da segnalare il programma canadese ComunityFeed-In Tariff, rivolto a organizzazioni non profit, cooperative e municipalità, che sta avendo un successo senza precedenti. Se andiamo nello specifico osserviamo che la Cina è il paese dove il settore delle rinnovabili ha una maggiore capacità di attrazione di investimenti, in particolare per l’eolico offshore. Dopo la Cina, come abbiamo detto, vi sono gli Usa, grazie all’impegno preso dal Governo per installare 10 GW da rinnovabili su terreni pubblici oltre all’ipotesi di rinnovo del programma di detrazioni fiscali per i progetti sulle rinnovabili. Al terzo posto troviamo la Germania grazie all’approvazione a inizio 2012 di una nuova legislazione che garantisce di vendere l’energia rinnovabile direttamente ai consumatori e di accedere così a due vantaggi: il primo è la differenza tra la tariffa incentivante e il prezzo mensile medio a cui viene scambiata l’energia, il secondo è legato alla compensazione dei costi per la vendita dell’energia stessa. Dopo la Germania, troviamo l’India,grazie ai 400 MW di energia rinnovabile connessi nel 2011, e la Gran Bretagna che sta finanziando la creazione di un grande parco eolico offshore. Per l’Italia, il settore che attira maggiori investimenti è il fotovoltaico (seguono la geotermia e l’eolico onshore). Tra le sorprese “negative” spicca la Spagna che è uscita dalla top ten dei paesi con maggiori finanziamenti per le energie rinnovabili, a causa della sospensione degli incentivi per gli impianti di nuova costruzione. Anche l’Italia ha tagliato parecchio, ricordiamo che recentemente è stato annullato l’incentivo per la bonifica dell’amianto, una misura che ha consentito di bonificare 12 milioni di metri quadrati circa di tetti, che ospitano ora 1100 megawatt di energia elettrica pulita. Su questa situazione così diversa da stato a stato, interverrà a breve l’Unione Europea che, a giugno 2012, ha fatto sapere di essere intenzionata a sostituire i finanziamenti erogati dai singoli stati, con un corpus normativo unico a cui farà da contraltare una politica energetica europea che armonizzi le varie sovvenzioni.

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Importiamo buone idee dalla Francia: il CAF per l’affitto

postato il 31 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Se in Italia parliamo di CAF, intendiamo il Centro Assistenza Fiscale, ma in Francia è l’acronimo di una delle migliori e più utili istituzioni d’oltralpe che si potrebbero mutuare e sviluppare anche in Italia: Caisses d’Allocations Familiales.

Il Fondo francese di Assistenza alle famiglie (ma non fatevi ingannare dal nome, il suo funzionamento lo rende più simile alla nostra INPS) e funziona tramite vari strumenti, ma i più noti sono l’APS ( Allocation de Logement Sociale) e l’APL ( Aide Personnalisée au Logement) che erogano aiuti finanziari.

Il livello di aiuto dipende dal reddito, dal tipo di alloggio e dall’affitto e gli aiuti sono indirizzati a coloro che hanno un reddito basso, in certi casi specifici agli studenti, a coppie di fatto, e a cittadini singoli. Nel caso di proprietà condivise, ogni inquilino può beneficiare dell’assistenza, in base all’affitto di ognuno. Ogni inquilino dovrà farne richiesta per via separata.

Tra i requisiti per inoltrare la richiesta è necessario avere un contratto d’affitto a proprio nome, se l’appartamento è in condivisione, è necessario che compaia il nome del richiedente nel contratto e l’importo dell’affitto sia ben specificato. Se invece non si dispone di un contratto d’affitto, bisogna farsi fare una dichiarazione di hébérgement (ospitalità) da chi offre alloggio in Francia.

E’ importante chiarire che non è mai un contributo integrale, ma solo una parte dell’affitto.

Si potrebbe importare questo sistema per andare incontro a studenti fuori sede (anche stranieri) e per le coppie (di fatto e sposate) con reddito basso. Fondamentale è però a vere chiaro in mente che questo aiuto è limitato nel tempo ed è necessaria una copertura finanziaria adeguata.

Una valida alternativa possono essere i Centri di riadattamento sociale (CHRS) che esistono nelle grandi città francesi per trovare alloggio alle persone che non hanno un posto in cui vivere.

