Tutti i post della categoria: Economia

Stanca si dimette dall’EXPO 2015: basse manovre o mancanza di idee?

postato il 24 Giugno 2010

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di Gaspare Compagno

L’onorevole del PDL, Lucio Stanca, voluto da Berlusconi per rilanciare l’attività di EXPO 2015 bloccata fino all’aprile 2009, ha deciso di chiudere la sua avventura con l’EXPO 2015 in maniera netta e definitiva, in queste ore ha dato le dimissioni dalla carica di Amministratore Delegato e dal consiglio di amministrazione.

Ma le sue non sono semplici dimissioni, ma un vero e proprio “jaccuse”, come dimostra la inusitata lunghezza delle lettera che spiega le sue motivazioni: ben quattro (4) pagine, nelle quali attacca anche la presidente Diana Bracco.

Ma queste non sono semplici dimissioni anche per un altro motivo: riguarda infatti la gestione dell’EXPO 2015, una grande vetrina per Milano e l’Italia, oltre che una opportunità per una miriade di imprese coinvolte nei progetti miliardari delle infrastrutture necessarie.

Ed è proprio su questo punto che dobbiamo focalizzare la nostra attenzione, anche alla luce delle recenti notizie sulla gestione degli appalti per le infrastrutture pubbliche.

In 14 mesi di gestione, Stanca non sembrerebbe avere brillato per attivismo, almeno a sentire l’autorevole voce di Filippo Penati, vicepresidente del Consiglio della Regione Lombardia, che anzi chiede al manager di restituire i soldi, visto il suo doppio incarico (manager e onorevole) che, sempre a sentire Penati, non ha prodotto nessun risultato, addirittura non si sa se vi sono i soldi necessari per l’Expo e le aree da utilizzare.

Di contro Stanca, in una sua intervista al Corriere della Sera motiva le sue dimissioni inizialmente con un mutamento di fase nella gestione del progetto: a sentire lui si è passati da una fase di programmazione a quella realizzativa che l’articolo 54 della Finanziaria, sostiene Stanca, affida alla collegialità dei soci.

In realtà i problemi sono molteplici, a cominciare dalle polemiche innescate da Diana Bracco agli ulteriori tagli operati con l’ultima finanziaria: infatti il presidente Bracco, solo un paio di giorni fa, aveva fatto a pezzi il business plan concepito da Stanca, motivando i suoi rilievi con i rischi connessi alla gestione dei costi operata da Stanca.

Possibile? Vediamo un po’ i conti.

expoIntanto il piano di contenimento dei costi operativi della spa (perchè Gestione EXPO 2015, è una società per azioni) prevede per il momento tagli per oltre 5 milioni sul preventivo di quest’anno di quasi 24 milioni di euro. E in percentuale non è neanche il taglio più grande, infatti se consultiamo la voce “progetti nazionali e internazionali” osserviamo che da 2 milioni si è scesi a solo 100mila euro, mentre i viaggi e le trasferte sono calati di circa il 20% da 1,3 a 1 milione di euro. Ma il disastro dei conti non si ferma solo a queste voci, se guardiamo alle entrate osserviamo che le sponsorizzazioni erano state iscritte a bilancio per 8,5 milioni, ma, complice anche la crisi internazionale, non si supereranno i 3,2  mentre anche la cassa piange: ad aprile c’erano solo 200mila euro arrivati dai privati. E non abbiamo finito: anche il personale sta subendo una sforbiciata e circa una diecina di dipendenti, su un centinaio, sono stati licenziati.

Queste come voci ordinarie di bilancio. Passiamo alle vera “polpa”: gli investimenti.

Se analizziamo il bilancio e il business plan, osserviamo che sono fermi. Anzi in alto mare.

city-life-_milano-expo-2015Perchè? Perchè la società non ha ancora preso possesso dei terreni tche sono di proprietà di Fondazione Fiera e gruppo Cabassi, si tratta di un milione di metri quadrati a Rho-Pero dove dovranno sorgere i padiglioni del 2015. Regione Lombardia, Provincia e Comune di Milano dovranno creare una società per rilevare i suddetti terreni, ma il problema non è questo, bensì i soldi: i proprietari dei terreni chiedono 200 milioni di euro che il trio formato appunto da Regione, Provincia e Comune non vuole sborsare, ma anzi chiede uno sconto.