Questa alternativa ha il pregio di potere avere una minore necessità finanziaria da parte dello Stato, perché l’Italia potrebbe usare (riadattandole) le caserme in disuso e gli altri edifici in disuso dello stato. Questi edifici potrebbero essere girati al ministro del Wellfare e risparmiare i soldi degli aiuti (in pratica invece di dare soldi o caricarsi affitti, si forniscono alloggi di proprietà dello stato per un limitato periodo di tempo).

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Come migliorare la legge di stabilità

postato il 25 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

La legge “stabilità” del Governo è ottima se andiamo a guardare il principio che vuole imporre all’Italia: maggiore efficienza nella spesa pubblica, tagliare gli sprechi e cercare, mantenendo i saldi invariati, di agevolare le fasce di reddito più basse.

Ovviamente arrivare a questa legge è un percorso lungo e complicato, come è dimostrato dalla dialettica che si è sviluppata in questi giorni tra le varie forze politiche e i vari organismi.

Ad esempio, la corte dei Conti si è dichiarata soddisfatta e metà, segnalando il rischio di ”un deterioramento della tax compliance sia in conseguenza del depotenziamento del contrasto d’interessi prodotto dai tagli a detrazioni e deduzioni di spese in settori ad elevato rischio di evasione, sia per le ricadute negative che la deroga ai principi dello Statuto del contribuente potrebbe produrre sulla trasparenza e sulla lealtà nel rapporto fisco-contribuente”.

Se guardiamo il comunicato della Corte, emerge , da un lato, un giudizio positivo della legge considerando che è orientata ad una politica di bilancio di alleggerimento fiscale, dall’altro vi sono notevoli rischi e incertezze per quanto attiene gli effetti redistributivi e le incoerenze di alcuni interventi, che potrebbe portare ad un aggravio delle imposte locali.

Proprio per questo motivo, l’UDC sta proponendo delle modifiche, come ha fatto rilevare Gian Luca Galletti che ha affermato l’intenzione di ampliare detrazioni e deduzioni “in particolare a beneficio dei nuclei familiari”.

Sempre Galletti ha affermato l’intenzione di “andare anche oltre, cancellando definitivamente le modifiche su oneri deducibili e detraibili e rafforzando i vantaggi per le famiglie” e di cancellare l’aumento dell’iva per le cooperative sociali che rendono servizi alle famiglie.

Ovviamente per realizzare ciò bisogna rispettare le esigenze della copertura finanziaria (quasi due miliardi), ma si può ipotizzare di limitare la riduzione delle aliquote solo al primo scaglione di reddito e lasciare invariata l’aliquota IRPEF al 27% per il secondo scaglione.

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No all’aumento dell’Iva sui servizi socio-assistenziali

postato il 15 Ottobre 2012

Obiettivo è dare più equità al sistema fiscale

Il principale obiettivo della legge di stabilità deve essere quello di dare più equità al sistema fiscale. Non è quindi accettabile un aumento dell’aliquota Iva dal 4 all’11 per cento sui servizi socio-assistenziali resi da cooperative. Ciò si tramuterebbe in un aggravio di costi per le famiglie, in particolare quelle più deboli, e contestualmente in una diminuzione dei servizi, come ad esempio l’assistenza domiciliare e gli asili nido. Nella discussione in Parlamento avanzeremo proposte per mantenere inalterati i saldi di contabilità pubblica pur salvaguardando l’equità ad iniziare proprio dalla tutela delle fasce più deboli.

 Pier Ferdinando

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Il patto con i contribuenti non può essere cambiato retroattivamente

postato il 14 Ottobre 2012

Monti ha segnato una discontinuità con i governi del passato, imperniata sulla serietà e sulla correttezza. Per questo il patto con i contribuenti non può essere cambiato retroattivamente.
Modificheremo in parlamento la legge di stabilità affinché venga cancellata la riduzione retroattiva delle agevolazioni fiscali.

Pier Ferdinando

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Le modifiche del pagamento IVA agevoleranno i commercianti e i piccoli imprenditori

postato il 12 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Nell’ottica di agevolare le piccole imprese e i commercianti per alleggerire la crisi, il governo ha giustamente modificato il regime di IVA per cassa.

Si tratta di un provvedimento perché va incontro a circa il 95% delle imprese e degli autonomi in Italia.