Purtroppo non è ancora tempo di saldi.

Nel frattempo si stima che tra progettazione, personale tecnico e opere in vista della partenza dei cantieri (se i terreni verranno acquistati), nel 2010 si sarebbero dovuti spendere 26 milioni.

Siccome i terreni ancora non sono stati acquistati, se ne sono spesi solo 8,9, ovvero il minimo indispensabile per la progettazione e le prime opere. Ma senza i terreni questa spesa resterà una spesa inutile.

E’ finita qui? No. Perchè dobbiamo considerare anche i soldi che non sono stati spesi perchè non sono disponibili Ad acquistarli sarà una società formata da Regione, Comune e Provincia, ma si cerca tuttora una soluzione per pagare meno dei 200 milioni di euro pretesi dai privati. Per il sito espositivo tra progettazione, personale tecnico, e opere in vista della partenza dei cantieri, nel 2010 si sarebbero dovuti spendere 26 milioni. Ma senza i terreni si è già scesi a 8,9. Il minimo indispensabile per la progettazione e quelle prime indispensabili opere (4,5 milioni). Ecco cosa produce il ritardo. Siete stupiti? Non siatelo, perchè l’EXPO 2015 ha una breve storia di costi molto molto alti. Per rendersene conto basta leggere la relazione del tesoriere al rendiconto economico finanziario per l’EXPO 2015 all’anno 2007. Vi invito in particolare a dare una occhiata ai costi per il modellino, il rendering dell’expo 2015 e per il video promozionale (totale: 114.600 euro, senza considerare le spese per le trasferte e così via, per un totale di oltre 4 milioni di euro). Ma sono bazzecole, visto che per i lavori completi, ancora non vi è una stima precisa del costo dei lavori anche se si vocifera di 4,1 miliardi di euro (stima del 2007 e quindi già adesso risulta inadeguata) come si evince a pagina 14 del Dossier EXPO 2015. Però già all’epoca questa stima era stata reputata sottostimata. Visto il prezzo ipotetico dei terreni, è ipotizzabile che la cifra finale lieviterà.

Nel frattempo sorge anche un altro problema: una volta che l’evento è completato, che fine faranno le aree utilizzate? E’ la domanda che pone il consigliere regionale della Lombardia, Enrico Marcora dell’UDC, mentre l’on. Libè chiede al governo di fare la massima chairezza, visto che Stanca è stato nominato personalmente da Berlusconi come suo uomo di fiducia. Domande che sono rimaste senza risposta.

expoCome si vede, quindi, la situazione non è rosea. Nel frattempo Lucio Stanca ha potuto percepire non solo lo stipendio da parlamentare, ma anche l’emolumento come manager della società Expo 2015: 450.000 euro annui. Parafrasando la pubblicità, “du stipend is megl che 1”, giusto? Giusto.

E se vi state chiedendo cosa farà Stanca e chi prenderà il suo posto, state tranquilli, tutto è già stato deciso: Stanca avrebbe chiesto al premier un posto di sottosegretario, stando a quanto afferma il quotidiano di Paolo Berlusconi, mentre il suo posto dovrebbe essere preso dal Consigliere Generale del Comune di Milano, Giuseppe Sala, già manager di Pirelli.

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Manovra, il governo naviga a vista è in stato confusionale

postato il 19 Giugno 2010

 
E’ grave che ad una manovra ritenuta fondamentale dall’ esecutivo sono stati presentati 1.200 emendamenti dalla stessa maggioranza. Sono preoccupato perché alla politica degli annunci in questo Paese non fanno mai seguito i fatti. Se poi i fatti sono quelli di nominare nuovi ministri, c’è da mettersi veramente le mani nei capelli.
E’ evidente che questo governo sulla manovra naviga a vista, ha perso la bussola, non sa proprio da che parte andare perché è in stato confusionale.

Pier Ferdinando

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Crisi: Dopo la Grecia anche l’Italia è condannata al default?

postato il 18 Giugno 2010

crisi greciadi Germano Milite.

Qualche giorno fa (era il 14 giugno) una notizia è comparsa su Reuters . La news economica, nonostante la sua potenziale enorme importanza, non è però stata inserita tra le prime pagine e, cosa ancor più inusuale, è stata data in maniera “secca” e, cioè, senza alcuna spiegazione tecnica o alcun commento specifico relativo al fatto accaduto. Di seguito, per permettere ai nostri lettori di farsi un’idea precisa, riportiamo in maniera integrale il lancio di Reuters.

Titolo: Italia, specialisti disertano riapertura Btp in asta venerdì

“È andata deserta la riapertura odierna dei titoli del Tesoro italiano in asta venerdì scorso. Nessuno dei primary dealer ha avanzato offerte, lasciando l’ammontare complessivo invariato alla cifra di 7,001 miliardi collocata venerdì.

Il Tesoro aveva messo a disposizione l’importo supplementare di 1 miliardo di euro per il Btp giugno 2015, di 174 milioni per il Btp febbraio 2017 e di 126 milioni per il Btp febbraio 2037”

crisi italiaLa notizia, data in questo modo, può lasciare spazio ad un numero corposo di illazioni e considerazioni anche catastrofiste. Di primo acchito, difatti, si potrebbero valutare i dati riferiti in maniera molto negativa ed allarmante, traducendo e sintetizzando la mancata vendita dei Btp con un futuro default già previsto per l‘Italia dopo la debacle della Grecia e gli imminenti crolli preventivati per Spagna e Portogallo. I grossi investitori, infatti, evitano di acquistare i Btp (titoli di stato) qualora vengano proposti da economie nazionali reputate a rischio o comunque poco affidabili. Vendere pochi Btp è un dato, non venderne nemmeno uno può essere considerato particolarmente significativo. Ciò che colpisce, comunque, è il fatto che nell’articolo non ci sia alcun riferimento al rendimento effettivo di tali titoli (è anche in riferimento a quel dato, e cioè a quanto frutteranno in futuro, che i Btp risultano più o meno appetibili). Onde evitare mistificazioni ed avventate conclusioni allarmiste, ci siamo affidati al parere di due esperti del settore. Il primo è Luigi Cobianchi, consigliere d’amministrazione dell’immobiliare del gruppo Bancario Banca di Credito Popolare.

Come valuta la notizia diffusa da Reuters?

“Beh di sicuro non positivamente ma attenzione: i rating sono spesso manovrati dai grandi potentati economici che agiscono da speculatori senza scrupoli e, per tale motivo, spesso non dicono il vero riguardo l‘effettiva affidabilità del sistema economico e finanziario di uno Stato… In ogni caso sono evidenti e difficilmente confutabili i segnali di sfiducia che colpiscono tutte le nazioni che fanno parte dell’eurozona ed in particolare il nostro paese”

Colpa della crisi, ovviamente?

“Certo e poi teniamo a mente una cosa fondamentale: si è passati dal sospetto alla bancarotta vera e propria che, per anni, è stata solo faticosamente rimandata e nascosta con manovre di bilancio abilmente ritoccate per far apparire sane le casse dello stato che in realtà erano dissestate”.

Ad esempio?

“Ad esempio basta considerare la Grecia: da tempo, ad Atene, dichiaravano dati di bilancio fuorvianti (con manovre al limite del lecito per nascondere le difficoltà enormi che devastavano l‘economia ellenica). I risultati li abbiamo visti tutti direi”.

titoli di statoMa quindi perché quell’asta dei Btp italiani è andata deserta?

“Prima di tutto occorrerebbe sapere che rendimento avevano questi Btp specifici per poter valutare al meglio il loro scarso appeal nei confronti degli investitori. I titoli di stato, come noto, sono comunque sempre poco fruttuosi poiché, al contempo e come contropartita, godono di una certezza d’incasso piuttosto solida. Di conseguenza il concetto è relativamente semplice: se il titolo di stato non si vende è per colpa del debito pubblico che ha accumulato chi lo ha messo sul mercato nazionale ed internazionale e che, di conseguenza, priva il Btp della propria caratteristica intrinseca e cioè di un rendimento tendenzialmente basso ma certo”.

Cosa ha salvato l’Italia dal tracollo e cosa potrebbe procurare il default anche qui?