Cosa significa nel concreto avere modificato questo regime? Per comprendere bene la portata di tale modifica, facciamo un salto indietro all’art. 6 del D.P.R. n. 633/72 che disciplina, in materia di IVA, il momento dell’effettuazione dell’operazione e dunque il momento rilevante ai fini dell’esigibilità dell’imposta.

Il primo comma del suddetto art. 6 stabilisce, come principio generale, che la cessione dei beni si considera effettuata per i beni mobili all’atto della consegna o spedizione, per i beni immobili all’atto traslativo della proprietà (stipula contratto e consegna chiavi). Il terzo comma, invece, stabilisce che le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento.

Però a questi principi generali si oppongono delle eccezioni, di cui la più rilevante è contenuta nel comma 5 del medesimo art. 6 quando prevede il differimento dell’esigibilità dell’IVA per le operazioni effettuate nei confronti di specifici soggetti, quali Stato ed Enti Statali, Camere di Commercio, Istituti Universitari, Unità Sanitarie Locali, ecc. In sostanza, i cedenti e/o prestatori possono posticipare l’esigibilità dell’IVA dovuta sulle fatture relative alla cessione dei beni o alla prestazione di servizi al momento dell’effettivo incasso, evitando in tal modo di impiegare risorse finanziarie per anticipare l’IVA su vendite o prestazioni non ancora incassate.

Il principio generale stabilisce quando una vendita si considera conclusa e nasce l’obbligo di versare l’IVA allo Stato, anche se non vi è ancora stato trasferimento di denaro. Ovviamente a questo punto abbiamo che, una azienda o un commerciante che vende della merce, anche se non ha incassato il denaro, si trova a pagare l’IVA e questo può presentare un problema.

A questo principio generale c’è una eccezione importante, il cosiddetto regime di “IVA per Cassa”, con il quale il commerciante può posticipare il pagamento dell’IVA al momento dell’effettivo incasso.

Questa eccezione era stata introdotta nel 2010 con la direttiva comunitaria 2010/45, cui era seguito, nell’aprile 2011, il pieno recepimento nell’ordinamento italiano, ma con alcuni vincoli importanti (come quello che le operazioni per i differimento dell’IVA, doveva prevedere la cessione di beni e servizi non a privati), in particolare quello del volume d’affari che non poteva essere superiore ai 200.000 euro annui.

Questo limite era stato osteggiato da C.N.A. e da Rete Imprese, e il governo Monti ha deciso di elevare questo limite, portandolo da 200.000 euro a 2 milioni d ieuro.

In pratica il differimento dell’IVA con il decreto Sviluppo Italia 2 dei giorni scorsi, si applica a tutte quelle aziende e commercianti che hanno realizzato un fatturato minore di 2 milioni di euro nell’anno precedente.

Questa modifica permette di allargare tale agevoalzione alla maggior parte delle aziende e commercianti italiani, ma soprattutto va incontro alle esigenze di cassa dei piccoli commercianti e artigiani che, più di altre attività produttive, possono avere problemi di liquidità.

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Agenda Digitale trasformerà il Paese

postato il 11 Ottobre 2012

di Giuseppe Portonera

Su questo blog abbiamo ripetuto più e più volte che Agenda Digitale è la tra le più importanti pietre miliari da posare, per costruire un Paese più efficiente, rapido e moderno (abbiamo anche cercato di spiegare perché un kilometro di banda larga è preferibile a un kilometro di autostrada). Una rivoluzione digitale, infatti, sarebbe portatrice di nuovi shock positivi per l’economia, favorirebbe una maggiore inclusione sociale, garantirebbe un livello più alto di trasparenza e controllo. I nostri rappresentanti in Parlamento hanno sempre operato in questa direzione, cercando di rilanciare un’opera di mediazione e collaborazione tra le varie forze politiche, nel tentativo di varare il prima possibile un provvedimento per Agenda Digitale. Il Governo attuale, dopo qualche tentennamento di troppo, ha finalmente deciso di compiere un primo, importante passo in avanti, varando la sua Agenda Digitale. Da ciò che è filtrato (siamo ancora in attesa di leggere il testo del decreto), si tratterebbe di un documento molto interessante, ricco di proposte e progetti accattivanti, che potrà sicuramente essere migliorato al momento della sua conversione in legge, ma che rappresenta – prima di tutto – una vittoria “culturale”, perché denota un cambio di mentalità: finalmente, in mezzo a tante manovre emergenziali per affrontare la crisi (principalmente tasse e tagli) si sceglie di varare un provvedimento del genere, che molto può fare sul versante della crescita.