“Alla prima domanda rispondo senza esitazioni: ci ha salvati una politica economica e finanziaria diversa da quella americana e, cioè, basata su beni materiali tangibili e non su forsennate speculazioni inerenti al settore terziario e dei servizi e basate, quindi, sul nulla o comunque sul molto incerto. Ci hanno salvato, poi, il cosiddetto “mattone” e l’industria pesante. Il punto – e con questo rispondo al secondo quesito – è che però oggi il primo settore – quello immobiliare – è del tutto impazzito ed è gestito in prevalenza da costruttori miopi che esigono fitti altissimi anche per delle cantine. Oggi quasi nessuno può permettersi un appartamento dignitosamente grande proprio perché, chi li vende, richiede cifre assolutamente scriteriate che porteranno in breve ad un collasso dell’intero sistema. Riguardo l’industria pesante che dire: stanno smantellando pian piano tutto ciò che di buono era stato creato e basta guardare a Pomigliano e a Termini Imerese – giusto per fare qualche esempio – per comprendere il suicidio al quale stiamo andando incontro”.

Dunque è finita? Dobbiamo prepararci al peggio

“L’Italia è piena di catastrofisti e di ottimisti in malafede. Io dico che la crisi è tutt’altro che ridotta e che, anzi, tende a raggiungere nei prossimi mesi dimensioni preoccupanti. Ciò perché non investiamo sulle eccellenze ma anzi le umiliamo. Negli ultimi 10 anni le maestranze italiane hanno perso know how in maniera spaventosa e questo ha favorito la manodopera straniera…se non si pone un argine allo smantellamento di ciò che ci ha salvato – non lasciandosi sedurre troppo da investimenti enormi nel settore terziario e dei servizi- e non si pone un freno alla speculazione selvaggia cui siamo vittime, non prevedo un futuro roseo. Quasi dimenticavo, prima, di citare le grandiose famiglie italiane che, grazie al loro risparmio accumulato con tanti sacrifici, sono tra gli elementi salva bilancio pubblico fondamentali della penisola. Tremonti dovrebbe pensare piuttosto a combattere il credito al consumo che è una piaga vera e propria e che sta distruggendo noi dopo aver distrutto gli Stati Uniti. Occorrerebbe, allo stesso tempo, un percorso di educazione alla moderazione da fare ai più piccoli e ai giovani in genere; per far intendere loro che il consumismo sfrenato ci ucciderà e che, se guadagni 10, non può spendere 20 e vivere di debiti e “comode rate da pagare“ a mo di vitalizio debitorio…”.

Concludendo?

“C’è bisogno per rilanciare l’economia attraverso una seria e concreta campagna di investimenti verso le parti di questo paese che hanno maggior bisogno di rilancio…tra queste ricordo proprio il meridione. A tal proposito mi sia consentito uno sfogo: per i 150 anni dell’Unità d’Italia non ho nulla da festeggiare date le ruberie generalizzate che la mia terra ha subito e continua a subire ancora oggi. In ultimo, e qui rischio di diventare ripetitivo, occorre smettere di dire che si vuole investire in ricerca ed università e cominciare a farlo sul serio visto che, da decenni, ogni governo non ha fatto altro che togliere risorse a questi due settori vitali per lo sviluppo dello stato”.

Il secondo esperto di settore che abbiamo voluto ascoltare è il professor Antonio Coviello , docente alla Sun (Seconda Università di Napoli) ed economista del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).

Professer Coviello come commenta i dati riportati da Reuters? C’è da preoccuparsi per un imminente default della nostra economia?

“Beh io eviterei a tal proposito allarmismi ingiustificati e vi spiego perché: prima di tutto è anche comprensibile che, gli investitori, in questo periodo di odissee economico-finaziarie, siano più prudenti alla luce dei gravi giudizi negativi e dell’abbassamento improvviso dei Rating di Spagna e Portogallo. E’ innegabile, infatti, che si sia verificata una contrazione generalizzata degli investimenti e che, soprattutto in Italia, esista la consapevolezza di avere il debito pubblico più pesante tra i paese dell‘eurozona”.

debitoCome ha reagito l’Italia alla crisi globale?

“Il nostro paese è caratterizzato da una forte cultura del risparmio a differenza degli Stati Uniti (dove le famiglie medie sono molto più indebitate rispetto alle nostre) e questo, sicuramente, ci ha aiutati ad ammortizzare meglio di molti altri il duro scossone partito dall‘America. In Italia esiste poi una forte rete di piccole e medie imprese – oltre il 90% della forza lavoro proviene dalle piccole e medie imprese – caratterizzate spesso da una conduzione familiare responsabile di una gestione oculata e parca degli investimenti. L’unico problema resta quello del debito pubblico che non riguarda solo il governo nazionale ma anche quelli regionali e locali ed è proprio a livello locale, a mio avviso, che si dovrebbe agire con maggior celerità ed efficacia nei prossimi mesi”.