Il Premier Mario Monti, presentando venerdì scorso il pacchetto, aveva giustamente sottolineato che «Agenda Digitale è un modo per trasformare il Paese», attraverso la circolazione del sapere, la condivisione delle informazioni, la connettività, i servizi digitali al cittadino, che sono «le basi per recuperare il gap tecnologico paese». Le norme, quindi, «puntano in modo ambizioso a fare del nostro Paese un luogo nel quale l’innovazione sia un fattore di crescita sostenibile e produttività delle imprese». Non è un caso se qualcuno ha ribattezzato questo provvedimento come “TrasformaItalia”, e anche gli esperti del settore (come l’ex direttore di Wired, Riccardo Luna) si sono espressi favorevolmente. L’Agenda Digitale del Governo recepisce molti dei suggerimenti e delle intuizioni che noi avevamo avuto nei mesi precedenti: il capitolo sulle Start Up sembra ben fatto, dalla definizione dei caratteri di “impresa innovativa” (sostenere spese in ricerca e sviluppo in misura pari o superiore al 30 per cento del maggiore tra il costo e il valore della produzione; impiegare personale altamente qualificato per almeno un terzo della propria forza lavoro; essere titolare o licenziataria di una privativa industriale connessa alla propria attività) alle misure da attuare in caso di loro fallimento (dato l’alto rischio imprenditoriale, si congelerebbe solo la parte di patrimonio necessaria a ripagare i creditori, senza gravare ulteriormente sulle disponibilità personali dell’imprenditore). Ben congegnate sono anche le novità elaborate su Sanità Elettronica e Giustizia Digitale: vengono introdotti l’Unico Documento Elettronico – che unificherà carta d’identità e codice fiscale – e il fascicolo sanitario elettronico, e accelerate le procedure per prescrivere farmaci via telematica (con risparmi consistenti sui tempi burocratici); mentre tutte le comunicazioni di cancelleria, in tribunale, dovranno avvenire per via telematica all’indirizzo di posta certificata. Viene poi normato, per la prima volta, il crowdfunding, un sistema di raccolta di denaro “dal basso” che sarà regolato e monitorato, e che amplificherà quindi tutele e diritti di chi oggi semplicemente si affidava alla propria buona fede e alla voglia di “donare” risorse.

Certo, lo dicevamo su, il testo del Governo potrà e dovrà essere integrato, migliorato. Alcuni suggerimenti: innanzitutto, deve essere prevista una tassazione agevolata per il commercio dei cosiddetti beni digitali (l’Udc aveva proposto di fissare l’IVA al 4%). Poi – visto che il Ministro dell’Innovazione digitale è lo stesso che ha le deleghe all’Istruzione e alla Ricerca – bisogna programmare una riforma dell’insegnamento dell’informatica nelle nostre scuole (abbiamo bisogno di creare tecnici e professionisti digitali). Infine, come fatto rilevare anche dalla FNSI, si fa sentire la mancanza di una norma che introduca nell’ordinamento italiano i principi di trasparenza del Freedom Of Information Act (FOIA), che permette a ogni cittadino (non soltanto a chi abbia un interesse diretto e personale nella materia) di avere accesso ai dati sull’attività pubblica di ogni tipo e livello. Confidiamo dunque nel Parlamento, che ha già dimostrato grande sensibilità sul tema: Agenda Digitale può davvero trasformare il Paese. Non buttiamo via un’occasione come questa.

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Caro Ricolfi, dietro l’agenda Monti c’è solo voglia di fare

postato il 5 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In riferimento all’articolo apparso sul quotidiano La Stampa dal titolo “Chi si nasconde dietro l’agenda Monti”, l’on.le Galletti ha affermato “pensiamo di aver contribuito, certamente più di altri, alla nascita e al percorso del governo Monti creando prima le condizioni per la sua nascita e sostenendolo poi con le nostre proposte in tema di liberalizzazioni, riforma del lavoro, spending
review e riforma della giustizia, solo per citare alcuni esempi” e poi ha continuato ricordando che l’Udc non vuole assistenzialismo statale né per il Sud, né per il Nord.