Quindi come descrive la situazione economico-finanziaria dell’Italia di oggi?

 “Sicuramente non delle migliori; anzi è la più difficile e grave dell’ultimo decennio ma ribadisco una solidità riscontrata nella cultura del risparmio di chi in questo paese ci vive. Sempre che si tenga presente, ovviamente, l’enorme debito pubblico che ci affligge e si proponga un programma di contenimento della spesa soprattutto in ambito locale”.

Fonte: Julienews.it

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Casini a Uno Mattina: in Germania accorpano i Lander, in Italia si rafforzano le province

postato il 17 Giugno 2010

provinceHo letto stamani che la Merkel si pone il problema di accorpare i Lander, storica ossatura della Germania Federale. In Italia in risposta prima si volevano abolire 10 province, poi cinque, poi zero e per ultimo ieri il Parlamento italiano ha addirittura discusso come aumentarne le competenze.
Questa manovra deve essere fatta, e se possibile sostenuta, ma che sia il momento delle scelte importanti se vogliamo essere certi di ricollocare il debito. Il mio timore è che si tratti di una “spazzolatina” quando altrove hanno compiuto e compiono scelte molto più consistenti.
C’è ancora una grande confusione, ma io non mi stancherò di parlare il linguaggio della riconciliazione nazionale.

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Fiat, sindacati, Pomigliano: un punto di svolta?

postato il 16 Giugno 2010

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di Gaspare Compagno

In questi giorni stiamo arrivando alle battute finali della trattativa tra Fiat e i Sindacati relativamente al futuro industriale dell’impianto sito a Pomigliano d’Arco. Dopo l’incontro di venerdi scorso, quasi tutti i sindacati hanno concluso l’accordo con la Fiat, solo la Fiom è apertamente contraria mentre la Cgil sembra nicchiare: la soluzione è stata quella di indire un referendum e lasciare che siano i lavoratori dello stabilimento a decidere. Per comprendere bene l’importanza di questa trattativa dobbiamo considerare che questo sito industriale dà lavoro direttamente a 5000 persone, senza contare l’indotto che conta almeno altre 10.000 persone, e per poterlo rendere competitivo, la Fiat intenderebbe investirci 700 milioni di euro. I sindacati è giusto che facciano il loro lavoro, ovvero tutelare i lavoratori, ma devono anche rendersi conto del mutato rapporto mondiale e che il mercato è molto più competitivo di prima. A livello globale, l’Italia non è più il primo mercato per la Fiat, che vende molte più auto in Brasile (oltretutto un paese con tassi di crescita enormi) e presto si apriranno i mercati americani, dove la Chrysler grazie alla cura di Marchionne sta rinascendo, tanto che i sindacati americani pubblicamente hanno solo parole di elogio per il manager italiano. I concorrenti lavorano con tassi di produttività molto superiori allo stabilimento di Pomigliano (ma inferiori ad altri stabilimenti Fiat come quello in Polonia, in Serbia o a Melfi in Italia) e con costi molto inferiori. Le stesse competenze, se prima erano specifiche di poche nazioni, ora sono facilmente replicabili ovunque, e il rischio concreto è che questi 700 milioni di Fiat e questi posti di lavoro vengano spostati all’estero, come stanno facendo molte altre aziende (ad esempio la Glaxo o la Bialetti giusto per citarne un paio, ma potrei ricordarne tante altre). Di questo se ne sono resi conto gli altri sindacati che hanno accolto positivamente la volontà di Fiat di investire, e anche i politici si accodano a questa decisione. Infatti se Casini afferma che è assurdo non firmare esponendosi in prima persona, anche gli altri politici seguono la stessa opinione del leader centrista affermando come fanno Sacconi, Bersani e altri che è necessario firmare questo accordo. Quel che più preoccupa è il suicidio, a mio avviso, annunciato da Cremaschi della FIOM, che afferma che il suo sindacato non firmerà l’accordo anche se i lavoratori, con il referendum sopradetto, si esprimeranno a favore dell’accordo con Fiat. E questo mi preoccupa perchè mostra un sindacato che preferisce fare politica, tradendo la sua vocazione, il suo scopo e soprattutto il mandato di chi lo compone, ovvero essere portavoce della volontà dei lavoratori. Soprattutto è preoccupante che un sindacato dica espressamente di volere ignorare la volontà dei suoi aderenti, creando quindi una frattura tra la base e i vertici che assurgono a dei dittatorelli da repubblica delle banane.