Premesso che l’articolo in questione è firmato da Luca Ricolfi, personaggio che stimo, nonostante in un suo libro (Dossier italia) abbia difeso il “contratto con gli italiani” stipulato da Berlusconi affermando che in fondo era stato realizzato (almeno per la maggior parte), posso serenamente dire che l’articolo sembra essere stato scritto da un marziano o da una persona che ignora parecchie cose, in particolare sulla posizione dell’Udc.

Ricolfi porta avanti una analisi politica tagliata con l’accetta e, soprattuto, incentrata su uno schematismo vecchio e pieno di preconcetti: a destra abbiamo una politica conservatrice, al centro una politica statalista, a sinistra una politica che non saprei definire. Il punto è che Ricolfi non si è minimamente documentato, altrimenti avrebbe visto non solo le proposte enumerate dall’on.le Galletti, ma soprattutto avrebbe visto che l’Udc aveva proposto ben prima di tanti altri, una robusta agenda per abbattere il digital divide e sviluppare Internet a banda larga (ricordiamo che questo ci porterebbe ad un aumento del PIL di circa 70 miliardi di euro). Già questo ci fa capire che l’Udc una sua agenda ce l’ha, come anche degli obiettivi: risanare i conti non è un target secondario, perché senza il risanamento non possiamo fare investimenti.

Ma al di là delle proposte presentate nel passato, il punto di fondo è che non si può e non si deve parlare di statalismo secondo vecchi schemi: la spesa statale può essere tagliata, e, soprattutto, deve essere indirizzata meglio e la prova si trova quando ho scritto dei fondi comunitari usati per progetti del valore medio di 5.000 euro. Questi progetti non migliorano il PIL, non creano occupazione o opportunità, sono solo una scorciatoia presa da alcuni che vedono nello Stato una mucca da macellare senza pensare al domani. L’Udc vuole sostituire a questa miriade di progetti, pochi progetti che creino le infrastrutture e le condizioni necessarie perché si possa esplicare al meglio la libera iniziativa imprenditoriale.

Propugnare un Monti-bis, come ad esempio fa Casini, non equivale a sostenere la “mucca da macellare”, bensì è un modo rendere produttiva la mucca. Tutto ciò però presuppone libertà d’azione. La vera forza di Monti è stata proprio quella di essere al di fuori del sistema politico e in quanto tale non essere inscatolato nei rigidi schematismi che hanno condizionato la vita politica italiana degli ultimi 20 anni e che proprio Ricolfi riconosce come uno dei mali della Seconda Repubblica.

Liberi dalle contrapposizioni rigide e schematiche, ci si è concentrati sulle riforme e sugli interventi normativi per rilanciare l’Italia dopo avere evitato per un soffio il disastro ereditato dal precedente governo: da quanti anni si aspettava un provvedimento per ridurre le auto blu o le province? Eppure il precedente governo ha avuto 4 anni di tempo, ma non lo ha potuto fare perché avviluppato in un continuo battibecco improduttivo sia al suo interno (si veda anche ora cosa sta accadendo all’interno del PDl dopo il caso del Lazio) che al suo esterno (pensiamo alla guerra continua avviata da berlusconi contro la magistratura e contro gli altri politici). Monti forma il suo governo  a Novmebre 2011 e a giugno 2012 (dopo 7 mesi) presenta il disegno di legge per dimezzare le province e dimezzare le auto blu. Sette mesi per un risultato concreto, contro 4 anni di chiacchiere inutili (quantunque supportate dall’agenda politica tanto cara a Ricolfi).

Sostenere Monti, significa sostenere la centralità della politica, scindendola dalle chiacchiere di cortile e dai gossip (quante pagine di giornali dedicati al bunga bunga o alla Minetti che sfila in costume da bagno?), e questo non è forse quello che si chiede a chi ci governa?

Vogliamo parlare di agenda, come chiede Ricolfi? Facciamolo, ma dobbiamo essere coscienti che è un falso problema, perché sappiamo cosa serve: svecchiare il mondo del lavoro in Italia garantendo i lavoratori, ma senza che questo si trasformi in rigidità contrattuale; serve rivedere il sistema fiscale; serve combattere l’evasione fiscale; serve incoraggiare gli investimenti. Tutti sanno cosa serve, ma il problema vero è “come fare queste cose” e questa è la vera forza di chi sostiene Monti, perché non ci si perde in chiacchiere da bar consci che il mondo moderno fugge le perdite di tempo e l’eccessiva rigidità, mentre richiede rapidità di esecuzione e massima flessibilità, perché il mondo è in continua evoluzione, anzi, citando Baumann, potremmo dire che siamo in “costante mutamento in una realtà liquida e multiforme”.

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La gravità del fenomeno ‘derivati’

postato il 3 Ottobre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Luca Guastini

Nel grande discorso programmatico con cui ha chiuso la festa di Chianciano 2012, Pier Ferdinando Casini ha evidenziato la necessità di agire con determinazione sul problema dei “titoli tossici” che pesano sui bilanci degli enti locali.

A cosa si riferiva? Prima di tutto e soprattutto ai contratti di finanza derivata, i famigerati “derivati”, che a partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso hanno iniziato ad ammorbare le finanze pubbliche.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza in una materia di estrema complessità tecnica, partendo da un esempio concreto che chi scrive ha avuto occasione di studiare in modo approfondito: il Comune di Torino.

Senza addentrarci troppo nei dettagli, merita sottolineare che negli anni a cavallo del 2000 l’amministrazione comunale ha sottoscritto molti contratti derivati su tassi di interessi, successivamente rinegoziati in parte nel 2006-2007, di cui ben 23 risultano tuttora in essere.

Sono interest rate swap, cioè contratti con i quali si dovrebbe gestire il rischio di innalzamento del tasso di interesse: se ho un debito a lunga scadenza (un mutuo) soggetto ad interessi al tasso variabile (Euribor), rischio che l’aumento del tasso di riferimento accresca il mio debito oltre la mia capacità di farvi fronte. Attraverso un derivato opportunamente configurato, posso recuperare dal prodotto finanziario una parte di quanto ho pagato in più di interessi sul mutuo.

Tuttavia, se il prodotto è mal configurato, per errore o per scelta, invece di avere un effetto di copertura dal rischio ottengo una vera e propria speculazione o, in altri casi, un finanziamento immediato (e mascherato) con ribaltamento degli oneri molto in là nel tempo, anche di un paio di generazioni.

Nel caso di Torino, alcuni contratti hanno quale tasso di riferimento il Libor Us$ (il tasso dell’area dollaro rilavato sulla piazza di Londra), nonostante il Comune non risulti affatto indebitato a quel tasso; altri, invece, sono congegnati in modo tale che il Comune ha incassato alcuni milioni di euro nei primi due anni, salvo poi restituirne cinque o sei volte di più nei successivi trent’anni, tra l’altro con “rate” di importo folle negli ultimi due.

La Corte dei Conti è intervenuta a più riprese, stigmatizzando l’aggravarsi della situazione e chiedendo che l’amministrazione prendesse provvedimenti seri ed immediati. Provvedimenti che, invece, non sono ancora stati assunti.

Le cifre in gioco sono impressionanti, tanto più in un momento di crisi economica e di tagli profondi ai servizi per i cittadini: oltre 150 milioni di euro nei prossimi vent’anni, con un impatto annuo attuale di circa 10 milioni, che il Comune di Torino dovrà pagare alle banche coinvolte. Ma se si considera l’intera vita dei prodotti derivati in essere, la somma supera i 250 milioni, a cui vanno aggiunti quelli pagati a fronte dei contratti estinti e di cui non vi è più traccia.

La gravità del fenomeno derivati è ancor più dirompente se si pensa che esso non riguarda soltanto le Regioni, le Province i grandi comuni come Torino o Milano, ma esso interessa anche comuni più piccoli come Aqui Terme (AL), e addirittura piccolissimi centri come Omegna (VB), Gozzano (NO), Valledoria (SS), solo per citarne alcuni.

Da qui l’iniziativa del nuovo Comitato regionale piemontese, guidato da Marco Balagna, che ha fatto propria la proposta del sottoscritto: i consiglieri provinciali e comunali dell’Udc in Piemonte presenteranno nelle prossime settimane presso i rispettivi consigli un’interpellanza con la quale si chiede se siano in essere contratti derivati e quale sia la relativa esposizione dell’ente.

Lo scopo è duplice: da un lato, realizzare una mappatura del fenomeno sul territorio e dall’altro offrire un supporto concreto alle amministrazioni che vorranno affrontare il problema.

Auspichiamo che l’iniziativa produca buoni risultati e che magari sia estesa ad altre Regioni.

 

 

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