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Ddl intercettazioni prima della manovra? E’ umorismo, nemmeno politica

postato il 15 Giugno 2010

casini5Mandare alla Camera prima il ddl intercettazioni e poi la manovra sarebbe puro umorismo, non è neanche politica.
Qui si tratta di avere buon senso: c’e’ un decreto e un ddl di cui si discute da tre anni.
Il decreto ce lo impone l’Europa, e’ un’emergenza, e’ chiaro che si dovrà partire prima dalla manovra economica.
Credo sarebbe irresponsabile dire agli italiani che abbiamo scherzato e che le intercettazioni sono piu’ importanti della finanziaria.
Capite che sarebbe umorismo e non politica.

Pier Ferdinando

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Manovra inevitabile, ma andava fatta con più rigore

postato il 12 Giugno 2010

foto casiniProponiamo un prelievo del 2% dalle Fondazioni bancarie per fini sociali

Questa è una manovra pesante e inevitabile ma i tagli vanno fatti con rigore vero. Non si può partire dall’abolizione di tutte le province e poi passare a dieci, poi a cinque, e infine sanatorie per tutti.
Credo si sia partiti bene e si stia finendo peggio.
Noi, sulla manovra, abbiamo le idee chiarissime: andava fatta con maggiore rigore e soprattutto con una prospettiva riformista sia sul tema previdenziale che sulle liberalizzazioni, ma anche sulle grandi questioni fiscali che sono ineludibili.
In Parlamento faremo degli emendamenti seri che possano pungere: dall’abolizione delle province, che va recuperata, al tema delle rendite finanziarie, che vanno tagliate per gli speculatori. Stiamo anche pensando di formalizzare in Finanziaria la proposta di un prelievo del 2% dalle Fondazioni bancarie, finalizzato a un qualche scopo sociale.

Pier Ferdinando

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La manovra è insufficiente, servono misure drastiche

postato il 8 Giugno 2010

Verso il partito della nazione

Ieri il governo tedesco, che ha i conti a posto, ha varato un provvedimento straordinario e fortissimo che ci deve far riflettere. Noi invece stiamo qui a gingillarci: se non prendiamo decisioni drastiche a ottobre-novembre rischiamo di stare punto e a capo.

L’Udc formalizzerà la prossima settimana gli emendamenti alla manovra in Senato e chiede attenzione al governo: non faremo sconti perché dietro l’angolo c’è il rischio Grecia. Bisogna avere il coraggio di tagliare le province al di sotto dei 250mila abitanti e i comuni sotto i mille. Di innalzare l’età pensionabile, di incentivare le assunzioni dei giovani e di colpire la speculazione finanziaria.

Pier Ferdinando

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Manovra, bene discutere ma in Parlamento e di cose serie

postato il 6 Giugno 2010


Accettiamo di discutere, ma in Parlamento e per fare cose serie. Non si stratta di prendere una mano tesa.
E’ positivo che la maggioranza sia disposta ad ascoltare i consigli dell’opposizione e siamo pronti ad accogliere l’apertura del premier sulla manovra finanziaria, ma se le condizioni sono un nuovo condono, noi non l’accettiamo perché a forza di condoni si perde il senso della legalità.

 

Pier Ferdinando

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Manovra, lo sciopero dei magistrati è un errore grave

postato il 4 Giugno 2010

L’Udc sta portando avanti un confronto serrato con le parti sociali per migliorare la manovra in Parlamento. Probabilmente anche le ragioni dei magistrati dovranno avere voce in capitolo, ma questa dichiarazione di sciopero preventivo per il loro stipendio è un errore incomprensibile, che allontana l’intero corpo della magistratura dai cittadini.
Se il messaggio che si vuole trasmettere al Paese è di serietà e rigore, i magistrati dovrebbero rendersi conto che il segnale che danno scioperando va nella direzione opposta, e finisce con il delegittimare il loro lavoro in un momento di aspre polemiche.

Pier Ferdinando

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